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Inquadramento geologico strutturale e geomorfologico

3. SISTEMI AMBIENTALI INTERESSATI DAL PROGETTO

4.3. Suolo e sottosuolo

4.3.1. Inquadramento geologico strutturale e geomorfologico

L’area in esame ricade nel settore meridionale dell’Arco Calabro- Peloritano (Amodio Morelli et alii, 1976), un edificio a falde di ricoprimento costituito da numerose unità tettoniche alpine prevalentemente metamorfiche, sovrascorse sulle unità carbonatiche in seguito alla chiusura del Mare Tetide, con conseguente collisione tra la Placca Europea e quella Africana.

L’evoluzione tettonica dell’Arco Calabro-Peloritano, infatti, è comunemente riferita alla convergenza tra le placche continentali Eurasia e Africa-Adria, verificatasi durante la consuzione delle litosfere oceaniche Liguro-Piemontese e Ionica, attiva dal tardo Cretaceo (Dercourt et alii, 1986), che ha condotto alla formazione della cintura orogenetica Alpino-Appenninica (Dewey et alii, 1989; Bonardi, 1982).

L’Arco Calabro rappresenta, dunque, l’elemento di catena in un sistema in cui si distinguono diversi sub-domini poiché l’interazione tra le due placche coinvolge blocchi crostali minori e indipendenti tra loro. In particolare, si riconoscono zone di subduzione attiva, di collisione continentale, di margine trascorrente e anche margini di estensione (Serpelloni et alii, 2007).

Il processo di subduzione e di formazione della catena è stato accompagnato dalla progressiva apertura del bacino Ligure-Provenzale a partire dall’Oligocene Inferiore e poi del bacino Tirrenico, a partire dal Langhiano (Carminati et alii,1998) e dalla contemporanea migrazione verso Sud-Est di questa porzione della catena (Malinverno & Ryan 1986; Dewey et alii, 1989).

La storia evolutiva post-oligocenica dell’Arco Calabro Peloritano è caratterizzata da una tettonica sia di tipo trascorrente che estensionale, la quale ha contribuito all’attuale conformazione e disposizione delle unità tettono-stratigrafiche dell’orogene, determinando, inoltre, l’apertura del Bacino di retro-arco Tirrenico (Malinverno & Ryan, 1986, Dewey et alii, 1989; Decandia et alii, 1988).

A partire dal Miocene Medio, l’evoluzione geodinamica dell’orogene calabro è governata da una tettonica prevalentemente trascorrente (Van Dijk et alii, 2000), legata alla progressiva migrazione dell’Arco Calabro verso SE, lungo sistemi di faglia a carattere regionale orientati NO-SE e ONO-ESE, caratterizzati da movimenti a trascorrenza sinistra e destra, rispettivamente, nel settore settentrionale e meridionale (Ghisetti & Vezzani, 1981; Knott &

Turco, 1991; Tansi et alii, 2007). Durante il Neogene-Quaternario, infatti, l’individuazione di zone di taglio crostali, con aree in transtensione e transpressione, determina la dislocazione della catena a falde dell’Arco Calabro Peloritano e condiziona l’apertura e l’evoluzione dei bacini neogenici peritirrenici, determinando l’estrusione tettonica delle unità più profonde della catena.

A partire dal Pleistocene Medio, movimenti estensionali sono indotti da un generale sollevamento della catena (Cello et alii, 1982; Gasparini et alii, 1982; Tortorici et alii, 1995) legati ad una diminuzione della velocità di arretramento della zona di subduzione (D’Agostino et alii, 2004; Goes et alii, 2004; Serpelloni et alii, 2007).

Sono diverse le spiegazioni proposte per giustificare questo rallentamento/arresto. Alcuni autori mettono in relazione il sollevamento quaternario con la rottura e il distacco dello slab ionico in subduzione (Wortel & Spackman 2000). Secondo un’altra interpretazione, la causa è da ricondursi all’interazione tra l’arretramento verso SE dello slab Ionico in subduzione e la convergenza tra Africa e Europa in direzione Nord-Sud, gradualmente verso l’avanfossa e l’avanpaese (Monaco e Tortorici, 2000; Bianca et alii, 2011).

L’area esaminata ricade lungo il settore occidentale della Calabria meridionale, all’interno del Bacino di Gioia Tauro, il quale è parte di un sistema di bacini che bordano la porzione

occidentale dei massicci delle Serre e dell’Aspromonte. La sua evoluzione è strettamente legata alla fase di tettonica estensionale tortoniana, responsabile principale del back-arc tirrenico.

Durante le fasi di sollevamento quaternario le porzioni prossimali del bacino tirrenico, tra cui parte del bacino di Gioia Tauro emergono, questi combinati con le variazioni assolute del livello del mare, hanno determinato la formazione di una serie di ordini di terrazzi marini e relative paleolinee di costa.

Le successioni sedimentarie marine e continentali del Bacino di Gioia Tauro sono delimitate da una serie di faglie normali, immergenti verso ovest, orientate circa NNE-SSW lunghe anche 20 km (es. faglia di Cittanova; Galli e Bosi, 2002), che separano la Piana dal massiccio delle Serre (composto da rocce metamorfiche e ignee). Il bacino è riempito da 300-400 m di depositi del Pliocene e del Pleistocene Medio, composti principalmente da sabbia, marne e unità conglomeratiche. In discordanza poggiano circa 100 m di depositi conoide del medio-alto Pleistocene (Cotecchia et alii, 1986, Tortorici et alii, 1995). La parte superiore del basamento cristallino sepolto, dal Tirreno all’Aspromonte, risulta dolcemente inclinato ESE, come dimostrato da studi di sismica a riflessione, insieme con i sedimenti marini che poggiano su di esso in profondità. Le unità del Pleistocene affioranti hanno un’inclinazione orizzontale prevalente.

Figura 16 – Inquadramento dell’area di intervento e delle opere di connessione nell’Elaborato Cartografico Progettuale “Carta Geologica”

L’area in esame ricade interamente nella Piana di Gioia Tauro, in cui l’agente morfologico predominante è il Fiume Mesima, uno dei fiumi maggiori della Calabria centromeridionale.

Le sue sorgenti sono situate sulle Serre calabresi alle pendici del monte Mazzucolo (m 942), tra i comuni di Vallelonga e Simbario, in provincia di Vibo Valentia.

Dopo un percorso di circa 30 km il fiume raggiunge la Piana di Gioia Tauro, e quindi la provincia di Reggio Calabria, dove in breve, nei pressi di Rosarno e al confine con il territorio di San Ferdinando, sfocia nelle acque del Tirreno a nord di San Ferdinando. I principali affluenti sono:

in sinistra il fiume Marepotamo, il fiume Metramo e il fiume Vena; in destra il fosso Cinnarello e il torrente Mammella. Come tutte le fiumare, è ricco d’acqua (spesso anche in piena) d’inverno, e quasi a secco durante il periodo estivo.

Da un punto di vista geomorfologico il versante tirrenico reggino risulta particolarmente complesso in relazione alla vasta estensione del territorio e alla molteplicità dei distretti geologici che in esso ricadono. La morfologia dell’area è strettamente dipendente dalla tettonica e i segmenti della catena montuosa che ne costituiscono l’ossatura sono delimitati da importanti faglie di carattere regionale a loro volta attraversati da importanti strutture tettoniche che dislocano i terreni più antichi, generando un substrato molto complesso

geologicamente, nonché la ripetizione di sequenze che danno origine a molte tipiche forme del rilievo. La tettonica quaternaria, dall’inizio del Pleistocene medio (ma forse più tardi), ha sollevato questo tratto di crosta che, durante il sollevamento, si è spezzato in più blocchi, l’ultimo dei quali ad emergere è stato quello dell’attuale Piana di Gioia Tauro, nel Pleistocene Superiore.

Di questa superficie è meglio conservato il tratto che sovrasta il versante tirrenico, dove assume

la conformazione di un’ampia gradinata sia per l’effetto del terrazzamento marino, sia per le dislocazioni dovute a faglie ancora attive.

La fascia costiera vera e propria è relativamente stretta ed è formata dalla coalescenza dei delta delle numerose fiumare che sboccano direttamente al mare. Il sollevamento quaternario, come già accennato, non è stato omogeneo, soprattutto lungo il versante tirrenico della Calabria meridionale. Tra il massiccio dell’Aspromonte meridionale e quello di M.Poro è rimasto sommerso, per tutto il Pleistocene medio, un fondale relativamente basso che è emerso nel Pleistocene superiore (l’emersione ha dapprima interessato la parte pedemontana del versante tirrenico dell’Aspromonte). Troviamo infatti, sulla Piana di Gioia, depositi di ambiente costiero di età sempre più recente man mano che ci si approssima all’attuale spiaggia. Tale spiaggia, separata da questa superficie da una bassa falesia di erosione marina, indica che il sollevamento, lungo la costa, è oggi superato dalla velocità di innalzamento del livello del mare.

I principali sistemi imbriferi sono attualmente quello del Petrace e del Mesima, che rappresentano gli unici due corsi d’acqua a cui si possa attribuire l’accezione di fiume; per il resto, i numerosissimi corsi d’acqua che attraversano il versante tirrenico reggino si inquadrano nella tipologia dei torrenti o, più in particolare, delle fiumare. Tra il Petrace ed il Mesima, vi è un’ampia zona poco incisa dal reticolo di drenaggio attuale, caratterizzata da una superficie ondulata, costituita quasi esclusivamente da sabbia.

Con rifrimento all’area di sedime, questa risulta caratterizzata da una morfologia sub-orizzontale contornata, in direzione WNW, da una scarpata morfologica da cui traggono origine forme di conoidi di deiezione, che depositano a valle della stessa e che delimitano i depositi costieri sui quali risulta presente l’area portuale di Gioia Tauro.

In definitiva, a valle del rilievo di campo eseguito e dalle cartografie tematiche consultate, non sono stati riscontrati fenomeni di dissesto in atto o comunque di possibile interferenza con le opere in oggetto. Pertanto si può asserire che, l’area di interesse, presenta una sostanziale stabilità geomrofologica.

Figura 17 – Inquadramento dell’area di intervento e delle opere di connessione nell’Elaborato Cartografico Progettuale “Carta Geomorfologica”

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