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3. La logica e il suo oggetto formale

3.5. Note su verità ed evidenza

Affrontando il problema dell’oggetto formale della fede teologale, Pérez ha precisato che ogni conoscenza e affetto devono essere ricondotti a qualcosa di conosciuto in modo evidente o in modo certo90, dove la certezza e l’evidenza indicano,

come già sappiamo, modi diversi del sapere. Solo il certo o l’evidente possono essere oggetto formale di intelletto e volontà, poiché solo ciò che è certo ed evidente è capace di specificare la facoltà, permettendo di distinguerla dalle altre e perfezionandone l’atto.

87 Ibi, p. 285a, n. 21: «Omnes differentias affirmationis et negationis intellectivae posse accomodari affectibus voluntatis complexis; ut omittam sicut actus intellectus dividitur in complexum et in incomplexum, id est qui neque affirmat, nec negat, ita affectum voluntatisi dividi posse in incomplexum et complexum. Quapropter alius affectus erit affirmativus, alius negativus, alius particularisi, alius universalis, alius conditionatus, alius absolutus, etc. Hic magnus patebat campus percurrendos omnes affectus humanos per analogiam et proportionem ad affirmationem et negationes intellectus».

88 Cfr. ARISTOTELES, De anima, III, 7, 431a7-11. Pérez non manca di ricordare l’insegnamento aristotelico: ANTONIO PÉREZ S.J., De virtutibus theologicis, disp. 7, cap. 2, op. cit., OP II, p. 285a, n. 21: «Iuxta Aristotelis sicut se habet in intellectu affirmatio et negatio, ita se habeat in voluntate fuga et prosequutio».

89 ANTONIO PÉREZ S.J., De virtutibus theologicis, op. cit., disp. 7, cap. 2, OP II, p. 285a, n. 21: «Ad explicandos affectus humanus quaedam (ut ita loquar) logica affectiva non minus utilis, nec minus acuta quam illa rationalis excogitati et institui hac ostensa via posset».

90 Ibi, disp. 3, cap. 7, cap. , p. 243a, n. 73: «Respondeo non esse dubitandum, omnem cognitionem et affectum revocandum esse ad aliquid evidenter aut certo cognitum».

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Il probabile, invece, non potrebbe essere oggetto formale dell’intelletto e della volontà, poiché potrebbe rivelarsi anche impossibile e, quindi, incapace di muovere tali facoltà o di perfezionarne gli atti. Inoltre, l’assenso, sia esso dell’intelletto o della volontà, richiede sempre qualcosa di evidente91. È l’evidenza ad essere il fondamento dell’assenso sul piano naturale92. L’oggetto formale dell’intelletto, infatti, è sempre l’oggetto vero: affermazione che non potrebbe essere fatta se l’oggetto formale non fosse evidente o certo93.

Si può ulteriormente approfondire la questione dell’oggetto formale dell’intelligenza dicendo che essa può essere suddivisa, come in qualche modo già sappiamo, in apprensiva, da una parte, e giudicante (iudicativa) ovvero assenziente (assensiva), dall’altra. L’assenso, infatti, è sempre un affermare, cioè un giudicare. A questo proposito, si può dire che l’oggetto formale dell’intelligenza apprensiva è sempre qualcosa di visto in sé o per lo meno di conosciuto in senso quidditativo e non enigmatico94. Ciò che è visto in sé è ciò che è oggetto di conoscenza intuitiva, diversa dalla conoscenza quidditativa. Come noto, si tratta di una distinzione tipica del linguaggio scolastico. Il primo tipo di conoscenza prevede che la presenza, propria dell’atto del conoscere, sia assimilata alla presenza – nel senso della durata (duratio) nel tempo – dell’oggetto: fintanto che l’oggetto è realmente presente, dunque, deve permanere anche la presenza nell’intuizione95. La conoscenza intuitiva o visione sembra

appartere al senso e non all’intelletto: «il senso può vedere intuitivamente i propri oggetti singoli […] e, tuttavia, l’intelletto creato non vede intuitivamente i propri oggetti

91 Ibi, p. 243a, n. 73: «Quaestio ergo de nomine esse potest, an solum certum aut evidens dici debeat obiectum formale? In qua quaestione mihi placet dicere, solum illud esse obiectum formale, idque magis esse consentaneum communi modo loquendi. Communiter enim dicimus obiectum formale esse specificativum et derivare suam perfectionem in actum, quod de obiecto probabili dici non potest, cum accidere possit ut obiectum probabile sit chimaericum et impossibile: impossibile autem ut impossibile non potest suam derivare perfectionem, cum nullam habeat. Non autem differunt in modo movendi intellectum aut voluntatem obiectum probabile verum et impossibile. Deinde cum sempre requiratur ad assensum aliquod evidens […] recte dicitur illud esse obiectum formale».

92 Ibi, p. 243a, n. 73: «In naturalibus solum obiectum evidens potest esse fundamentum assentiendi». 93 Ibi, p. 243a-b, n. 73: «Semper obiectum verum esse obiectum formale: quod dici non posset, si obiectum formale non esset semper aut evidens aut certum».

94 Ibi, disp. 3, cap. 6, p. 238a, n. 45: «Aliud est obiectum formale intelligentiae apprehensivae, aliud est obiectum formale intelligentiae assensivae seu iudicativae. Obiectum formale intelligentiae apprehensivae semper est aliquid visum in se aut saltem quidditative cognitum et non per aenigmata».

95 Ibi, disp. 3, cap. 11, p. 256a, n. 7: «Cognitio quidditativa creaturae potest esse non intuitiva […] est autem de ratione intuitionis esse praesentem obiecto et assimilari obiecto praesentia, ergo si est cognitio adaequata intuitiva est adaequate praesens obiecto, ita ut praesentia essentialis obiecti, sive duratio, non sit maior quam praesentia et duratio ipsius cognitionis et intuitionis»; ANTONIO PÉREZ S.J., De

providentia Dei, op. cit., disp. 4, cap. 4, OP I, p. 340a, n. 47: «Intuitio petit existentiam realem sui

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intelligibili singoli»96. Ora, l’intuizione o visione è un atto metafisicamente evidente e ogni atto di tal fatta toglie il timore e il pericolo della falsità, non per una scienza estrinseca a colui che vede, ma per una scienza appartenente allo stesso vedente. Inoltre, l’oggetto evidente muove l’intelletto per se stesso indipendentemente dal consenso della volontà97. La conoscenza quidditativa, invece, non prevede l’esistenza attuale dell’oggetto – se non nel caso in cui l’oggetto sia Dio, nel quale essenza ed esistenza coincidono. Pérez considera questo tipo di conoscenza come la conoscenza più più perfetta98. Si tratta della conoscenza che riguarda la quidditas dell’oggetto, senza considerarne l’esistenza o la non esistenza, eccettuato il caso di Dio.

Al contrario, l’oggetto formale dell’intelligenza giudicante è ciò che è conosciuto innanzitutto per assenso o come causa dell’assenso, o per un influsso immediato dell’oggetto nell’assenso o mediante un discorso, per lo meno virtuale99. Su questa definizione piuttosto elaborata dovremo tornare in seguito. La sua portata la si capirà meglio quando parleremo dell’esistenza dell’Io e della sua inaggirabilità e innegabilità.

In generale, si sarà notato senz’altro che tra evidenza e verità si dà un legame molto stretto. L’atto non si può dire “evidente” se non ne è evidente la verità, ma la verità a sua volta non è evidente se non è evidente il complesso (complexio) di tutte le parti dell’oggetto, che è tale per un’unione enunciativa, ovvero per un’unione di tipo apofantico. La verità dell’atto, infatti, non è la verità di una o dell’altra o di quasi tutte le parti dell’oggetto affermato, ma è la verità o l’esistenza di tutte le parti, nessuna esclusa. Essa coincide con l’intero o anche con il complesso che risulta da tutte le parti

96 ANTONIO PÉREZ S.J., De visione Dei, disp. 2, cap. 2, op. cit., p. 43a, n. 111: «Sensus potest videre intuitive singula sua obiecta […], et tamen non potest intellectus creatus videre intuitive singula sua obiecta intelligibilia».

97 ANTONIO PÉREZ S.J. De virtutibus theologicis, disp. 3, cap. 8, op. cit., p. 246a, n. 8: «Visio et omni actus evidens metaphysice tollit penitus formidinem et periculum falsitatis, non per alienam, sed per propriam scientiam videntis, nam per seipsum obiectum scibile movet intellectum ad depulsionem formidinis independenter a consensu voluntatis».

98 Ibi, disp. 3, cap. 9, p. 253a, n. 45: «De ratione perfectae cognitionis est esse notitiam quidditativam obiecti, quae enim non est talis est imperfecta sicut et quaevis alia fundata in ipsa. Non potes autem respectu Dei dari cognitio quidditativa, quae non sit intuitiva Dei, cum existentia sit Deo essentialis. […] Possumus enim obiectum creatum cognoscere quidditative, quin illud intrinsece cognoscamus, et ita habitus seu species repraesetans quidditative creaturam, potest abstrahere ab existentia et intuitione». 99 Ibi, disp. 3, cap. 6, p. 238b, n. 46: «Rursus obiectum formale intelligentiae assensivae est illud, quod est primo cognitum per assensum et causa assentiendi, vel immediato influxu obiecti in assensum vel mediante discursu, saltem virtuali».

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dell’oggetto affermato. Inoltre, la verità e l’evidenza si devono riferire allo stesso oggetto, quindi si implicano vicendevolmente100.

Il tema della verità ci accompagnerà nel corso di tutta la nostra indagine ed è il segno che la presenza di Agostino nel pensiero pereziano è qualcosa di essenziale che ricorre in ognuna delle questioni che affronteremo.

100 Ibi, pp. 243b-244a, n. 3: «Actus non dicitur evidens, nisi eius veritas sit evidens. Veritas autem actus non est evidens, nisi evidens sit complexio omnium partium obiecti per unionem enunciativam. Veritas enim actus non est veritas unius aut alterius aut fere omnium partium obiecti affirmati, sed veritas seu existentia omnium et integritas illa seu complexio, quae resultat ex omnibus partibus obiecti affirmati […] veritas autem et evidentia ad idem referri debent».

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