Gli atti delle società/associazioni sportive dilettantistiche sono soggette all’imposta di bollo secondo quanto previsto dalle disposizioni generali in materia. Non è, infatti, ad esse applicabile, poiché non menzionate nell’art. 27 bis della Tabella, Allegato B del DPR n 642/1972, l’esenzione prevista per le ONLUS. Tale regime agevolativo, infatti, si applica in ambito sportivo esclusivamente alle Federazioni sportive nazionali e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I..
Infine, per quanto riguarda l’imposta sulla pubblicità, la L. Finanziaria 2006334 pone fine ai dubbi interpretativi inerenti l’art. 11 bis L. n. 289/2002335,
disciplinando che essa, “in qualunque modo realizzata dalle società e associazioni
sportive dilettantistiche, rivolta all’interno degli impianti dalle stesse utilizzati per manifestazioni sportive dilettantistiche con capienza inferiore a 3.000 posti, è esente dall’imposta sulla pubblicità.”
334 Art. 128 co. 1 L. n. 266/2005.
335 “La pubblicità, in qualunque modo realizzata negli impianti utilizzati per
manifestazioni sportive dilettantistiche con capienza inferiore a 3000 posti, è da
considerarsi, ai fini del DPR n. 640/1972, in rapporto di occasionalità rispetto all’evento sportivo.”
Conclusioni
Il mondo dello sport nel corso degli ultimi sessant’anni ha subito rilevanti trasformazioni, fino a diventare un vero e proprio business, capace di generare un notevole volume di denaro e di interessi difficilmente raggiungibile dagli altri settori. La caratteristica che, con ogni probabilità, ha generato così tanto interesse verso tale settore, è il “paradosso competitivo”, ritenuto il vero punto di forza di ogni attività sportiva. A differenza degli altri settori, infatti, nel mondo dello sport più c’è competizione tra le società o gli atleti, più la manifestazione suscita interesse e maggiori saranno il business e gli introiti generati. Quando si analizza il mondo sport, purtroppo o per fortuna336, molte
volte si finisce inevitabilmente per affrontare ed incentrare l’analisi sul mondo del calcio, poiché, innegabilmente, ha rappresentato e rappresenta tuttora, la locomotiva trainante di tutti i grandi mutamenti susseguitisi nel corso degli anni. Basti pensare alla riforma del ’66 e alla riforma successiva alla sentenza Bosman del ’95, in cui il calcio è stato a tutti gli effetti, il vero pioniere del cambiamento. Il fatto che si concentri lo studio nel mondo del calcio, non vuol dire, tuttavia, che non si presti attenzione alle dinamiche presenti negli altri sport.
Al fine di comprendere nel migliore dei modi questo mondo così ampio e particolare, si è ritenuto opportuno, anche in virtù di un diverso trattamento normativo, sia fiscale che civilistico, suddividere l’analisi in due parti: il mondo professionistico da un lato e quello dilettantistico dall’altro. I due mondi, infatti, sono due mondi che, sebbene siano caratterizzati dallo stesso oggetto – la pratica sportiva – sono notevolmente differenti. Nel mondo professionistico, ormai da anni, l’interesse primario non è più lo scopo nobile ed ideale di promuovere la pratica sportiva, intesa come una pratica avente notevole importanza dal punto di vista socio–culturale, ma è diventato il business e di conseguenza anche la visibilità. L’anomalia, tuttavia, è che quando si parla di
business, sarebbe logico immaginare che le società sportive siano in grado di
generare una ricchezza e di distribuirla agli azionisti. Purtroppo non è così, ma, anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, e non solo nel calcio – si pensi al basket – le società sono cronicamente in perdita e se non fosse per i continui aumenti di capitale, sottoscritti dagli azionisti di maggioranza, molto probabilmente oggi molte delle società più rinomate non sarebbero ancora in vita.
Il mondo professionistico, ancor più di quello dilettantistico, vede la predominanza della disciplina calcistica rispetto alle altre, le quali, purtroppo sono costrette a vivere di luce riflessa.
Per quanto concerne l’analisi della disciplina fiscale delle società sportive professionistiche, si sono posti in evidenza gli aspetti sui quali si è maggiormente dibattuto nel corso degli anni e sui quali non si è ancora arrivati ad una soluzione unanime e condivisa. Tra questi, non si può non ricomprendere, in primis, il trattamento fiscale dei DPC nei bilanci delle società calcistiche professionistiche. La loro classificazione assume una fondamentale rilevanza per quanto concerne l’assoggettabilità ai fini IRAP. Qualificare la plusvalenza derivante dalla cessione di un DPC alla voce A.5 o E.21, come si è riscontrato, non è privo di rilevanza. Fintanto che il Legislatore tributario non si decide a trattare tale spinosa questione e la Corte di Cassazione non viene interpellata a riguardo, la questione rimarrà difficilmente risolvibile e condivisibile unanimemente.
L’Agenzia delle Entrate, risolve la questione, prospettando la soluzione a sé più favorevole nel caso in cui la cessione generi plusvalenza337. Non
dimentichiamo, infatti, che nel caso in cui il Legislatore dovesse optare per l’esclusione dalla base imponibile Irap delle plusvalenze da DPC, vi sarebbe una pesantissima ricaduta per l’Erario, che vedrebbe così notevolmente ridotte le entrate nelle casse dello stato.
Sempre in relazione al mondo dello sport professionistico, un’altra questione spinosa è quella riguardante la territorialità IVA della cessione dei proventi da diritti televisivi. La soluzione prospettata dall’Amministrazione
337 Le società, a seguito della cessione di un DPC, possono conseguire anche una
Finanziaria è una “soluzione di comodo” e in quanto tale non può essere accettata. Non si pone in discussione la difficoltà esistente nel determinare con esattezza la territorialità IVA di questa prestazione di servizi, vista la vastissima platea cui sono dirette simultaneamente in tutto il mondo. Basti pensare al numero di spettatori, e alle loro più svariate nazionalità, di una finale di Champions League o di una finale dei Campionati Mondiali, ma non si può assolutamente pensare di poter accettare una soluzione impositiva prospettata per un’ oggettiva difficoltà di determinare la fruizione del servizio. Pertanto, si riterrebbe opportuno che il Legislatore intervenisse con un provvedimento legislativo ad hoc, volto a definire in maniera certa la territorialità di tali componenti, che rappresentano la fonte di incasso più elevata per le società, e che sono sicuramente di importo rilevante anche per le eventuali casse dello stato.
Per quanto concerne il dilettantistico, invece, si condivide la volontà del legislatore di agevolarne la diffusione e la pratica sportiva, poiché caratterizzato, se svolto con correttezza e realtà, da motivi puri e ideali che non si possono non condividere, e di conseguenza agevolare. Un atleta dilettante infatti, non si affaccia al mondo dello sport per motivi di natura economica, ma al contrario è esclusivamente motivato dalla passione. Si pensi, ad esempio agli atleti delle discipline olimpiche, i quali, nella maggior parte dei casi338, dedicano
un’intera vita di sacrifici per poche migliaia di euro l’anno.
È altrettanto vero, tuttavia, che in moltissimi casi, dietro la costituzione di ASD, si celano interessi completamenti differenti da quelli per i quali sono stati disciplinate. Accade, infatti, di frequente che il reale motivo sottostante alla creazione di questi enti senza finalità lucrativa, sia dovuto dal trattamento fiscale di favore, che permette agli associati di pagare pochissime imposte per l’attività esercitata e, contrariamente a quanto regolamentato, di distribuire la ricchezza generata. Per limitare l’utilizzo e la diffusione di questa pratica, il Legislatore ha introdotto la prevalenza del comportamento concludente del contribuente. Si ritiene, tuttavia, che tale intervento correttivo debba essere un
punto di partenza e non un punto di arrivo nella lotta alla diffusione di questa pratica ingannevole.
Infine, sempre in riferimento al mondo dilettantistico vi è la questione un po’ contorta inerente le attività intrattenitiva e le attività spettacolistiche. Appurato che l’attività sportiva in generale è da considerarsi attività spettacolistica, il Legislatore, derogando la disciplina generale, assoggetta le cessioni di beni/prestazioni di servizi effettuate da ASD che optino per il regime agevolativo della L. n. 398/1991, alla disciplina speciale IVA prevista per le attività intrattenitive. Si è condivisa la ratio agevolativa alla base di tale decisione, ma si è posta in evidenza una lacuna del dettato normativo. Il Legislatore, infatti non ha stabilito quale debba essere l’aliquota IVA da applicare in tali circostanza, limitandosi a farlo solo ed esclusivamente per le attività dello stesso genere esercitate dalle società sportive professionistiche. Ora, si è ritenuto maggiormente opportuno, nel corso della trattazione, tra le varie alternative ipotizzata, sostenere quella che prevede l’applicazione delle medesime aliquote applicate dalle società sportive professionistiche.
Il mondo dello sport è sicuramente ancora oggi soggetto a cambiamenti, basti pensare all’introduzione, nel mondo del calcio, del fair play finanziario da parte della UEFA, che porterà cambiamenti notevolissimi a livello gestionale – amministrativo dei club. Un esempio è già quello del Milan, che per rientrare nei limiti previsti da tale regolamento, ha dovuto effettuare una campagna cessioni rilevante per ripianare le perdite in bilancio.
La crisi economica degli ultimi quattro anni ha inciso significativamente anche nel mondo dello sport e del calcio in particolare. Sembra, tuttavia, che tale situazione sia maggiormente “pesante” in Italia piuttosto che negli altri paesi, Spagna e Inghilterra su tutti. Tralasciando l’ingresso in tale mondo di magnati russi o petrolieri arabi, che ovviamente hanno profondamente stravolto la concorrenza nel mondo del calcio, si ritiene che tale differenza sia dovuta a profonde diversità normative esistenti previste tra i vari stati. Si pensi, infatti, alla c.d. “Legge Beckam” del 2002 in Spagna, che permetteva339 alle società di
applicare ai calciatori non spagnoli, quali ad esempio Kakà e Cristiano Ronaldo, un’aliquota del 24 % a fronte del 43 % per quelli spagnoli, o si pensi all’Inghilterra in cui l’indebitamento di Manchester United e Chelsea nel 2011 – 1,5 miliardi di euro – era praticamente pari al doppio di quello di Inter e Milan – 792 milioni di euro.
Ora, si ritiene opportuno che a livello comunitario venga regolamentata una disciplina comune per le società. In questa direzione si è mossa la UEFA con l’approvazione del Fair play finanziario, il quale però regolamenta solo ed esclusivamente la gestione economico -‐ finanziaria dei club, lasciando scoperto l’aspetto fiscale. Tale aspetto, pertanto, deve essere regolamentato a livello normativo, dai vari stai dell’UE, i quali, con un accordo internazionale, potrebbero finalmente porre fine a questa disparità di trattamento e rendere questo sport più equo.
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