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il diritto violato: le mutilazioni genitali femminili

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Academic year: 2021

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Universit`

a degli Studi di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Il diritto violato:

le mutilazioni genitali femminili

Il Relatore:

Chiar.mo Prof. Antonio Marcello

Calamia

La Candidata:

Giorgia Bradascio

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“Ed ora un appello! Un appello per l’amore perduto. Un appello per i sogni infranti. Un appello per il diritto di vivere insieme. E tutti colore che amano la pace proteggano, sostengano, diano una mano alle bambine innocenti, che non fanno male, obbedienti ai loro genitori, agli anziani, e che conoscono soltanto sorrisi. Iniziatele al mondo dell’amore non al mondo del dolore femminile!”

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A

BSTRACT

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono pratiche che comportano la rimozione totale o parziale dei genitali esterni femminili o altri danni. Particolarmente diffuse in determinate zone dell’Africa e dell’Asia, sono arrivate anche nei Paesi occidentali come diretta conseguenza degli spostamenti migratori. Eseguite con strumenti rudimentali quali lamette, rasoi, pietre, coltelli da cucina, vetri rotti e in condizioni igieniche non idonee, provocano, nel breve e nel lungo periodo, gravi conseguenze fisiche e mentali per le donne. Dietro le MGF si celano complesse motivazioni antropologiche e socio-culturali che hanno tra gli obiettivi principali quello di controllare il corpo della donna e la sua sessualità e di subordinarla agli uomini della famiglia.

Le MGF costituiscono una violazione dei diritti umani fondamentali sanciti in Carte internazionali, come il diritto alla vita, alla salute e all’integrità psico-fisica, il diritto alla non discriminazione. Molto intensa in tale campo é l’attività posta in essere da organizzazioni internazionali quali, in primo luogo, le Nazioni Unite, che dagli anni ’90 del secolo scorso promuovono campagne di sensibilizzazione sulle mutilazioni genitali femminili e di promozione dei diritti umani al “femminile”.

Negli ultimi anni, molti Paesi Africani, Europei ed Extraeuropei si sono dotati di una normativa per criminalizzare e mettere al bando le

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MGF ma nonostante questo, attualmente, in tutto il mondo si contano circa 200,000 donne vittime di mutilazione che vuol dire che le leggi da sole non bastano. C’é bisogno di informazione, educazione, partecipazione soprattutto da parte delle comunità dedite alla pratica, sia uomini che donne. Sconfiggere una volta per tutte le mutilazioni genitali femminili significherebbe garantire il progresso non solo femminile ma umano.

! ii

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I

NDICE

Abstract i

Indice iii

Introduzione 1

Capitolo 1 - Origini storiche e nozione delle mutilazioni genitali

femminili 5

1. Terminologia ...5

2. Definizione e Classificazione ...6

3. Effetti e conseguenze delle MGF ...8

4. Origine delle MGF ...10

5. Localizzazione e stime ...14

6. Background sociale e culturale ...18

7. Il significato del dolore ...22

Capitolo 2 - I diritti umani delle donne nella normativa internazionale 25 1. I diritti umani delle donne nella normativa internazionale ...25

2. L’ONU e la tutela della donna ...28

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4. Gli anni ’90: dalla Conferenza di Vienna alla Conferenza di

Pechino ...43

5. Gli sviluppi recenti: la Dichiarazione del Millennio e il Summit Mondiale ...52

6. La tutela della donna nell’ambito regionale ...54

6.1 L’Europa ...54

6.2 L’America ...57

6.3 L’Africa ...59

Capitolo 3 - Il regime giuridico internazionale delle mutilazioni genitali femminili in quanto violazione dei diritti umani 63 1. La lotta alle mutilazioni genitali femminili: dall’approccio medico a quello umanitario ...63

2. La difficoltà di includere le mutilazioni genitali femminili nella sfera dei diritti umani ...66

3. Il diritto alla vita, alla salute e all’integrità psico-fisica ...68

4. La violazione del diritto alla non discriminazione ...75

5. La violazione del divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti ...79

6. La violazione del diritto a non subire violenze ...82

7. La violazione dei diritti dei bambini ...84

8. Il problema del consenso ...90

9. Sviluppi recenti sulla lotta alle mutilazioni genitali femminili sul piano internazionale e regionale ...92 9.1 L’interesse delle Nazioni Unite sulla questione delle MGF

92 ...

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9.2 L’Africa: il Protocollo alla Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli e la Dichiarazione del Cairo per

l’eliminazione delle MGF ...94 9.3 L’Unione Europea ...96

Capitolo 4 - Le normative nazionali per la messa al bando delle

mutilazioni genitali femminili 101

1. Le norme nazionali africane volte alla criminalizzazione delle mutilazioni genitali femminili ...103 1.1 Le tipologie di strumenti legislativi utilizzati ...103 1.2 Definizioni di MGF all’interno degli strumenti legislativi

104 ...

1.3 Metodi di criminalizzazione, soggetti responsabili e pene 105 ... 1.4 Mancanza di misure preventive ...110 1.5 I limiti degli strumenti legislativi nazionali in Africa 112 .... 2. L’adozione di normative anti mutilazioni genitali femminili nel

mondo occidentale ...113 2.1 I Paesi Europei ...115 2.2 I Paesi Extraeuropei ...130

Capitolo 5 - Le mutilazioni genitali femminili e il diritto

d’asilo 135

1. Gli strumenti internazionali in tema di asilo ...135 2. Le mutilazioni genitali femminili come motivo alla base della

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3. L’apporto della Convenzione delle Nazioni Unite contro le torture ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani e

degradanti ... 145 4. Alcune esperienze giurisprudenziali ...147

Conclusioni 151

Bibliografia 155

Sitografia 161

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I

NTRODUZIONE

Sunna, clitoridectomia, escissione, circoncisione, taglio, modificazione dei genitali, diversi nomi per un solo fenomeno: le mutilazioni genitali femminili. Mutilare vuol dire provocare per trauma o per intervento chirurgico o atto violento la mutilazione di una parte del corpo.

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) mutilano brutalmente e a crudo gli organi genitali esterni di giovani donne, per lo più bambine che possono avere dai pochi giorni di vita ai quindici anni. Sono pratiche oscure e arcaiche che si perdono nella notte dei tempi, dietro le quali si celano complesse motivazioni sociali e culturali legate ad un’ideale di appartenenza, di bellezza, di purezza, di crescita, di costruzione dell’identità, di ingresso nel “mondo delle donne”.

Sono pratiche tradizionali diffuse in Africa e in alcuni Paesi del Medio Oriente, ma che riguardano, ormai, anche noi occidentali. La società multiculturale e globalizzata in cui viviamo, infatti, ci pone dinanzi realtà che, seppur lontane anni luce da noi, non possiamo fare finta di non vedere, tra cui le stesse mutilazioni genitali. Riguardano donne lontane ma anche donne che vivono accanto a noi, che incrociamo ogni giorno per strada, con cui andiamo a scuola, giochiamo, cresciamo e lavoriamo.

È una pratica disumana e dannosa, assolutamente non necessaria, che mette in serio pericolo la vita della donna e la sua salute,

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costringendola a conseguenze fisiche e psichiche nel breve e nel lungo periodo. Una donna mutilata non è una donna come tutte le altre, la sofferenza e il dolore del “taglio” forgiano il suo spirito e il suo aspetto in maniera irreversibile.

Per tali motivi, è necessario squarciare il silenzio che ha avvolto per troppo tempo, e che avvolge tuttora, questo fenomeno ed è importante farlo con i giusti toni e le giuste posizioni, spogliandosi dei pregiudizi e delle false credenze, nel rispetto delle donne vittime di tali pratiche, della loro sensibilità e dignità.

Bisogna dar voce ai 200 milioni di donne vittime di mutilazioni genitali femminili, non consapevoli che ciò che sono costrette a subire è una violazione dei diritti umani più fondamentali, nonché la forma più cruenta di violenza contro le donne.

Questa tesi analizza il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili alla luce della disciplina internazionale della tutela dei diritti umani. Punto di partenza, Capitolo 1, è la descrizione dettagliata del fenomeno: iniziando dalla nozione di mutilazione genitale femminile, si analizzeranno le varie tipologie di mutilazione esistenti e gli effetti e le conseguenze mediche che causano. Per poter meglio inquadrare il fenomeno, importante sarà il cenno alla storia e alle origini, l’analisi del background sociale e culturale al fine di spiegare le ragioni che ne stanno alla base. Completano la descrizione del fenomeno, l’individuazione delle località in cui le pratiche risultano essere maggiormente diffuse, le stime e l’età delle vittime. Un ultimissimo cenno va al dolore e al significato simbolico che esso assume all’interno di tali pratiche.

Dopo aver delineato un quadro quanto più completo possibile riguardo alle mutilazioni genitali femminili e al contesto in cui avvengono, la trattazione prosegue nel Capitolo 2, con l’inserimento

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dell’argomento nel contesto dei diritti umani al femminile. Saranno quindi percorse le tappe fondamentali del lungo iter di costruzione dello scenario prettamente femminile dei diritti e delle libertà fondamentali a livello internazionale. Si farà riferimento, in particolar modo, all’importantissimo contributo dato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e da altre organizzazioni internazionali tramite l’adozione di strumenti giuridici preposti alla tutela delle donne, per poi guardare alla tutela dei diritti femminili data a livello locale, nello specifico dall’Europa, dall’America, dall’Africa e dal mondo arabo. Nel Capitolo 3 è affrontata la delicata questione del riconoscimento delle mutilazioni genitali femminili come forma di violazione dei diritti umani. In assenza di testi legislativi internazionali rivolti esplicitamente a tali pratiche, si analizzeranno le varie convenzioni, dichiarazioni e trattati, al fine di individuare le varie tipologie di diritti umani che le mutilazioni genitali femminili violano, come il diritto alla vita, alla salute, all’integrità psico-fisica, il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, il diritto alla non discriminazione, alla non violenza e ai diritti dell’infanzia. Si guarderà poi al problema del consenso e alla conseguente possibilità di criminalizzare la pratica, anche laddove la vittima esprima la propria volontà di essere sottoposta all’intervento. Da ultimo, si evidenzierà l’interesse mostrato dalle Nazioni Unite nel riconoscere le mutilazioni genitali femminili come violazione dei diritti umani e nell’impegno mostrato nella lotta alle stesse anche da parte di organizzazioni internazionali regionali, quali l’Unione Europea e l’Unione Africana.

Il Capitolo 4 si soffermerà su un attento studio delle legislazioni nazionali che vietano e criminalizzano le mutilazioni genitali

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femminili: dalla normativa dei Paesi africani a quella dei Paesi occidentali.

Infine, nel Capitolo 5, l’attenzione è rivolta alla questione mutilazioni genitali femminili e diritto d’asilo: si vedrà sulla base di quali elementi il timore fondato di essere sottoposte ad una mutilazione genitale femminile può legittimare la richiesta d’asilo.

La varietà e la molteplicità di elementi di cui si compone tale elaborato offrono una completa descrizione del fenomeno, fornendo gli strumenti legislativi necessari per condannare le mutilazioni genitali femminili e poter tutelare le donne e il loro diritto violato.


(17)

C

APITOLO

1

Origini storiche e

nozione delle mutilazioni

genitali femminili

1. Terminologia

Il termine Mutilazioni Genitali Femminili (il cui acronimo italiano è MGF) inizia a diffondersi dalla fine degli anni ’70 col fine di porre una netta e chiara distinzione terminologica rispetto alla molto meno incisiva circoncisione maschile da cui se ne distingue per fini e modalità.

Questo termine viene ufficialmente adottato nel 1990 durante la III Conferenza del Comitato Inter-Africano (IAC) sulle pratiche tradizionali rilevanti per la salute di donne e bambine/i tenutasi ad Addis Abeba. Nel 1991 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha poi raccomandato alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale e scientifica in generale l’utilizzo di questo termine che non è, dunque, affidato al caso ma è stato frutto di una scelta consapevole: il suo forte connotato negativo vuole, infatti, sottolineare ed enfatizzare la gravità di questa pratica e condannarla.

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Tale termine è accettato non solo dalla comunità internazionale e dalle associazioni che ritengono che il suo utilizzo possa aiutare a promuovere l’impegno nazionale e internazionale per porre fine a questo fenomeno, ma anche da molte delle vittime, che non vogliono che si usi il termine “circoncisione” perché minimizza il danno riportato; ma allo stesso tempo è condannato dalle comunità dedite alla pratica che considerano la parola “mutilazione” offensiva.

Per questo motivo, dalla fine degli anni ‘90 la parola “mutilazione” inizia a essere gradualmente sostituita con l’espressione “Female Genital Cutting” o “taglio”, che suona più neutrale e più rispettoso delle culture locali e tradizionali delle comunità che la praticano. Non è però così che la chiamano nei Paesi in cui è praticata: a seconda della zona, dell’etnia e della tribù, si parla di “cucitura” o più generalmente di “circoncisione”.

2. Definizione e Classificazione

A prescindere da queste differenze prettamente linguistiche, l’OMS ricomprende nell’espressione mutilazione genitale femminile “tutte le procedure che includono la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni agli organi genitali femminili per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche” . 1 Attualmente le mutilazioni genitali femminili possono essere suddivise in quattro tipologie:

I) Clitoridectomia (in alcuni Paesi è chiamata “Sunna” che significa “tradizione”): rimozione totale o parziale del clitoride

WHO, Eliminating Female Genital Mutilation: An interagency statement.

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e, in rari casi, solo del prepuzio. Si tratta della forma più lieve e meno cruenta.

II) Escissione: rimozione totale o parziale del clitoride e delle piccole labbra, con o senza escissione delle grandi labbra. III) Infibulazione (o circoncisione faraonica): restringimento

dell’orifizio vaginale attraverso la creazione di una chiusura formata tagliando e avvicinando le piccole labbra, o le grandi labbra, con o senza la rimozione del clitoride. Permane solo una piccola fessura nell’estremità inferiore, per permettere la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale, del diametro di un fiammifero o di una matita (si dice che deve passare solo un grano di miglio o un chicco di riso). È la forma più grave in assoluto di mutilazione genitale femminile, tipica dei paesi del Corno d’Africa, inflitta al 15% delle vittime.

IV) Tutte le altre procedure dannose per gli organi genitali femminili eseguite per scopi non terapeutici, ad esempio punture, perforazioni, incisioni, raschiamento, stiramento del clitoride e/o delle labbra, cauterizzazione per ustione dell’area genitale, introduzione di sostanze corrosive o di erbe per causare sanguinamento o restringimento.

Gli interventi di mutilazione genitale femminile sono veri e propri atti medico-chirurgici anche se realizzati da personale inesperto privo di conoscenze mediche, in condizioni non igieniche e con strumenti rudimentali . Ad aggravare la pratica in sé, infatti, sono 2

proprio le condizioni in cui viene eseguita: le ragazze sono operate da praticanti locali come levatrici tradizionali o da una donna anziana del villaggio con l’utilizzo di strumenti rudimentali come

Enciclopedia Medica Italiana, III Aggiornamento della Seconda Edizione;

2

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coltelli da cucina, vetri rotti, forbici, lamette, pietre appuntite, rasoi o altri oggetti acuminati, senza utilizzare alcun tipo di anestesia, provocando così un dolore lancinante che porta le ragazze a dimenarsi complicando l’intervento. Dopo l’intervento, le gambe della ragazza vengono legate dall’anca fino alla caviglia per costringerla all’immobilità per diverse settimane, o mesi se necessario, e consentire la cicatrizzazione della ferita. Cicatrizzazione che viene facilitata utilizzando sostanze adesive naturali come zucchero, tuorlo d’uovo, succo di limone, olio caldo, tè, infusi di acacia o miscugli di erbe.

3. Effetti e conseguenze delle MGF

L’assenza di un ambiente sterile, l’utilizzo di strumenti “casalinghi” inidonei, le rudimentali tecniche usate per effettuare il taglio e la sutura, il rischio che questi strumenti vengano spesso utilizzati in successione su un gran numero di ragazze, nonché l’esecuzione della pratica da parte di soggetti non qualificati, non fanno che accrescere le ripercussioni della pratica sul piano sia fisico che psichico.

Il rischio è correlato ovviamente anche al tipo di mutilazione praticata; la Sunna provocherà conseguenze molto meno dannose rispetto all’infibulazione . 3

Secondo l’OMS, la donna che subisce una mutilazione genitale si troverà ad affrontare conseguenze sia nel breve che nel lungo periodo. In primo luogo il dolore acuto provocato dalla lacerazione

Carla Pasquinelli, Antropologia delle mutilazioni genitali femminili,

3

Seminario Afro-Arabo di esperti sulle norme legislative per la prevenzione delle mutilazioni genitali femminili, Cairo, giugno 2003.

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delle carni in assenza di anestesia e la perdita di sangue durante e dopo l’operazione, provoca un forte shock e possibili emorragie che, in molti casi, possono arrivare a provocare la morte della ragazza. Accanto al dolore, nella maggior parte dei casi, l’operazione è accompagnata da infezioni causate dall’utilizzo di strumenti non sterilizzati e dall’ambiente circostante in cui viene effettuata, nonché febbre, tetano, problemi alle vie urinarie. L’utilizzo degli stessi strumenti, come ad esempio la medesima lama su più bambine, può anche contribuire alla diffusione del virus HIV.

Subito dopo l’intervento, il forte timore del dolore provocato dall’espletamento dei bisogni fisiologici impedisce alle ragazze di avere un’alimentazione normale, causando malnutrizione e anemia. Nel lungo periodo possono svilupparsi infezioni alla regione genitale, infezioni croniche all’apparato urinario, infertilità causate da infezioni curate male, ristagno di sangue, problemi mestruali, dolore durante i rapporti sessuali, ritenzione urinaria, ascessi, calcoli, fistole che possono perdurare per tutta la vita, provocando una vera e propria disabilità permanente . 4

Aver subito mutilazioni dei genitali femminili influisce poi non tanto sulla gravidanza quanto sullo svolgimento del parto: i tempi di travaglio sono allungati e il momento del parto è accompagnato da parecchie complicazioni ed emorragie, causando un alto livello di mortalità infantile. Molto spesso per consentire al bambino di uscire senza lacerare la madre occorre effettuare una deinfibulazione, operazione inversa all’infibulazione, che va a riaprire la cicatrice da

Enciclopedia Medica Italiana, III Aggiornamento della Seconda Edizione;

4

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questa lasciata e che tende a ripristinare più o meno le condizioni naturali esistenti prima della mutilazione.

Le conseguenze delle MGF non si ripercuotono solo sul corpo della donna e sulla sua salute fisica, ma incidono anche sulla sua salute psicologica. La brutalità e la penosità dell’intervento subito, scioccano le bambine e le giovani donne in maniera indelebile, costringendole a vivere con un perenne senso di angoscia e paura. Poche ricerche sono state condotte sulle conseguenze psicologiche e sessuali delle MGF, tuttavia nelle donne sottoposte a mutilazione si registrano conseguenze come ansia, depressione, stress post-traumatico, poca autostima in se stesse, irritabilità, frigidità, conflitti relazionali e coniugali legati all’impossibilità di vivere appieno la vita matrimoniale dal punto di vista sessuale, psicosi, disturbi comportamentali, incubi ricorrenti. La conseguenza più grave delle mutilazioni genitali risulta essere, ovviamente, la morte.

4. Origine delle MGF

Le mutilazioni genitali femminili hanno un’origine oscura, non è facile ricostruire con precisione l’origine, data la varietà delle loro forme e l’ampia e variegata diffusione geografica; un’origine resa ancora più oscura dall’aurea di mistero e di silenzio che le ha sempre circondate e che ha contribuito a farne un argomento tabù tra le stesse genti atte alla pratica, ma anche a proteggerle dalla curiosità indiscreta degli occidentali.

Erroneamente, soprattutto nella società occidentale moderna, si tende ad attribuire la paternità di tale pratica al mondo islamico; concezione totalmente inesatta perché questa crudele operazione

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viene praticata sin dagli albori della civiltà, molti secoli prima della comparsa della religione islamica.

Sebbene non ci siano prove ufficiali, c’è chi individua l’origine delle mutilazioni genitali femminili in Egitto, non a caso l’infibulazione viene anche chiamata “circoncisione faraonica”, altri invece riconducono l’origine all’antica Roma . 5

Le prime tracce della pratica delle MGF risalgono a degli scritti dello storico greco Erodoto (V sec. a.c.) che racconta che erano praticate molto prima della sua epoca da Egizi, Fenici, Ittiti, Etiopi. All’incirca nel 25 a.c., anche il geografo e storico Strabone riferisce che era usanza degli Egizi circoncidere i bambini e praticare l’escissione sulle bambine. Le fonti sembrano indicare che la pratica fosse appannaggio delle classi più ricche e dominanti dell’antico Egitto, usate per far fronte ad eventuali pretese di regalità o questioni inerenti l’eredità o come segno distintivo per le donne delle caste superiori.

Ancora, Sorano d’Efeso (II sec. a.c.) ed Ezio di Amida (V sec. a.c.) raccontano che era usanza ad Atene e a Roma, chiudere l’apertura vaginale con una spilla chiamata fibula (da qui il termine “infibulazione”) alle mogli dei soldati per garantire la fedeltà ai mariti in partenza per campagne militari, e alle schiave per impedire che possibili gravidanze potessero ostacolare lo svolgimento delle mansioni cui erano preposte.

Una pratica simile verrà poi attuata in Europa durante le Crociate con la “Cintura di Castità” per le spose dei crociati in partenza per la Terrasanta.

Rogoia Mustafa Abusharaf (a cura di), Female Circumcision; University of

5

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Nel corso del tempo, le notizie relative alle mutilazioni genitali femminili si sono diffuse sempre più, senza però mai riuscire ad individuare un’unica spiegazione all’origine e alla diffusione del fenomeno. Quale che sia la culla del fenomeno, Corno d’Africa, Egitto o Penisola Arabica, ciò che appare certo è che le mutilazioni genitali femminili non possono essere circoscritte solo alle popolazioni africane, giacché sono approdate e si sono diffuse anche nel mondo occidentale.

In Inghilterra nel diciannovesimo secolo, infatti, una delle forme di mutilazione genitale femminile inizia ad essere eseguita per motivi medici. Il ginecologo londinese Isaac Baker Brown, praticò la clitoridectomia su molte donne in quanto considerata la giusta cura per alcuni dei “mali femminili” . Era, infatti, da lui considerata la 6

cura per la masturbazione, ma anche per malattie mentali come l’instabilità mentale, la ninfomania, l’isteria, l’epilessia, la demenza.

Documenti dell’epoca dimostrano come la clitoridectomia fosse considerata, in ambito medico, lo strumento migliore per ridurre gli impulsi sessuali femminili e la masturbazione, considerati comportamenti poco adatti ad una donna e pericolosi nonché malattie che dovevano essere curate. “Ho effettuato la mia solita operazione e la paziente ebbe un buon recupero, rimase piuttosto quieta e diventò a tutti gli effetti una buona moglie”, scrive Isaac Baker Brown.

Alla base di tali teorie rimbomba forte la volontà maschilista di reprimere e controllare la sessualità femminile, elemento che continua a caratterizzare le MGF ancora oggi.

Elizabeth Sheehan, Victorian Clitoridectomy: Isaac Baker Brown and his

6

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Per quanto riguarda il legame tra MGF e religione (in particolar modo con l’Islam), pur non mancando teorie che la considerando un precetto religioso, nessun testo religioso accenna a tale pratica. Sicuramente è la diffusione delle mutilazioni dei genitali di giovani donne in zone a prevalenza islamica a far erroneamente supporre un riconoscimento della pratica nel Corano, accompagnata dal fatto che la religione musulmana si è da sempre mostrata come la più tollerante nei confronti della pratica.

Esponenti del mondo islamico hanno, però, più volte voluto sottolineare come non ci sia nessun tipo di connessione tra la religione musulmana e le MGF, schierandosi apertamente contro. “La Shari’a islamica protegge l’infanzia e ne salvaguardia i diritti. Chi non riconosce i diritti ai propri figli commette peccato grave. Dio, nella Sua saggezza, ha anche voluto l’uguaglianza tra uomini e donne sotto molti aspetti. Abbiamo tutti la stessa origine. Dio ha onorato entrambi i sessi”, dice il grande Imam Sheikh Mohamed Sayed Tantawi . Riguardo al problema delle MGf egli dice: “le 7

MGF sono un problema medico, e noi dobbiamo ascoltare quello che dicono i dottori e obbedire. Non c’è nulla nella Shari’a, nel Corano o nella Sunna profetica che parli di MGF. Qualsiasi accenno a questo problema non trova riscontro nei sacri testi. È un problema che appartiene alla medicina.”

Certo è che, sebbene si escluda qualsiasi tipo di fondamento religioso, i dati mostrano che tale pratica è presente sia nelle comunità islamiche sia in quelle cristiane, tanto da indurci a parlare di un precetto trasversale a tutte le religioni. Allo stato attuale,

Grande ImamSheik Mohamed Sayed Tantawi, Islam e Mutilazioni genitali

7

femminili, Seminario Afro-Arabo di esperti sulle norme legislative per la

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nonostante le varie e variegate teorizzazioni fatte, l’origine delle MGF sembra destinata a restare indeterminata.

5. Localizzazione e stime

La pratica delle mutilazioni genitali femminili è diffusa in molti Paesi dell’Africa ma anche in zone del Medio Oriente e dell’Asia. È, tuttavia, molto difficile raccogliere dati certi e soddisfacenti circa i paesi dove la pratica è prevalente e quantificare con precisione il numero di donne e bambine vittime della pratica.

Originariamente, i dati usati da organizzazioni come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF), il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) e altre agenzie internazionali erano basate essenzialmente su stime approssimative e nulla dicevano su come venivano raccolti questi dati.

Il primo tentativo di esaminare e calcolare il numero di donne circoncise nel mondo è stato “The Hosken Report-Genital and Sexual Mutilation of Females”, un rapporto del 1982 che indicava essere circa 110 milioni le donne circoncise nei venti paesi africani dove si sapeva che le MGF erano prassi diffusa; anche se i dati raccolti erano basati non su interviste fatte direttamente sul campo ma soltanto su stime approssimative.

Attualmente gli strumenti utilizzati per conoscere la diffusione delle MGF sono il DHS (Demographic and Health Surveys) e le indagini MICS (Multiple Indicators Cluster Surveys) dell’UNICEF . Il DHS 8

è un programma che si occupa di raccogliere dati nei Paesi in via di

UNICEF, Female Genital Mutilation/Cutting, A Statistical overview and

8

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sviluppo riguardanti la salute, la fertilità, la malaria, l’HIV, la mortalità infantile e materna, la nutrizione e altre informazioni sulla popolazione; mentre le indagini MICS dell’UNICEF costituiscono un sistema di ricerca che si occupa della raccolta dei dati circa la situazione di donne e bambini.

Entrambi i sistemi DHS e MICS formulano dei questionari e li sottopongono, ogni cinque anni circa, alle donne del posto: chiedono loro se sanno cosa siano le MGF, se ne abbiano mai sentito parlare e, a quelle che rispondono positivamente, viene chiesto se le hanno subite in prima persona e se hanno fatto circoncidere le figlie. Tali questionari mirano altresì a raccogliere informazioni addizionali sui riti praticati, sui tipi di MGF e sulla posizione che le donne hanno nei confronti della pratica e della tradizione che c’è dietro.

Le risposte raccolte vengono poi utilizzate per calcolare il tasso di MGF e le percentuali della loro diffusione nelle varie zone ed è proprio grazie all’utilizzo di questi strumenti e alle ricerche condotte in loco da studiosi e personale sanitario che oggi è possibile disporre di dati e quantificare il fenomeno; dati di cui poi si servono tutti quegli enti internazionali che si occupano di MGF. Attualmente è possibile affermare che nel mondo circa 200 milioni di bambine, ragazze e donne hanno subito una forma di MGF e, ogni anno, circa tre milioni rischiano di incorrere nello stesso destino.

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!

FIGURA 1 - Mappa della diffusione delle MGF in Africa con percentuale

per Paese di ragazze e donne tra i 15 e i 49 anni sottoposte a MGF (MGF Report 2013, UNICEF).

Culla delle MGF risulta essere sempre l’Africa con 28 Paesi 9

interessati, concentrati maggiormente nella zona che si estende dalla costa occidentale al Corno d’Africa . Figura 1 mostra la 10

diffusione delle MGF in Africa e la percentuale di donne tra i 15 e i 49 anni sottoposte a MGF (MGF Report 2013, UNICEF). In alcuni Paesi come Somalia, Egitto, Guinea, Eritrea, Gibuti, Mali e Sierra Leone quasi tutta la popolazione femminile ha subito la pratica, con

Somalia, Guinea, Gibuti, Sierra Leone, Mali, Egitto, Sudan, Eritrea, Burkina

9

Faso, Gambia, Etiopia, Mauritania, Liberia, Chad, Costa d’Avorio, Nigeria, Senegal, Repubblica Centroafricana, Kenya, Tanzania, Benin, Togo, Ghana, Nigeria, Uganda, Cameroon, Guinea-Bissau, Niger.

UNICEF, Female Genital Mutilation/Cutting, A Statistical overview and

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percentuali che raggiungono il picco del 99% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 49 anni. In altri Paesi, quali Burkina Faso, Gambia, Liberia, Mauritania, Etiopia, la pratica interessa la maggioranza delle bambine ma non la totalità; in altri ancora come Ciad, Costa d’Avorio, Guinea, Kenya e Liberia hanno un tasso medio (30-40%) e, infine, le percentuali più basse (intorno al 10%) si riscontrano in zone come Nigeria, Uganda e Repubblica Centroafricana.

Bisogna comunque tenere in considerazione che questi sono dati complessivi e soggetti a variazioni sia per la modalità con cui vengono raccolti che può avvenire in via diretta o basarsi su stime approssimative, sia per la varietà tra pratiche esistenti nelle diverse regioni in base alla cultura e al gruppo etnico. Si tenga altresì conto che le bambine su cui vengono raccolti dati hanno dai 15 anni in su, ma la realtà dei fatti è che le mutilazioni dei genitali vengono effettuate anche su bambine tra 4 e i 14 anni e in alcuni casi persino su neonate.

La presenza delle MGF è stata accertata anche in altri Paesi quali India, Indonesia, Iraq, Yemen, Malesia, Thailandia e Israele anche se mancano stime effettive al riguardo.

Inoltre, i crescenti flussi migratori, hanno portato ad uno spostamento del fenomeno, registrando casi di MGF anche in Europa, Australia, Canada, Stati Uniti d’America e America del Sud. In queste zone, organizzazioni internazionali e ONG cercano di assistere le donne delle comunità migranti, ricordiamo l’azione dei GAMS (Gruppi per l’Abolizione delle Mutilazioni Sessuali femminili) in Francia e in Belgio e dell’AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) in Italia.

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6. Background sociale e culturale

Dietro le MGF si cela un universo complesso fatto di vecchie credenze, miti, convenzioni sociali, relazioni e scambi sociali che regolano l’assetto istituzionale delle comunità. È una consuetudine, una norma sociale che si rispetta da tempi remoti, tramandata di generazione in generazione, di madre in figlia secondo una ripetizione sistematica.

Ed è proprio la forza della tradizione a garantire la continuità della pratica. Sono considerate un vero e proprio rito di passaggio obbligato della vita di ogni donna: serviranno a farla entrare a pieno titolo nella comunità di appartenenza e a definire la sua identità di genere.

Costituiscono la porta d’ingresso nella propria comunità, non sottoporsi significherebbe condannarsi all’emarginazione e alla ripulsa, di conseguenza perdere quell’insostituibile risorsa che è l’appartenenza comunitaria.

Ecco perché le donne che l’hanno subita continuano a sottoporvi le proprie figlie, per garantire loro un futuro di rispetto e inclusione. L’essere “tagliata” diventa un simbolo di appartenenza al gruppo, una “ferita simbolica”.

Le mutilazioni genitali femminili nelle società tradizionali sono, però, anche uno strumento fondamentale per la costruzione dell’identità di genere. L’essere nata “femmina” con connotati biologici femminili, non è sufficiente; per questo intervengono i riti, sono loro a dover attribuire alla persona la sua identità, indicandogli ciò che è e deve essere . 11

A.Primi e N.Varani, La condizione della donna in Africa Sub-sahariana.

11

(31)

Strumenti di costruzione identitaria, “atti di magia sociale” che trasformano la sessualità biologica in una costruzione culturale necessaria per definire l’appartenenza di genere, per distinguere il femminile dal maschile, l’uomo dalla donna.

Nelle società africane la definizione dell’identità di genere prima di essere un percorso metaforico di ricerca e scoperta di sé, è una vera e propria manipolazione fisica del corpo. Vi è la convinzione che le MGF servano ad eliminare la parte “maschile” dell’apparato genitale femminile, il clitoride, e con la sua escissione si cancella la presunta bisessualità originaria di ogni essere. Così, solo con l’escissione delle sue parti maschili una ragazza può diventare una donna a pieno titolo, eliminando ogni tipo di mascolinità teoricamente preesistente in lei.

Le MGF oltre a modificare fisicamente il corpo della donna, ne modificano anche l’aspetto: diverso, infatti, sarà il portamento, l’andamento, la postura, l’armonia delle parti, che le conferirà quell’ideale di femminilità così diverso da cultura a cultura. Le donne infibulate, a causa del restringimento dello spazio tra le gambe, assumono un andamento più lento e sinuoso frutto di una maggiore precauzione e un’accurata scelta dei movimenti.

Nella maggior parte dei casi le mutilazioni dei genitali femminili costituiscono uno strumento di controllo sessuale delle donne: l’eliminazione del clitoride o la sutura delle labbra elimina, infatti, ogni forma di desiderio e piacere sessuale delle stesse. Servono a frenare gli impulsi sessuali della donna, considerati da molti uomini una cosa incontrollabile, addirittura pericolosa e animalesca, “la bambina non circoncisa resterà preda dei suoi impulsi sessuali come accade negli animali”.

(32)

Attraverso le mutilazioni, gli uomini si garantiscono dapprima la verginità e dopo la fedeltà delle loro donne, se la donna non prova piacere durante il rapporto sessuale non ne avrà desiderio e gli resterà fedele: il rapporto sessuale sarà solo e soltanto un dovere coniugale. Si assiste, quindi, ad una vera e propria sottomissione della donna all’uomo: non avendo più suoi desideri, vivrà appagando quelli del marito adempiendo così a quello che costituisce il suo primario compito: gratificare l’uomo.

Le società che praticano le mutilazioni sono fortemente patriarcali, pertanto, eliminare ogni possibilità che la donna intrattenga relazioni illegittime o promiscue, è di vitale importanza per l’uomo e per l’intera famiglia, ne va del loro onore.

Inoltre le MGF hanno una stretta relazione anche con il matrimonio. Il matrimonio in Africa ha mera natura contrattuale e, tranne rarissime eccezioni, è combinato dai parenti ai quali spetta stabilire quello che viene definito il “prezzo della sposa” (bride price) una sorta di pagamento che lo sposo dovrà versare alla famiglia della sposa per la perdita di una componente della famiglia e dei servizi che avrebbe potuto rendere alla stessa. Una donna mutilata ha un “prezzo” maggiore rispetto a quello di una donna con i genitali intatti che nessun uomo si sognerebbe di sposare; ecco perché per un padre è fondamentale sottoporre le proprie figlie alla circoncisione, costituisce una garanzia perché il prezzo che il futuro marito sarà disposto a pagare alla famiglia della futura moglie per una donna illibata, vergine, “cucita” è decisamente notevole.

La donna non mutilata va incontro ad un futuro incerto e privo di aspettative, considerata da tutti impura non avrà alcuna speranza di

(33)

trovare marito e per questo sarà relegata ai margini della società considerata una nullità.

Ulteriori motivazioni addotte a giustificazione della pratica delle MGF sono ragioni igieniche ed estetiche. Alcune comunità, associano ai genitali femminili un’idea di bruttezza, considerati sporchi e osceni, portatori di infezioni e pertanto nocivi; alcune etnie africane credono addirittura che il clitoride sia capace di “avvelenare” i bambini al momento della nascita o di rendere gli uomini, che ne vengano a contatto, impotenti. La rimozione totale o parziale dei genitali esterni, conferirà alla donna una maggiore bellezza estetica e pulizia . 12

Qualche fautore delle MGF ritiene che queste possano aumentare il piacere sessuale maschile; motivazione che non fa altro che amplificare quell’idea per cui le mutilazioni sono forme di controllo delle donne.

Elemento caratterizzante delle mutilazioni è poi la ritualità con cui si svolgono. In maniera sistematica, la bambina alle prime luci dell’alba viene allontanata dalla madre dal gruppo, portata via di casa e accompagnata in un luogo appartato, lontano da occhi indiscreti, dove avverrà l’operazione. Una volta eseguita, la bambina trascorrerà un periodo più o meno lungo, a seconda dei tempi necessari per consentire la cicatrizzazione della ferita, da sola e lontana da casa, con le gambe fasciate per facilitare la guarigione. Una volta guarita, la bambina ormai divenuta “donna” verrà

Maria Luisa Ciminelli, Le “ragioni cutlurali” delle mutilazioni genitali

12

femminili: note critiche sulla definizione di Mgf dell’Oms da “La Ricerca

Folklorica”, No. 46, Genere, sessualità, gestione del corpo (Oct., 2002), pp. 39-50.

(34)

reinserita nella propria comunità accolta in festa e colmata di doni per celebrare il suo nuovo status.

A contribuire maggiore sacralità alla pratica è il silenzio che la circonda. Nessuno ne parla nemmeno all’interno della famiglia di appartenenza, soprattutto da parte degli uomini di casa. Tutto ciò che sanno le bambine è che come è toccato alla loro nonna, alla mamma, alle sorelle e alle cugine, prima o poi toccherà anche a loro. I dettagli della pratica non vengono mai rivelati a chi deve ancora sottoporvisi; le bambine aspettano addirittura con ansia quel giorno, immaginandolo come un giorno di festa, non vedono l’ora tocchi a loro, vogliono diventare grandi, vogliono diventare donne. Nemmeno le mamme preparano le bambine a cosa le aspetta, saperlo le spaventerebbe e le farebbe scappare, e non possono correre questo rischio. Ed è proprio questo silenzio e questa complicità da parte delle madri che contribuisce a creare un antagonismo con le figlie, le quali si sentono tradite dalle mamme considerate complici di quella tortura disumana.

7. Il significato del dolore

Il dolore e la sofferenza costituiscono un elemento fondamentale in tutte le pratiche rituali, perché l’esperienza del dolore ha una valenza formativa per chi vi si sottopone. Così anche il dolore che subiscono le donne mutilate permette loro di mettersi alla prova e di mostrare agli altri che sono pienamente capaci di assumere il nuovo ruolo in maniera coraggiosa, senza mostrare sofferenza.

Il dolore che provano è insopportabile, infatti dagli studi condotti su questo argomento e dalle interviste rivolte alle donne vittime di

(35)

MGF, è emerso che pochissime donne sono in grado di parlare del dolore che hanno provato mentre subivano la pratica.

Alcune donne, tendono a cancellare quel ricordo come forma di autodifesa, ma inevitabilmente arriverà un momento durante la loro vita, in cui il ricordo doloroso prenderà il sopravvento.

Dicono che le donne africane siano destinate a soffrire tre volte durante la loro vita (“the three feminine sorrows”): al momento del taglio, la prima notte di nozze e al momento del parto.

Sebbene l’età in cui le bambine vengono sottoposte al “taglio” vari da etnia ad etnia, la maggior parte ha un’età compresa tra i 4 e i 15 anni; in alcune tribù si pratica persino entro le prime due settimane di vita, in altre viene praticata poco prima del matrimonio. Ultimamente si è notata una tendenza ad abbassare l’età media per ridurre la resistenza da parte delle bambine e per meglio occultare queste pratiche a eventuali controlli delle autorità soprattutto laddove siano proibite, nonché per evitare la possibilità di denuncia da parte delle stesse bambine che più piccole saranno più tenderanno ad avere un quasi totale assenza di ricordi circa l’intervento.

Inoltre, una maggiore consapevolezza delle conseguenze negative che le MGF hanno sulla salute della donne, ha fatto sì che oggi sempre molti più genitori decidano di far circoncidere le loro figlie non più in contesti domestici bensì in strutture sanitarie o comunque da personale dotato di un mimino di formazione sanitaria, portando ad una medicalizzazione dell’operazione.

La pratica delle MGF germoglia sui semi della tradizione e della cultura: il forte senso di appartenenza e il legame inscindibile con le origini impedisce di fermare questa pratica. Quella che per noi è una vera e propria mutilazione del corpo e della dignità della donna,

(36)

per i popoli che la praticano è una forma di perfezionamento: le famiglie sono convinte di agire per il bene delle loro figlie, garantendole l’appartenenza ad una società. Una società basata sulla disuguaglianza di genere e sul controllo totale della donna.


(37)

C

APITOLO

2

I diritti umani delle

donne nella normativa

internazionale

1. I diritti umani delle donne nella

normativa internazionale

Sin dall’antichità la donna ha sempre giocato, all’interno della comunità di appartenenza, un ruolo di inferiorità, frutto della tradizionale struttura patriarcale della società, che ha subordinato la figura femminile alla mercè dell’uomo-padrone.

L’inferiorità fisica e intellettuale alla base della cultura patriarcale sono state le scusanti usate per moltissimo tempo per giustificare l’esclusione della donna dalla vita lavorativa, politica, sociale relegandola ai confini domestici di cura della casa e della famiglia. Ovviamente, tale inferiorità si è riversata anche nella sfera prettamente giuridica escludendo la donna dal godimento dei diritti. Secondo la tradizione giuridica e antropologica, il titolare di diritti per antonomasia è il dominus: soggetto razionale dotato di una propria autonomia e indipendenza, padrone di sé, del proprio corpo,

(38)

della propria libertà e dei propri beni attraverso i quali gestisce la propria vita.

La donna, invece, non è un essere razionale. Considerata un soggetto istintivo, irrazionale, affettivo, non ha una propria autonomia, né fisica né decisionale, né culturale, né tantomeno economica che la costringe a dipendere da altri soggetti che esercitano un potere su di lei: padri, mariti, figli, fratelli.

Questa “naturale” diversità dall’uomo ha fatto si che per molto tempo la donna non fosse considerata titolare di diritti. 13

Il concetto di disuguaglianza tra uomo e donna e la persistente e acuta discriminazione nei confronti delle donne, che ha assunto le più svariate forme a seconda dell’area geografica, ha portato alla sempre più avvertita necessità di tutelare la donna.

In particolar modo è a livello internazionale che si sono fatti i primi passi volti a proteggere i diritti umani femminili, creando sia strumenti giuridicamente vincolanti sia documenti di mera natura dichiarativa.

Approssimativamente, i trattati internazionali che si occupano della condizione della donna possono essere distinti in due tipi: quelli che vogliono assicurare alle donne i medesimi diritti di cui godono gli uomini, sancendo il divieto di discriminazione, e quelli che intendono tutelare in maniera più rafforzata le donne perché considerate soggetti deboli (al pari dei bambini) e quindi maggiormente esposte a determinati pericoli o rischi. 14

Alessandra Facchi, Breve storia dei diritti umani: dai diritti dell’uomo ai diritti

13

delle donne, il Mulino, Bologna, 2013.

Maria Clara Maffei, La condizione della donna tra protezione e divieto di

14

discriminazione da “La tutela internazionale dei diritti umani. Norme, garanzie,

(39)

Inizialmente sono stati elaborati per lo più strumenti rientranti nella seconda tipologia, per tutelare la donna in settori specifici come il matrimonio, il lavoro, lo sfruttamento sessuale, dove la differenza uomo-donna era maggiormente sentita, per poi arrivare a un approccio più ampio volto al raggiungimento di un’uguaglianza sostanziale in ogni settore . 15

All’indomani del primo conflitto mondiale, la questione femminile era pressoché assente nello scenario internazionale data la scarsa attenzione rivoltale e la quasi totale assenza di dati al riguardo; è con la nascita della Società delle Nazioni che inizia a prestarsi più 16

attenzione.

Sebbene la Carta costitutiva non facesse riferimento alle donne e ai loro diritti, la Società delle Nazioni fu la prima promotrice di una normativa sovranazionale a tutela della donna, attraverso la Convenzione Internazionale per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli del 1921 e la Convenzione per la repressione della 17

tratta delle donne maggiorenni del 1933 , due importanti documenti 18

nella lotta alla cosiddetta tratta delle bianche , con l’obiettivo di 19 contrastare il traffico internazionale di tali soggetti a fini di prostituzione.

Elisa Spaziali, Il divieto di discriminazione in base al sesso negli strumenti di

15

portata generale sui diritti umani, Università degli studi di Padova, Centro di

Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, 2016.

La Società delle Nazioni è la prima organizzazione intergovernativa, fondata

16

durante la Conferenza di Parigi con la firma del Trattato di Versailles il 28 giugno 1919.

La Convenzione Internazionale per la repressione della tratta delle donne e dei

17

fanciulli approvata dall’Assemblea federale il 19 giugno 1925.

La Convenzione per la repressione della tratta delle donne adulte approvata

18

dall’Assemblea federale il 13 giugno 1934.

Il primo trattato in materia è l’Accordo internazionale per la repressione della

19

tratta delle bianche (Parigi, 18 maggio 1904) seguito dalla Convenzione internazionale per la repressione della tratta delle donne e dei bambini (Ginevra, 30 settembre 1921).

(40)

Anche l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organization, ILO) si preoccupò di creare un sistema di 20

protezione volto a scoraggiare l’impiego delle donne in situazioni lavorative particolarmente difficoltose per le stesse. A tal proposito ricordiamo la Convenzione n.3 del novembre 1919 sull’impiego delle donne prima e dopo il parto, la Convenzione n.4 dell’ottobre 1919 riguardante il lavoro notturno delle donne e la Convenzione n.45 del giugno 1935 sull’impiego delle donne nei lavori sotterranei in miniera.

Questi primi “esperimenti” normativi ebbero, senza dubbio, il merito di mettere in luce un problema esistente sin dagli albori della storia dell’umanità e da sempre ignorato. Sarà, però, con la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1945, che la tutela universale delle donne e dei loro diritti prenderà una piega più concreta ed effettiva.

2. L’ONU e la tutela della donna

Sin dalla sua costituzione, l’ONU , avvertendo la disparità di 21

genere come un problema socialmente diffuso, ha mostrato un grande interesse per la questione riguardante l’eguaglianza tra uomo e donna. Gli strumenti utilizzati sono stati molteplici: adozione di trattati internazionali, risoluzioni e dichiarazioni di

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro è stata fondata nel 1919 con il

20

Trattato di Versailles in seno alla Società delle Nazioni Unite e attualmente è un’agenzia specializzata dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) promotrice della giustizia sociale, dei diritti umani e del lavoro dignitoso.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è un’organizzazione

21

intergovernativa di carattere internazionale nata il 24 ottobre 1945, con l’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, sulla scia della vecchia Società delle Nazioni. Attualmente aderiscono 193 Stati.

(41)

principi dell’Assemblea Generale, creazione di organi ad hoc, conferenze.

Già nel Preambolo della Carta delle Nazioni Unite tra gli obiettivi primari dell’Organizzazione si legge “riaffermare la fiducia nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, negli uguali diritti degli uomini e delle donne”.

L’Articolo 1 paragrafo 3 prosegue affermando l’impegno a promuovere “il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione”.

È lampante notare già una differenza sostanziale rispetto all’approccio precedente; quest’ultimo era, infatti, improntato sulla tutela della donna in quanto essere più debole, mentre il nuovo approccio vuole proteggere le donne sancendo il principio di non discriminazione e di uguaglianza tra sessi.

Ciò nonostante, le disposizioni della Carta delle Nazioni Unite risultavano ancora molto generiche e poco concrete: era necessario dare risposte più precise.

Durante l’incontro inaugurale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tenutosi a Londra nel Febbraio 1946, Eleanor Roosevelt lesse 22

una lettera indirizzata alle donne di tutto il mondo che diceva: “we call on the Governments of the world to encourage women everywhere to take a more active part in national and international affairs, and on women who are conscious of their opportunities to come forward and share in the work of peace and reconstruction as they did in war and resistance” [chiediamo ai Governi del mondo di incoraggiare ovunque la partecipazione più attiva delle donne negli affari nazionali e internazionali, e alle donne che sono consapevoli

Nominata, nel 1946, delegato presso le Nazioni Unite nella Commissione sui

22

(42)

delle loro opportunità di farsi avanti e condividere il lavoro di pace e ricostruzione così come fecero durante la guerra e la resistenza] . 23

Qualche giorno dopo fu costituita dal Consiglio Economico e Sociale dell’ONU (ECOSOC) una Sotto-Commissione ad hoc sulla condizione delle donne sotto la già esistente Commissione sui Diritti Umani.

Nasceva così, con la risoluzione n.11 del 21 giugno 1946, la Sotto-Commissione sulla Condizione delle Donne (Commission on the Status of Women, CSW), che acquisì poco dopo lo status pieno di Commissione alle dirette dipendenze dell’ECOSOC.

Durante una delle sue prime sessioni, la Commissione dichiarò essere una delle sue linee guida “to raise the status of women, irrespective of nationality, race, language or religion, to equality with men in all fields of human enterprise, and to eliminate all discrimination against women in the previsions of statutory law, in legal maxims or rules, or in interpretation of customary law“ [di migliorare la condizione delle donne, a prescindere dalla nazionalità, razza, lingua o religione, di garantire la parità con gli uomini in tutti gli aspetti dell’agire umano, e di eliminare tutte le discriminazioni contro le donne nelle previsioni di legge statutaria, nelle massime giuridiche o nelle leggi, o nell’interpretazione della legge consuetudinaria].

Lo scopo principale della CSW, mantenuto ancora oggi, è quello di preparare raccomandazioni e proposte all’ECOSOC sui problemi urgenti nel campo dei diritti umani e lavorare per la promozione dei diritti delle donne in campo politico, economico, sociale e dell’istruzione , raccogliendo dati sulla situazione delle donne nel 24

mondo.

http://www.un.org/womenwatch/daw/CSW60YRS/CSWbriefhistory.pdf

23

http://www.camera.it/leg17/399?europa_estero=504

(43)

Nei suoi primi anni di attività, la Commissione sulla Condizione delle Donne ha elaborato documenti e trattati volti alla promozione dei diritti delle donne in settori nei quali erano ancora profondamente discriminate.

Ricordiamo la “Convenzione sui diritti politici delle donne” approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 31 marzo 1953 , dietro raccomandazione della Commissione sulla Condizione 25

delle Donne, che sanciva il diritto al voto per tutte le donne, il diritto a essere elette, nonché il diritto di ricoprire cariche pubbliche negli organismi pubblici al pari degli uomini.

Era il primo strumento di diritto internazionale che riconoscesse e proteggesse i diritti politici delle donne.

Negli anni ’50, la CSW si è occupata delle questioni riguardanti il matrimonio e i diritti delle donne coniugate, con l’adozione della “Convenzione sulla nazionalità delle donne sposate” (1957) seguita 26

dalla “Convenzione sul consenso al matrimonio, l’età minima legale per il matrimonio e la registrazione del matrimonio” (1962). 27

Nel 1948 poi la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU fortificò il divieto di 28

discriminazione basato sul sesso e rimane, tutt’oggi, uno dei documenti più importanti e significativi sulla scena internazionale in materia di diritti umani.

Tale Dichiarazione, alla cui elaborazione contribuì la CSW, rappresentò la forma più concreta di riconoscimento dei diritti inalienabili sia per le donne che per gli uomini, come mette in luce il

Risoluzione n.640 (VII) Assemblea Generale, Nazioni Unite.

25

Risoluzione 1040 (XI) Assemblea Generale, Nazioni Unite.

26

Risoluzione 1763 A (XVII) Assemblea Generale, Nazioni Unite.

27

Risoluzione 217 A (III) Assemblea Generale, Nazioni Unite.

(44)

Preambolo: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.

La Dichiarazione si riferisce alla donna in maniera implicita, utilizzando termini onnicomprensivi del genere umano come nell’articolo 1 dove si legge che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”, o ancora nella prima parte dell’articolo 2 che dice: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita, o di altra condizione […]”.

L’unico riferimento esplicito alla donna si trova nell’articolo 16 che, al primo paragrafo, riconosce il diritto di sposarsi e di costruire una famiglia: “Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza, o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.” Le altre disposizioni si occupano di altri diritti fondamentali della vita di ogni individuo, come il diritto alla vita stessa, il diritto alla libertà, alla sicurezza, all’uguaglianza, alla cittadinanza, alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, il diritto al lavoro e all’istruzione.

Trattandosi di una dichiarazione, e non di un trattato, non ha forza vincolante nei confronti degli Stati; tuttavia, il suo ricorrente utilizzo in molti casi concernenti i diritti umani ha fatto sì che assumesse col tempo un valore consuetudinario in ambito internazionale.

(45)

A tradurre la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo in norme giuridicamente vincolanti sarà l’adozione nel 1966 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e il Patto 29

internazionale sui diritti civili e politici . 30

Il primo vincola gli Stati facenti parte del Patto a riconoscere ai propri cittadini diritti economi e sociali, tra cui in primis il diritto al lavoro, diritti sociali che includono il diritto alla sicurezza sociale, il diritto alla salute e il diritto alla protezione della famiglia con particolari forme di assistenza per le madri lavoratrici e i bambini, ed infine diritti culturali, vale a dire il diritto all’educazione e alla partecipazione alla vita culturale. 31

Il secondo aspira ad assicurare agli individui diritti attinenti alla vita privata e sociale, mettendo al bando qualsiasi tipo di interferenza illegale nella loro sfera privata, e una serie di diritti civili quali il diritto di uguaglianza dinanzi alla legge o il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia.

Inoltre, l’articolo 2 di entrambi i documenti, con formulazioni simili, sancisce il divieto di discriminazione chiedendo alle Parti l’impegno di garantire i diritti in esso sanciti senza nessuna discriminazione fondata sul sesso, razza, lingua, religione, opinione o altro.

Sebbene i passi fatti dall’ONU, sin dalla sua origine, in relazione alla protezione dei diritti umani delle donne fossero considerevoli, la discriminazione nei confronti delle stesse risultava essere ancora largamente diffusa e perpetuata negli Stati membri delle Nazioni

Risoluzione 2200A (XXI) Assemblea Generale, Nazioni Unite, 16 dicembre

29

1966.

Risoluzione 2200A (XXI) Assemblea Generale, Nazioni Unite, 16 dicembre

30

1996.

Laura Pineschi, Il Patto delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e

31

culturali, da “La tutela internazionale dei diritti umani. Norme, garanzie, prassi”,

(46)

Unite, come osservato dalla stessa Assemblea Generale che affermava “in various field there still remains, in fact if not in law, considerable discrimination against women” [in molti campi ci sono ancora, di fatto se non per legge, considerevoli discriminazioni contro le donne].

La formulazione generica utilizzata nei vari strumenti di tutela visti sino ad ora non era più sufficiente: occorreva qualcosa di più concreto.

Uno strumento più concreto arriva nel 1967 quando l’Assemblea Generale adotta la Dichiarazione sull’eliminazione della discriminazione nei confronti della donna. 32

Il testo fu elaborato dalla Commissione sulla Condizione delle Donne e vide la partecipazione di gruppi di attiviste per i diritti delle donne di tutti gli Stati membri.

Trattandosi di una dichiarazione, gli undici articoli di cui si compone non sono vincolanti nei confronti degli Stati destinatari che rimangono così liberi di dare un’effettiva attuazione alle disposizioni contenute nel testo.

Negli articoli vengono affermati i diritti politici, sociali, civili ed economici delle donne che devono essere riconosciuti in totale assenza di discriminazione.

Rilevante è il primo articolo che indica cosa debba intendersi per d i s c r i m i n a z i o n e c o n t r o l a d o n n a , d e f i n e n d o l a c o m e “fondamentalmente ingiusta” e “un’offesa contro la dignità umana”. Gli altri articoli esortano gli Stati ad abolire qualsiasi tipo di pratica e di pregiudizio legato all’idea dell’inferiorità femminile, adottando tutti gli strumenti legali necessari per affermare l’uguaglianza di

Risoluzione 2263 (XXII) Assemblea Generale, Nazioni Unite 7 novembre 1967.

(47)

genere e di conformarsi ai principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

La formulazione delle disposizioni sembra lasciar trapelare l’idea che per arrivare all’eliminazione della discriminazione delle donne il percorso sia lungo e non raggiungibile in tempi brevi; servono misure incisive e costanti capaci di incidere anche sulla realtà sociale e sui pregiudizi largamente diffusi. 33

3. Il decennio delle Nazioni Unite per le

Donne 1976-1985

L’Assemblea Generale dell’ONU proclamò il 1975 come l’Anno Internazionale della Donna e il periodo che va dal 1975 al 1985 fu 34

battezzato “Decennio delle Nazioni Unite per le donne”.

L’intento era quello di ricordare alla comunità internazionale come la discriminazione contro le donne continuasse a rappresentare un problema diffuso in buona parte del mondo in quanto ancora profondamente ancorato a credenze culturali e di promuovere una serie di attività volte ad analizzare la condizione sociale complessiva delle donne.

Gli obiettivi fissati in occasione dell’Anno Internazionale della Donna erano tutti volti alla costruzione di una società che consentisse alle donne di partecipare appieno alla vita sociale ed economica del loro paese . 35

Maria Clara Maffei, La condizione della donna tra protezione e divieto di

33

discriminazione da “La tutela internazionale dei diritti umani. Norme, garanzie,

prassi” a cura di Laura Pineschi; Giuffrè Editore.

Risoluzione 3010 (XXVII) Assemblea Generale, Nazioni Unite.

34

Paola Degani, Dirtti umani e violenza contro le donne: recenti sviluppi in materia

35

di tutela internazionale. Quaderni del Centro studi e di formazione sui diritti della

(48)

Quello stesso anno fu organizzata la prima Conferenza mondiale sulle donne che si tenne a Città del Messico dal 19 giugno al 2 luglio e che vide la partecipazione di 133 paesi.

In quell’occasione la Conferenza adottò la Dichiarazione sull’uguaglianza di uomini e donne e il loro contributo allo sviluppo e alla pace e un Piano d’azione mondiale per la realizzazione degli obiettivi dell’Anno Internazionale delle Donne.

La Dichiarazione spiega il significato di uguaglianza tra uomini e donne e individua lo Stato come il principale promotore dell’integrazione della donna nella società. Il Patto, invece, indica le linee guida per il miglioramento della condizione delle donne e quattordici obiettivi da raggiungere entro il 1980 sui temi della pace, dello sviluppo e uguaglianza tra i quali, ad esempio, la formazione professionale delle donne, la possibilità di occupazione, l’alfabetizzazione e l’accesso ad ogni forma di istruzione, la maggior partecipazione politica a tutti i livelli.

Sempre nel 1976, grazie a contributi dati dagli Stati membri delle Nazioni Unite, dalle Organizzazioni Internazionali e dalle Organizzazioni Non Governative (ONG), fu creato l’Istituto Internazionale per la Ricerca e la Formazione per il Progresso delle Donne (International Research and Training Institute for the Advancement of Women, INSTRAW) e il Fondo delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Femminile (United Nations Development Fund for Women, UNIFE). Entrambi si occupano di elaborare e sovvenzionare progetti di ricerca che consentano l’effettiva integrazione della donna nella società e di far circolare su scala mondiale il dibattito sviluppatosi attorno ai diritti delle donne in seno agli organismi dell’ONU e di altre organizzazioni internazionali.

(49)

Uno dei più importanti ruoli giocati dalla Commissione sulla Condizione delle Donne durante il Decennio delle donne, è stato l’elaborazione della “Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne” (CEDAW), tappa 36

essenziale nel cammino di crescita dei diritti umani delle donne tanto da essere considerata la Dichiarazione universale dei diritti delle donne.

La Convenzione costituisce un accordo giuridico internazionale fondamentale sui diritti delle donne , alla cui origine c’era l’idea 37

diffusa, soprattutto tra i movimenti femministi, che, sebbene sino a quel momento la parità giuridica tra sessi fosse stata ampiamente discussa in varie Dichiarazioni internazionali, l’eguaglianza formale non bastava.

Bisognava ripartire dal punto di vista delle donne e da un impegno concreto degli Stati ad adottare ogni misura necessaria per garantire la parità dei diritti tra uomo e donna di fatto e di diritto. 38

Una disposizione, infatti, prevede espressamente che gli Stati “devono incardinare il principio di uguaglianza all’interno delle proprie costituzioni nazionali o della propria legislazione” e “garantire la tutela giuridica contro le discriminazioni tramite i tribunali nazionali e le altre istituzioni pubbliche”.

L’articolo 1 della Convenzione, invece, precisa quale sia il significato da dare alla discriminazione contro la donna, definendola come “ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il

Risoluzione 34/180 Assemblea Generale, Nazioni Unite 18 dicembre 1979.

36

La Convenzione sulla donna rappresenta il successo maggiore in campo di tutela

37

femminile ottenuto grazie all’ampia partecipazione degli Stati. Attualmente le Parti contraenti sono 185.

Alessandra Facchi, Breve storia dei diritti umani. Dai diritti dell’uomo ai diritti

38

Riferimenti

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