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3. La trattazione della causa: l’istruzione

3.4. La trattazione nei procedimenti speciali

La riserva di compatibilità cui è sottoposto il rinvio alle norme del codice di rito deve fare i conti, inoltre, con le peculiarità della fase di trattazione dei procedimenti speciali che abbiamo rinvenuto applicabili per l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie civili. Per quanto attiene al procedimento sommario di cognizione, si ricorda che l’art. 702 ter, c. 5 c.p.c. sancisce che “il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande”. Questa peculiare forma di istruzione rappresenta il cuore del procedimento sommario, il quale è volto a fornire una decisione con ordinanza perfettamente assimilabile, in termini di giudicato dichiarativo, alla sentenza, poiché l’oggetto del procedimento equivale a quello che avrebbe potuto essere l’oggetto del processo a cognizione piena, tuttavia esso assicura una conclusione più rapida grazie alla semplicità della causa. L’istruzione viene dunque definita sommaria non perché parziale, essendo prevista l’ammissibilità di tutti gli atti istruttori rilevanti in relazione all’oggetto della domanda, e non solo di quelli indispensabili ai fini della pronuncia del provvedimento, secondo la dizione normativa in materia di istruzione cautelare, ma poiché risulta semplicemente deformalizzata, pur rimanendo un’istruzione potenzialmente piena che può avere ad oggetto tutte le allegazioni introdotte nel

giudizio. Infatti, essa non segue le regole ordinarie del secondo libro del c.p.c.112, ma

adotta a pieno il principio di libertà delle forme, essendo imposto al giudice solamente di sentire le parti113.

Il giudice è titolare, dunque, di una discrezionalità nella direzione del suo modus operandi che assume un peso maggiore nell’ipotesi del processo per le sanzioni civili, ove l’assenza delle forme rigorose imposte dalla legge può semplificare la ricerca delle prove necessarie all’irrogazione della sanzione e superare i problemi relativi all’istruttoria sopra rilevati. La provvisoria deroga ai principi costituzionali del processo

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Luiso, F. P., Diritto processuale civile, IV, I processi speciali, VIII ed., Milano, 2015., p. 138.

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Punzi, C., Il processo civile, Sistema e problematiche, vol. II, La fase di cognizione nella tutela dei

regolato dalla legge e al principio del contradditorio sono legittimati dalla piena cognizione nelle forme ordinarie che si verifica in grado di appello, in mancanza della cui proposizione viene implicitamente accettata dalle parti l’istruzione di primo grado

nelle sue forme sommarie114.

Va sottolineato tuttavia che difficilmente nei processi sanzionatori in questione, a causa della complessità sottesa all’accertamento dei fatti rilevanti, può ritenersi sufficiente un’istruzione sommaria, pertanto generalmente il giudice è chiamato a disporre il mutamento di rito con l’ordinanza ex art. 703 ter, c. 3 c.p.c., fissando l’udienza di cui all’art 183 c.p.c. e ad avviare un’istruzione formale ordinaria.

Anche il processo del lavoro è caratterizzato più di ogni altra cosa da una peculiare trattazione, orientata ai principi di oralità, immediatezza e concentrazione, perseguiti per mezzo di una procedura più snella volta a fornire al lavoratore una più rapida decisione. L’istruzione cerca addirittura di essere evitata mediante la fase iniziale ed essenziale del processo in cui si colloca un immediato tentativo di conciliazione, proprio nella prima udienza di cui all’art. 420 c.p.c., o di essere orientata al meglio dal giudice che si avvale a tal fine dell’interrogatorio libero.

Inoltre, il ricorso introduttivo e la costituzione del convenuto devono indicare a pena di decadenza (espressamente comminata solo per il secondo) i mezzi di prova di cui le parti intendono avvalersi ed i documenti contestualmente depositati. Tuttavia, nella potenziale unica udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. il giudice, ai sensi del quinto comma, può ammettere i mezzi di prova che le parti non abbiano potuto proporre prima, oltre ovviamente a quelli già proposti, solamente se ritiene che essi siano rilevanti. A seguito della loro ammissione la controparte è legittimata a dedurre i nuovi mezzi di prova conseguenti a quelli ammessi tardivamente. Non sono soggetti a preclusioni, invece, la consulenza tecnica, la richiesta di informazioni alle associazioni sindacali ed il giuramento decisorio, quest’ultimo utilizzabile solo in base all’attività istruttoria già compiuta.

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Mandrioli, C., Carratta, A., Diritto processuale civile, IV, L’esecuzione forzata – I procedimenti

Il giudice è titolare dei più ingenti poteri istruttori contenuti nell’art. 421, c. 2 c.p.c., nei limiti dei fatti allegati dalle parti e sempre purché venga a conoscenza della fonte di prova dagli atti legittimamente acquisiti nel processo, non potendo al contrario

rimediare alle inattività ed omissioni colpevoli delle parti115. In particolare egli può

disporre in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche al di là dei limiti processuali sanciti dal codice civile, escluso solo il giuramento decisorio che è uno strumento di decisione. E’ ammesso anche l’interrogatorio libero dei soggetti che non possono testimoniare, l’accesso libero sul luogo di lavoro, la richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali.

I menzionati maggior poteri officiosi sono certamente di grande utilità nel processo per le sanzioni civili, ove si è riscontrato proprio il problema dell’assenza di iniziativa probatoria in capo alla parte. Inoltre essi rappresentano argomenti ulteriori rispetto a quelli sopra riportati deducibili a favore della tesi che sostiene la prevalenza del principio inquisitorio rispetto a quello dispositivo, quantomeno laddove si adotta tale rito speciale.

Sussiste la necessità di rinviare la trattazione della causa ad una seconda udienza, pertanto, quando il giudice ammette prove nuove nei casi consentiti dalla legge, quando l’espletamento delle prove ammesse non riesce ad essere completato in un’unica udienza, quando le parti chiedono il termine non superiore a 10 giorni per il deposito di note difensive prima della discussione, quando il giudice rinvia l’ammissione e l’assunzione delle prove ad altra udienza e nel caso di chiamata in causa di un terzo, integrazione necessaria del contraddittorio, o di fissazione di altra udienza per la

costituzione del terzo116. Il rinvio, inoltre, sarà generalmente necessario nel processo in

esame per garantire l’esercizio del diritto di difesa del presunto responsabile, considerato che già normalmente con difficoltà, ed ancor più nel rito del lavoro, la parte resistente viene informata della potenziale sanzione irrogabile nei suoi confronti con gli atti introduttivi, di conseguenza è necessario ammettere quest’ultima a presentare nuove

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Luiso, F. P., Diritto processuale civile, IV, I processi speciali, op. cit., p. 53.

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allegazioni e mezzi istruttori che impongono appunto la fissazione di almeno una seconda udienza di trattazione.

Quando si passa al rito delle locazioni, il rinvio che l’art. 447 bis c.p.c. fa al solo primo comma dell’art. 421 e la dizione del terzo comma del suddetto articolo tornano a rendere rilevanti i limiti previsti dal codice civile nell’ammissione di ogni mezzo di prova che il giudice può disporre in ogni momento, sempre ad eccezione del giuramento decisorio. Per il resto le differenze sono minime, infatti è necessario segnalare solamente che egli può disporre l’ispezione d’ufficio, come nel rito ordinario, mentre nel rito del lavoro è necessaria l’istanza di parte per l’accesso sul luogo del lavoro ed infine che egli può richiedere informazioni scritte ed orali alle associazioni di categoria, non invece, logicamente, a quelle sindacali.

Dalla lettura di tali norme si evince come l’ordinamento giuridico presenta una maggior probabilità di incassare l’entità della sanzione pecuniaria civile all’esito di un processo speciale che segua il rito del lavoro o delle locazioni rispetto alle probabilità sussistenti nel rito ordinario, ove il giudice, dotato di maggior poteri istruttori, può agevolare il raggiungimento dello standard probatorio necessario. Tuttavia, la conclusione de qua dovrebbe favorire l’applicabilità dei medesimi poteri officiosi in qualsiasi altro processo volto all’irrogazione delle sanzioni: infatti, se si esclude che per quanto concerne la decisione sanzionatoria tali poteri siano giustificati dalla maggior protezione del lavoratore o del conduttore, sottesa generalmente alle peculiarità dei riti speciali in esame, dalla soluzione contraria emergerebbe un profilo di irragionevole discriminazione tra il responsabile convenuto in un rito speciale rispetto a quello convenuto in un rito ordinario. Quest’ultimo, in tal modo, riuscirebbe ad evitare più facilmente la condanna sanzionatoria per la mera e casuale natura della procedura in cui è stato immesso.

Nelle azioni possessorie la trattazione vera e propria concernente la pretesa risarcitoria e sanzionatoria, come abbiamo visto, è riservata alla seconda fase a cognizione piena introdotta dall’istanza di parte prevista dall’art. 703, c. 4 c.p.c., la cui istruzione segue le norme del rito in cui deve proseguire il giudizio di merito. Nella fase sommaria il richiamo alle norme del procedimento cautelare uniforme implica infatti un’istruzione, a norma dell’art. 669 sexies c.p.c., in cui il giudice procede “nel modo che ritiene più

opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti ed ai fini del provvedimento richiesto”, dunque un’istruzione deformalizzata che fa uso di prove atipiche ed atipicamente assunte. Tale fase è volta unicamente alla decisione in merito ai provvedimenti interinali richiesti per la reintegra del possesso, che, essendo una situazione di fatto, non richiede in realtà delle vere e proprie prove. Se si vuole ottenere la condanna risarcitoria, e con questa quella sanzionatoria, è necessario proseguire nel giudizio di merito. Infatti, la Cassazione ha sancito che “il soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la condanna dell’autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente chiedere al giudice ... la fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti le pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena”117, tanto che il provvedimento del giudice del possessorio che decida anche sulla domanda accessoria di risarcimento viene qualificato come sentenza. Pertanto, la scelta di tale rito e di tale forma di tutela rende ancor più ipotetica l’irrogazione della sanzione, subordinata all’ulteriore volontà del privato di farsi carico della seconda fase a cognizione piena, mentre la pretesa pubblica viene sacrificata quando il privato si accontenta della tutela possessoria interinale non pretendendo l’ulteriore risarcimento dei danni mediante l’instaurazione della fase di merito. Un doppio sforzo è dunque richiesto al privato, che tuttavia può ritenersi soddisfatto una volta conclusa la prima fase del processo, dando così luogo all’ennesimo caso di successo dell’intento deflattivo del legislatore, con controbilanciato sacrificio dell’effetto deterrente e punitivo della sanzione.

Anche nelle azioni di denuncia abbiamo visto che il richiamo all’art. 669 quater c.p.c. per individuare il giudice competente quando è già pendente la causa di merito comporta l’implicita applicazione del procedimento cautelare uniforme e, dunque, dell’istruttoria deformalizzata sopra menzionata. Come già preannunciato non è detto, peraltro, che questa sia seguita dall’istruzione piena della fase di merito, la quale risulta meramente eventuale alla luce della natura del provvedimento di accoglimento,

caratterizzato da una strumentalità debole118. In tal caso, pertanto, l’irrogazione della

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Cass. civ., Sez. II, 30 settembre 2014, n. 20635.

sanzione civile deve considerarsi preclusa a causa della mancata pronuncia della presupposta sentenza di accertamento e condanna al risarcimento del danno, ai fini della quale è stata poco sopra ribadita la necessità che intervenga un giudizio a cognizione piena ed esauriente.