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Indicatori biologici di pregressa esposizioni ad asbesto

Sartorelli P, Romeo R1, Sisinni AG1, Paolucci V, Scancarello G2

Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze Mediche Chirurgiche e Neuroscienze; Università degli Studi di Siena

1 Azienda Ospedaliera Universitaria Senese 2

Laboratorio di Sanità Pubblica AUSL n. 7 Siena

Riassunto

La stima dell’esposizione professionale è essenziale sia nella dimostrazione del nesso di causalità esposizione-malattia, sia, in assenza di malattia, nella determinazione del livello di rischio e conseguentemente nella programmazione della sorveglianza sanitaria finalizzata alla prevenzione secondaria nel rispetto dei criteri di costo-beneficio e rischio-beneficio.

Sfortunatamente i dati riguardanti numerose situazioni lavorative sono scarsi o addirittura del tutto mancanti. L’esame mineralogico del liquido di lavaggio bronco alveolare (bronchoalveolar lavage fluid – BALF) sembra quindi consentire la suddivisione dei lavoratori in classi di esposizione, ottenendo al tempo stesso informazioni utili sul pattern espositivo.

A scopo esemplificativo vengono riportate le indagini svolte in questo campo negli ultimi 15 anni dal centro di Medicina del Lavoro dell’Università di Siena.

Introduzione

Le patologie che si manifestano più frequentemente negli ex-esposti ad asbesto sono le placche pleuriche, l’asbestosi polmonare, il mesotelioma pleurico maligno (MPM), il carcinoma polmonare, il carcinoma della laringe e il carcinoma ovarico.

Nel nostro Paese da circa 20 anni è vietata l’estrazione e l’uso dell’amianto, ciononostante la patologia asbesto-correlata rappresenta ancora oggi un’area di grande interesse nell’ambito della Medicina del Lavoro a causa dei lunghi tempi di latenza della patologia asbesto-correlata. In particolare il mesotelioma presenta tempi di latenza medi superiori ai 30 anni tanto che in Italia il picco massimo di malattia è stato stimato tra il 2015 e il 2019 con tassi di incidenza standardizzati di alcune aree italiane tra i più alti nel mondo per entrambi i sessi a causa del largo uso di amianto fatto all’epoca nel nostro Paese.

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Appare quindi essenziale determinare l’entità dell’esposizione professionale e non, sia per dimostrare il nesso di causalità esposizione-malattia, sia in assenza di malattia per stimare il rischio e programmare, di conseguenza, una sorveglianza sanitaria finalizzata alla prevenzione secondaria nel rispetto dei criteri di costo-beneficio e rischio-beneficio. Sfortunatamente i dati riguardanti numerose situazioni lavorative sono scarsi o addirittura del tutto mancanti. Inoltre l’esposizione ad amianto può essere considerata saltuaria o intermittente per varie categorie di lavoratori, mentre l’esposizione della popolazione generale non è nota a causa della varietà dei fattori in gioco. Raccolte anamnestiche dettagliate e questionari specifici possono essere utilizzati per caratterizzare l’esposizione lavorativa ad asbesto, anche se in tal modo non è possibile identificare i casi di esposizione professionale occulta o atipica, tutt’altro che rari. D’altra parte la diagnosi di cancro polmonare professionale negli ex-esposti ad asbesto, oltre che comunemente accettata in caso di concomitante asbestosi, può essere posta anche in assenza di altre patologie asbesto-correlate quando l’esposizione è comprovata dalla presenza di elevate concentrazioni di corpuscoli dell’asbesto (asbestos bodies - CA) e di fibre di asbesto nel tessuto polmonare (Cagle 2002; Sartorelli e coll. 2006). Per questi motivi si rendono di grande utilità indicatori biologici di esposizione pregressa. In tal senso viene sempre più frequentemente utilizzata la concentrazione di AB nell’escreato e nel liquido di lavaggio broncoalveolare (bronchoalveolar lavage

fluid – BALF), proposta anche nelle linee guida dell’American Thoracic Society sulla

diagnostica delle patologie asbesto-correlate non neoplastiche (ATS 2004), nonché quella delle fibre nude di asbesto.

A fronte di una così vasta popolazione di soggetti esposti ad oggi gli unici strumenti diagnostici proposti si basano su indagini di tipo radiologico, con conseguenti ed evidenti problematiche di natura radioprotezionistica ed economica. Particolare rilievo riveste pertanto la possibilità di una diagnosi precoce degli esiti neoplastici dell’esposizione ad asbesto e l’identificazione all’interno della coorte degli ex-esposti di individui ad alto rischio di sviluppare patologie neoplastiche correlate all’esposizione all’asbesto (in particolare carcinoma polmonare e mesotelioma). Lo studio dei biomarkers di pregressa esposizione costituisce dunque un approccio integrativo della diagnostica per immagini.

Determinazione delle fibre e dei corpuscoli dell’asbesto nel BALF

Negli ultimi 25 anni l’analisi mineralogica del BALF mediante microscopia elettronica è stata utilizzata con successo come indicatore di esposizione pregressa. In generale si era riscontrata una netta differenza di concentrazione di fibre nel BALF di soggetti con intensa esposizione e dei controlli (Gellert e coll. 1986; Dodson e coll. 1991). Tuttavia in questi studi non esiste un approccio validato e standardizzato per quanto riguarda l’esame mineralogico del BALF, rendendo difficile il confronto dei risultati ottenuti in differenti laboratori. Per di più in molti casi il numero di lavoratori esaminati era limitato e raramente venivano considerati l’anzianità lavorativa ed il periodo di tempo trascorso dalla fine dell’esposizione. Mancavano poi confronti tra i soggetti professionalmente esposti e la popolazione generale.

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In una ricerca condotta nel periodo 1992-2001 presso l’allora Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università di Siena è stata dimostrata una differenza significativa tra concentrazione di fibre nel BALF di lavoratori con pregressa esposizione ad asbesto e di controlli non professionalmente esposti, con valori superiori nel caso di esposizioni di vecchia data rispetto a quelle più recenti (Sartorelli e coll. 2001). Tali risultati venivano successivamente confermati in una popolazione più vasta composta da 193 lavoratori esposti e 84 soggetti non professionalmente esposti (Romeo e coll. 2004). Se la concentrazione delle fibre nel BALF permetteva di distinguere le popolazioni professionalmente esposte da quelle non professionalmente esposte, la sua appropriatezza per l’accertamento dell’esposizione in casi individuali non era però sicura.

Uno studio successivo ha valutato un gruppo di 22 lavoratori ex-esposti ad asbesto mediante ripetizione dell’esame di broncolavaggio a distanza di anni dal primo esame (Sartorelli e coll. 2007). L’esame era stato ripetuto per ragioni cliniche di vario tipo. Scopo dello studio era quello di stimare l'affidabilità della concentrazione delle fibre di asbesto nel BALF come biomarker di pregressa esposizione ad asbesto nei singoli casi, eseguendo l'analisi mineralogica a distanza di tempo nello stesso soggetto e confrontando i risultati: la buona riproducibilità dell’esame poteva essere valutata in base all'assenza di una differenza significativa tra la prima e la seconda misurazione. I risultati hanno evidenziato una riduzione delle fibre di crisotilo nel secondo BAL nel 63,4% dei casi, mentre per gli anfiboli la riduzione si presentava in una percentuale uguale a 61,5% dei casi. Tuttavia tali differenze non risultavano significative e non potevano essere spiegate sulla base della clearance del polmone perché non erano in rapporto al tempo intercorso fra il primo ed il secondo BAL. Per quanto riguarda le concentrazioni di fibre totali nel 72,7% dei casi si osservava una riduzione con una differenza fra i due BAL al limite della significatività statistica (p=0,05).

In base a tali risultati la concentrazione delle fibre nel BALF appariva un indicatore affidabile di pregressa esposizione ad asbesto dal momento che la ripetibilità dell’esame risultava buona considerando il crisotilo e gli anfiboli separatamente e sufficiente considerando la concentrazione totale di fibre. L’esame mineralogico del BALF appariva quindi in grado di consentire la suddivisione dei lavoratori in classi di esposizione, ottenendo al tempo stesso informazioni utili sul pattern espositivo. Le incertezze relative all’analisi mineralogiche di BALF (principalmente attribuibili all'alto Coefficiente di Variazione CV quando le concentrazioni di fibre sono basse) suggerivano che tale biomarker fosse probabilmente più appropriato ad un approccio di tipo qualitativo/categorico nell'accertamento della pregressa esposizione piuttosto che per una stima quantitativa dell’esposizione stessa. In tal senso i dati relativi all’indicatore in questione non sembrano adatti alla definizione di modelli predittivi. Una ricerca più recente (Montomoli e coll. 2012) ha studiato una popolazione di ex esposti costituita da 158 lavoratori (154 maschi e 4 femmine) con età media di 59 ± 8 anni, afferiti presso la Medicina del Lavoro dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2011. Tutti i lavoratori sono stati sottoposti a prove di funzionalità respiratoria, Rx Torace e TAC low dose (o HRCT in

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caso di sospetta interstiziopatia) per la ricerca delle patologie asbesto-correlate. In 49 lavoratori (31,0%), sulla base degli esami radiologici e delle evidenze cliniche, è stata posta diagnosi di patologia asbesto-correlata secondo i criteri ATS 2004. Di questi 31 erano affetti da placche pleuriche e 18 da asbestosi associata o meno a placche pleuriche (rispettivamente 19,6% e 11,4% della popolazione studiata).

In base all’attività svolta i soggetti studiati sono stati suddivisi in 8 diversi settori lavorativi: 9 in aeronautica (6%), 18 nella produzione di cemento-amianto (11%), 17 nell’industria chimica (11%), 34 nella produzione di energia (22%), 21 in metalmeccanica leggera (13%), 14 in metalmeccanica pesante (9%), 18 nella scoibentazione delle carrozze ferroviarie (11%) e 27 in altro (17%).

Sono state analizzate 6 variabili causali rispetto al fattore patologia: abitudine al fumo, numero di pacchetti/anno, concentrazioni di mesotelina (soluble mesothelin-related

peptides – SMRP), concentrazioni nel BALF di anfiboli, crisotilo e AB. Per evitare ogni

assunzione funzionale sulle variabili causali analizzate è stato adottato un test statistico non parametrico di permutazione. Le stesse variabili causali sono state analizzate anche rispetto al fattore settore lavorativo. In tutte e due i casi si dimostrava una differenza tra i gruppi per quanto riguarda la concentrazione degli anfiboli (p<0.01), meno evidente per crisotilo e corpuscoli (con p variabile da <0,04 a <0,09) e nessuna differenza per le altre variabili.

L’esposizione professionale più intensa è stata individuata nel settore della scoibentazione delle carrozze ferroviarie. I 18 soggetti affetti da asbestosi presentavano nel BALF una concentrazione media di 552 ± 334 anfiboli/ml (range 248-1489) con limite fiduciario dell’intervallo di confidenza pari a 386 – 718 anfiboli/ml. In 98 soggetti è stata dosata la concentrazione di SMRP: nessuna differenza statisticamente significativa è stata individuata tra la popolazione priva di patologia asbesto-correlata ed i lavoratori affetti da placche pleuriche e/o asbestosi. Applicando il test di Spearman non è stato possibile dimostrare una correlazione tra SMRP e concentrazione di anfiboli, crisotilo e fibre totali.

Dai risultati è emersa la relazione esistente tra anfiboli e patologia asbesto-correlata, mentre era più dubbio il ruolo del crisotilo. Per quanto riguarda gli AB, che dovrebbero in buona parte riflettere l’esposizione ad anfiboli, probabilmente i dati sono influenzati dalla presenza di falsi negativi da attribuirsi alla più rapida clearance rispetto alle fibre nude. Negli addetti a scoibentazione delle carrozze ferroviarie, metalmeccanica leggera, industria chimica (produzione di acido-borico, detersivi e materie plastiche) e produzione di cemento-amianto è stato riscontrato un burden polmonare di anfiboli in tutto o in parte sovrapponibile a quello rilevato nei pazienti affetti da asbestosi. Il gruppo degli assistenti di volo risultava meno esposto, con 4 BALF negativi per fibre su un totale di 9. Tuttavia, pur nella limitatezza dei dati, è interessante considerare come nei casi positivi si trattasse sempre di addetti a voli a lungo raggio, mentre quelli negativi non lo erano in 3 casi su 4, potendo così ipotizzare un’esposizione diversificata in questo settore solo recentemente identificato come a rischio. In generale gli altri

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fattori indagati non sono risultati differenti nei vari settori lavorativi e tra lavoratori affetti da patologie asbesto-correlate e non. In particolare i valori di SMRP non differiscono nei vari gruppi divisi per patologia e per settore. La mancata osservazione di correlazione tra valori di SMRP e burden di fibre è in contrasto con quanto osservato da altri Autori (Spigno 2010) che tuttavia avevano utilizzato modelli pubblicati in letteratura per quantizzare i livelli espositivi con i problemi che ne possono derivare. La ricostruzione anamnestica delle esposizioni storiche sembra infatti essere più attendibile nelle corti omogenee solitamente oggetto di studi epidemiologici, mentre in realtà molto differenti, come avviene nelle casistiche ospedaliere o nella ricerca attiva delle malattie professionali, appare difficile soprattutto se si considera l’importanza fondamentale del pattern espositivo. In accordo con gli studi di biopersistenza delle fibre e di patogenesi dell’asbestosi il burden polmonare di anfiboli costituisce il fattore principale nella relazione dose-risposta tra esposizioni cumulative ad asbesto e comparsa della fibrosi polmonare. Ne deriva che esposizioni quantitativamente simili, ma qualitativamente differenti assumono un significato assai diverso nel determinismo del danno polmonare da amianto.

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dell'esposizione ad asbesto mediante analisi mineralogica del liquido di lavaggio broncoalveolare. Med Lav 2004; 95: 17-32

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