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Le indicazioni della determinazione Anac n. 8/2015 in ordine all'applicazione delle misure anticorruzione nelle società partecipate

7.1. Le misure anticorruzione nelle società partecipate: gli elementi operativi definiti dalla determinazione Anac n. 8/2015.

La determinazione Anac n. 8/2015 traduce il percorso di consultazione sull'applicazione della normativa in materia di anticorruzione e di trasparenza alle società partecipate, sintetizzando nelle linee guida anche la sperimentazione condotta con il MEF.

L'Autorità nazionale anticorruzione prefigura nelle linee guida tutti gli elementi interpretativi risolutori dei dubbi sull'applicazione della legge n.

190/2012 e del d.lgs. n. 33/2013 alle società e agli altri organismi partecipati dalle amministrazioni locali, definendo in modo articolato e puntuale gli corruzione e trasparenza negli organismi dallo stesso partecipati.

La direttiva distingue tra le società controllate dal Ministero e quelle nelle quali la partecipazione è invece minoritaria, determinando una differente intensità degli assetti operativi sui due versanti.

Secondo gli indirizzi, le società controllate direttamente e indirettamente dal Ministero dell'economia e delle finanze, anche se dotate di un modello di organizzazione e gestione ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, devono adottare comunque misure idonee a prevenire gli altri fenomeni di corruzione e illegalità, alla luce delle previsioni contenute nella legge n.

190 del 2012. Tali misure, che devono fare riferimento a tutte le attività svolte dalle società controllate, costituiscono il "piano di prevenzione della corruzione della società", al quale deve essere data adeguata pubblicità, sia all'interno della società, sia all'esterno, con la pubblicazione sul sito web della società.

Nella direttiva del MEF viene ad essere preso in considerazione in modo particolare il rapporto tra il modello di organizzazione ex decreto 231 e piano di prevenzione della corruzione ex legge 190, con l'affermazione del presupposto per cui, nonostante l'analogia di fondo dei due sistemi, finalizzati entrambi a prevenire la commissione di reati, nonchè ad esonerare da responsabilità gli organi preposti, qualora le misure adottate siano adeguate, sussistono differenze significative tra i due strumenti e, a monte, tra i due sistemi normativi.

Negli indirizzi il MEF rileva che, quanto alla tipologia dei reati da prevenire, il decreto 231 ha riguardo ai reati commessi nell'interesse o a vantaggio della società o che comunque siano stati commessi anche e nell'interesse di questa (art. 5), diversamente dalla legge 190 che è volta a prevenire anche reati commessi in danno della società.

Inoltre, in relazione ai fatti di corruzione, il decreto legislativo 231 del 2001 fa riferimento alle fattispecie tipiche di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione, nonché alla corruzione tra privati, essendo fattispecie dalle quali, come già detto, la società deve trarre un vantaggio perché la stessa possa rispondere. La legge 190 del 2012 fa riferimento, invece, ad un concetto molto più ampio di corruzione,

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22 essere adottate dall'organo di indirizzo della società, individuato nel Consiglio di amministrazione o in altro organo con funzioni equivalenti (ad es. l'Amministratore unico).

L'Anac precisa che:

a) l'attività di elaborazione delle misure di prevenzione della corruzione ex lege n. 190/2012 non può essere affidata a soggetti estranei alla società (art. 1, comma 8 della stessa legge);

b) una volta adottate, ad esse viene data adeguata pubblicità sia all'interno della società, con modalità che ogni società definisce autonomamente, sia all'esterno, con la pubblicazione sul sito web della società (qualora la società non abbia un sito internet, sarà cura dell'amministrazione controllante rendere disponibile una sezione del proprio sito in cui la società controllata possa pubblicare i propri dati, ivi incluse le misure individuate per la prevenzione della corruzione ex lege n.

190/2012, ferme restando le rispettive responsabilità).

In base alla determinazione Anac n. 8/2015 Le società partecipate devono non solo sviluppare l'analisi del rischio, ma anche rivedere i propri modelli di controllo interno e i codici di comportamento.

In particolare, in coerenza con quanto previsto dall'art. 1, comma 9, della legge n. 190/2012 e dall'art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 231/2001, le società effettuano un'analisi del contesto e della realtà organizzativa per individuare in quali aree o settori di attività e secondo quali modalità si potrebbero astrattamente verificare fatti corruttivi.

Secondo l'Anac tra le attività esposte al rischio di corruzione vanno considerate in prima istanza quelle elencate dall'art. 1, comma 16, della legge n. 190 del 2012 (autorizzazioni e concessioni, appalti e contratti, sovvenzioni e finanziamenti, selezione e gestione del personale), cui si aggiungono ulteriori aree individuate da ciascuna società in base alle proprie caratteristiche organizzative e funzionali. Fra queste, a titolo esemplificativo, possono rientrare l'area dei controlli, l'area economico finanziaria, l'area delle relazioni esterne e le aree in cui vengono gestiti i rapporti fra amministratori pubblici e soggetti privati. Nell'individuazione delle aree a rischio è necessario che si tenga conto di quanto emerso in provvedimenti giurisdizionali, anche non definitivi, allorché dagli stessi adempimenti ai quali tali soggetti sono sottoposti, secondo la loro differente

configurazione giuridica e in base al diverso livello di controllo pubblico.

L'Anac focalizza l'attenzione in primo luogo sulle società in controllo pubblico, partecipate direttamente o indirettamente, tra le quali rientrano senza dubbio le società in house, chiarendo sia che la situazione di controllo deriva dal confronto con i parametri dell'art. 2359 del codice civile sia che per le stesse società l'obbligo di adottare le misure per la prevenzione della corruzione è ineludibile.

Nell'ambito dell'analisi l'Anac precisa che le società che hanno già adottato un modello organizzativo in base al d.lgs. n. 231/2001 lo devono adeguare alla legge n. 190/2012 e al PNA, dovendo considerare, in relazione alle situazioni di rischio, l'attualizzazione del quadro ordinamentale, determinata sia in termini generali con le modifiche alle norme in materia di corruzione (legge n. 69/2015) sia con riguardo a particolari discipline settoriali (legge n. 68/2015 sui reati ambientali).

Per le società che non hanno il MOG, le amministrazioni controllanti (quindi gli enti locali soci di controllo) devono assicurarsi che le stese adottino, così come le società partecipate di primo livello devono svolgere lo stesso ruolo di controllo e propulsivo nei confronti delle proprie controllate.

Sia nell'uno che nell'altro caso, le misure per la prevenzione della corruzione devono essere inserite nel documento illustrativo del modello 231 in un'apposita sezione e devono essere facilmente identificabili.

Queste misure devono fare riferimento a tutte le attività svolte dalla società ed è necessario siano ricondotte in un documento unitario che tiene luogo del Piano di prevenzione della corruzione anche ai fini della valutazione dell'aggiornamento annuale e della vigilanza dell'A.N.AC. Se riunite in un unico documento con quelle adottate in attuazione della d.lgs. n. 231/2001, dette misure sono collocate in una sezione apposita e dunque chiaramente identificabili tenuto conto che ad esse sono correlate forme di gestione e responsabilità differenti.

Le misure volte alla prevenzione dei fatti di corruzione ex lege n. 190/2012 devono essere elaborate dal Responsabile della prevenzione della corruzione in stretto coordinamento con l'Organismo di vigilanza e devono quindi

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23 l'inosservanza, cioè, può dare luogo a misure disciplinari, ferma restando la natura privatistica delle stesse. Al fine di assicurare l'attuazione delle norme del codice è opportuno: a) garantire un adeguato supporto interpretativo, ove richiesto; b) prevedere un apparato sanzionatorio e i relativi meccanismi di attivazione auspicabilmente connessi ad un sistema per la raccolta di segnalazioni delle violazioni del codice.

7.2. La connessione tra il sistema di prevenzione della corruzione e il sistema degli obblighi di trasparenza.

Il contrasto ai fenomeni corruttivi è sostenuto anche dalla soddisfazione del complesso di adempimenti in materia di trasparenza, per cui la determinazione n. 8/2015 prevede che per le società in controllo pubblico vi sia la necessaria applicazione delle norme del d.gs. n. 33/2013 secondo lo schema attuativo previsto dall'art. 11 dello stesso decreto: in tale prospettiva devono essere soddisfatti gli obblighi di pubblicità inerenti dati e informazioni afferenti all'organizzazione delle società, nonché quelli riguardanti le attività di pubblico interesse.

L'Anac peraltro precisa che le attività strumentali quali l'acquisto di beni e servizi o la realizzazione di lavori, oppure la gestione delle risorse umane e finanziarie sono anch'esse volte a soddisfare esigenze connesse allo svolgimento di attività di pubblico interesse e sono, pertanto, sottoposte agli obblighi previsti dalla normativa in materia di trasparenza.

Le società in controllo pubblico devono inoltre adottare il programma triennale per la trasparenza (evidenziandosi così la stretta connessione con il piano anticorruzione) e costituire sul proprio sito la sezione amministrazione trasparente.

Per le società in house l'Anac delinea invece un quadro applicativo degli obblighi sulla trasparenza del tutto conforme a quello per gli enti locali soci, senza alcun adattamento, poiché, pur non rientrando nel novero delle pubbliche amministrazioni in quanto organizzate secondo il modulo societario, esse sono affidatarie in via diretta di servizi e, pertanto, sono sottoposte ad un controllo particolarmente significativo da parte delle amministrazioni, costituendone nei fatti parte integrante.

risulti l'esposizione dell'area organizzativa o della sfera di attività a particolari rischi.

L'analisi, finalizzata a una corretta programmazione delle misure preventive, deve condurre a una rappresentazione, il più possibile completa, di come i fatti di maladministration e le fattispecie di reato possono essere contrastate nel contesto operativo interno ed esterno dell'ente. Ne consegue che si dovrà riportare una «mappa» delle aree a rischio e dei connessi reati di corruzione nonché l'individuazione delle misure di prevenzione. In merito alla gestione del rischio, rimane ferma l'indicazione, sia pure non vincolante, contenuta nel PNA, ai principi e alle linee guida UNI ISO 31000:2010.

L'analisi dei rischi deve quindi essere rapportata al concetto di corruzione inteso in senso ampio, come qualsiasi distorsione dell'attività che possa procurare vantaggi a fini privati.

In base alla determinazione n. 8/2015 la definizione di un sistema di gestione del rischio si completa con una valutazione del sistema di controllo interno previsto dal modello di organizzazione e gestione del rischio sulla base del d.lgs. n. 231/2001, ove esistente, e con il suo adeguamento quando ciò si riveli necessario, ovvero con l'introduzione di nuovi principi e strutture di controllo quando l'ente risulti sprovvisto di un sistema atto a prevenire i rischi di corruzione. In ogni caso, è quanto mai opportuno, anche in una logica di semplificazione, che sia assicurato il coordinamento tra i controlli per la prevenzione dei rischi di cui al d.lgs. n. 231/2001 e quelli per la prevenzione di rischi di corruzione di cui alla l. n. 190 del 2012, nonché quello tra le funzioni del Responsabile della prevenzione della corruzione e quelle degli altri organismi di controllo, con particolare riguardo al flusso di informazioni a supporto delle attività svolte dal Responsabile.

Le società devono anche integrare il codice etico o di comportamento già approvato ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 oppure adottano un apposito codice, laddove sprovviste, avendo cura in ogni caso di attribuire particolare importanza ai comportamenti rilevanti ai fini della prevenzione dei reati di corruzione. Il codice o le integrazioni a quello già adottato ai sensi del d.lgs. n 231/2001 hanno rilevanza ai fini della responsabilità disciplinare, analogamente ai codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni:

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24 Il dirigente nominato come responsabile della prevenzione della corruzione non dovrà avere conflitti di interesse e dovrà operare, per quanto possibile, in settori estranei a quelli a maggior rischio di corruzione.

L'Anac evidenzia inoltre come le funzioni del Rpc debbano essere svolte in coordinamento con quelle dell'organismo di vigilanza nominato in base al d.lgs. n. 231/2001 con riferimento al modello organizzativo-gestionale adottato.

Qualora l'Odv sia collegiale e preveda un componente interno, l'Autorità rileva l'opportunità che tale soggetto sia il dirigente che ricopre l'incarico di responsabile della prevenzione della corruzione.

Nelle società più piccole o comunque in quelle nelle quali l'organismo di vigilanza sia monocratico, la determinazione n. 8/2015 prevede che la figura del Rpc possa coincidere con l'Odv.

Anche nei casi di partecipazioni di secondo livello, il Rpc deve essere nominato, spettando in tal caso alla società controllante la vigilanza sull'effettiva attuazione dell'adempimento.

Dalle linee-guida esplicitate nella determinazione n. 8/2015 deriva una strutturazione del sistema di contrasto alla corruzione pienamente satisfattiva delle principali direttive d'azione definite dalla legge n. 190/2012 e dal PNA, tale anche da consentire lo sviluppo delle relazioni tra enti locali soci e società secondo codici organizzativi e parametri operativi condivisi ed utilmente confrontabili.

8. L'obbligo di adozione (tempestiva) dei piani anticorruzione da