Capitolo 3 Il regime giuridico internazionale delle mutilazion
9. Sviluppi recenti sulla lotta alle mutilazioni genitali femminil
9.1 L’interesse delle Nazioni Unite sulla questione delle MGF
Come si è avuto modo di notare nei precedenti paragrafi, un ruolo fondamentale nella lotta alle mutilazioni genitali femminili è stato giocato dall’ONU e dai vari organi di cui si compone, tra questi la Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (CSW), la Commissione sui diritti umani, i vari comitati specializzati e soprattutto l’Assemblea Generale che con specifiche risoluzioni si è occupata del problema.
Elemento comune a tutte le risoluzioni concernenti la questione 128
delle MGF, è l’invito generico che l’Assemblea Generale rivolge ai vari Stati di proteggere e promuovere i diritti umani e di adoperare ogni mezzo necessario per eliminare la violenza sulle donne, incluse le pratiche tradizionali dannose per la loro salute fisica e mentale. Una delle risoluzioni più recenti che possiamo citare in materia è del 5 Marzo 2013 intitolata: “Intensifying global efforts for the elimination of female genital mutilations” . 129
Si vedano ad esempio: A/RES/52/99 Febbraio 1998; A/RES/53/117 Febbraio
128
1999; A/RES/54/133 Febbraio 2000.
A/RES/67/146 Assemblea Generale, Nazioni Unite.
In primis viene riconosciuto che le mutilazioni genitali femminili sono una forma di abuso irreparabile e irreversibile che impatta negativamente sui diritti di donne e bambine e che nonostante tutti gli sforzi fatti a livello nazionale, regionale e internazionale il fenomeno continui a colpire ancora moltissime donne in diverse zone del mondo.
Nel primo paragrafo, l’Assemblea Generale pone l’accento sul fatto che la chiave per rompere il ciclo di discriminazione e violenza sia incoraggiare l’empowerment di donne e ragazze.
Nei paragrafi successivi, invita gli Stati membri delle Nazioni Unite a creare programmi preventivi ed educativi che coinvolgano tanto le donne quanto gli uomini e promuovere programmi d’azione capaci di creare una mobilitazione sociale sulla tematica che coinvolga istituti educativi, leader religiosi e mass media.
È doveroso per gli Stati sia creare delle strategie legislative sia sensibilizzare la comunità sulla questione.
Degna di nota è anche una dichiarazione congiunta adottata nel 2008 da varie agenzie dell’ONU, tra cui UNHCR, OMS, UNDP, UNFPA, UNICEF, UNNIFEM, UNESCO, per supportare l’abbandono della pratica; essa analizza le ragioni per le quali la pratica sussiste e perché debba essere considerata una violazione dei diritti umani. Tale dichiarazione ha un antecedente risalente al 1997, adottata da UNICEF, OMS e UNFPA con la quale queste tre agenzie 130
richiedevano ai governi e alla comunità internazionale l’impegno nell’attività di promozione e di tutela della salute, del benessere e dello sviluppo di donne e bambine, contro la pratica mutilatoria.
World Health Organization, “Female Genital Mutilation: a joint WHO/UNICEF/
130
9.2 L’Africa: il Protocollo alla Carta Africana dei
diritti dell’uomo e dei popoli e la Dichiarazione del
Cairo per l’eliminazione delle MGF
Per quanto riguarda la tutela femminile a livello regionale, degno di nota è il Protocollo alla Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli adottato nel Luglio 2003 a Maputo in Mozambico, da qui l’utilizzo dell’espressione “Protocollo di Maputo” per la sua identificazione.
Adottato dall’Unione Africana, è un documento legislativo nato per garantire alle donne una serie di diritti tra cui il diritto all’uguaglianza, il diritto a non subire alcuna forma di discriminazione e il diritto ad esercitare un controllo sulla salute riproduttiva. I riferimenti alle MGF sono presenti innanzitutto nell’articolo 4 che sancisce il diritto alla vita, all’integrità e alla sicurezza della persona, tutti diritti che gli Stati devono garantire mediante i mezzi opportuni per portare ad un totale sradicamento della violenza contro le donne, e poi in maniera più specifica l’articolo 5 riguardante le pratiche pregiudizievoli che afferma: “Gli Stati parti proibiscono e condannano ogni forma di pratiche pregiudizievoli che si ripercuotono negativamente sui diritti umani delle donne e contrari agli standard internazionalmente riconosciuti. Gli Stati parti adottano ogni misura legislativa o di altro tipo per eliminare tali pratiche, comprese le seguenti:
a) sensibilizzazione in tutti i settori sociali in tema di pratiche pregiudizievoli attraverso l’informazione, l’educazione formale e informale e programmi di recupero;
b) proibizione, anche attraverso provvedimenti legislativi forniti di adeguata sanzione, tutte le forme di mutilazioni genitali femminili, scarificazioni, trattamento medico o paramedico
delle mutilazioni genitali femminili ed ogni altra pratica, al fine di sradicarle;
c) previsione delle forme necessarie di sostegno alle vittime delle pratiche pregiudizievoli attraverso servizi essenziali quali servizi medici, legali, sostegno giudiziario, assistenza emotiva e psicologica, nonché formazione professionale al fine di rendere le donne capaci di sostenersi reciprocamente: d) protezione delle donne che corrono il rischio di essere
sottoposte a pratiche pregiudizievoli o ad ogni altra forma di violenza, abuso e intolleranza.
Obiettivo principale del Protocollo è il raggiungimento dell’emancipazione della donna e il superamento di ogni forma di violenza nei suoi confronti.
Un altro evento che ha dato una scossa alla lotta contro le MGF è stata la Conferenza del Cairo tenutasi nel 2003 a cui hanno preso parte 28 rappresentanti dei paesi africani e arabi in cui si praticano le mutilazioni dei genitali femminili, in collaborazione con diverse organizzazioni non governative come AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo), Non c’è Pace senza Giustizia, Egyptian Society for the Prevention of Harmful Practices to Woman and Child e National Council for Childhood and Motherhood.
L’obiettivo della consultazione era quello di individuare strumenti normativi più efficaci per prevenire le mutilazioni genitali femminili. Al termine della consultazione venne adottato un documento finale: la Dichiarazione del Cairo per l’Eliminazione delle MGF che incoraggia i governi a riconoscere e proteggere i diritti umani di donne e bambine mediante l’approvazione di leggi che portino ad una totale eliminazione della pratica.
Si legge come debba preferirsi “una strategia multidisciplinare a lungo termine capace di influenzare attitudini e percezioni dello stato delle donne e dei diritti umani dovrebbe col tempo portare alla penalizzazione delle MGF”, quindi per un cambiamento sociale, gli strumenti normativi da soli non sono sufficienti ma devono essere inglobati da campagne di informazione pubblica che vedano la partecipazione di ONG, mass media, sistema sanitario e scolastico.
9.3 L’Unione Europea
L’Unione Europea inizia ad interessarsi alla questione delle mutilazioni genitali femminili, a partire dai primi anni ’90, quando l’intensificarsi del flusso migratorio rende attuale il problema anche all’interno dei confini europei. L’UE inizia così ad attivarsi tramite conferenze e strumenti legislativi per la lotta alle MGF con la partecipazione e la collaborazione degli Stati europei a cui viene richiesto un concreto impegno per depennare dall’agenda europea il problema mutilatorio.
In primis ci fu un riconoscimento da parte degli organi europei, al pari di quelli delle Nazioni Unite, che le MGF costituissero una forma di violazione dei diritti umani da perseguire civilmente e penalmente.
Merita attenzione, il Programma Daphne III, approvato con decisione n.779/2007/CE dal Parlamento Europeo e dal Consiglio, con la finalità di contribuire alla protezione di bambini, ragazzi e donne da tutte le forme di violenza, incluse le pratiche tradizionali dannose. Il Programma Daphne istituito per il periodo 2007-2013, fa parte del programma generale “Diritti fondamentali e giustizia”, e si fonda sugli obiettivi dei precedenti Daphne (2000-2003) e Daphne II (2004-2008). Tra gli obiettivi specifici proposti dal Programma,
troviamo quello di assistere e incoraggiare le ONG e le altre organizzazioni impegnate contro le violenze, sviluppare azioni di sensibilizzazione, studiare i fenomeni collegati alla violenza e il relativo impatto sulle vittime e sulla società e sviluppare programmi di sostegno per le vittime.
È definito come il miglior programma attualmente esistente per combattere la violenza in Europa e nel mondo.
Per quanto riguarda le risoluzioni adottate sulla materia da parte del Consiglio d’Europa, citiamo la risoluzione 1247 del 2001 “sulla lotta contro le mutilazioni genitali femminili praticate nell’UE” e un’altra risoluzione dello stesso anno “sulle mutilazioni genitali 131
femminili”.
Con quest’ultima risoluzione, il Parlamento Europeo condanna le MGF come grave violazione dei diritti fondamentali delle donne e sollecita l’impegno degli Stati membri nel classificare qualsiasi tipo di pratica mutilatoria come reato indipendentemente dal fatto che ci sia stato o meno il consenso della donna interessata, e di adottare una legislazione specifica contro la pratica.
Un riferimento viene fatto al ruolo che l’istruzione e l’informazione hanno nel dissuadere dall’esercizio di questa pratica e nel cercare di convincere le popolazioni dedite a tale pratica che è possibile rinunciarvi senza che questo significhi necessariamente rinunciare alla propria cultura e alla propria identità.
Sempre riconducibili al Parlamento Europeo sono le risoluzioni adottate il 24 Marzo e il 26 Novembre del 2009, dove, ancora una 132
volta, si ribadisce che “qualsiasi forma di MGF, di qualsiasi grado, costituisce un atto di violenza contro le donne che determina una
Risoluzione A5-0285/2001 del Parlamento Europeo, 17 Luglio 2001.
131
Risoluzione 2008/2071(INI), Parlamento Europeo, 24 Marzo 2009.
violazione dei loro diritti fondamentali, in particolare il diritto all’integrità personale e fisica e alla salute mentale, come pure della salute sessuale e riproduttiva, e che tale violazione non può in nessun caso essere giustificata dal rispetto delle diverse tradizioni culturali o da cerimonie di iniziazione”.
Più recente, è la risoluzione del 2012 “sull’abolizione delle 133
mutilazioni genitali femminili”, nella quale il Parlamento rinnova le sue sollecitazioni nei confronti degli Stati membri e aggiunge alle precedenti la richiesta, rivolta agli organi delle Nazioni Unite e della società civile, di stanziare finanziamenti per migliorare i programmi e i servizi sanitari e per fornire maggiore assistenza alle donne vittime di mutilazione.
Un ulteriore riferimento deve essere fatto alla risoluzione adottata sempre dal Parlamento Europeo il 6 Febbraio 2014 , nella quale si 134
specifica come la pratica delle mutilazioni genitali femminili riguardi da vicino l’Unione Europea in quanto è “una pratica brutale che avviene non soltanto nei paesi terzi, ma che riguarda anche donne e bambine che vivono nell’Unione, le quali subiscono le mutilazioni sul territorio dell’Unione oppure nel paese d’origine prima di trasferirsi nell’Unione o mentre si trovano temporaneamente al di fuori dell’Unione […]” e che è “chiaramente contraria al valore europeo fondamentale della parità tra donne e uomini, e sostiene valori tradizionali secondo cui le donne sono considerate oggetti e proprietà degli uomini; che in nessun caso i valori culturali e tradizionali vanno usati come scusa per praticare mutilazioni genitali a bambine, ragazze o donne […]“.
Risoluzione 2012/2684(RSP), Parlamento Europeo, 14 Giugno 2012.
133
Risoluzione 2014/2511(RSP), Parlamento Europeo, 6 Febbraio 2014.
Un ultimo strumento europeo al quale far riferimento è la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, aperta alle firme dall’11 Maggio 2011 ed entrata in vigore l’1 Agosto 2014. Si tratta di uno strumento pattizio a carattere vincolante che nasce per offrire un quadro d’insieme della questione della violenza contro le donne e che pone degli obblighi in capo agli Stati riguardanti la prevenzione, la protezione e la denuncia di qualsiasi forma di violenza.
Un riferimento specifico alle mutilazioni genitali femminili è fatto nell’articolo 38 che riscontra la necessità che gli Stati parte adottino “le misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i seguenti atti intenzionali:
a) l’escissione, l’infibulazione o qualsiasi altra mutilazione della totalità o di una parte delle grandi labbra vaginali, delle piccole labbra o asportazione del clitoride;
b) costringere una donna a subire qualsiasi atto indicato al punto a, o fornire i mezzi a tal fine;
c) indurre, costringere o fornire a una ragazza i mezzi per qualsiasi atto enunciato al punto a.
In virtù dell’analisi complessiva fatta in questo capitolo, si può affermare che le mutilazioni genitali femminili costituiscono effettivamente una violazione dei diritti umani fondamentali delle donne e una violazione della loro dignità.
Investire nell’empowerment delle donne e utilizzare gli strumenti internazionali sono gli strumenti più idonei nella lotta a questo particolare tipo di violenza contro le donne.
CAPITOLO 4
Le normative nazionali
per la messa al bando
delle mutilazioni genitali
femminili
Il primo mezzo per garantire la protezione dei diritti umani delle donne è costituito dalle Costituzioni nazionali e dalle leggi statali. In tempi recenti, emergono sempre più strumenti volti a garantire i diritti delle donne sia nei Paesi più arretrati, in cui la tradizione, la cultura e la religione vengono usati come espedienti per giustificare la subordinazione della donna, sia nei Paesi più sviluppati, dove, sebbene in misure e forme differenti, continua a perpetuarsi una differenziazione nel godimento di diritti e libertà fondamentali basata sul sesso.
Gli strumenti legislativi nazionali sulla lotta alle mutilazioni genitali femminili sono ideati con l’obiettivo di rafforzare quanto sancito a livello internazionale, armonizzandosi con quelli che sono gli standard internazionali. È necessario, però che, affinché una legge possa essere efficace, l’oggetto su cui si legifera venga appreso e
riconosciuto dall’intera comunità del Paese in cui la legge viene emessa.
Nella stesura delle leggi, gli organi nazionali, soprattutto quelli occidentali, devono farsi guidare da esperti, da ONG o da rappresentanti delle comunità praticanti, il cui contributo è decisivo sia per avere una maggiore conoscenza del fatto e poterla meglio affrontare, sia per l’accettazione e il rispetto del dettato normativo che si avrà da parte della comunità.
Il processo partecipativo, inoltre, garantisce alle donne di prendere parte alle decisioni inerenti la loro vita e di esprimere la propria opinione.
Quando l’implementazione delle leggi per la messa al bando di queste pratiche tradizionali avviene nel contesto sociale culla di tali pratiche, si riscontra una certa ostilità e opposizione da parte della popolazione.
In alcuni Paesi, infatti, quando si viene a conoscenza che la pratica mutilatoria è stata resa illegale, si assiste ad una vera e propria “corsa all’infibulazione” prima dell’entrata in vigore della legge stessa.
Spesso le donne si oppongono a tale divieto, abbassando l’età in cui le bambine vengono tagliate, in modo tale da assicurarsi il loro silenzio, altre volte rispondono con vere e proprie proteste per difendere le loro tradizioni.
Tuttavia le legislazioni da sole non sono sufficienti e non costituiscono ancora una garanzia affinché una comunità abbandoni questa pratica . 135
Valentina Mmaka, “The Cut: voci del cambiamento per rompere il silenzio sulle
135
Per questi motivi, l’applicazione di leggi statali dovrebbe sempre essere accompagnata da campagne di formazione, informazione, educazione e prevenzione in modo tale che l’aspetto legale sia compreso e rispettato; solo così si può arrivare ad una mobilitazione sociale volta all’abbandono definitivo di tali pratiche.
1. Le norme nazionali africane volte alla
criminalizzazione delle mutilazioni
genitali femminili
1.1 Le tipologie di strumenti legislativi utilizzati
In molti Paesi africani, ad oggi, sono state approvate leggi che vietano le mutilazioni genitali femminili.
L’approccio utilizzato da Stato a Stato differisce per contenuti e per strumenti utilizzati: c’è chi ha adottato una legge ad hoc, c’è chi, invece, ha preferito utilizzare norme penali già esistenti ampliando nel loro ambito di applicazione anche i vari tipi di mutilazione. Si fa solitamente riferimento alle ipotesi di reato come quello di lesioni personali colpose, attacchi all’integrità fisica e mentale o violenza che porti ad una disabilità del soggetto o violenza domestica; la carica lesiva, le modalità con cui vengono eseguite e le conseguenze che ne derivano, consentono di inserire le mutilazioni genitali femminili tra queste ipotesi di reato.
Alla tutela penale, molto spesso si aggiunge quella civile che permette alla donna di ottenere un risarcimento dei danni subiti, o nel caso in cui le mutilazioni riguardino bambine o ragazze, si applicano le norme riguardanti la tutela minorile. In tal caso è previsto l’intervento di organi preposti alla tutela dei bambini che potranno
disporre l’allontanamento del minore dalla casa familiare o l’inserimento in apposite strutture.
1.2 Definizioni di MGF all’interno degli strumenti
legislativi
Dando uno sguardo d’insieme alle varie legislazioni statali, si nota come vengano utilizzate espressioni linguistiche differenti per riferirsi alla pratica delle mutilazioni genitali femminili. Ci sono, infatti, legislatori che accennano semplicemente alle MGF senza meglio specificare in cosa consistano, e ci sono altri legislatori che invece danno una descrizione onnicomprensiva di tutte le pratiche mutilatorie.
Ad esempio, il codice penale del Ghana del 1994 all’articolo 69A 136
specifica cosa si intende per escissione e cosa si intende per infibulazione, definendo la prima come “la rimozione del prepuzio, del clitoride e di tutto o parte delle piccole labbra” mentre l’infibulazione “include l’escissione e la rimozione delle grandi labbra”.
In Eritrea la Proclamation 158/2007 to Abolish Female Circumcision, nell’articolo 2 afferma che “circoncisione femminile significa: 1) l’escissione del prepuzio con una parziale o totale escissione del clitoride (clitoridectomia); 2) la parziale o totale escissione delle piccole labbra; 3) la parziale o totale escissione dei genitali esterni (delle piccole e grandi labbra) inclusa la cucitura; 4) la cucitura con spine, canne, fili o con altri metodi in modo tale da collegare l’escissione delle labbra e il taglio della vagina e l’introduzione di sostanze corrosive o di erbe nella vagina con lo scopo di restringerla; 5) pratiche simboliche che riguardano la puntura e la
Codice Penale del Ghana, 1994.
perforazione del clitoride per rilasciare gocce di sangue; 6) qualsiasi altra forma di mutilazione genitale femminile e/o taglio.”
In alcune leggi, viene poi specificato che non vengono considerate pratiche mutilatorie le operazioni chirurgiche effettuate per ragioni mediche, come indicato nella legge del Bénin per la repressione delle mutilazioni genitali femminili che nell’articolo 3, dopo aver 137
specificato cosa si intenda per tali pratiche, aggiunge che “sono escluse da questa categoria, le operazioni chirurgiche degli organi genitali effettuate su prescrizione medica”; lo stesso si legge nell’articolo 2 della legge adottata a Togo nel 1998 . 138
L’inclusione di tale precisazione da parte del legislatore non deve essere letta come un incentivo per la medicalizzazione dell’intervento, bensì come una volontà di escludere dalle pratiche mutilatorie quegli interventi necessari per la salute della paziente; infatti, la partecipazione all’intervento di personale medico, viene qualificato in molti casi come circostanza aggravante.
1.3 Metodi di criminalizzazione, soggetti
responsabili e pene
Anche in Africa, le modalità attraverso cui vengono criminalizzate le pratiche mutilatorie consistono o nell’inglobamento delle MGF nei codici penali già esistenti (ad esempio Burkina Faso, Djibouti, Egitto, Ghana, Senegal, Zambia) o nell’adozione di specifici atti (ad esempio Kenya’s Children Act, Ethiopia’s Proclamation, Sierra Leone’s Child Right Act) o ancora attraverso l’adozione di specifiche
Loi No. 2003-03 Portant répression de la pratique des mutilations génitales
137
féminines en République du Bénin.
Loi No. 98-016 Portant interdiction des mutilations génitales féminines au Togo.
previsioni legislative (ad esempio Benin, Costa d’Avorio, Eritrea, Togo).
Come esempi appartenenti alla prima categoria, possiamo citare il Djibouti che nel suo codice penale del 1995 ha introdotto con 139
l’articolo 333 la criminalizzazione di tutti gli atti che portano a mutilazioni, il codice penale del Burkina Faso , che all’articolo 380 140
punisce chiunque violi o cerchi di violare l’integrità degli organi genitali femminili, il Ghana che ha introdotto l’articolo 69A nel codice penale , o ancora il Senegal con l’introduzione, nel 1999, nel 141
suo codice penale dell’articolo 299 bis per la criminalizzazione 142 143
di ogni tipo di MGF.
Per quanto riguarda invece le ipotesi di normative ad hoc contro le MGF, possiamo fare riferimento alla già menzionata Proclamazione dell’Eritrea , alla legge adottata nel Togo nel 1998 , al Code on 144 145
Child Protection adottato nel 2008 nella Repubblica Democratica del Congo, al Kenya’s Children Act che all’articolo 14 afferma che “nessuno può sottoporre una bambina alla circoncisione femminile, ad un matrimonio precoce o ad altre pratiche o costumi tradizionali che possono colpire negativamente la sua vita, salute, benessere sociale, dignità o sviluppo fisico o psichico” e al Child Right Act adottato dalla Sierra Leone nel 2007 che all’articolo 33 afferma che “nessuno dovrebbe sottoporre un bambino a tortura o altri
Codice penale del Djibouti, 5 Gennaio 1995.
139
Codice penale del Burkina Faso, legge n.43/96/ADP, 13 Novembre 1996.
140
Codice penale del Ghana, 1994.
141
Codice Penale del Senegal, legge n.65-60; 21 Luglio 1965.
142
Law Amending Certain Provisions of the Penal Code on Female Genital
143
Mutilation, N. 99-05, 1999.
Proclamation No. 158/2007 to abolish Female Circumcision.
144
Law on the Prohibition of Female Genital Mutilation, No. 98-016, 1998.
trattamenti crudeli, inumani o degradanti inclusa qualsiasi pratica culturale che è dannosa per il benessere fisico e mentale del bambino”.
Infine, per l’adozione di apposite previsioni legislative possiamo citare la Loi No. 2003-03 Portant répression de la pratique des