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Arte della memoria, generazione e linguaggio. L'origine di una nuova prospettiva conoscitiva.

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INTRODUZIONE

All'inizio del mio percorso di studio mi sono occupata del ruolo del suono e della musica nella filosofia di Marsilio Ficino e, basandomi sulle fonti platoniche ermetiche e neoplatoniche ho portato avanti un discorso sull'importanza che questo aspetto, spesso sottovalutato, ricopre da un punto di vista cosmologico e morale nell'opera del medico toscano. Ero tuttavia impreparata ad affrontare il discorso sul canto, o meglio sull'utilizzo della parola nella prospettiva rinascimentale, e ho tralasciato i riferimenti alla cultura araba ed ebraica etichettandoli, sbagliando, come secondari. Credo di aver commesso un errore che spesso caratterizza l'indagine su questo periodo storico, avendo in un certo senso attribuito la riflessione di stampo cabalistico sul tema del linguaggio quasi esclusivamente alla figura di Giovanni Pico della Mirandola e non avendo approfondito il ruolo indipendente che tali influenze hanno giocato nella filosofia ficiniana. Ad ogni modo la suggestione è rimasta e, con essa, l'intenzione di approfondire i legami tra la filosofia del linguaggio rinascimentale e la mistica ebraica.

Nello specifico mi interessa, in pieno spirito rinascimentale, il principio di animazione esercitato tramite l'utilizzo del linguaggio. Qui si inserisce il legame con la mnemotecnica bruniana come strumento di conoscenza ed operatività umana che, anche in relazione al legame con la combinatoria alfabetica cabalistica, mi ha motivata nella ricerca. Si trattava però di individuare un anello di congiunzione tra le due proposte che andasse oltre i riferimenti alla cultura

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ermetica tradizionalmente proposti e tenesse presente che il legame tra disciplina cabalistica e mnemotecnica appartiene al Rinascimento maturo più che al Quattrocento. Autori come D. P. Walker e F. Yates hanno dato un'incredibile svolta agli studi sul Rinascimento ma, a proposito del linguaggio e del potere del canto, hanno fatto riferimento prevalentemente, tanto per Bruno quanto per Ficino, alla tradizione ermetica e neoplatonica. D'altronde studi più recenti, forse per compensazione, hanno sottolineato quasi esclusivamente l'apporto delle fonti arabe ed ebraiche non mettendo sufficientemente in evidenza l'assonanza con la tradizione pagana. L'intento della prima parte di questa tesi consiste anche nella ricostruzione di alcuni aspetti della filosofia del linguaggio ficiniana alla luce di entrambi i filoni.

Al lettore la seguente ricerca risulterà manchevole di due momenti importanti: la filosofia pichiana e lo sviluppo cabalistico di stampo cristiano che ne derivò nel sedicesimo secolo. Si tratta di una scelta pensata che colloca questo lavoro nell'ambito della riconsiderazione dei temi cabalistici, in particolare di mistica del linguaggio, nell'opera di Marsilio Ficino e della sua eredità, possibilmente almeno in parte indipendente dalla moda cabalistica cristiana. Questa ipotesi è rafforzata dai noti studi di Franco Bacchelli e Guido Bartolucci che hanno proposto una ricollocazione temporale della Cabala cristiana. Sulla base di nuove attribuzioni e individuazioni, si pensi il manoscritto del Sefer Yeṣirah commissionato da Pier Leone da Spoleto, e grazie alla valorizzazione del ruolo di Yohanan Alemanno nei circoli rinascimentali, è stato possibile anticipare di qualche anno il contatto tra Ficino e l'eredità araba ed ebraica. Così facendo gli è stata donata una certa

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indipendenza intellettuale rispetto a Pico per quanto non si possa certo dire la stessa cosa a proposito del rapporto con l'Alemanno. A mio avviso concentrandosi esclusivamente sulle fonti, più o meno esplicite, si è inevitabilmente portati a riconoscere degli intermediari, anche alla luce dell'inadeguatezza della conoscenza ficiniana della lingua ebraica in vista di una riflessione cabalistica profonda. L'aspetto fondamentale è piuttosto individuabile nell'interesse per il tema del linguaggio e le sue sfaccettature che trova in Ficino un approdo sicuro. Nella valutazione della storia del pensiero è determinante riconosce l'apertura degli studi ficiniani come fattore chiave nel radicamento di tendenze mistiche e cabalistiche che, affiorate in altri momenti storici, non avevano attecchito. Mentre è tradizionalmente riconosciuto il valore della riscoperta pagana e della sua conciliazione con la fede cristiana, l'affinità con i temi cabalistici è meno indagata. Anche rimanendo al di fuori della questione sulle fonti, che comunque rafforza in maniera significativa l'ipotesi, aspetti quali il ruolo del suono e della parola nella cosmologia ficiniana ne confermano il terreno comune. I primi tre capitoli di questa tesi saranno pertanto dedicati all'indagine del contesto e delle fonti del filosofo fiorentino e cercheranno di metterne in evidenza i tratti fondamentali. La comprensione della prospettiva legata al linguaggio aperta dalla sintesi ficiniana porta ad una riconsiderazione della parola come strumento di conoscenza e creazione. È proprio questo aspetto a caratterizzare la seconda parte del lavoro. Rimanendo nell'ambito del primo Rinascimento viene approfondita l'eredità del Sefer Yeṣirah, ossia il Libro della Creazione, e dei commenti che ne seguirono in epoca medievale, con un occhio particolare al commento di Eleazaro da Worms su

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cui basò la propria speculazione Ludovico Lazzarelli.

L'indagine delle possibilità consentite all'uomo dalla permutazione alfabetica verrà condotta tenendo conto dei due modelli fondamentali che caratterizzano la storia della creazione artificiale, quello fisico e quello mentale. Dopo aver riconosciuto l'eredità della visione cabalistica estatica di Avraham Abulafia, veicolata da Alemanno in ambito ficiniano e pichiano, si approfondirà la proposta del Lazzarelli. L'analisi verrà condotta mettendo in evidenza i diversi contesti, religiosi e cosmologici, in cui operano il filosofo marchigiano e l'Alemanno stesso. In questa sezione, così come nella precedente si presterà un'attenzione particolare al tema degli automata, anch'esso di duplice derivazione neoplatonica e magico-cabalistica.

Non solo al termine della seconda parte ci verrà consegnato un nuovo modello di creazione tramite il linguaggio ma si prospetteranno nuove possibilità conoscitive e le implicazioni della teoria ficiniana saranno portate agli estremi. Vedremo poi molto brevemente rinascita e aspettative legate al lullismo in epoca rinascimentale prima di passare alla mnemotecnica bruniana. Sebbene si sia detto che l'incontro tra teoria cabalistica e mnemotecnicaa appartiene al Rinascimento maturo, vedremo come l'aspetto conoscitivo dell'arte della memoria poggi su basi riconducibili, almeno in parte, alla riflessione dell'ultimo quarto del quindicesimo secolo.

La terza e ultima sezione sarà interamente dedicata a Giordano Bruno, nello specifico alla riconsiderazione del luogo mnemonico e alla formazione di un alfabeto visivo a fini operativi e creativi.

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Attraverso l'Explicatio triginta sigillorum, il Sigillus sigillorum e il De imaginum compositione, analizzeremo la struttura dei sigilli e individueremo il principio di animazione dell'Arte della memoria nel subiectum adiectivum.

Dall'evoluzione di questo strumento mnemonico deriverà poi l'analisi delle tecniche di memoria verborum in cui i riferimenti cabalistici, prima in parte celati, divengono espliciti.

Pur tenendo presente la prospettiva innovativa in cui si muove il Nolano, emergerà un possibile legame tra la creazione mnemotecnica e l'ideale di conoscenza della Cabala estatica.

Al capovolgimento del principio di animazione ermetico seguirà dunque un capovolgimento conoscitivo in cui il movimento, non più limitato a scorrere dall'esterno all'interno, si genera nella mente dell'uomo muovendo dall'interiorità alla natura infinita. La mnemotecnica si rivelerà quindi uno strumento indispensabile nella riorganizzazione del pensiero, fonte interiore di infinite combinazioni, in grado di aiutare l'uomo ad acquisire una visione complessiva della realtà circostante, seppur entro i limiti che la sua natura consente.

In questo senso dunque, come strumento conoscitivo interiore basato su un particolare linguaggio, il sistema bruniano si ricollega alla tradizione che lo precede e guarda alla logica dei secoli a venire.

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PARTE PRIMA

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I. IL CONTESTO

Le opere prese in considerazione nel seguente lavoro coinvolgono un ampio lasso di tempo, tuttavia lo snodo fondamentale della riflessione va collocato nell'ultimo quarto del XV secolo nel circolo toscano di cui facevano parte Ficino, Pier Leone da Spoleto, Yohanan Alemanno e Giovanni Pico della Mirandola.

In questo momento storico non solo si realizzano vicinanza e collaborazione tra intellettuali ebrei e cristiani, contemporanei e vicini geograficamente, ma soprattutto si aprono prospettive inedite che verranno sviluppate nel secolo successivo e accompagneranno la nostra riflessione fino a Giordano Bruno, influenzando profondamente la storia del pensiero.

Tradizione ellenistica e mistica ebraica si incontrano e, a differenza di quanto accaduto in altri momenti storici dove i contatti furono brevi e isolati, l'eclettismo e la particolare atmosfera del tempo garantiscono durata e successo alla fusione culturale. Nel medesimo ambiente si resero disponibili testi poco noti o inaccessibili ai predecessori e mai si era verificata una tale convergenza di interessi tra i due versanti.

È noto che in questa fase si presentarono sulla scena due corpora fondamentali: a) le traduzioni dal greco di Marsilio Ficino che, congiunte all'attività dell'Accademia fiorentina, riportarono in vita cultura platonica, ermetica e neoplatonica e b) le traduzioni dall'ebraico, ad opera di Flavio Mitridate e non solo. Tradizionalmente Giovanni Pico della Mirandola viene indicato come colui che diede inizio della riscoperta del patrimonio ebraico e, con le Conclusiones

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philosophicae, cabalisticae et theologicae, al fenomeno che conosciamo come Cabala cristiana.

Le testimonianze ad essa riconducibili databili prima del XV secolo dimostrano un interesse sporadico per la materia che non diede luogo a fenomeni di ampio respiro. Riferimenti a nomi divini apparvero ad esempio all'inizio del XIII secolo nell'opera di Gioacchino da Fiore, così come tecniche combinatorie basate sull'alfabeto emersero nelle opere di Alessandro di Neckham e Raimondo Lullo; in altre occasioni lo studio dei testi cabalistici venne portato avanti insieme alla polemica religiosa, si pensi ad esempio alla corte di Alfonso il Saggio negli anni Settanta del XIII secolo in Spagna, e ancora una volta non diedero luogo ad ulteriori sviluppi.

È solo a partire dagli anni Ottanta del XV secolo che emerge un interesse profondo per la magia naturale, tanto nella cerchia cristiana fiorentina quanto in quella ebraica: così si pongono le condizioni per il radicamento delle sue implicazioni. Se è vero che il mirandolese fece dello studio dei testi ebraici scopo principale della sua attività filosofica egli tuttavia non rappresentò un caso isolato. Tra gli ebrei toscani che, avvicinandosi a temi che la generazione precedente non aveva considerato, incontrano interessi simili all'ambiente cristiano figurano tra gli altri Dawid Messer Leon e Yohanan Alemanno.

Le fonti e l'andamento delle due correnti furono comunque diversi: nel caso ebraico non solo trovò terreno fertile una tendenza già presente a fasi alterne nella storia del pensiero ma le fonti dell'interesse per le scienze occulte furono testi giudeo-arabi più che le opere cristiane. Non è tuttavia da sottovalutare l'apporto

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dell'opera ficiniana e in particolare si rivelerà significativa l'opera di Yohanan Alemanno che, tramite l'eclettismo delle sue opere e i contatti con il circolo fiorentino, permise tra le due culture il fenomeno che Idel definisce di osmosi reciproca1.

All'interno della tradizione ebraica vi furono tendenze diverse, frutto di commistioni prima con la filosofia ellenistica, si pensi alla dottrina del logos di Filone Alessandrino, e poi con quella neoplatonica, grazie alla lettura di Plotino in arabo a partire dal IX secolo e all'introduzione delle ipostasi nel sistema filosofico ebraico. Ne deriverà una Cabala composita, portatrice di tendenze a volte contrastanti.

Dall'analisi di queste correnti, precedenti dunque la sintesi operata tra XII e XIII secolo in ambito ebraico, emergono temi fondamentali per il Rinascimento italiano ed un approccio spesso ai limiti dell'ortodossia rabbinica. Posizioni che vengono ricondotte alla Cabala cristiana potrebbero dunque essere legate a filoni poco o affatto ortodossi della tradizione ebraica. Questo è a mio avviso evidente nel caso della riflessione sul linguaggio e sull'antropoide presente in Ficino, Lazzarelli e Bruno che è da ricondursi specificamente alla fortuna del Sefer Yeṣirah e in particolare del commento di Eleazaro da Worms e Yohanan Alemanno. Proprio le vicende di questo testo ci danno modo di osservare meglio il contesto culturale degli anni considerati: la ricerca svolta negli ultimi anni da studiosi come Bacchelli e Bartolucci mira a dimostrare la presenza di un circolo legato a Pier Leone da Spoleto che, parallelamente e a tratti in contatto con il gruppo di studiosi riunitisi intorno a Pico, fu a propria volta interessato a temi e

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testi cabalistici2. Medico di Lorenzo il Magnifico e amico di Ficino, lo spoletino

era un intellettuale curioso: lettore di Cusano, Lullo e di lulliani, fu lui ad insistere affinché Ficino terminasse le traduzioni di Plotino e Giamblico. Egli aveva probabilmente incontrato Mitridate e si era occupato dello studio di testi cabalistici e dell'opera di Ibn Tufayl. Sebbene i rapporti con la cerchia pichiana si siano interrotti per un breve periodo, a causa probabilmente di un mancato prestito di testi, si può ipotizzare collaborazione e cordialità tra i due circoli i cui interessi sono vicini in quanto formatisi nello stesso periodo storico e, soprattutto, sotto l'influenza degli stessi intellettuali.

È emerso che alcuni testi furono commissionati da Pier Leone piuttosto che da Pico: è il caso della versione latina del Sefer Yeṣirah contenuta nel codice Riccardiano 868. Il codice fu trascritto tra il 1478 e il 1492 dal Mazzinghi che divenne medico di Ficino dopo aver studiato a Pisa ed essere entrato in contatto con lo spoletino.

La tendenza sviluppata ampiamente e pubblicamente dal conte sarebbe dunque da considerarsi precedente. Troppo spesso la presenza culturale ebraica è stata considerata solo a partire dall'opera di riscoperta cristiana e ancora una volta a proposito del Rinascimento italiano i confini si rivelano meno definiti del previsto.

Come è noto Pico si avvalse nel tempo dell'aiuto di Elia del Medigo, Flavio Mitridate e Yohanan Alemanno, autori le cui opere ci aiutano anche a ricostruire

2 Faccio qui riferimento a F. BACCHELLI, Giovanni Pico e Pier Leone da Spoleto tra filosofia

dell'amore e tradizione cabalistica, Quaderni di Rinascimento, Olschki, Firenze 2001; ai lavori

di G. BARTOLUCCI tra cui Il De Christiana religione di Marsilio Ficino e le “prime traduzioni”

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l'inventario dei testi ebraici disponibili all'epoca. Come emerge dal lavoro di Cassuto, la situazione dei cittadini ebrei comuni al tempo non fu semplice: sebbene la loro presenza fosse legata ai banchi del prestito, alcuni regnanti ne seppero apprezzare il bagaglio culturale. Generalmente la famiglia de' Medici si rivelò supportiva, ma è bene sottolineare che il popolo di fede ebraica si trovava in una situazione costantemente precaria, soggetto ai malesseri del popolo e del sovrano e strumentalizzato in senso politico se necessario. Per questo motivo e per ragioni personali dei singoli non è semplice ricostruire andamento e motivazioni dei vari spostamenti su suolo italico e non. È il caso ad esempio del primo dei collaboratori menzionati, Elia del Medigo, il quale lasciò l'Italia nonostante avesse intrecciato importanti rapporti lavorativi per rientrare a Candia intorno alla fine del 1490. Qui, nei due anni che lo separarono dalla morte, si dedicò al rapporto tra filosofia e religione e all'insegnamento poiché prima di allora, anche alla luce del rapporto col Pico, si era dedicato prevalentemente a quelle traduzioni di Averroè che tanto ne diffusero il pensiero. Secondo Cassuto egli fu erroneamente ritenuto dagli studiosi successivi un avversario della Cabala ebraica in un periodo in cui essa godeva già di grande popolarità. Lo studioso ricorda che Del Medigo tende a riportare argomenti non originali così come si fa espositore delle teorie cabbalisitiche ma in particolare si espresse a proposito del classico problema sulla relazione tra la Divinità e le dieci Sephirot, introducendo l'En Soph come causa prima e giungendo così ad un accordo tra teoria cabalistica e fede ebraica.

Questo intervento sarebbe dunque da ricondurre a quell'ideale di concordanza dei saperi che regnava all'epoca. Su questo punto tornerà anche Alemanno che, alla

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luce dell'importanza attribuita al dispiegarsi della molteplicità dall'unità e facendo riferimento anche a fonti aristoteliche e arabe, proporrà di separare l'Infinito, unica realtà divina, e il regno sefirotico.

Va ricordato che l'aristotelismo fu parte integrante della riflessione cabalistica italiana di Alemanno e di Pico così come è presente nell'opera di Avraham Abulafia, esponente della corrente estatica e seguace di Maimonide, a cui spesso fecero riferimento i due intellettuali italiani3.

Per quanto riguarda lo studio dell'ebraico e la riflessione cabalistica Giovanni Pico della Mirandola attinse prevalentemente alle traduzioni di Flavio Mitridate il quale aggiunse un contributo personale nella versione latina dei testi4. Sappiamo

da una lettera che il Ficino indirizzò al Benivieni che nella casa fiorentina del conte si tennero dispute a cui presenziarono anche Del Medigo e Guglielmo Raimondo di Moncada, noto con lo pseudonimo di Flavio Mitridate5. I sodalizi

che Pico intrecciò con i suoi collaboratori, in particolare Mitridate e Alemanno, si rivelano dunque meno esclusivi di quanto spesso ritenuto portando così alla luce uno scenario nuovo. Bartolucci coglie nelle fonti del De Christiana religione i segni di una collaborazione tra Ficino e Mitridate indipendente se non addirittura precedente la collaborazione dell'ebreo convertito con il mirandolese6. Dopo la

presentazione delle tesi, la fuga in Francia e la chiamata di Lorenzo de' Medici, Pico si stabilì a Firenze nell'estate del 1488 e qui ebbe inizio la terza

3 M. IDEL, La Cabbalà in Italia, cit., pp. 242-243.

4 Si veda a questo proposito l'opera di WIRSZUBSKI, Pico della Mirandola's Encounter with

Jewish Mysticism, Cambridge, Mass.,1989. Per i rapporti tra Pico ed Elia del Medigo si veda

B. KIESZKOWSKI, Les rapports entre Elie del Medigo et Pic de la Mirandole, «Rinascimento» II s., IV, 1964, pp. 41-91.

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collaborazione fondamentale: quella con Yohanan Alemanno. Intellettuale nato tra il 1435 e il 1438 ed istruito nella casa dei da Pisa, cospicua famiglia di prestatori stabilitasi a Firenze, egli rappresenta una figura cruciale nel panorama rinascimentale italiano. Ricopre un ruolo fondamentale, riconosciuto tra gli altri anche dal Toussaint, nell'individuazione delle fonti dell'opera ficiniana. A lui si possono infatti ricondurre le fonti non controversistiche così come la riflessione sul linguaggio e sulla creazione dell'antropoide7.

Alla luce degli studi citati, se al circolo di Pier Leone da Spoleto fu legato un giro di ricerca dei testi, traduzioni, commenti e dibattito in parte autonomo rispetto al binomio Giovanni Pico-Flavio Mitridate e influenzato dalla figura trasversale di Yohanan Alemanno, saremo portati a spostare di qualche anno l'ingresso della Cabala ebraica nel Rinascimento italiano.

All'interno di questa riconsiderazione del panorama fiorentino ci concentreremo in particolare sulla figura di Marsilio Ficino, da considerarsi dunque non fruitore superficiale di fonti secondarie ma studioso attento e interessato alla cultura ebraica, sebbene nei termini che vedremo. A differenza di Pico e Poliziano, egli non si dedicò approfonditamente allo studio della lingua ebraica e le trascrizioni, di cui non fu probabilmente in grado di controllare l'esattezza, si rivelano spesso inesatte. Tuttavia i riferimenti alla letteratura ebraica, a testi di astrologia e medicina così come a filosofi medievali e credenze cabalistiche, non sono certo rari8. Il filosofo si lasciò senza dubbio influenzare dai suggerimenti di Alemanno e

Pico ma ebbe modo di sviluppare una teoria composita autonoma basata anche

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sulla conoscenza ellenistica ed ermetica.

Per comprendere l'indipendenza della riflessione ficiniana sarà utile tenere a mente la successione delle opere del filosofo platonico: la prima stesura della Theologia Platonica fu composta tra il 1469 e il 1474; il De Christiana religione apparve una prima edizione in volgare nel 1476 e una latina nel 1478; la Disputatio fu elaborata nel 1477; l'Argumentum in Cratylum fu pubblicato nel 1484 mentre la traduzione e il commento alle Enneadi furono portati avanti tra il 1484 e il 1490 per poi essere stampati nel 1492; infine il De vita fu pubblicato nel 1489. Mentre l'incontro tra Pico e Alemanno è databile nel 1488, è stato suggerito un contatto diretto dell'intellettuale ebreo con Ficino a partire dal 1481. Infatti, data la presenza di queste influenze nei lavori di Ficino databili 1481-82, si può anticipare rispetto al 1486, anno legato all'attività del mirandolese a Firenze, l'ingresso di alcuni temi cabalistici nel panorama rinascimentale. Ficino avrebbe avuto dunque accesso a testi rari, poco diffusi e commissionati direttamente da Pier Leone a traduttori diversi rispetto a Mitridate9.

La chiave interpretativa della nostra riflessione nei capitoli seguenti sarà costituita da due aspetti fondamentali dell'opera ficiniana: a) il valore dell'apertura al patrimonio pagano come premessa necessaria all'accettazione del corpus ebraico nell'ambiente italiano e b) l'attenzione consapevole per temi vicini alla mistica ebraica quali la riflessione sull'antropoide e il linguaggio che vedono un intreccio di fonti inedito. Vedremo infine come si pongano in questa fase le basi della riflessione del Lazzarelli e, attraverso un cambiamento sostanziale, all'opera di Giordano Bruno.

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II. LE FONTI ELLENISTICHE E NEOPLATONICHE DELLA RIFLESSIONE SUL LINGUAGGIO

La riflessione sul linguaggio e sull'origine della scrittura è presente nella tradizione classica così come in quella rinascimentale. Nell'opera di Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola e del filone di pensiero che ne seguì, questo tema si intreccia con i temi cabalistici ed assume particolare rilievo nel riconoscimento delle fonti arabe ed ebraiche. A partire da Platone la presenza o meno di una corrispondenza tra linguaggio e natura propria degli esseri ha continuativamente caratterizzato la riflessione sull'argomento.

Ci concentreremo sul Cratilo e le Enneadi come testi fondamentali nella considerazione della filosofia ficiniana.

Il dialogo platonico verte sulla natura del linguaggio, la sua origine e il valore conoscitivo che ricopre per l'uomo. Il filosofo greco prende le distanze da Eraclito e Parmenide così come dalle teorie sofiste, rielaborando il concetto di correttezza del nome che, legato indissolubilmente al principio di verità, viene inserito in una prospettiva nuova garantita dal riferimento alla teoria delle idee.

L'autore procede tenendo presente a) la prospettiva ontologico-linguistica che vede l'opposizione di estrinsecità ed intrinsecità tra parola e cosa e b) la prospettiva gnoseologico-linguistica in cui la verità assume un ruolo determinante, non essendo automaticamente ottenuta tramite la correttezza del nome.

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d'uso, chiavi di accesso alla verità, sono note solo al dialettico competente. Platone fa dire a Socrate che

Cratilo dice il vero quando afferma che le cose hanno i nomi per natura e che non tutti sono artigiani dei nomi, ma solo quello che volge lo sguardo al nome che per natura ha ciascun oggetto, e ha la capacità di trasporre l'idea di quello nelle lettere e nelle sillabe10.

Il nome va oltre se stesso e il principio di correttezza tecnica estendendo il suo dominio alle cose: per questo è necessario che si fondi sul criterio della verità. A proposito dell'origine del linguaggio Platone fa più volte riferimento al vaticinio e ad un'eventuale origine divina dei primi nomi, Socrate afferma:

C'è da pensare, infatti, che soprattutto su di esse (le cose che stabilmente sono) sia stata studiata seriamente la posizione dei nomi: e forse alcuni di essi furono anche posti da una forza più divina di quella degli uomini11.

L'atteggiamento in parte ironico di Platone porta a considerare il testo, nello specifico la sezione delle etimologie, come un attacco al sapere mitico. Questo considerava il linguaggio come parte della realtà e il dire pari all'evocare il linguaggio non risultava pertanto slegato dall'ontologia. Per Platone la linguistica viene a sì fondarsi sull'ontologia ma, a differenza di quanto sostenuto da Cratilo, il nesso risiede nella funzione dei nomi, nella prassi.

Sono due i temi fondamentali che, già presenti nell'opera platonica, vedremo sviluppati da Ficino e gli autori successivi.

I. La considerazione del linguaggio come tèchne; nello specifico il linguaggio è inteso come strumento di mediazione tra l'uomo e la realtà circostante e la prassi si colloca in primo piano. La finalità del nome risulta

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riferita al dominio delle cose designate e non è legata all'arbitrio di colui che parla. Nel Cratilo la ricerca della relazione strutturale tra nome e oggetto nominato, la voce umana e la realtà, è volta alla scoperta della forza e del raggio d'azione di tale legame 12. Non solo, questa relazione si delinea come un tassello

fondamentale nella formazione del cosmo e ne diviene chiave di lettura. Si apre anche alla possibilità di un'origine divina del linguaggio ed il suo utilizzo appare come prerogativa dei dialettici sapienti.

Nella ripresa rinascimentale questa concezione garantisce lo spazio di azione del saggio, capace di muoversi all'interno dell'insieme di corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo e agire tramite lo strumento linguistico.

II. Il ruolo del nome inteso come atto ostensivo della realtà e il suo legame con l'immagine. Il parallelismo tra nome e immagine viene istituito da Platone per portare avanti la confutazione di Cratilo da parte di Socrate13. Nome ed esecuzione

pittorica sono atti imitativi della cosa, tuttavia la funzione del nome secondo Platone non risiede tanto nella riproduzione della cosa nominata bensì consiste nel creare le condizioni per la sua manifestazione. Nominando infatti si mostra la cosa, si lascia cioè che essa si offra alla nostra visione. La stabilità della realtà è condizione necessaria del suo svelarsi. La natura del nome, che ne rappresenta l'unità elementare, permette innumerevoli combinazioni a partire da un insieme di caratteri costanti.

Il ruolo particolare che il nome ricopre nell'interpretazione della realtà e dei suoi processi creativi si rivela fondamentale nella comprensione del potere che viene

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ad esso attribuito dagli autori rinascimentali di cui ci occuperemo. Temi quali la riflessione sulle potenzialità del linguaggio e l'attenzione per l'aspetto visivo del processo creativo, il grafismo creativo, trovano spazio, come vedremo nel prossimo capitolo, anche nella tradizione ebraica, rappresentando, in ambito rinascimentale, un terreno di incontro tra le due tradizioni straordinariamente fertile.

Prima di passare all'elaborazione ficiniana del tema vediamo come le Enneadi, che come è noto rappresentano una delle fonti più influenti in ambito rinascimentale, forniscano importanti indicazioni a proposito del suono e del linguaggio. Come è noto Ficino eredita dalla tradizione platonica del Timeo e da Plotino la concezione dell'universo come organismo, un animale cosmico retto da rapporti di simpatia che ne garantiscono il legame tra le parti. La partecipazione all'Anima del mondo, principio vitale e di movimento, e la concezione dello spiritus da essa generato costituiscono i presupposti fondamentali della comunicazione e dunque del potere affidato alla parola. Lo spiritus, medium tra il corpo e l'anima in ambito umano così come in ambito cosmico, è un corpo sottilissimo di natura aerea. È forte l'analogia con il suono e la musica, anche in relazione al potere che Ficino attribuisce loro ma essa si accompagna anche alla riflessione sulla parola. Nelle Enneadi la parola viene presentata come scossa dell'aria, l'impronta che ne nasce e le dà una certa forma14. Essendo veicolata dal medium aereo essa appartiene soltanto alle entità, come l'essere umano, che entrano in relazione con essa. Fino a quando si trovano nel mondo intelligibile le

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anime si conoscono esclusivamente tramite atti intuitivi, viene specificato che il linguaggio appartiene ai demoni e alle anime che si trovano nell'aria e utilizzano la voce15. Nella seconda Enneade, dopo aver espresso la teoria della simpatia

universale con la nota frase “tutto è pieno di segni”, l'autore costituisce un parallelismo particolare tra le lettere e gli astri:

Pensiamo dunque che gli astri siano come lettere che si scrivano ad ogni istante nel cielo, o meglio, già scritte e muoventisi, le quali pur compiendo un'altra funzione abbiano anche la facoltà di significare alcunché: e così, <nel mondo>, come in un vivente retto da un solo principio, si può da una parte conoscerne un'altra16.

E ancora nella terza Enneade:

Guardando gli astri come se fossero lettere, coloro che conoscono tale grammatica riconoscono l'avvenire delle figure che essi formano, e ne ricavano metodicamente il significato secondo l'analogia17.

Conoscenza, previsione e comunicazione passano attraverso le lettere che si rivelano elementi costituitivi del linguaggio e, nel parallelismo con gli astri, della struttura stessa del cosmo. L'uomo che sappia interpretarne la grammatica ne possiede il sapere e il potere. Possiamo affermare dunque che lo studio del linguaggio volge a fini superiori, permette l' interpretazione dell'avvenire ed è fonte di conoscenza secondo il principio di analogia tra dimensione celeste e dimensione terrena. Riprendendo la definizione di parola come scossa dell'aria, è forte l'assonanza con il tema della vibrazione, presente nell'opera plotiniana così come in quella ficiniana, intrinsecamente legato alla simpatia universale: l'universo viene infatti più volte paragonato ad una corda tesa dove la vibrazione si trasmette e percepisce da un elemento all'altro grazie ai principi di consonanza e

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armonia che lo caratterizzano18. Sottolineo l'importanza del seguente passaggio in

cui viene esplicitamente espressa la vicinanza tra la comprensione di lettere e suoni e la comprensione sensibile:

Esiste nell'aria un'impronta, simile ad una serie di scosse, come se delle lettere fossero state disegnate da chi emise i suoni; la potenza, la sostanza stessa dell'anima legge poi, per così dire, i caratteri scritti nell'aria quando sono arrivati così vicini da poter essere visti dal soggetto che per natura può percepirli19.

L'aria viene indicata come veicolo di un significato accessibile solo al soggetto adatto a percepirlo. Emerge qui la duplice valenza dell'impronta: se da un lato nella percezione sensibile l'anima si rivela passiva, essendo ad essa soggetta, dall'altro nella conoscenza degli Intelligibili, che scaturisce dall'interiorità, c'è spazio per la componente attiva. L'attribuzione della forma costituisce l'ambito attivo riservato alla parola, essa:

È la scossa dell'aria, e non una scossa qualunque, ma l'impronta che ne nasce e che le dà una certa forma. La parola è dunque un'azione, e un'azione significativa20.

È interessante notare come nel passaggio precedente l'autore parli di lettere disegnate essendo questo un tema che, presente anche in ambito ebraico nella tradizione del Dio disegnatore, influenzerà fortemente la tradizione rinascimentale. A proposito delle forme espressive utilizzate dall'uomo, Plotino sottolinea la potenzialità dei geroglifici che, grazie al loro significato univoco, venivano utilizzati dai saggi egiziani nella decorazione dei templi per rivelare la propria sapienza. Il riferimento al geroglifico come forma espressiva più adatta alla resa di significati sacri non va sottovalutato. Plotino, così come faranno

18 Ivi, IV, 4, 40. 19 Ivi, IV, 6, 2.

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Ficino e Bruno, ne indica la peculiarità fondamentale, ossia la capacità di alludere ad un significato ulteriore, celato, che ne trascende la forma esplicita. In questo si rivela superiore alla scrittura alfabetica e ciò viene dimostrato tramite il riferimento all'utilizzo che ne fecero i sacerdoti egizi. Così le immagini mistiche utilizzate dagli autori rinascimentali in ambito artistico e filosofico rimandano ad un significato sotteso che ne cela il vero valore.

Il saggio si rivela in grado di partecipare dell'ambito terrestre, caratterizzato dal procedere discorsivo, ma anche di quello celeste in quanto:

Ciascun individuo è anche una scienza e ciascuna figura è sapienza, soggetto e sintesi, e non un pensiero discorsivo né un progetto21.

La riflessione prosegue a proposito dell'atto creativo che viene ricondotta all'imitazione delle forme ideali da cui deriva la natura stessa22. L'arte guarda alla

proporzione nei viventi e ne coglie le caratteristiche universali diventando così parte della potenza che dal regno dell'intelligibile regge la proporzione del cosmo. In particolare è la geometria, l'arte delle figure, ad essere valutata come scienza superiore in quanto indaga le forme intelligibili23. Nella scala di saperi che Ficino

includerà in una lettera a Francesco Ippoliti a proposito della formazione del filosofo essa sarà seguita da astronomia, intesa come teoria dei moti, e musica, disciplina dedicata allo studio dei suono dei movimenti24. Non solo la riflessione

plotiniana si rivela fondamentale per Ficino e i suoi contemporanei ma sarà proprio quest'apertura al mondo pagano, per quanto ci riguarda in particolare a

21 Ivi, V, 8, 6. 22 Ivi, V, 8, 1. 23 Ivi, V, 9, 11.

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proposito del potere creativo e comunicativo del linguaggio, a determinare il clima favorevole che portò l'assimilazione di influenze orientali e cabalistiche. La struttura del cosmo delineata nelle Enneadi garantisce la possibilità di una comunicazione tra ambito terreno e ambito celeste e colloca l'uomo in una posizione intermedia operativa. A mio avviso, considerata la caratteristica principale dello spiritus, la natura fondamentale di questa operatività è aerea e legata alla parola.

Marsilio Ficino rifletterà più volte nel corso della sua opera sulla natura del linguaggio e sul potere dei nomi25. All'interno della Theologia Platonica il

capitolo XIII è particolarmente significativo in quanto la riflessione sul linguaggio si accompagna all'affermazione della sua potenzialità creativa. L'uomo, in grado di inventare ed esercitare molte arti, nel suo agire si comporta come la natura. Questa imitazione lo rende emulatore, anziché servo. Il linguaggio emerge ancora una volta come strumento di conoscenza e di creazione, e con esso il nesso che lo lega alla creazione artistica che ci accompagnerà fino alle ruote mnemoniche di Bruno. Come ricordato sopra, Dio è il primo disegnatore, incisore, creatore e l'uomo è in grado di rendere l'atto creativo un atto imitativo della potenza divina. Ficino ricorda la capacità del pittore Zeusi, in grado di ingannare persino gli animali grazie alla sua riproduzione perfetta dell'uva. Zeusi sarà, come vedremo, una figura importante della mnemotecnica bruniana26.

Tra gli esempi di abilità artistica figurano anche la colomba di legno di Archita di

25 Di seguito verranno considerati Theologia Platonica, De Christiana religione, De vita ed

Argumentum in Cratylum.

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Taranto e le statue degli Egiziani in grado di parlare e camminare27. La

potenzialità creativa del linguaggio fa parte, insieme alla facoltà del comprendere, alla memoria e alla predizione del futuro, delle quattro doti dell'animo si manifestano nelle arti. Omero, Mitridate e Seneca, Caldei ed Egizi vengono citati come esempi di uomini straordinari che si distinsero per l'ingegno rispettivamente nella comprensione, nella memoria e nella predizione. A proposito del linguaggio poi Ficino afferma che:

L'uso della parola e della scrittura, che è proprio dell'uomo, indica che in noi vi è una sorta di mente divina, della quale le bestie sono prive. Senza il linguaggio potremmo vivere così come le bestie e gli uomini muti. Per cui il linguaggio ci deve essere stato dato in vista di un'opera più alta e cioè come interprete della mente, araldo e messaggero infinito di infinite scoperte28.

Non solo dunque il linguaggio è ciò che distingue l'uomo da animali ed esseri muti ma rappresenta la possibilità di intraprendere un percorso conoscitivo superiore.

In relazione all'unione in società, l'autore ne riconosce poi anche la funzione sociale29. Ficino afferma che la mente umana è capace di elaborare infinite idee

grazie ad un linguaggio altrettanto inesauribile ed istituisce un parallelismo tra azione della parola e creazione manuale per concludere poi con il riferimento all'azione creatrice di Dio che lo porta a definire l'anima come divina:

Dunque, nell'atto intellettivo la mente concepisce in se stessa tante idee, quante sono quelle che nell'atto intellettivo Dio pone in essere nel mondo. Ed altrettante ne esprime anche nell'aria parlando, sulla carta scrivendo e nel mondo realizzandole plasmando la materia. Per cui è certo che solo un demente potrebbe negare la divinità dell'anima, che nelle arti e nel governo si mostra simile a Dio30.

27 M. FICINO, Theologia Platonica, XIII, 3. 28 Ibidem.

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Nel capitolo seguente il filosofo prosegue con l'analisi dei miracoli ricordando che l'anima razionale, se indirizzata a tale scopo da Dio, può muovere e formare la materia cosmica in quanto è ad essa superiore.

La possibilità creativa è garantita, riprendendo Plotino31, dalla superiorità del

creatore alla materia plasmata. Questo tema è presente anche nel De Christiana religione dove, come vedremo tra poche righe, viene esplicitamente trattato in relazione alla figura di Gesù e al tetragramma.

Nell'Argumentum in Cratylum Marsilio Ficino riflette sui problemi posti dal testo platonico quali la natura del linguaggio, la sua origine e il potere dei nomi divini. La prima parte del testo risulta introduttiva mentre nella seconda viene sviluppata un vera e propria trattazione di filosofia del linguaggio. I nomina vera possiedono una corrispondenza con l'essenza delle cose, conservano la virtù naturale dell'oggetto grazie ad un processo che va dall'oggetto alla mente, tramite sensi ed immaginazione e dalla mente al suono e al segno grafico. A proposito dei nomina divina viene detto che essi mantengono intatta la propria potenza in quanto trasmessi direttamente da Dio alle menti degli uomini santi e sono uno strumento efficace per compiere miracoli. Questi vengono presentati a partire dall'episodio in cui Mosè ne ricevette la scienza insieme alla legge scritta: questa sapienza è stata infusa direttamente nella mente degli uomini santi e, non essendo stata comunicata tramite le lettere, si può ritenere antecedente alla lingua scritta. In particolare a proposito dei nomi divini Ficino cita come suoi autori Ermete, Plotino, Giamblico e sulla base di Platone afferma che i nomi divini, insieme a riti e preghiere, possono essere efficaci nella cura di anima e corpo. I nomina divina

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sono involucri in grado di imprigionare la potenza divina, catalizzatori della virtù divina attraverso cui si rende possibile il compimento dei miracoli e l'allontanamento delle avversità del fato32.

Ficino si concentra sulle proprietà del tetragramma e in particolare viene sottolineata la corrispondenza tra le quattro lettere che lo compongono e la struttura del mondo celeste e terreno. In altre parole vi sarebbe corrispondenza con lo schema quadripartito secondo cui si ordinano i dodici segni zodiacali e i quattro elementi. Le proprietà miracolose del tetragramma sono emerse nelle pagine precedenti a proposito dell'uso che Cristo ne seppe fare: proprio questa capacità ne aveva giustificato la divinità nel De christiana religione. Ficino inserisce dunque il discorso sui nomi divini nel suo progetto di fusione di tradizione platonica e tradizione cristiana e, riprendendo Dionigi l'Aereopagita, afferma che i misteri della teologia erano contenuti nei nomi divini. Ma in cosa risiede la loro straordinarietà? La divinità di colui che è riuscito a utilizzare correttamente il tetragramma è implicata dalla teoria secondo cui questa la possibilità di compiere miracoli non è insita nel linguaggio comunemente usato; non solo, tali significanti perfetti non sono utilizzabili in maniera completa da un essere umano in quanto gli strumenti fonetici e musicali umani sono inadeguati. Cristo ne è dunque stato capace in quanto essere divino. Vi è una differenza incolmabile che separa ambito divino e ambito umano che necessitano di mezzi comunicativi diversi, o meglio l'ambito celeste, funzionando per intuizione, non necessita affatto di essi. Il nome divino compie miracoli ma non è un significante del linguaggio umano.

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A proposito degli strumenti umani Ficino critica l'onomatopea, così come aveva fatto Platone e farà Bruno. Influenzato dal Contra Celsum di Origene, Ficino sottolinea l'efficacia della lingua ebraica nel compimento dei miracoli. La potenza dei nomi si conserva se essi sono costruiti in modo opportuni e risultano per questo intraducibili.

Forte enim quemadmodum in corpore certa ratione compositio vita permanet, quo vel aliter compositio vel permutatio non permanet; sic vitalem quandam putant divinis nominibus certo divinitus modo compositis inesse virtutem33.

Dunque il nomen divinum, così come il nomen verum se attribuito correttamente, ha virtualità magica, i nomi divini sono “voces che vim rerum quodammodo servant, quasi rerum imagines”. Trattenendo in essi la vis delle cose significate ne conservano un'immagine. Più in generale il nomen verum è, come spiega Bacchelli, in grado di sostituirsi alla causalità della res significata34. Come verrà

ribadito da Pico, tramite il linguaggio originario, rimasto tale nell'ebraico, l'uomo porta avanti la potenza creatrice divina che è stata racchiusa nelle cose al momento della creazione35. È molto significativo che nella spiegazione del

funzionamento di questi nomi Ficino faccia riferimento alle statue viventi dell'Asclepius. Il passaggio si lega infatti spesso nel lavoro ficiniano alle fonti ebraiche. Il parallelismo istituito tra la magia teurgica coinvolta nella creazione delle statue e l'azione legata a sequenze musicali o fonetiche eseguite correttamente mira a sottolineare la continuazione da parte dell'uomo della potenza creativa di Dio.

33 M. FICINO, Opera Omnia, cit., p. 1309. 34 BACCHELLI, op. cit., p. 42.

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Gli aspetti della riflessione ficiniana su cui si innestarono le influenze arabe ed ebraiche sono due ed entrambi sono comuni alla tradizione ermetica e neoplatonica:

a) Il ruolo attribuito al linguaggio, in particolare alle lettere, all'interno del cosmo. Sebbene l'attribuzione di un potere particolare al tetragramma sia legata, come vedremo a breve, al contributo giudaico, la potenzialità della parola è garantita già nella prospettiva plotiniana. Ancora una volta si tratta di un valore strutturale che appare in relazione alla natura dello spiritus e del cosmo simpatetico.

b) L'animazione di una entità materiale tramite l'utilizzo della parola. Sebbene sia un aspetto rafforzato da una certa tradizione orientale esso deriva anche dall'Asclepius ermetico.

È significativo che l'utilizzo delle potenzialità del linguaggio a fini conoscitivi sia compatibile con entrambe le tradizioni. Il percorso che si prospetta è duplice: conoscenza del mondo del creato che circonda l'uomo ed è composto di termini interpretabili in quanto originatesi dal medesimo alfabeto e conoscenza di se stessi come enti in grado di riprodurre su un piano diverso la creazione divina.

Questa concezione rispecchia a mio avviso il duplice aspetto presente nella tradizione cabalistica del golem/antropoide. Il Golem che prende e perde vita a seconda della combinazione di lettere presente sulla sua fronte. La nota leggenda ha visto infatti nei secoli un'oscillazione tra la tendenza poco ortodossa che prevede una creazione reale per così dire, si pensi alla figura animata di argilla, e una tendenza mistica di esercizio del potere creativo nell'ottica dell'elevazione

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spirituale. In Ficino sono presenti entrambe le tendenze, così come siamo portati a riconoscere nei termini più familiari di magia naturale lecita (di cui fanno senza dubbio parte canto, invocazioni e musica) e magia demonica/talismanica. I temi ricavati dalla cultura ebraica si fondono poi con temi ermetici e neoplatonici e la contemporaneità di alcune traduzioni ne ha facilitato l'influenza. Si pensi ad esempio alla contemporaneità del commento a Plotino e della stesura del De vita. In queste prime pagine abbiamo visto alcune delle fonti tradizionalmente riconosciute a proposito della riflessione ficiniana sul linguaggio mentre il prossimo capitolo sarà dedicato alle fonti ebraiche ed orientali frutto di attribuzioni relativamente recenti. La ricerca recente ha augurato e di fatto realizzato una svolta epistemologica nell'individuazione delle fonti rinascimentali, in particolar modo ficiniane, indicando fonti arabe ed ebraiche precedentemente non considerate. Tuttavia si verifica spesso una vicendevole esclusione tra le nuove indicazioni di ricerca e le fonti tradizionali, prevalentemente ermetiche e neoplatoniche. L' intenzione di questa tesi è di considerare per quanto possibile entrambi i filoni interpretativi. È opportuno sottolineare che il greco, a differenza dell'ebraico, rappresenta una lingua che Ficino conosceva in prima persona, così come è noto che egli spese buona parte della sua vita su opere ermetiche, platoniche e neoplatoniche. Sebbene nei prossimi capitoli prevalgano i riferimenti alla cultura ebraica, cercheremo di non perdere di vista il contesto neoplatonico in cui, nell'universo ficiniano e rinascimentale, esse si incontrano e si fondono. Questi sono i primi tasselli di un quadro complesso di influenze che, per quanto variegate, riflettono un significativo interesse per il linguaggio. Non solo le lettere

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vengono fatte oggetto di indagine in quanto elementi costituitivi della creazione ma rappresentazione grafica e procedimento creativo assumono via via maggior rilievo.

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III. L'IMPORTANZA DELLE FONTI EBRAICHE

La riflessione sul linguaggio sviluppatasi nell'ambiente rinascimentale di fine Quattrocento fu fertile terreno di incontro tra la tradizione neoplatonica ed ermetica, che abbiamo visto in parte nel capitolo precedente, e quella ebraica mistica e cabalistica. È noto che questo secondo apporto abbia caratterizzato l'opera di Giovanni Pico della Mirandola ma, come vedremo tra breve, l'esperienza del conte non rappresenta un caso unico e l'apporto di Ficino non è marginale.

Nella sezione successiva, dedicata nello specifico della creazione dell'antropoide in relazione al linguaggio, vedremo meglio quale sia stata l'influenza del Sefer Yeṣirah in ambito rinascimentale. Basti per adesso ricordare che grazie agli studi di Bacchelli è stato possibile ricondurre una versione manoscritta di questo testo al circolo di Pier Leone da Spoleto e dunque a Ficino.

Per quanto riguarda le fonti il mio discorso mira qui a sottolineare l'affinità di temi che lega Ficino e l'ambiente fiorentino alla cultura ebraica, affinità che ha consentito l'assimilazione di contenuti di mistica del linguaggio ebraica, possibile in particolar modo grazie alla rielaborazione di temi e correnti preesistenti operata da intellettuali ebrei vicini ai circoli rinascimentali toscani. Yohanan Alemanno, Flavio Mitridate ed Elia del Medigo veicolarono studi e traduzioni importanti e, benché sia nota la loro vicinanza al mirandolese, è lecito supporre dei significativi contatti con Ficino, in qualche caso ipotizzabili persino come precedenti.

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nell'affinità di temi e citazioni fino ad ora ricondotte prevalentemente alla tradizione ermetica ed orfica. L'influenza coinvolge ad esempio passaggi relativi alla creazione delle statue così come quelli relativi al ruolo di suono, musica e danza, lungi dunque dal riguardare soltanto i nomi divini e il riferimento al tetragramma. Il lavoro di riscoperta delle fonti orientali ed ebraiche condotto negli ultimi anni da studiosi come Bacchelli, Bartolucci, Idel, Lelli e Toussaint ha permesso una visione più completa del quadro rinascimentale. A mio avviso bisogna considerare il testo ficiniano e le teorie che ne sono derivate come momento di confluenza delle due tradizioni, coerentemente con quanto auspicato dalla ricerca della prisca theologia, filone di sapere che si trasmette sin dall'antichità attraverso epoche e sapienti diversi.

Troveremo dunque i riferimenti ai saggi ebrei accanto alla figura di Orfeo e Pitagora per quanto riguarda il canto ed Ermete Trismegisto e la creazione di statue di matrice ermetica accanto alla metodologia creativa del Sefer Yeṣirah. Il filo conduttore di questa tesi è rappresentato dall'utilizzo della lingua, a mio avviso è proprio a questo proposito che si realizza la fusione delle due tradizioni. Questo incontro rappresenta il punto di partenza della speculazione filosofica successiva che porterà alla mnemotecnica di Giordano Bruno. Vedremo attraverso l'analisi dei testi ficiniani i vari elementi di cui si compone l'intreccio neoplatonico-cabalistico e ricomporremo successivamente il quadro a proposito della creazione artificiale. Non solo, come vedremo nell'analisi del De vita coelitus comparanda, vi è corrispondenza tra teoria del linguaggio, suono e fonti ebraiche ma il legame con la teoria dello spiritus mostra la convergenza con la

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tradizione neoplatonica.

Prima di passare all'analisi dei testi è importante sottolineare la presenza della riflessione sulla natura aerea e sonora della rivelazione nella tradizione ebraica. Riprendendo Scholem ricordiamo che nella tradizione mistica ebraica il nome è parte del linguaggio di Dio, medium della creazione che si rivela un evento acustico più che visivo. Il linguaggio costituisce l'essenza vivente dell'uomo e il suo utilizzo proprio è prerogativa dell'uomo che, a differenza degli animali, è in grado di padroneggiarlo e farne a sua volta strumento creativo. Ma in che cosa risiede la potenzialità del linguaggio? Esso diventa medium della vita spirituale dell'uomo in quanto manifestazione di Dio tramite il suo carattere simbolico. In questo passaggio, nell'accesso dunque alla dimensione segreta del linguaggio, risiede la possibilità per il saggio di agire, a somiglianza del creatore divino, tramite la parola e la combinazione delle lettere. Le lettere della lingua divina, o meglio le consonanti, sono gli elementi dalla cui combinazione scaturisce la creazione; investite di un potere straordinario esse sono alla base della forza creatrice dei nomi36. Suono e linguaggio si intrecciano poi al concetto di verità,

così come la verità rappresentava la chiave nell'analisi platonica condotta nel Cratilo. Vedremo come autori quali Ficino, Ludovico Lazzarelli e Giordano Bruno proposero, in maniera diversa, di incanalare questo potere.

La forza creatrice del linguaggio poggia sulla concezione di un cosmo dove l'elemento linguistico è contenuto nel soffio divino37. Secondo la tradizione

ebraica ci sarebbe infatti una caratteristica strutturale propria della lingua che le

36 G.SCHOLEM, Il nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio, traduzione di A.FABRIS Adelphi, Milano 1998, p. 27.

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permette di comunicare qualcosa di non-comunicabile. Come abbiamo visto nel capitolo precedente la dottrina dello spiritus che Ficino eredita da Plotino contiene molti elementi affini a questa visione.

Il linguaggio era infatti indicato come prerogativa umana, mezzo creativo e, soprattutto, strumento conoscitivo. La sua potenzialità si bassa sul legame tra microcosmo e macrocosmo e sulla somiglianza tra procedimento creativo divino e ambito terreno all'interno di un cosmo armonico e simpatetico. Detto questo a proposito del linguaggio in generale, per quanto riguarda i nomi divini essi sono custodi di un potere miracoloso e pertanto non sono significanti dell'ambito umano bensì di quello divino. Come abbiamo visto Ficino utilizza le implicazioni di questo ragionamento per dimostrare la divinità di Cristo.

È emerso dal lavoro recente degli studiosi citati sopra che il filosofo fiorentino ha avuto accesso anche a testi che non appartengono al repertorio della controversistica cristiana e a traduzioni diverse da quelle che utilizzò Giovanni Pico della Mirandola. Vediamo ora come si articola la riflessione nel De Christiana religione, nel De vita e nei Commentaria platonici (in particolare nell' Argumentum in Cratylum).

Nel trentesimo capitolo del De Christiana religione la riflessione sul tetragramma viene condotta in relazione alla natura dei miracoli compiuti da Cristo. Ficino utilizza la capacità di Cristo di pronunciare il tetragramma e compiere miracoli tramite esso come evidenza della sua natura divina. Il discorso si inserisce all'interno della polemica contro gli scritti anti-cristiani Tholedot Yeshu e, sebbene faccia riferimento al Contra Iudaeos di Niccolò da Lyra, presenta, a proposito

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della pronuncia e del significato del tetragramma l'influenza di un'altra fonte. Apriamo una parentesi per ricordare la prima testimonianza di interesse del Ficino per i nomina divina. Elaborata prima del 1464, la traduzione dell'Expositio rerum mathematicarum di Teone di Smirne presentava una lista di nomi divini composti di quattro lettere rintracciabili in diversi popoli. Come sottolineato da Toussaint e Bartolucci, Ficino si concentrava sulla corrispondenza tra le quattro lettere e la struttura quadripartita degli elementi naturali, così come dei periodi dell'anno, degli umori e dell'anima38. La tradizione ebraica viene considerata più volte da

Ficino, seppur con ruoli diversi: obiettivo polemico nel De Christiana religione, auctoritas nella Theologia Platonica e filo conduttore nell'Argumentum in Cratylum. Nel De Christiana religione compare una nuova trascrizione del tetragramma rispetto alla sua prima apparizione, ciò potrebbe indicare secondo Bartolucci l'approfondirsi di un interesse non più legato esclusivamente a fonti controversistiche. È noto dal lavoro di Cesare Vasoli che le citazioni del De christiana religione, di cui ricordiamo apparve una prima edizione in volgare nel 1476 e una in latino due anni dopo, siano state tratte dalle opere di Niccolò de Lyra e Paolo di Burgos. È tuttavia emersa un'ulteriore fonte, probabilmente orale, riconducibile a Flavio Mitridate e Yohanan Alemanno. Bartolucci, dopo aver sottolineato il legame della riflessione sul nome di Dio con la tradizione cabalistica, nota che il significato attribuito al tetragramma nel trentesimo capitolo del De Christiana religione, corrispondente a “fu, è e sarà”, è vicino a quanto appare nella “Biblioteca Cabalistica” tradotta per Pico della Mirandola da

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Mitridate39. Questa interpretazione, assente nella letteratura precedente, è legata ad

una fonte orale che il Bartolucci riconosce in Alemanno. L'attribuzione viene portata avanti anche in relazione all'influenza che questo intellettuale ebreo ebbe su altre opere del Ficino: vedremo tra poco il legame con le fonti non comuni apparse quattordici anni dopo nel De vita coelitus comparanda40.

Nel 1484 Ficino modificò il testo del De Christiana religione aggiungendo due brani a proposito dell'incarnazione di Cristo, non a caso legati a fonti ebraiche non riconducibili a Niccolò de Lyra e Paolo di Burgos. La fonte viene individuata in questo caso nel testo del Seder 'Olam nella traduzione di Mitridate e avvalorerebbe l'ipotesi di un contatto diretto tra Ficino e Mitridate addirittura antecedente il sodalizio con Pico41. Rimane tuttavia difficile trovare testimonianza

di un incontro riconducibile al 1481-83 in quanto le tre prove degli incontri tra i due fanno riferimento alla metà degli anni '80. Ci si domanda dunque come sia avvenuto il contatto tra i due e se questo sia in qualche modo legato alle traduzioni che Mitridate effettuò per Sisto IV e alla presenza di Pier Leone da Spoleto che, essendosi trovato a Roma fino al 1482, potrebbe aver fatto, oralmente, da tramite. Al di là della veridicità o meno di tale ipotesi, è importante sottolineare come l'ambiente fiorentino fosse terreno fertile per le speculazioni cabalistiche prima dell'intervento di Pico. Questo porta, come detto, ad anticipare rispetto al 1486 l'interesse di Ficino per l' ebraismo e l'Islam e dunque la sua ricerca delle fonti originali allo scopo di arricchire la tradizione della prisca

39 G. BARTOLUCCI, Per una fonte cabalistica del De Christiana religione: Marsilio Ficino e il

nome di Dio, «Accademia» 2004, p. 44.

40 M. FICINO, De vita, III, 26; si veda anche BARTOLUCCI, Per una fonte cabalistica, cit., p. 45 e S. TOUSSAINT, op.cit.

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theologia42. L'indagine del medico fiorentino scorre dunque seguendo il filo della

riflessione sul linguaggio e in particolare sul potere della parola. I passaggi a proposito del tetragramma rappresentano una chiave importante nel riconoscimento delle fonti ebraiche, tuttavia il tema dei nomina divina, presente in maniera ridotta nel De Christiana religione, vede una trattazione più completa nell'Argumentum in Cratylum.

Questo testo, pubblicato nel 1484 insieme alla traduzione dell'Opera Omnia platonica, rappresenta un significativo incontro tra tradizione cabalistica di stampo estatico abulafiano ed eredità platonica. Come abbiamo visto nel capitolo precedente Ficino parla dell'efficacia della lingua ebraica e della potenza dei nomi; poiché il potere risiede nella loro stessa struttura è necessario, per mantenerne l'efficacia, utilizzare la lingua originaria ebraica. L''intraducibilità che ne deriva è stata oggetto di discussione e nella riflessione cinquecentesca, Bruno compreso, l'alfabeto ebraico apparirà accanto a quello cristiano.

Poiché ad una determinata sequenza o combinazione di lettere corrispondono un significato ed una configurazione di elementi ben precisa cambiarne la disposizione equivale a modificare la conformazione del creato.

È interessante l'affinità con la tradizionale vicenda del Golem che prende o perde vita a seconda della combinazione di lettere presente sulla sua fronte. Ancora una volta entrambe le riflessioni poggiano sul presupposto di una corrispondenza tra elementi linguistici e fisici.

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XIII secolo, la cui influenza sarebbe presente nella teoria del Ficino43.

Il cabalista spagnolo ritiene che la rivelazione divina sia avvenuta in due stadi, scritto e orale, e che questa seconda fase sia superiore, costituita dai nomi divini e comunicata da mente a mente. Intelletto e immaginazione avrebbero inoltre agito sulla natura della Torah, la cui versione orale corrisponde all'intelletto mentre quella scritta unisce intelletto ed immaginazione. Il fine ultimo della Cabala è per Abulafia il conseguimento di un'esperienza profetica estatica rendendo lo studio dei nomi uno strumento per raggiungere uno stato di conoscenza superiore. Il linguaggio rappresenterebbe dunque un ambito contemplativo superiore alla natura e una tecnica per conseguire un'esperienza mistica dotata di caratteri noetici44. Secondo Bartolucci per Ficino il tetragramma ha funzione parzialmente

diversa, egli infatti andrebbe verso una Cabala teurgico-magica più che verso quella estatica45.

La considerazione dell'importanza di tale pratica nel percorso di conoscenza dell'uomo, che si articola anche attraverso immaginazione e suono, indica a mio avviso una duplice valenza del tema. Lo studio dei nomi si accompagna alla recitazione di essi, ed eventualmente al movimento del corpo. Non si tratta di un intento esclusivamente magico-teurgico bensì lo studio delle potenzialità del linguaggio fa parte del percorso di risalita che Ficino apre all'uomo. A differenza di quanto vedremo in Bruno Ficino prospetta una risalita alla divinità, che risulta dunque raggiungibile. Questo approccio si rivela fondamentale nella conciliazione

43 G. BARTOLUCCI, Marsilio Ficino, Yohanan Alemanno e la “scientia divinum nominum”, cit., p. 144 e F. BACCHELLI, op.cit., p. 45.

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con la fede tenendo presente la nota ambivalenza del medico fiorentino, intimamente diviso tra aspetti magici e ortodossia cristiana.

Come accade spesso a proposito di Marsilio Ficino l'aspetto magico-teurgico e quello conoscitivo convivono. Questa seconda prospettiva, aperta anche dalla riflessione plotiniana, venne ripresa e portata avanti attraverso lo studio delle potenzialità del linguaggio. La sua applicazione nel canto riflette ad esempio la medesima duplicità: pratica di magia naturale intenta ad attirare gli influssi celesti, in maniera più o meno lecita, e strumento fondamentale della risalita verso la vera conoscenza. Per quanto riguarda l'aspetto teurgico, l'attribuzione da parte di Ficino di un potere magico alle lettere, che vengono considerate come talismani, può essere ricondotta all'influenza di Alemanno. Nei suoi appunti, i Liqqutim, l'intellettuale ebreo si occupò di temi affini riconoscendo che le lettere sono

Le forme e i sigilli [fatti per] raccogliere l'emanazione celeste e spirituale allo stesso modo in cui i sigilli raccolgono le emanazioni delle stelle 46.

La presenza del tema dell'emanazione celeste in relazione ai sigilli all'interno dell'opera plotiniana è nota, non bisogna tuttavia assumere una posizione semplicistica poiché, come detto in precedenza, filone ebraico e filone neoplatonico si intrecciano nell'opera di Ficino. Per quanto a mio avviso rimangano più evidenti i debiti verso autori quali Platone e Plotino, senza tralasciare la tradizione ermetica, è innegabile che l'attenzione per il tema del linguaggio così come per il suono e la presenza di fonti rare in proposito siano indicazione dell'interesse autentico di Ficino per la cultura ebraica e in particolare la riflessione mistica sul linguaggio, smentendo così ogni etichetta di semplice

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moda cabalistica. In particolare i rituali legati al suono, alla parola e alla danza sono stati ricondotti principalmente a fonti orfiche e neoplatoniche e sono state tralasciate le possibili influenze orientali ed ebraiche.

In un noto articolo Stéphane Toussaint sottolinea l'origine orientale di quanto emerge a proposito della danza planetaria in relazione alla purificazione dello spiritus nel De vita coelitus comparanda. Il legame tra movimento circolare ed equilibrio dello spiritus non sarebbe legato ai rituali sufici bensì sarebbe dovuto all'influenza di Ibn Tufayl, celato sotto l'indicazione ficiniana di Abubacher. Il testo dell' Hayy ibn Yaqzan di Ibn Tufayl aveva destato l'interesse di Alemanno e Giovanni Pico della Mirandola proprio alla fine degli anni ottanta del Quattrocento, in contemporanea dunque con la stesura del De vita coelitus comparanda terminato del 1489. in questo testo si racconta la storia di un giovane che vive, tramite una danza planetaria, un'esperienza mistica che lo porta ad un'illuminazione e ad una conoscenza superiore47. Il tema del movimento

circolare dell'anima appare in diversi passaggi del De vita coelitus comparanda:

a) All'interno del quarto capitolo Ficino, facendo riferimento a Platone, Plotino e Avicenna, afferma che lo spirito umano è in grado di assorbire lo spirito del mondo. La possibilità del contatto è garantita dalla struttura del mondo, che vive e respira, e dalla natura simile dei due spiriti. Quello umano è tuttavia contaminato da influssi negativi e sozzure e il movimento circolare si rivela fondamentale nel processo di purificazione, lo spirito infatti:

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Diventerà infine celeste, se davanti al moto orbitale dell'animo e del corpo compirà anch'esso delle orbite48.

b) Nel sesto capitolo Ficino spiega che Giove è causa di vita in quanto sotto di esso il cuore riceve lo spirito vitale ed aiuta nella filosofia così come nella ricerca della verità e nella religione. Il suo influsso è quello speciale, dedicato all'uomo e non comune influsso su tutte le cose. In chiusura di capitolo il filosofo si esprime infine sul comportamento da assumere per evitare i danni arrecati da movimenti esterni negativi ed entrare in contatto con le forze celesti imitando il movimento dei pianeti:

E fa in modo di essere sempre in movimento secondo le tue forze, evitando soltanto la stanchezza, per opporre il tuo movimento ai movimenti esterni che potrebbero danneggiarti di nascosto, e per imitare secondo le tue forze ciò che avviene in cielo. Che se tu potessi percorrere con i tuoi movimenti spazi più ampi, in questo modo imiteresti di più il cielo, e potresti entrare in contatto con più forze celesti diffuse un po' ovunque 49.

c) Nell'undicesimo capitolo l'indicazione sul movimento circolare appare, in aggiunta ad alimentazione, odori e colori, tra le cure da dedicare allo spirito, ancora una volta strumento vitale di natura gioviale. È interessante all'interno del nostro discorso notare come per l'autore la vita abbia vigore maggiore nei corpi più sottili in quanto più vicini all'anima proprio per l'assonanza con aria suono e parola.

d) Nel diciannovesimo capitolo emerge il il legame tra l'orologio zodiacale di Lorenzo della Volpaia e la purificazione dello spiritus:

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