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Il processo per le sanzioni civili presenta un carattere di particolare afflittività per entrambe le parti: l’attore, come visto, è chiamato a farsi carico della pretesa punitiva dello Stato in aggiunta alla sua pretesa risarcitoria, dovendo affrontare un’istruttoria costosa e difficile, spesso dai risultati incerti; il convenuto, ancor più, deve difendersi da una doppia “imputazione”, una delle quali particolarmente spaventosa a causa dell’intervento del giudice che con i suoi più ampi poteri ne condivide in parte la cura, mettendo in crisi la fiducia del convenuto nella sua imparzialità e terzietà e, dunque, nella giustizia stessa del processo.

Sorge allora facilmente in capo alle parti il dubbio che il processo sia la soluzione più idonea a soddisfare i rispettivi interessi: quelli della persona offesa a conseguire la compensazione dei danni subiti dalla condotta illecita e quelli del responsabile ad evitare di dover sostenere il costo della sanzione pecuniaria civile sommato a quello del risarcimento, scongiurabile mediante la mancata integrazione del suo presupposto processuale rappresentato dalla condanna risarcitoria, oltre a non incorrere nel dispendio di tempo e soldi che il processo causerebbe ad entrambe le parti. Tali posizioni appaiono pertanto componibili in una soluzione extragiudiziale della controversia grazie alla non completa antiteticità degli interessi delle parti, proprio perché la persona offesa, in particolare, non risulta in alcun modo interessata all’irrogazione della sanzione. E’ così che i tratti processuali disegnati dal legislatore per le controversie in questione spingono le parti a fuggire, in realtà, dallo stesso processo, convinte di ottenere una maggior soddisfazione per mezzo di una transazione, mediazione, negoziazione assistita o di qualsiasi forma di alternative dispute resolution.

In primo luogo, va sottolineato che molte controversie risarcitorie derivanti dalla commissione degli illeciti elencati nell’art. 4 del decreto sono oggi sottoposte all’obbligo di negoziazione assistita di cui all’art. 3 del d. l. n.132 del 2014, quale

condizione di procedibilità della domanda risarcitoria145. Dunque in tali casi è lo stesso legislatore a preferire e ricercare un soluzione della lite tra le parti che prevenga l’instaurazione del processo, scegliendo di sacrificare l’entrata per lo Stato data dall’entità della sanzione pur di non aggravare lo stesso dei costi del processo e di non incidere ulteriormente sul mal funzionamento della giustizia civile. Peraltro il medesimo giudice può farsi portatore della proposta conciliativa ai sensi dell’art. 185 c.p.c., manifestando l’interesse pubblico al raggiungimento dell’accordo stragiudiziale, interesse che si rende competitor di quello avente parimente natura pubblica finalizzato all’irrogazione della sanzione.

In tali controversie non risultano sussistenti, al contrario, i presupposti della mediazione obbligatoria, non essendo la pretesa risarcitoria tra quelle elencate dall’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, ad eccezione solamente di quella derivante dalla circolazione di veicoli e natanti. Essa torna a risultare obbligatoria, tuttavia, qualora la pretesa risarcitoria venga fatta valere in una più ampia azione di reintegrazione o di rivendicazione, essendo essa

infatti obbligatoria in materia di controversie aventi ad oggetto diritti reali146. Ad ogni

modo, l’avvio del procedimento di mediazione non preclude la possibilità di ottenere la concessione dei provvedimenti di urgenza secondo il disposto dell’art. 5, c. 3 del decreto appena menzionato.

Più specificatamente, il beneficio per il convenuto proveniente dal raggiungimento di una soluzione extragiudiziale è anche quello di evitare una condanna che potrebbe rilevare in occasione di successivi processi aventi ad oggetto ulteriori condotte illecite, ove l’istituto della reiterazione non potrebbe operare grazie alla mancanza di provvedimenti giurisdizionali da cui possa emergere la commissione passata di un illecito civile.

La persona offesa, a sua volta, potrebbe avvantaggiarsi del più forte peso contrattuale ricoperto in fase di trattative e di ricerca dell’accordo, esercitando pressioni tramite la minaccia della sanzione pubblica che il responsabile dovrebbe sopportare a seguito

145

Spina, G., Illeciti con sanzioni pecuniarie civili introdotti dal d. lgs. 7/2016, op. cit.

146

Di Tullio D’Elisiis, A., Le nuove depenalizzazioni dopo i decreti legislativi 15 gennaio 2016 n. 7 e 8, op. cit., p. 244, 245.

dell’instaurazione del processo, così, forse, da riuscire ad indurre il responsabile a riconoscere in suo favore una somma di denaro addirittura maggiore rispetto all’entità del danno subito ed ottenibile in via giurisdizionale, ma pur sempre inferiore a quella che egli dovrebbe sborsare all’esito del giudizio, che comprenderebbe la sanzione civile. Per lo stesso fine l’attore è interessato a fornire in giudizio le prove necessarie all’irrogazione della sanzione o alla lievitazione della sua entità, così da incrementare le probabilità che il giudice le disponga all’esito del processo ed aumentare il timore del convenuto, a fronte appunto della maggior forza contrattuale assunta dall’attore in sede

di accordo conciliativo inseritosi nel processo147.

Proprio perché la persona offesa è già titolare di siffatto potere di negoziare e disporre dell’applicazione della sanzione, arrivando talvolta quasi a ricattare il responsabile per indurlo a pagare in suo favore una somma di denaro in sede extragiudiziale potenzialmente superiore all’entità del danno subito, affinché essa non inizi o prosegua il processo a suo carico, è stato escluso che questo possa risultare l’effetto negativo di un ipotetico intervento riformatore che devolva al privato, piuttosto che alla Cassa delle Ammende, l’importo della sanzione. La soluzione in questione, cui pertanto si propende, risolverebbe molti dei problemi del processo in esame rilevati, in particolare quelli connessi al mancato interesse del privato all’irrogazione della sanzione.

Anche una volta instaurato il processo, ad ogni modo, abbiamo visto che l’attore, grazie al suo potere di disposizione del giudizio, può rinunciare agli atti del processo provocandone l’estinzione, tanto prima quanto a seguito dell’esercizio della pretesa punitiva da parte del giudice. Tale potere di disposizione è giustificato, infatti, dalla centralità che la pretesa risarcitoria ricopre all’interno del processo, così che la parte può

scegliere in un secondo momento di seguire la via delle ADR148 ed abbandonare quella

del processo rivelatasi più tortuosa.

Così facendo, si riscontra ancora una volta un declassamento della pretesa punitiva dello Stato e dell’efficacia afflittiva – repressiva delle sanzioni connesse alle condotte illecite

147

Spina, G., Depenalizzazione e abrogazione di reati 2016, op. cit.

148

Bove, M., Sull’introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie dal punto di vista del

rispetto agli interessi privati in gioco, in quanto le parti possono facilmente aggirare la legge ed evitare di subire l’irrogazione della sanzione comminata dal legislatore, la cui applicazione pratica rimane quasi illusoria. Esse sembrano prendersi gioco dell’ingenuità del legislatore, che a sua volta cela tuttavia un’inaspettata astuzia nel raggiungere l’obiettivo deflattivo tanto perseguito, sebbene l’interesse pubblico principale, quello sotteso all’irrogazione della sanzione, cede a fronte del preminente interesse delle parti, che si avvalgono dello strumento della giustizia a loro completo piacimento.

Tuttavia, il ricorso al giudice dovrebbe risultare, secondo taluno149, l’extrema ratio per

le parti che ricercano una soluzione della lite, in apparente contraddizione con la garanzia dell’art. 24 Cost., tanto che si è ipotizzato che l’instaurazione del processo per l’esclusivo fine di intimorire il convenuto ed aumentare le probabilità di soddisfacimento dei propri interessi in sede extragiudiziale rappresenti una delle possibili ipotesi di lite temeraria sanzionabile ex art. 96 c.p.c. dal giudice.