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L’ INNOVAZIONE TECNOLOGICA

Nel documento I paesaggi nelle campagne di Roma (pagine 51-55)

il processo di “urbanizzazione” e di “rururbanizzazione”, la Politica Agricola Comune.

L’ INNOVAZIONE TECNOLOGICA

Dall’inizio del XX secolo l’introduzione della macchina ha prodotto una prima mutazione profonda del paesaggio agrario, che sino a quel momento era apparso come

una serie di quadri diversi tra di loro, ma sostanzialmente immutati nel tempo3.

La meccanizzazione ha permesso di compiere un notevole salto di qualità, ed è stata accompagnata da altre nuove tecnologie attraverso le quali è stato possibile migliorare la qualità della vita del contadino e la resa del suo lavoro: l’invenzione del trattore e dell’aratro “a versoio”, che ha permesso lavorazioni del terreno migliori e più profonde, le nuove e sempre più avanzate conoscenze nel campo della nutrizione vegetale, per i concimi, e della chimica applicata alla protezione delle piante e delle genetica, per la scoperta di nuove varietà più produttive e/o più resistenti.

L’effetto di questi fattori tecnologici è stato dirompente perché in brevissimo tempo - rispetto ai tempi che il paesaggio agrario aveva sempre avuto nelle sue mutazioni anche profonde - i territori agricoli sono stati radicalmente trasformati a seguito di una spinta alla razionalità dell’uso del suolo, diventato sempre più specializzato e meno frazionato e discontinuo.

La causa principale è probabilmente da attribuirsi al fatto che in passato ciò che si cercava di ottenere era la massima produttività della terra, mentre oggi si mira a raggiungere la massima produttività del lavoro4. In questo modo quando si dice «un terreno molto produttivo» si intende in realtà

3

P. FABBRI, Natura e cultura del paesaggio agrario: indirizzi per la tutela e la progettazione, Città Studi, Milano 1997, p.9.

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Per «massima produttività della terra» si intende il massimo di produzione per unità di superficie a parità di ore di lavoro; invece la «massima produttività del lavoro» indica il massimo di produzione per ora di lavoro a parità di superficie coltivata.

un terreno sul quale il lavoro è più produttivo che su altri terreni 5.

L’aumento della produttività del lavoro in agricoltura si è ottenuto anche attraverso quella che si potrebbe definire una «semplificazione dell’ambiente»: si sono, infatti, rimosse le siepi e le alberature, si sono colmati i fossi e i ruscelli, si sono abbattute le piccole opere di contenimento, e in molte zone la superficie agraria è stata “spiantata” ottenendo piani orizzontali o inclinati.

I processi così descritti hanno però attualmente ricadute negative sia sotto il profilo ecologico, sia sotto quello più propriamente paesistico.

Per il primo profilo la modernizzazione delle forme di conduzione e dei processi produttivi tradizionali ha portato ad una crisi ecologica, tendendo, in un certo senso, ad un capovolgimento di valori. Infatti, se il frazionamento dei terreni agricoli, con le relative forme tradizionali di conduzione, aveva costituito in qualche modo il fondamento della sostenibilità ecologica del paesaggio agrario italiano, il risultato più eclatante del processo di modernizzazione del settore primario - ancorato soprattutto ad esigenze di mercato - è ora quello della progressiva scomparsa di molte specie animali e vegetali.

Sino alla rivoluzione industriale, infatti, l’organizzazione della società precapitalistica si era in larga parte fondata su forme di agricoltura che controllavano l’ecosistema naturale, inteso come base fondamentale dell’ambiente, caratterizzato dal reciproco adattamento di parti diverse, ciascuna con diversi modi di produzione. La storia offre un buon numero di esempi di regolamentazione cosciente dell’ambiente, anche se questo non deve autorizzare a pensare che esistesse una

coscienza ecologica nelle società preindustriali, anche perché la cultura occidentale ha di fatto posto l’uomo sempre al centro dell’universo, controllore dei fenomeni naturali 6.

5

L. CONTI, Paesaggio agrario: storia consumata e storia possibile, in Urbanistica Informazioni nn.112-113, INU edizioni, Roma 1991.

Tale mentalità è stata talmente forte, e con radici talmente profonde, da permeare qualsiasi ambito: nel campo della pianificazione, ad esempio, ha contribuito a considerare il territorio come una specie di carta bianca, uno spazio nel quale potesse essere attuata qualsiasi destinazione d’uso. Nonostante questo, è possibile arrivare a dire che sino alla rivoluzione industriale la produzione agricola è avvenuta secondo ritmi che permettevano sia il reintegro delle energie e delle risorse attinte, sia l’assorbimento - naturale - degli scarsissimi inquinamenti prodotti. C’era in sostanza una sorta di «ordine ecologico».

A seguito dello sviluppo tecnologico postindustriale questo tipo di ordine è completamente saltato ed è stato sostituito da quello che potrebbe essere chiamato «ordine tecnologico». I livelli crescenti di rendimento e di produttività hanno fatto via via passare in secondo piano la questione ecologica globale, secondo il presupposto errato di un ambiente capace di auto-rigenerarsi e auto-purificarsi.

Soltanto nell’ultimo decennio è stata presa coscienza del fatto che si è di fronte ad una sorta di forbice, ossia che ad un aumento crescente della produttività (che comporta anche problemi legati al reperimento di nuovi mercati e, quindi, allo smaltimento delle derrate prodotte), corrisponde sempre un altrettanto massiccio impiego di tecnologie, con una conseguente concentrazione di inquinamenti (il cui smaltimento richiede a sua volta nuove tecnologie e così via, in un processo senza fine).

Contemporaneamente, da un punto di vista paesistico, con i processi di industrializzazione, di urbanizzazione e di esodo dalle campagne - dei quali si parlerà nell’ultima parte di questo capitolo - nonché a seguito dei vantaggi economici prodotti dalla specializzazione produttiva che hanno portato a sfruttare superfici piuttosto vaste per la monocoltura facendo così scomparire il disegno risultante dall’alternarsi dei colori dovuto all’alternarsi di colture diverse, il paesaggio è andato

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sempre più trasformandosi esclusivamente in senso funzionale e utilitaristico, a scapito degli aspetti estetici.

Il paesaggio rurale che l’agricoltura industrializzata offre al viaggiatore moderno è ormai quello dell’insipienza generalizzata7;

la perdita di una precisa riconoscibilità del territorio può essere considerata l’aspetto paesaggistico più negativo di questa nuova situazione.

7

G.CONTI, Abitare la distanza: dal radicamento rurale al teleantropismo metropolitano, in Urbanistica Informazioni Dossier n.9, INU edizioni, Roma 1997, pp.1-5.

Nel documento I paesaggi nelle campagne di Roma (pagine 51-55)