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1. E FFETTO H AWTHORNE

4.2 L A LEADERSHIP

4.2.2 L’importanza di una leadership efficace

può facilmente dedurre se l’ambiente di lavoro è operativo ed efficiente, se urge la tolleranza e lo spirito di una sana competizione (Bonfiglioli, 2004).

Tutto ciò dipende dallo stile di direzione partecipativo e dall’atteggiamento positivo del leader.

Certamente, un leader contribuisce in modo significativo all’attività della società con la preparazione e l’esperienza, ma ancora di più con la positività (che traspare dal suo comportamento). Naturalmente i leader devono anche essere efficienti: in altre parole, devono avere in sé queste funzioni essenziali:

programmare, organizzare, agire, controllare, ovvero (Bonfiglioli, 2004):

- organizzare le attività;

- gestire le risorse;

- far sì che il lavoro sia svolto nel modo giusto.

Non è facile trovare persone che svolgano o vogliano svolgere ruoli di controllo, mentre saper far eseguire ed esercitare la funzione di controllo è fondamentale per un buon capo e deve essere sistematica. È quindi dimostrato quanto rigorosamente i grandi leader, che devono avere una ferrea volontà per raggiungere i suoi obiettivi, pretendano che venga eseguito ciò che decidono.

Per rendere efficienti gli altri è necessario rendere efficienti sé stessi e, per questo, fondamentale è la concentrazione: il capo efficiente realizza la cosa più importante per prima e fa una sola cosa per volta, ottimizzando l’uso del tempo.

Dare un ordine di importanza alle nostre attività, focalizzare tempo ed energie nell’iniziare e portare a termine un solo compito alla volta, e dare priorità all’azione più importante significa applicare i principi lean (Bonfiglioli, 2004, p. 47):

1. definire il valore (“value”);

2. identificare il flusso di valore (“value stream”);

3. fare scorrere il flusso (“flow”);

4. fare in modo che il flusso sia ‘tirato’ (“pull”);

5. ricercare la perfezione (“perfection”).

Peter Ferdinand Drucker (1999), economista austriaco che ha ottenuto la cittadinanza americano, ha sottolineato come il capo efficiente renda produttiva

la forza. Per lavorare in modo efficace è necessario saper far leva sui punti di forza dei collaboratori, dei superiori ed anche di sé stessi.

In sintesi, i leader ai vari livelli devono avere queste caratteristiche (Bonfiglioli, 2004):

1. avere le conoscenze professionali adeguate al ruolo;

2. prediligere una forma di direzione partecipativa, acquisendo quindi capacità di delega;

3. saper utilizzare “metodi operativi moderni”, cioè “i metodi statistici, le tecniche di problem-solving, di conduzione dei gruppi, di conduzioni delle riunioni, ecc.” (Bonfiglioli, 2004, p. 101), ed avere una “mentalità della qualità”;

4. pensare positivo, in modo da poter agire in qualità di “trascinatori”;

5. essere efficienti in qualsiasi situazione.

Queste peculiarità possono essere acquisite con la formazione e la volontà di crescere personalmente.

Renato Tagiuri, che è stato professore emerito di Scienze Sociali in Amministrazione Aziendale, tenne un seminario ai dirigenti di alcune PMI, traendo alcune conclusioni e fornendo consigli sulla figura del leader, per far sì che un capo riesca a mettere i propri collaboratori nella condizione di rendere al meglio, ovvero (Bonfiglioli, 2004):

1. favorire la comprensione di quelli che sono gli obiettivi del compito;

2. rendere comprensibile la natura del compito;

3. ascoltare attentamente le opinioni di tutti e condividere le eventuali esperienze utili;

4. assicurarsi che la persona cui è assegnato l’incarico abbia le risorse necessarie per svolgerlo: “abilità, competenze, persone, impianti, fondi, autorità, potere, ecc.” (Bonfiglioli, 2004, p. 101);

5. rendere chiari i criteri sui quali si basano le valutazioni delle prestazioni.

Il fine del leader è il cambiamento a tutto campo, ovvero rendere l’azienda veloce e flessibile, allineata con l’evoluzione dell’ambiente; tutti, ciascuno in

base alle proprie competenze, devono cooperare al miglioramento ed al cambiamento dello status quo (Sansavini, 2006).

La divisione tra pensatori ed esecutori, propria della struttura verticale, non favorisce la velocità di cambiamento e l’allineamento con i tempi e con il mercato. Si rende necessaria, pertanto, una delega del potere, in grado di attivare in primis la mobilitazione di tutto il personale e, quindi, la motivazione del passaggio da esecutore ad imprenditore.

L’incremento del numero di osservatori rappresenta un grande vantaggio di questa delega. Gli osservatori sono impegnati su problemi di varia gravità, che necessitando di azioni di rinnovamento, e devono essere molto esperti, poiché si trovano spesso in front line (Sansavini, 2006, p. 13) rispetto alle difficoltà ed a quelle che possono essere le soluzioni. Talvolta, tanto le loro iniziative quanto le loro decisioni vengono attuate direttamente, e, in questi casi, il loro impegno personale è massimo.

La delega del potere viene decisa dal vertice aziendale, nel momento in cui l’azienda necessita di rinnovamento in quanto obsoleta, e ciò richiede un capovolgimento della piramide.

Il top management propone una nuova visione societaria, nella quale la risorsa umana, di qualsiasi grado, viene incaricata di nuove mansioni e responsabilità, attuando il cosiddetto empowerment (Sansavini, 2006, p. 13), che significa ‘dare potere’.

Gli strumenti basilari di questo processo sono:

- il consolidamento del flusso informativo dall’alto verso il basso;

- la semplificazione dei movimenti orizzontali all’interno dei reparti, in modo tale che non ci siano divisioni tra i collaboratori, e formazione di team interfunzionali;

- l’incoraggiamento di un senso di urgenza, che induce i lavoratori ad agire, a far seguire con rapidità i fatti alle parole ed a decidere prontamente;

- il riconoscimento delle “piccole” vittorie e dell’impegno, con la consapevolezza di poter commettere degli errori.

Il processo di empowerment è, però, di difficile attuazione e, talvolta, si rinuncia ad esso.

L’applicazione della strategia di cambiamento è strettamente legata allo stile di management del supervisore, sul quale incentriamo l’attenzione.

Anche nei casi in cui i vertici della società non diano impulso al cambiamento, il manager illuminato può incentivare i processi di rinnovamento con la leadership all’interno del proprio reparto o divisione.

“Non sono i programmi aziendali che producono i cambiamenti, ma i leader” (Sansavini, 2006, p. 14).

Quando i leader non tendono alla costante evoluzione, i problemi non vengono risolti, e mediocrità ed inefficienza si radicano nell’azienda. Per questo motivo, la letteratura manageriale moderna definisce il manager, o meglio il leader, un change conductor (Sansavini, 2006, p. 14), un agente di cambiamento pronto ad affrontare, con un atteggiamento innovativo, continue sfide, siano esse nuovi mercati, nuovi metodi di lavoro: in poche parole, tutto ciò che sia teso al miglioramento.

Sfidare il cambiamento significa non rassegnarsi a problemi e mediocrità, bensì mettere costantemente in discussione sé stessi e la routine.

L’autore Sansavini (2006), talvolta, provoca i presenti in aula, affermando che un capo conservatore è obsoleto; essere promotori del cambiamento e non comparse porta l’uomo a dare il meglio di sé. Un leader innovatore può essere l’autore dell’idea innovativa, ma deve anche saper cogliere e rendere concrete le idee, gratificando i collaboratori.

È lecito obiettare che il cambiamento può avere anche esiti negativi, ma l’esperienza dimostra che l’immobilismo aziendale causa assai più frequentemente insuccessi. Il vero fallimento del cambiamento sta nella difficoltà o nella mancata realizzazione; inoltre, il dinamismo, componente fondamentale nel processo di cambiamento, stimola l’azienda anche quando non si ottiene il miglioramento sperato (Sansavini, 2006).

L’innovazione rappresenta sempre un’incognita, ed il cambiamento può creare quel timore generato da tutto ciò che non ha esito certo. Il compito del leader è anche quello di accettare gli errori suoi ed altrui, considerandoli nuove

esperienze. Un grande leader è un change conductor (Sansavini, 2006, p. 17), ovvero un soggetto fortemente proiettato verso il mutamento, ma anche capace di stimolare ed agevolare questo processo nei suoi collaboratori.