• Non ci sono risultati.

Sostanza e Io nel De incarnatione Verbi divini (1644-1645)

1. La sostanza è l’Io

1.2. Sostanza e Io nel De incarnatione Verbi divini (1644-1645)

Nel corso dedicato all’incarnazione del Verbo divino, tenuto al Collegio Romano nell’anno 1644-1645, Pérez deve ritornare necessariamente sul tema della sostanza, per spiegare in quale modo le due nature, divina e umana, possano coesistere nello stesso individuo sostanziale, ma soprattutto quale rapporto vi sia tra “sostanza” e “persona”. Questa circostanza permette al gesuita navarrino di ampliare il discorso già avviato nei corsi giovanili, attraverso un approfondimento di tipo storico e teoretico che porta a compimento un percorso per certi versi ormai abbondantemente delineato e che si situa, per molti aspetti, in riferimento alla riflessione di Agostino sull’Io38.

37 Ibi, p. 214b, n. 45: «Nam suppositum intellectivum perfectam habet rationem finis et dignum est, cuius gratia coetera fiant. Ipsum autem est gratia sui. Pollet enim libero arbitrio, et liber est, qui est gratia sui. Habet enim dominium. At suppositum non intellectivum non habet perfectam rationem finis, sed valde diminutam. Non enim est dignum, ut ultimo gratia sui fiat et naturaliter servit intellectivo, et subiecet eius dominio. Natura enim intellectiva naturaliter imperat irrationali, tanquam eius finis et domina. Excedit ergo suppositum intellectivum supposita non intellectiva in genere suppositi. Pater ergo evidenter, suppositum intellectivum esse praestantius absolute supposito non intellectivo. Praesertim cum suppositum intellectivum sit persona et alterum non sit persona, quod est vilissimum, quia in supposito non esse personam est quasi nihil esse».

38 Recentemente, si è messo in luce, soprattutto in area francese, l’importanza della riflessione sull’Incarnazione per la costituzione del soggetto moderno e di una via diversa dalla metafisica aristotelica dell’ente, che metterebbe capo ai Padri Greci e a Agostino. Si pensi agli scritti di J.-L. MARION, Au Lieu de soi. L’approche de saint Augustin, PUF, Paris 2008; A.DE LIBERA, Augustin et la

question du sujet, in ID., (ed.), Après la métaphysique: Augustin? (“Actes du colloque inaugural de l’Institut d’Études Médiévales de l’Institut Catholique de Paris, 25 juin 2010”), Vrin, Paris 2013, pp. 13-

122

Pérez ricorda che dell’ente sostanziale o dell’ente per se si possono dare due tipi di definizione. Il primo tipo è logico. Esso coinvolge uno dei modi della predicazione per se e le seconde intenzioni. Aristotele aveva fornito un esempio di tale definizione negli Analitici secondi, all’interno della classificazione dei diversi modi dicendi per se. In particolare, Pérez cita la definizione del terzo modo:

dico “per sé” ciò che non si dice di un soggetto che sia altro: per esempio colui il quale cammina è camminante essendo qualcos’altro e così pure il bianco; invece la sostanza, cioè quelle cose che significano “questo qualcosa”, sono quel che sono senza essere qualcos’altro. Dico allora “per sé” le cose che non si dicono di un soggetto e accidenti quelle che si dicono di un soggetto39.

Una tale definizione non è accettabile per Pérez, se non a patto di introdurre una precisazione sulla quale torneremo a breve. Il criterio del dirsi o non dirsi di altro per discernere rispettivamente l’accidente dalla sostanza va incontro a un vicolo cieco. L’anima, ad esempio, è sostanza e, in astratto, è qualcosa che non si dice di altro, ma solo di se stessa. Eppure quando si considera l’anima in unione con la materia del soggetto, essa si dice “di altro”, ovvero si dice “anima del soggetto”, benché non sia un accidente. Questo perché, come Pérez spiega in modo molto chiaro, la materia animata del soggetto – ad esempio, la materia animata del cavallo – è la stessa anima del cavallo40, rimuovendo così alla radice qualsiasi tentazione dualistica.

41. La posizione pereziana mostra, al contrario degli studi citati – viziati, a nostro avviso, da una qualche unilateralità – che la metafisica agostiniana, non è incentrata esclusivamente sull’ego, ma sull’ego in quanto analogato principale dell’ente in quanto ente. Per questo non può essere posta in alternativa con la metafisica aristotelica della sostanza. Per l’approdondimento di questo nodo teorico, si vedano le prossime pagine. È interessante, però, che uno dei luoghi principali nei quali Pérez tratta più diffusamente il tema dell’Io come analogato principale della sostanza aristotelica sia proprio il corso sull’Incarnazione del Verbo divino. Su questo si può essere certamente concordi con gli studi citati poc’anzi. Si può ricordare, qui, anche il testo di R.CROSS, The Metaphysics of the Incarnation, Oxford University Press, Oxford 2005, nel quale viene approfondito il dibattito sull’Incarnazione da Tommaso d’Aquino a Duns Scoto, soprattutto nei suoi aspetti metafisici.

39 ARISTOTELES, Analytica Posteriora, I, 4, 73b5-10. ANTONIO PÉREZ S.J., De incarnatione Verbi divini (d’ora in poi De incarnatione), disp. 1, cap. 1, OP II, p. 311, n. 1: «primo substantia definiri solet logice, seu relatione facta ad modum praedicandi et per terminos secundae intentionis. Sic difenitur ab Aristetele I Poster[iorum analyticorum] textu 9: Ens substantiale, seu per se, dicimus (inquit Aristoteles) quod non

de subiecto alio dicitur ullo; ambulare enim aliquid aliud est, quam id, quod ambulans est, et item esse album. At substantia et quaecumque aliquid significant, non sunt aliud, quam id, quod sunt: ea igitur, quae de subiecto non dicuntur, per se; ea vero, quae de subiecto dicuntur, accidentia dic».

40 ANTONIO PÉREZ, De incarnatione, disp. 1, cap. 1, op. cit., OP II, p. 311, n. 1: «Haec autem definitio et explicatio primo aspectu videtur manifeste falsa. Nam anima equi, v.g. non est accidens et tamen de subiecto aliquo dicitur tanquam de alio. Licet enim in abstracto sumpta solum de ipsa dicatur […], tamen sumpta in concreto, id est animatum, de materia dicitur. Materia enim equi animata est anima equi. Ergo sicut albedo sumpta in concreto, id est album, dicitur de alio subiecto, ita anima equi dicitur de materia

123

Come si è visto, nelle intenzioni di Aristotele, il terzo modo dicendi per se dovrebbe riguardare proprio la sostanza prima. Tuttavia, questo modo è rifiutato da Pérez perché non è in grado di distinguere correttamente la sostanza dall’accidente. Vi sono, infatti, sostanze che si dicono di altro; dunque il “non essere detto di altro” non è un criterio corretto per connotare la sostanza prima. La presa di distanza da Aristotele su questo punto ha un’importanza piuttosto rilevante. Essa indica, infatti, la necessità di ripensare il concetto di sostanza, non in senso atomistico, ma relazionale. Del resto, la questione del composto umano mette a tema l’intrinseca relazionalità tra l’anima e la materia corporea.

Pérez discute anche la definizione metafisica di sostanza, presente nel Libro Z della Metafisica aristotelica. In questo luogo, e precisamente nel primo capitolo, Aristotele definisce la sostanza come ciò che è «primariamente ente (πρώτως ὂν)»41, espressione che nella traduzione latina medievale diviene primo ens. Pérez ricorda anche che, nello stesso Libro Z, Aristotele evoca la sostanza come ciò che è «primo soggetto (τὸ

ὑποκείμενον πρw'τον)»42, espressione che nella versione latina medievale equivale a

primum subiectum; sebbene, per il gesuita navarrino, anche questa definizione risulti falsa, perché sembra comportare la riduzione della sostanza alla materia prima43.

Se, poi, si volesse interpretare il “soggetto primo” o “sostrato primo” aristotelico nel senso del “soggetto” o “sostrato attuale”, dicendo che il soggetto deve sempre contenere un principio informativo che tolga l’indifferenza propria della materia, determinandola e attualizzandola44, ciò comporterebbe il considerare come accidenti alcuni princìpi formali della sostanza corporea che non sono riducibili né alla materia

equi tanquam de alio subiecto, ac proinde utraque erit accidens iuxta Aristotelis definitionem; quod est manifeste absurdum».

41 ARISTOTELES, Metaphysica, VII, 1, 1028a30-31: «Così che l’essere primo, non questo o quel modo di essere, ma ciò che è semplicemente, sarà la sostanza». ANTONIO PÉREZ S.J., De incarnatione, disp. 1, cap. 1, op. cit., OP II, p. 311b, n. 2: «Secundo potest definiri substantia metaphysica definitione non involvente relationem ad modum dicendi et hoc modo illam definivit Aristoteles 7 [Metaphysicorum] cap. 1, dicens, substantiam esse primum quod est primo ens».

42 ARISTOTELES, Metaphysica, VII, 3, 1029a1-2: «Il sostrato è ciò di cui si predica ogni altra cosa, ma esso non è predicato più di alcun’altra».

43 ANTONIO PÉREZ S.J., De incarnatione, disp. 1, cap. 1, op. cit., OP II, p. 311b, n. 2: «Et cap. [3] dicit substantiam esse primum subiectum. At hoc videtur esse falsum. Nam inde fieri videtur, solam materiam primam esse substantiam in corporibus. Nam ipsa sola est primum subiectum. ».

44 Ibi, pp. 311b-312a, n. 2: «Quod si respondeas, Aristotelem nomine subiecti primi intellexisse subiectum actuale continens principium formale, seu activum et non mere potentiale, seu pure passivum. Unde sit cum materia prima sit ens pure passivum, aut certe non activum actus informativi determinativi indifferentiae subiecti passivi ad varias species compositi, ac proinde pure passivum actuum formalium non esse solum materiam primam, aut substantiam, sed etiam formam et compositum ex materia et forma, quod vocatur natura perfecta».

124

prima né alla forma sostanziale: 1) la personalitas e la suppositalitas, che seguono il composto di materia prima e forma sostanziale; e 2) tutte quelle disposizioni che si aggiungono alla materia prima e che precedono l’avvento della forma sostanziale rendendolo possibile.45

Che si possa dare una definizione logica e una definizione metafisica di sostanza, non è oggetto di discussione da parte di Pérez. La questione riguarda, invece, il modo corretto di intendere logicamente e metafisicamente l’espressione ens per se. Pérez comincia dalla riformulazione della definizione logica di sostanza, premettendo che tutto ciò che è intelligibile può essere significato in recto o in obliquo, ossia rispettivamente come soggetto o come predicato di una proposizione. Se non che, il gesuita navarrino riconosce che vi sono delle res che primariamente e per natura (primo et naturaliter) sono concepite in recto attraverso un principio di intelligibilità (ratio intelligendi) e altre cose che, pure per natura, sono concepite in obliquo, cioè sempre in relazione a ciò che è concepito in recto.46

L’esperienza attesta, ad esempio, che per parlare della dolcezza in senso astratto è necessario innanzitutto partire “da ciò che ha la dolcezza”, cioè dal concreto, e da questo risalire alla definizione dell’astratto, significando in recto, ma solo in seconda battuta, anche ciò che inizialmente può essere solo significato in obliquo, ossia la “dolcezza”. Per Pérez, il primo concepibile è ciò che è significato concretamente e in recto, mentre ciò che è significato per natura in obliquo è l’astratto. Quest’ultimo, poi, potrà essere definito a propria volta, e a quel punto verrà significato in recto e non relativamente a qualcos’altro47. La questione può essere esemplificata ancora meglio

45 Ibi, p. 312a, n. 3: «Sed contra hanc responsionem duae sunt difficultates. Prima, quod hinc saltem sequeretur solam naturam compositam ex materia et forma in corporibus esse substantiam, personalitatem vero, et suppositalitatem omnem, quae hanc naturam tanquam subiectum actuale subsequitur, esse accidens; quod est absurdum. Secunda difficultas est, quod antequam adveniat forma, quam vocant substantialem, praecedunt dispositiones, quae sunt actus informativi; et quaedam illarum […] sunt principium activum multorum effectuum. Ergo iuxta datam solutionem ipsa forma substantialis non erit substantia, sed solum compositum ex materia et dispositionibus praecedentibus».

46 Ibi, p. 312a, n. 1: «Suppono nullam esse rem intelligibilem, quam non possimus pro arbitrio in recto, aut in oblieuqo nominibus significare, ac proinde concipere conceptu recto, aut obliquo, quem nomen in recto, aut in obliquo positum explicat, sed tamen esse quasdam res, quae in prima, naturali et optima intelligensi ratione intelliguntur a nobis aspectu recto, alias vero aspectu obliquo relatione facta ad illus, quod naturaliter est rectum et ipsis unitum».

47 Ibi, p. 312a-b, n. 1: «Hoc ita se habere perspicuum est; nemo enim primo sentiens et sensu intelligens dulcedinem primo dixit, dulcedo, sed dulce, id est habens dulcedinem. Postea vero possumus pro nostro arbitrio illud concretum dissolvere et formare nomen dulcedo, quam definimus dicentes: dulcedo est, qua aliquid est dulce. Haec est notissima dulcedinis definitio. Si autem non conciperemus prius dulce, quam

125

considerando la peculiare situazione dell’Io. Colui che guarda a se stesso e ai propri atti intenzionali, non può che significare l’Io al caso retto, significando, invece, in obliquo l’atto di intellezione o giudizio (locutio).48 Come si diceva precedentemente, l’Io è oggetto di significazione in recto perché è il punto di riferimento degli atti intenzionali, senza il quale questi ultimi non esisterebbero. L’Io indica concretamente colui che intende e giudica (loquens). L’Io e tutto ciò che è significato per natura come rectum sono precisamente ciò che fa da sostrato, cioè da soggetto, al discorso e alle predicazioni49; ma affinché si abbia discorso e predicazione è necessaria la presenza di un Io. Dunque, ogni res che è soggetto all’interno di qualunque discorso e di qualunque predicazione prevede un Io che esprima quel discorso e quella predicazione. Insomma, l’analogato principale dell’ὑποκείμενον aristotelico è l’Io, senza il quale non si dà alcun discorso e alcuna predicazione. Certo, come dice Aristotele, ciò che è ente di per sé (ens per se) o sostanza (substantia) è ciò che non si dice di alcun altro soggetto (subiectum); e tuttavia questo soggetto va inteso come ciò che è soggetto delle predicazioni e delle denominazioni intrinseche; ma questo è esattamente ciò che Pérez intende col termine latino rectum. Quest’ultimo indica ciò che è significato primariamente e per natura in recto, ossia ciò che è significato per natura e in senso primario come soggetto all’interno di un giudizio, quindi al caso nominativo50.

È senz’altro utile far notare che l’operazione pereziana di rilettura della dottrina aristotelica della sostanza non è contraria al pensiero del filosofo greco. Nella Fisica, parlando del divenire, Aristotele definisce l’ὑποκείμενον – in modo inusuale rispetto alle altre opere – come «ciò che viene manifestato con l’affermazione»51. Questa definizione potrebbe essere interpretata in due modi, considerando innanzitutto che qui Aristotele sta parlando non di un sostrato qualunque, ma del sostrato dei sostrati. In un

dulcedinem in abstracto et recto inepte definiretur dulcedo per dulce. Res enim nos definire solemus per ea quae notiora sunt et prius concipiuntur».

48 Ibi, p. 312b, n. 1: «Pariter quando quis nostrum primo omnium convertit aspectum ad seipsum et ad suas operationes intellectivas, se nominat pro nomine mentali Ego, seu conceptu, quem exprimit pronomen Ego; cuius vocis rectum non est ipsa intellectio et loquutio, quamvis eas in obliquo significet, sed ipse loquens et intelligens».

49 Ibi, p. 312b, n. 1: «Ita igitur aio rectum ordinem cognoscendi postulare, ut substantia et quod est suppositum a parte rei, sit etiam suppositum orationis et praedicationis».

50 Ibi, p. 312b, n. 1: «His suppositis dico quando Aristoteles docet ens per se seu substantiam esse id quod de nullo alia dicitur subiecto, intelligendum esse de subiecto praedicationum et denominationum intrinsecarum quod est tale, secundum propriam, naturalem et optimam intelligendi rationem. Tale autem est id quod naturaliter et primo est rectum».

126

primo modo, è ὑποκείμενον ciò che è soggetto o sostrato delle predicazioni; ma, in un secondo modo più radicale, si potrebbe anche intendere che ciò che è manifestato con l’affermazione è lo stesso affermante, cioè l’Io. Queste due interpretazioni sono esattamente i modi nei quali Pérez pensa alla sostanza. Il primo modo, però, risulta secondario rispetto al secondo. È, infatti, l’Io ad essere ὑποκείμενον in senso pieno, ovvero sostrato dei sostrati, poiché è questo il luogo nel quale le cose sono presenti al modo dell’affermazione. Le cose sono presenti all’Io come affermate, poiché la presenza per Pérez si dà propriamente in forma apofantica.

Al contrario della sostanza, che è sempre significata al caso retto, l’accidente è sempre significato al caso obliquo, poiché è sempre in relazione con ciò che si trova al caso retto. L’accidente è detto anche “ente indeterminato” (ens interminatum), poiché l’intelletto nel conoscere non può fermarsi ad esso, ma cerca sempre di spingersi più in là per giungere al fondo, come avviene per l’occhio che, di fronte al trasparente, cerca la superficie colorata e luminosa, cioè ciò che è opaco. La sostanza è, dunque, il fondamento degli intelligibili (fundamentum intelligibilium), come l’opaco è il fondamento delle cose visibili52.

Si potrebbe obiettare che la situazione dell’Io è semplicemente un caso particolare della sostanza in senso generale e che esso non rappresenta, per Pérez, l’analogato principale intorno al quale costruire una dottrina dell’ente per se. A noi pare, invece, che per rispondere all’obiezione sia sufficiente ciò che si è fin qui rilevato a partire dai testi. Tuttavia, Pérez si è espresso in modo molto chiaro su questa questione proprio nelle pagine del De incarnatione che stiamo analizzando.

In ciascuno di noi la sostanza propria non è nient’altro che ciò si suole significare col pronome “Io”, ma quello stesso è ciò che per natura è rectum in noi. Sembra, infatti, manifesto che nelle altre cose ciò che è sostanza corrisponde in modo

52 ANTONIO PÉREZ S.J., De Incarnatione, disp. 1, cap. 3, op. cit., OP II, p. 312b, nn. 1-2: «Accidens est id quod nec partialiter quidem est rectum secundum naturalem intelligendi rationem, sed obliquum, vel modus obliqui respectu illorum omnium, quae cum ipsi unita sint, naturaliter sunt rectum. […] Ex dictis fit, accidens respectu nostri intellectus esse ens interminatum, in quo non potest primo firmari noster intellectus et esse simile diaphano, seu perspicuo interminato, lumine et speciebus impressis illustrato, in quo numquam figitur visio oculorum, sed ulterius progreditur usque ad superficiem opaci lucentem et coloratam, tanquam ad perspicuum terminatum et fundamentum visibilium. Pariter substantia videtur esse basis et fundamentum intelligibilium, tale enim est rectum».

127

proporzionale [proportionaliter] al significato del pronome “Io” e a ciò che una qualsiasi cosa significherebbe col pronome “Io”, se avesse l’intelletto.53

Ora, l’avverbio proportionaliter mette in luce che tutto ciò che non è Io, pur significando in recto, è sostanza in senso analogico, cioè proporzionale, rispetto alla sostanza intelligente. Di nuovo, possiamo rilevare che è lo spirituale ad essere il criterio e la misura di tutto ciò che spirituale non è. Troviamo in queste pagine la sintesi di dottrine che abbiamo già analiticamente introdotto e studiato nelle opere precedenti al De incarnatione. La sintesi in parola è espressa da Pérez nel modo seguente:

Ogni natura intellettiva è sostanza, per cui qualsiasi natura intellettiva, per lo meno completa, per natura e secondo il primo aspetto, è nominabile da sé con il pronome dimostrativo “Io”; poiché il pronome implica la sostanza, come già detto, è

in recto e – in maniera indubitabile, come suo significato principale in recto – implica

lo stesso parlante e lo stesso intelligente in senso formale, cioè la natura intellettiva. Quindi: o la natura intellettiva è tutta la sostanza o per lo meno è parte principale della sostanza54.

Siamo di fronte alla costituzione del soggetto in senso moderno. La sostanza o soggetto è ciò che è propriamente capace di dire “Io”. Questa capacità è indice, come si è già precedentemente spiegato, di una riflessività che le nature non intellettuali non possiedono: motivo per il quale non possono essere sostanze se non in senso analogico. Pérez esprime la natura della sostanza con il termine “fondamento” (fundamentum), vedendo nell’accidente il “fondato” (fundatum)55. “Fondamento” indica qui un altro dei tratti peculiari della sostanza, già messi in luce fin dal corso sulla Fisica aristotelica: la permanenza nel flusso del divenire. Poiché la sostanza è fondamento e rectum essa è un ente permanente e stabile (ens permanens et fixum). Caratteristica del fondamento è, infatti, di essere alcunché di non momentaneo, secondo un’osservazione sulla sostanza

53 Ibi, p. 313a, n. 3: «in unoquoque nostrum substantia ipsius nihil aliud est, quam id, quod significari solet pronomine Ego, at illud ipsum est quod naturaliter est rectum in nobis. Videtur autem manifestum in caeteris rebus id esse substantiam, quod respondet proportionaliter significato pronominis Ego et quod unaquaeque res significaret pronomine Ego, si intellectum haberet».

54 Ibi, p. 313a, n. 5: «Infertur […] omnem naturam intellectivam esse substantiam, qua quaelibet natura intellectiva saltem completa naturaliter et secundum primum aspectum est nominabilis a se pronomine demonstrativo Ego, quod pronomen importat substantiam, ut iam dictum est in recto et indubitanter tanquam suum praecipuum significatum in recto importat ipsum loquentem et intelligentem formaliter, id est naturam intellectivam. Ergo vel natura intellectiva est tota substantia, aut saltem est pars praecipua substantiae».

55 Ibi, p. 313b, n. 8: «Rectum naturaliter ex communi hominum conceptione se habet instar basis et fundamenti accidentium et obliquorum, et accidens est quasi fundatum et incumbens huic fundamento».

Documenti correlati