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Integrazione con l’ambiente intellettuale locale: come si è già detto, la presenza greca nel territorio padovano era essenzialmente legata all’istruzione universitaria.

Padova costituiva un luogo di approdo per molti giovani greci aspiranti all’addottorarsi o per personalità già dedite all’insegnamento, ovvero per persone di lingua greca dagli interessi prevalentemente culturali se non direttamente accademici. Nella città del Santo, essi vivevano e si formavano in un ambiente profondamente diverso da quello di Roma o della vicina Venezia, dove i greci erano portati ad identificarsi con un gruppo specifico, ben distinto dalle altre comunità straniere presenti all’interno della società.

In particolare, nella capitale dello Stato Pontificio i greci venivano ospitati all’interno del collegio di Sant’Atanasio, sotto l’ala protettiva del papato134: qui si studiavano principalmente la teologia, la filosofia e la lingua greca. Il modello di integrazione proposto a Roma era, per dirlo in termini moderni, di tipo assimilativo: l’identità culturale e la lingua greca venivano preservate, approfondite e studiate al fine di integrare completamente i giovani greci tra i sudditi cattolici, per poi utilizzare le conoscenze da loro acquisite come competenze utili all’attività missionaria nei paesi di lingua greca e nei territori balcanici. Da Roma usciranno traduttori delle opere di Bellarmino, come Ιωάννης Ματθαίος Καρυόφυλλος/Giovanni Matteo Karyofillis (1566-1633) e Λεονάρδος Φιλαράς/Leonardo Filaràs (†1678)135. L’unica istituzione padovana che potrebbe essere messa in relazione con il clima romano è il seminario di Padova: nel 1678 infatti, il cardinale decise di risanare il seminario e di renderlo un luogo di istruzione, ma anche un luogo di addestramento per futuri missionari136. Importante fu lo sforzo

134 Si veda il cap. 2, par. 2.2.1. Per la bibliografia sul collegio greco romano si veda la nota n. 55. 135 Entrambi traduttori della Dottrina cristiana di Bellarmino. La traduzione della Dottrina cristiana breve di Karyofillis del 1602 (T.I.PAPADOPOULOS, Ελληνική βιβλιογραφία, n. 1011) è probabilmente

la stessa che verrà ristampata nel 1695 nella tipografia del seminario di Padova (T.I.PAPADOPOULOS, Ελληνική βιβλιογραφία, n. 1018; È. LEGRAND, Bibliographie hellénique, vol. III, pp. 40-43). La traduzione di Filaràs risale invece al 1616 (T.I.PAPADOPOULOS, Ελληνική βιβλιογραφία, n. 1013,

1014, 1016; È. LEGRAND, Bibliographie hellénique, vol. I, pp. 104-108). Si veda inoltre: R.

LAVAGNINI, Le traduzioni neogreche delle opere del Cardinale Bellarmino, in M.VITTI (a cura di), Testi letterari tradotti dal greco (dal ‘500 ad oggi), Viterbo, Rubettino, 1994, pp. 127-132. Sul tema cfr. anche Z.N.TSIRPANLIS, I libri greci pubblicati dalla «Sacra Congregatio de Propaganda Fide»

(XVII sec.). Contributo allo studio dell’umanesimo religioso, «Βalkan Studies», 15, 1974, pp. 204- 224.

136 Il cardinale Barbarigo divenne la guida della Diocesi di Padova nel 1664 e il seminario, che inizialmente non contava neanche trenta seminaristi e per le lezioni si appoggiava ai gesuiti e ai

profuso dal cardinale per l’introduzione dello studio del greco all’interno del seminario: Barbarigo volle che le due cattedre di Filosofia previste, fisica e morale, fossero basate sui testi originali di Aristotele e introdusse, tra le discipline da apprendere, il greco e la storia bizantina137. All’interno del seminario si studiavano anche l’arabo, il turco, il persiano, l’ebraico, il siriaco e il caldaico, ma solo il greco e il latino si studiavano “come lingue vive” per sette anni continuativi138. La grammatica insegnata era sicuramente quella antica, ma non abbiamo elementi per dire se gli alunni venissero addestrati anche nella conversazione in greco volgare139. Probabilmente furono proprio le alte pretese di Barbarigo in merito alla stampa di una grammatica greca, che lo portarono a pronunciare la nota frase “facciamo noi un torcoletto” e ad installare una tipografia interna al seminario: gli stampatori padovani chiedevano infatti un compenso troppo alto per la difficoltà tecnica di realizzazione dell’opera140, pertanto la grammatica greca Typis Seminarii uscì nel 1684141.

La situazione del seminario di Barbarigo può essere quindi paragonata al S. Atanasio di Roma ma solo relativamente agli scopi missionari comuni a Propaganda Fide. Gli studenti greci infatti, erano ospitati nell’istituto patavino insieme ad altri seminaristi di varia provenienza, perciò l’orizzonte linguistico era ben più ampio di quello del S. Atanasio.

domenicani, divenne presto “il cuore del suo cuore” (cfr. G.BELLINI, La tipografia del Seminario di Padova, Padova, Gregoriana, 1927, p. 5). Il cardinale acquistò il monastero di S. Maria in Vanzo dove vi trasferì il seminario. In pochi anni assunse una ventina di maestri (alcuni insegnavano però anche nel collegio del convento di S. Maria del Tresto) e il numero di iscritti salì a circa centocinquanta. 137 Sul piano di studi del seminario si veda S. SERENA, L’opera data dal cardinale Gregorio Barbarigo nel Seminario di Padova agli studi della lingua e della letteratura latina, Padova, Tipografia del Seminario, 1938, pp. 8segg.

138 S. SERENA, L’opera data dal cardinale Gregorio Barbarigo nel Seminario di Padova, p. 11. 139 Nel De Munere praefecti studiorum del cardinale vengono indicati gli argomenti grammaticali da insegnare: durante il primo anno i primi rudimenti e il sistema nominale, compresi i nomi contratti. Si imparavano inoltre i verbi semplici e solo l’anno successivo i verbi in -μι, gli avverbi e le preposizioni. Cfr. S. SERENA, L’opera data dal cardinale Gregorio Barbarigo nel Seminario di

Padova, p. 40.

140 G.BELLINI, Storia della Tipografia del Seminario di Padova, p. 17.

141 G. FEDALTO, Il cardinale Gregorio Barbarigo e l’Oriente, p. 997. A tale scopo fu avviata una tipografia con caratteri greci, ebraici e arabi dove si stampavano testi adatti alla preparazione dei seminaristi. A partire dal 1685 furono stampate grammatiche, operette e traduzioni di testi sacri come il Corano (1698). Sulla tipografia del seminario si veda: G.BELLINI, La tipografia del Seminario di Padova,cit., M.CALLEGARI, Dal torchio del tipografo al banco del libraio Stampatori, editori e librai

a Padova dal XV al XVIII secolo, Padova, Il Prato, 2002, in part. pp. 73-95. Una buona bibliografia è contenuta in R.BATTOCCHIO, Nota bibliografica sul Seminario Vescovile di Padova, la sua Biblioteca e la sua Tipografia, Padova, 2005, disponibile sul sito del Seminario:

Spostandoci ora invece a Venezia, come abbiamo già avuto modo di notare, all’inizio del Seicento i greci si riunivano attorno alla propria confraternita, a cui la comunità veneziana aveva riconosciuto diverse libertà, prima fra tutte quella religiosa. La difesa dei dogmi di fede e l’invio di missionari non erano, a differenza di Roma, tra le priorità dello Stato veneziano, le cui scelte politiche venivano dettate principalmente dall’interesse mercantile e commerciale. Proprio in base a tali necessità, la Serenissima aveva scelto di tutelare le comunità straniere presenti in città e poiché i greci, pur “scismatici”, non erano materia di scontro con Roma quanto i protestanti o gli ebrei, nel giro di un secolo avevano ottenuto una chiesa, un cimitero, una scuola, un monastero femminile e, dal 1665, un istituto di studi. Si è detto poi delle tipografie di Venezia, della nascita della letteratura greco-volgare a stampa e dei commerci con l’Oriente. Un quadro quindi che assegna alla presenza greca in città una valenza e un’organizzazione specifica, all’interno della quale un greco poteva nascere, istruirsi, lavorare e anche morire, assistito dai propri “connazionali”. Mentre dunque a Venezia, città multietnica per eccellenza, l’integrazione rimaneva di fatto una possibilità, poiché come accade oggi nelle grandi metropoli i vari gruppi stranieri erano più coesi internamente, la mancanza di una comunità religiosa o intellettuale di riferimento, faceva sì che a Padova l’integrazione non fosse una scelta, bensì una condizione necessaria.

A Padova quindi i greci erano maggiormente portati a una reale integrazione nell’ambiente intellettuale e universitario del tempo. I collegi greci ad esempio erano strutture incorporate nell’istituzione universitaria, sia che fossero considerati come ambienti di passaggio per studi propedeutici, come nel caso del Collegio Cottunio, sia che fossero, come nel caso del Paleocapa, vere strutture di alloggio per universitari. La stessa compagine dei direttori marca la differenza tra il collegio Paleocapa e il collegio Flangini: negli elenchi dei primi due si susseguono direttori greci e docenti italiani, come il grecista Ottavio Ferrari o l’avvocato Giacomo Caimo, mentre i maestri del collegio Flangini furono sempre greci attivi o comunque appartenenti alla confraternita, che d’altro canto vigilava sul loro operato. Nel caso del collegio Cottunio, i direttori furono probabilmente tutti di origine greca in analogia con quanto voluto dal testatore, che scelse il padre Ilarione Cigala, di cui parleremo fra poco, come primo direttore.

Quando un greco del XVII secolo si trasferiva quindi nella città del Santo, non trovava come si è già accennato, una confraternita o una comunità educativa di rifermento: l’unica forma di organizzazione riservata ai greci patavini, fu quella della corporazione studentesca, che risultava solamente una fra le tante. Relativamente a tale organizzazione accademica, siamo in possesso di un documento utile e inerente il nostro periodo d’interesse: nel 1663 (come revisione di un precedente statuto del 1655), si avrà infatti la prima pubblicazione a noi nota degli Statuti142 dell’Inclita

Natione Oltramarina, rivista nel 1737-38 ed esaminata dal professor Nicolò

Comneno Papadopoli143.

Pur non avendo un’organizzazione specifica, se si eccettua quella universitaria, la presenza greca di Padova era comunque significativa e diversa, ad esempio, dalla presenza greca di Bologna, città in cui si contano solo tre stemmi di scolari greci nel cortile dell’Archiginnasio, in confronto agli oltre duecento stemmi oltramarini esposti nella sede dello Studio patavino144.

Per comprendere meglio il livello di integrazione della Nazione greca all’interno della società, invece che soffermarsi a contare i busti del cortile antico del palazzo del Bo, conviene piuttosto esaminare le cariche e i riconoscimenti conferiti ai greci del periodo in questione.

142 Gli Statuti sono stati studiati da V.BOBU-STAMATI, Τα καταστατικά του Σωματείου, cit. La nazione oltramarina doveva essere rappresentata da due professori pubblici, uno per ogni Università, tenuti ad esporre nelle loro abitazioni l’Arma della Nazione, da tre consiglieri (uno della Facoltà giurista e due della Facoltà artista), un sindico e due esattori, uno di Candia e uno delle isole dell’Eptaneso. Le cariche erano annuali e le elezioni si svolgevano nell’abitazione di uno dei due Protettori ma potevano svolgersi anche nel Collegio Paleocapa. La Natione si riuniva nel Collegio Greco per eleggere i tre Consiglieri, scelti tra gli scolari, ad agosto e l’età minima per esser considerato “scolaro” era di quindici anni. Una volta all’anno la Natione si riuniva per porgere ossequio ai Protettori. Il Sindico, che “abbraccia molti negotij” e per questo doveva essere uno studente da almeno due anni, teneva il libro contabile insieme al Bidello, in modo da rendere possibili dei controlli incrociati. Era inoltre responsabile della compilazione dell’elenco delle matricole e degli atti della Natione. Gli Esattori dovevano riscuotere dai “Pupilli” dai tre ai cinque ducati veneziani, poi aumentati a otto. Il Bidello era invece uno studente che, tra gli altri compiti, doveva sostenere i nuovi arrivati e per tale servizio riceveva dieci ducati l’anno. Una sorta di tutor. Poteva avere delle mance aggiuntive, ma poi nei capitoli aggiunti queste mance vennero tolte e, oltre ai dieci ducati, i membri della Nazione non potevano dargli nulla in aggiunta “ma, volendo, gli stampino un sonetto” (p. 115). Nel testo del 1737 si parla anche di una “Libraria” il cui inventario e l’acquisto spettava al Sindico, ma non si dice nulla di più, se non che dovesse essere ubicata in casa di uno dei due Protettori della Nazione.

143 Su Papadopoli si veda infra.

144 G.FABRIS, Professori e scolari greci, p. 135. Gli stemmi furono apposti fino al 1688 poi furono vietati dal Senato.

Molti greci “padovani” di cui parleremo fra poco nel dettaglio, sono docenti dell’Università, tra i quali spiccano insegnanti di logica (Giovanni Cigala), di filosofia (Giovanni Cottunio e Niccolò Calliachi), di diritto (Nicolò Comneno Papadopoli e Alessandro Sinclitico) e di medicina (Giorgio Calafati, Demetrio Cigala). Giovanni Cottunio e Alessandro Sinclitico verranno altresì eletti presidenti del Collegio Veneto e saranno deputati al conferimento delle lauree auctoritate

veneta145.

Al di fuori dell’ambiente universitario, sono membri della prestigiosa Accademia dei Ricovrati, dove discutono delle più attuali questioni scientifiche del tempo e ricoprono diverse cariche (Nicolò Calliachi sarà anche direttore dell’Accademia, ovvero “Principe” nel 1685, mentre membri dell’Accademia, anche con diversi ruoli nel consiglio di presidenza, saranno ad esempio Cottunio, Sinclitico, Cigala e Calafati. Alcuni di tali dotti di lingua greca hanno infine contatti con famiglie importanti come nel caso dei già nominati Cigala e Calafati verso i Piscopia. Sono coinvolti inoltre, come dimostra la presenza di Cottunio nel carteggio galileiano146, nei dibattiti del loro tempo, scrivono discorsi inaugurali per l’inizio dell’Anno accademico147 e intrattengono corrispondenze con diverse personalità influenti dell’epoca: solo per citare alcuni nomi tra i corrispondenti di Cottunio vi erano il cardinal Mazzarino (1602-1661), Tomasini148, Gabriel Naudè (1600- 1653)149, a cui il professore veriota dedicò due epigrammi150, mentre il Sinclitico scriveva abitualmente a Luigi Lollin151.

145 Si veda il par. 1.2.1.

146 Si veda il cap. 3, par. 3.3.2.1.

147 A.P.STERGHELLIS, Tα δημοσιεύματα των Ελλήνων σπουδαστών, cit.

148 Autore del noto Gymnasium Patavinum, Bologna, A. Forni, 1986. Cfr. È. LEGRAND, Bibliographie hellénique, vol. III, p. 396.

149 Studiò a Padova presso la facoltà artista, dove seguì le lezioni di Cremonini. Fu in seguito bibliotecario di Richelieu, di Mazzarino e di Cristina di Svezia a Stoccolma. Per un’introduzione generale: J.A.CLARKE, Gabriel Naudé: 1600-1653, Hamden, Archon, 1991. Recentemente è stata pubblicata una traduzione italiana di Alfredo Serrai dell’opera Advis pour dresser une bibliothèque (1627): G.NAUDÈ, Istruzioni per allestire una biblioteca, Macerata, Biblohaus, 2012.

150 I. KOTTOUNIOS, Ἐλληνικῶν Ἐπιγραμμάτων βιβλία δυο Ἰωάννου τοῦ Κωττούνιο / Graecorum epigrammatum libri duo auctore Joanne Cottunio… cum eiusdem versione latina augustissimae et Christianissimae Maiestati Ludovici XIV Galliarum et Navarrae Regis, Padova, apud P. Frambottum, 1653, pp. 36-37 (epigramma dedicato a Tomasini), 47-48 (epigramma dedicato a Naudè).

151 Per Cottunio si veda G.FABRIS, Professori e scolari greci, p. 147 ed È. LEGRAND, Bibliographie hellénique, vol. III, pp. 395-396. Per quanto riguarda invece Sinclitico, la sua corrispondenza con il vescovo Lollin dovrebbe essere conservata nella Biblioteca Bertoliana di Vicenza stando a T.P. MARANGON, La Biblioteca Universitaria di Padova. Dalla sua istituzione alla fine della Repubblica

Infine i greci patavini iniziano ad inserirsi nel moderno mercato libraio della città. Anche Padova infatti inizia ad essere annoverata tra le città in cui si stampano libri di autori greci contemporanei. In città le tipografie più attive sono quelle di Gaspare Crivellari (dal 1611), a cui succederà poi il figlio Giulio, la tipografia di Giovanni Battista e Livio Pasquati, succeduti al padre Lorenzo intorno al 1603, e a partire dagli anni venti la tipografia di Paolo Frambotto. Dai torchi del Frambotto, il quale stampava soprattutto testi di docenti universitari, uscirono numerose opere di Giovanni Cottunio, l’autore greco maggiormente stampato a Padova in questi anni. Dopo essersi trasferito da Bologna infatti, dal 1638 il professore greco pubblicherà i suoi saggi nella città patavina152 e i suoi Commentarii lucidissimi in octo libros

Aristotelis De physico auditu, stampati nel 1648 da Paolo Frambotto, troveranno

posto nell’elenco dei più bei libri veneti conservati a Padova153.

2) Bilinguismo e alta professionalità: i dotti greci padovani sono di norma

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