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Le indicazioni di Platone e Aristotele

1. Apparenza e realtà

1.1. Le indicazioni di Platone e Aristotele

Ci soffermiamo brevemente sulle questioni sollevate da Pérez, nel momento in cui distingue l’ordine intenzionale – o dell’apparenza – dall’ordine reale, poiché esse assumono un posto centrale all’interno della dottrina logica e metafisica del gesuita navarrino e meritano di essere valorizzate dal punto di vista teoretico. La posizione di Pérez segue da vicino una convinzione che era già platonica, e successivamente aristotelica. Il nostro autore sembra affrontare a proprio modo i temi che percorrono alcune pagine importanti del Sofista di Platone, laddove lo Straniero di Elea e Teeteto

enim inclinatio nisi appetitum?Manifestum etiam est ipsa rationem convenientiae referri ad inclinationem, quae sit appetitus».

16 Ibi, p. 210a, n. 19: «Bonum enim apprehensum est bonum apparens, et bonum apparens est bonum apud eum cui apparet esse bonum. Apparentia enim bonitatis specialem rationem boni constituit et fieri non potest, ut aliquid appareat esse bonum, quin eo ipso aliquo modo sit bonum et consentaneum inclinationi illius, cui apparet esse bonum […] eum qui apprehendit aliquid esse bonum, statim inferre consequentiam practicam, qua iudicat, illud esse prosequendum amore. Ergo ratio boni apparentis in suo conceptu, includit saltem implicite convenientiam ad apprehendentem atque appetibilitatem».

17 Ibi, p. 210a-b, n. 20: «Mala apprehensa ut bona amantur a nobis; quippe sunt umbratica bona […]. Signum ergo est apparentia tribuire obiecto rationem aliquam convenientis aut disconvenientis […]. At in his eventibus tota ratio convenientiae et disconvenientiae est apparentia […] bonum apparens etiamsi cum est falsum, non sit solidum bonum tamen etiam quando est falsum, necessario induit aliquam rationem boni saltem diminutam et bonitas quamvis diminuta sit, bonitas est; quare necessario convenientiam habet cum aliquo appetitu».

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riflettono sul tema della verità della connessione tra soggetto e predicato e sulla necessità che il discorso sia sempre discorso-di-qualcosa (λόγος τινὸς). Il discorso è connessione di nome e verbo – convengono i due protagostisti del dialogo –, ma per sussistere, spiega lo Straniero, è necessario che sia referenziale. Tuttavia, ogni discorso deve possedere anche una certa determinazione qualitativa che Teeteto indica nella verità o falsità del discorso. Per questo, sia il discorso falso sia il discorso vero sono referenziali, sebbene solo il secondo dica che le cose sono come sono (τὰ ὄντα ὡς ἔστιν)18.

La proposta di Pérez intorno al tema della verità come affermazione, ci pare vada in questa direzione. Il piano intenzionale, infatti, è sempre referenziale, come la parola stessa esprime, sebbene sia sempre aperto alla possibilità della verità o della falsità, implicite nel giudizio. Il piano della realtà, invece, è il piano della verità (e, quindi, dell’unità e della bontà) propriamente ontologica. Questa è il criterio di verificazione di ciò che si situa nel piano intenzionale. Ciò che vero realmente è ciò che di per sé rende vera (verificat) l’affermazione che lo riguarda. Ora, per Pérez, questo vero non è un universale. L’universalità appartiene esclusivamente al piano intenzionale19, come si è

detto nel paragrafo precedente. Diversamente, verrebbe negata la distinzione tra universale e ciò che verifica l’universale, che è sempre qualcosa di individuale. Già Platone aveva esemplificato quel “qualcosa”, che fa da riferimento per il discorso, con un individuo come “Teeteto”20, sebbene gli studiosi non siano concordi nell’interpretazione complessiva di quei passaggi del Sofista21.

Più chiaro su questo punto è Aristotele che affronta il tema della connessione tra soggetto e predicato all’interno delle pagine di Metafisica Γ dedicate alla difesa del PDNC. Egli spiega, infatti, che nulla vieta che un certo soggetto, ad esempio “uomo”, possa subire più predicazioni diverse. Tuttavia, quando ci si interroga intorno all’essenza di quel soggetto, bisogna che innanzitutto si denoti quest’ultimo come

18 Cfr. PLATO, Sophista, 262d2-263b5.

19 ANTONIO PÉREZ S.J., De Deo uno, disp. 1, cap. 2, ms. cit., f. 11 (OP, n. 10, p. 3a): «ratio universalis vocatur ens intentionale, et dividitur in intelligibile vere, et intelligible falso, et volibile ex iuditio falso, et volibile ex iuditio vero».

20 PLATONE, Sophista, 263a2; 263a9. Gli esempi, di discorso vero e di discorso falso, portati da Platone sono i seguenti: ‘Teeteto siede’ e ‘Teeteto con il quale sto parlando in questo momento, vola’.

21 Si tratterebbe di capire, infatti, se il discorso platonico abbia come riferimento i generi ideali e insieme gli individui, che di quei generi partecipano, oppure anche le realtà sensibili prese in se stesse. In quest’ultimo caso, però, Platone rischierebbe di mettere in discussione la scientificità propria della filosofia per ridurre il referente primo di ogni discorso alle essenze individuali, oggetto di opinione piuttosto che di scienza.

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“uomo” e solo successivamente lo si connoti anche, ad esempio, come “bianco” o “grande”; e non vale dire che ciò che si denota come “uomo” è anche “non-uomo”, in quanto patisce predicazioni diverse da “uomo”. Questo tentativo di mostrare la non validità del PDNC viene immediatamente disinnescato da Aristotele facendo notare che “uomo” denota la sostanza e, dunque, il soggetto del giudizio, mentre ciò che è “non- uomo” appartiene semplicemente all’ambito accidentale e, quindi, al piano della connotazione espressa dai diversi predicati possibili di “uomo”. Coloro che tentano di identificare denotazione e connotazione o, in altri termini, soggetto e predicato, distruggono il τὸ τί ἧν εἶναι, ovvero l’essenza individuale, e con essa ogni possibilità di conoscere alcunché, poiché riducono tutto ad accidente22. D’altra parte, quando si esprime un giudizio, ad esempio “l’uomo è bianco”, si possono dare due casi. Nel primo caso esiste qualcosa del quale il soggetto “uomo” e il predicato “bianco” esprimono rispettivamente una denotazione e una connotazione. Si dice, quindi, che deve esistere qualcosa come un individuo-che-è-uomo-bianco, affinché si possa affermare con verità che “l’uomo è bianco”. Non si può, cioè, predicare il “bianco” di un “uomo non- bianco”, pena l’autocontraddizione. Nel secondo caso, invece, questo qualcosa come un individuo-che-è-uomo-bianco non esiste e, allora, dire “l’uomo è bianco” significa porre l’identità tra il significato “uomo” e il significato “bianco”, in quanto viene meno la mediazione dell’essenza individuale, grazie alla quale significati diversi convengono nel medesimo soggetto, mettendone in luce aspetti diversi.

Anche per Aristotele, dunque, è necessario che il discorso abbia sempre un referente, ossia un’essenza individuale (il τὸ τί ἧν εἶναι aristotelico) che, in termini pereziani, sia in grado di rendere vera (verificare) di per sé l’affermazione su di sé, pena l’insensatezza del discorso. Ed è necessario che tale referente sia un’essenza

22 ARISTOTELES, Metaphysica, IV, 1007a11-23: «Nulla vieta, infatti, che la medesima cosa sia e uomo e bianco e milla altre cose. Tuttavia, se gli si domanda se è vero dire che questa cosa è uomo oppure no, deve dare una risposta che significhi un’unica cosa e non deve aggiungere, per esempio, che l’uomo è anche bianco e grande. Infatti, è impossibile enumerare tutti gli accidenti, perché questi sono infiniti. E allora, o si debbono enumerare tutti quanti, oppure nessuno. Similmente, dunque, se anche la medesima cosa è uomo e mille altre cose diverse da uomo, colui al quale si domanda se questa data cosa è uomo, non deve rispondere che essa è uomo e che è, insieme, anche non-uomo; a meno che, rispondendo così, non aggiunga tutti gli altri accidenti: tutti quelli che ha e tutti quelli che non ha. Ma se fa questo, non può più discutere. In generale, poi, coloro che ragionano in questo modo, sopprimono la sostanza e l’essenza delle cose. Infatti, essi devono, di necessità, affermare che tutto è accidente e che non esiste l’essenza dell’uomo o l’essenza dell’animale». In fondo si tratta di una difesa apagogica del principio aristotelico secondo il quale “l’essere si dice in molti modi”.

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individuale, cioè un ente reale, nel quale convengono insieme l’uno, il vero e il bene reali.

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