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All’inizio vi era il Salon Attualità di Diderot salonnier

Esposizioni e svolta performativa Per una fruizione creativa

3. All’inizio vi era il Salon Attualità di Diderot salonnier

Secondo la Fischer-Lichte, l’estetica del performativo ha per oggetto

il superamento di opposizioni rigide e la loro conversione in differenziazioni dinamiche. Siamo soliti considerare l’operare con coppie concettuali dicotomiche come espressione di un modo di procedere razionale, che è corrispondente al disincantamento (Entzauberung) del mondo operato dall’illuminismo, ed è capace di descriverlo efficacemente. Per questa ragione possiamo considerare il progetto dell’estetica del performativo, che fa collassare tali coppie concettuali dicotomiche e argomenta con un tanto-quanto invece di applicare un aut-aut, come una restituzione dell’incantesimo del mondo: una restituzione che è in grado di trasformare in soglia i confini postulati nel XVIII secolo (Fischer-Lichte 2004, p. 350).

È sufficiente però sfogliare qualche pagina dei Salons di Diderot o consultare qualche voce del lessico pittorico o del lessico teatrale dell’Encyclopédie per rendersi conto che questa concezione razionalistica e dualistica dell’Illuminismo si presta a non poche obiezioni. Basti ricordare che la filosofia di Diderot si inserisce all’interno di una antropologia materialistica, fondamentalmente anticartesiana e antidualistica, che si basa su una idea di uomo come unità di corpo e pensiero; una antropologia materialistica che molte voci dell’Enyclopédie, di argomento artistico e di argomento scientifico, hanno contribuito a sviluppare. A ciò va aggiunto che uno dei capisaldi dell’estetica di Diderot è che l’arte mostra al fruitore la vita, nei suoi aspetti più materialistici; in tal senso le tecniche degli artisti diventano delle strategie operative che esprimono l’energia vitale della natura che l’uomo percepisce mediante l’esperienza sensibile.

Per ciò che riguarda più direttamente il tema in questione, se è vero, come dimostra chiaramente Antonello Negri in L’arte in mostra. Una storia delle esposizioni, che i Salons costituiscono la prima forma organizzata di esposizione – in cui a essere messe in mostra erano le opere degli artisti membri dell’Académie royale de peinture

et de sculpture, e degli “accettati” (agrés) – è anche vero che i resoconti dei Salons

per mano di Diderot costituiscono la prima forma di riflessione sul carattere “espositivo”

5 V. a questo proposito (ed. Vassallo 2003). In particolare sulla questione estetica della fruizione contemplativa: (Bodei 2003, pp. 163-168); (Costa 2003, pp. 169-177).

del Salon stesso, e sull’esperienza che lo spettatore ne faceva (Negri 2011, pp. 5-43; Strukelj & Zanella 2013).

Non è un caso dunque che la scrittura ekphrastica sia la restituzione non tanto di dipinti in sé, quanto dell’esperienza sensibile, emotiva, immaginativa e di rammemorazione che compie Diderot sia davanti a essi come davanti alle sculture esposte (in praesentia dell’opera), sia successivamente a casa, nel suo studio (in

absentia dell’opera). La scrittura ekphrastica testimonia a una tempo l’effettivo incontro

con l’opera e l’elaborazione successiva all’esperienza fruitiva in loco; l’azione provocatoria dell’opera continua anche quando Diderot è uscito dal Salon Carré del Louvre e si trova a casa, seduto alla sua scrivania. L’opera presenta una tale ricchezza di senso che l’esperienza de visu appare necessaria ma non sufficiente; paradossalmente, per poterne esplorare aspetti o strati semantici non percepiti da subito, dobbiamo far appello alla nostra memoria e alla nostra immaginazione.

A nostro avviso non è un caso che l’espressione “mise sur scène” sia utilizzata per la prima volta da Diderot nell’importante Salon del 1765, come ricorda la stessa Fischer-Lichte (Fischer-Lichte 2004, p. 316). L’esperienza dell’opera dipende dalla

posizione che gli viene assegnata dal tapissier (compito esercitato diverse volte dal pittore Chardin) – vicina o lontana dallo spettatore, vicina o lontana da altri dipinti coi quali si intreccia un rapporto spesso agonistico –, dalla luce che la illumina, e che varia a seconda delle ore del giorno, oppure dalla presenza di altri fruitori, di cui Diderot riporta stralci di conversazioni e comportamenti.

In tal senso, l’azione che l’opera esercita sullo spettatore sembra andar ben oltre l’estetica dell’effetto saldamente radicata nella cultura del tempo. L’opera diventa un quasi-soggetto, per utilizzare una felice espressione del fenomenologo Mikel Dufrenne, che provoca lo spettatore, tanto da fargli dire: «opera che vuoi da me?». La teatralizzazione dei Salon passa dunque attraverso una trasfigurazione dell’oggetto in “attore”, che agisce sullo spettatore e che fortemente contribuisce alla sua trasformazione.

Non dovremmo poi dimenticare che per Diderot i Salon si inserivano all’interno di un progetto di diffusione della cultura e di sottolineatura della sua importanza all’interno della costruzione dell’identità del singolo e della collettività; vi è dunque un rapporto molto stretto tra l’impresa culturale dell’Encyclopédie e l’attività di salonnier di Diderot; in entrambi i casi si tratta di incidere profondamente sulla visione del tempo, di trasformarla, rivolgendosi a un pubblico ampio, e non solo a una élite di esperti o di amatori.

Concludendo, si potrebbe affermare che il carattere performativo è inscritto nella nascita stessa dell’esposizione e che la storia delle esposizioni può essere considerata come il percorso genetico di un’idea – il più delle volte implicita – di “messa in scena”,

di spettacolarizzazione e di esperienza estetica dell’arte; di attivazione di tutto il suo potenziale performativo al fine di provocare una trasformazione del sé e del mondo.

L’autrice

Rita Messori è Professore Associato di Estetica presso l’Università degli Studi di Parma. I suoi interessi vertono principalmente sul legame tra estetica e tradizione poetico-retorica e sull’estetica del paesaggio. Segnaliamo i volumi più recenti: Un’etica della parola: tra Ricoeur e Dufrenne (Palermo 2011); Poetiche del sensibile. Le parole e i fenomeni tra esperienza estetica e figurazione. Ricoeur, Dufrenne, Merleau- Ponty, Maldiney (Macerata 2012); La descrizione animata. Arte, poetica e materialismo sensibile in Diderot, (Pisa 2017); Diderot e l’estetica della figura. Saggio sul Nipote di Rameau (2017). Ha curato il volume (insieme a M. Mazzocut-Mis) Actualité de Diderot. Pour une nouvelle Esthétique (Paris 2016).

Riferimenti bibliografici

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Vassallo, S (ed.) 2003, Arte tra azione e contemplazione. L’interattività nelle ricerche artistiche, ETS, Pisa.