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INTERMEDIAZIONE ILLECITA E SFRUTTAMENTO DEL LAVORO (contributo Dott. Mancini)

PROPOSTA DI PARTE SPECIALE N. 4.

ART. 603-BIS C.P.

INTERMEDIAZIONE ILLECITA E SFRUTTAMENTO DEL LAVORO (contributo Dott. Mancini)

Proposte:

1) Valorizzare la premialitá de iure condendo;

2) Corretta interpretazione;

3) Adozione di modelli organizzativi da parte delle imprese.

La tratta a scopo di sfruttamento del lavoro assume connotati e dimensioni sempre più diffuse e preoccupanti (si veda anche l’audizione di Mancini). Le interdipendenze in un mondo globalizzato, la spinta al profitto e la competizione economica che portano alla necessità di ridurre i costi di produzione, soprattutto in periodi recessivi e di pesante crisi economica, nonché le pratiche attuali di consumo e

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produzione dell'economia mondiale hanno indotto un aumento della domanda di manodopera a basso costo ed a condizioni “fuori mercato”. Il rischio attuale è che la tratta a scopo di sfruttamento lavorativo diventi una componente strutturale di determinati settori produttivi, con i gruppi criminali organizzati sempre più protesi a sfruttare la vulnerabilità sociale dei lavoratori, specialmente dei lavoratori migranti (lo sfruttamento da parte dei casalesi dei lavoratori nei lavori di ricostruzione all’Aquila – settore appalti).

Anche nella relazione del Dott. Menichelli, in relazione al ruolo di Europol, emerge la realtà di organizzazioni criminali che organizzano il traffico di migranti come funzionale all'esecuzione di altre fattispecie criminali o ancora al rilievo del fenomeno come emerge nella relazione SOCTA 2017 che ne evidenzia la capacità di produrre profitto (In 2015, migrant smuggling networks offering facilitation services to reach or move within the EU generated an estimated EUR 4.7 billion to EUR 5.7 billion in profit) e i tipici modus operandi delle organizzazioni criminali in questo settore (coercizione, attraverso l'uso della violenza e di minacce nei confronti di queste persone o dei familiari che sono rimasti a casa).

Le controverse evoluzioni delle proposte del legislatore in tema di sfruttamento lavorativo hanno segnato, dunque, un punto con l’introduzione della fattispecie di

“caporalato”, art. 603bis c.p. con la legge 199/2016. A ciò si è pervenuti malgrado voci di dissenso che ritenevano tale disegno di legge troppo penalizzante per la parte datoriale.

Invece si può ritenere che la modifica dell’art. 603bis c.p. è anche espressione dei canoni di ragionevolezza e di eguaglianza, ove si consideri che l’estensione di tutela penale anche allo sfruttamento subito dal datore di lavoro (e non solo dagli intermediari) colma un’anomalia dell’ordinamento, che lasciava privi di tutela i lavoratori non migranti irregolari. La disciplina penalistica, allora, e le annesse misure economiche mirano a tutelare le ragioni, anche di carattere patrimoniale, degli imprenditori che esercitano la loro attività nel rispetto delle norme garantendo la primaria rilevanza del principio del rispetto della concorrenza leale nei settori produttivi, scoraggiando il ricorso a pratiche illecite di intermediazione e sfruttamento che, oltre a violare i diritti fondamentali dei lavoratori, alterano la competizione economica, barando sul minor costo del lavoro, omesse contribuzioni, evasione fiscale, standard insufficienti di sicurezza. In sostanza, sotteso alla legge 199 vi è il concetto della “convenienza”, nell’interesse generale, del rispetto dei diritti dei lavoratori vulnerabili. Così come l’economia mafiosa non è conveniente per la collettività e per gli imprenditori onesti, allo stesso modo non lo è lo sfruttamento dei lavoratori in un contesto di illegalità e/o di para-schiavismo. Può dirsi allora, fuori da ogni residuo dubbio, che la nuova fattispecie, la nuova formulazione dell’art. 603bis c.p. e le altre previsioni della legge 199/2016 non mirano al controllo ed alla repressione ottusa dei settori produttivi. Gli obiettivi reali non possono non essere condivisi da tutti, visto che la legge intende punire, senza equivoci o sacche di esenzione, il caporalato e le violazioni dei diritti fondamentali dei lavoratori operate anche dai datori di lavoro. Obiettivo immediatamente connesso è il contrasto al lavoro nero che genera economia sommersa e altera le regole della leale concorrenza tra imprese, determinando tangibili e drammatiche ripercussioni sulle comunità e nei territori. Ed è proprio in questo depauperamento di valori, oltre che del tessuto socio-economico dei

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territori, non più solo del meridione ma anche delle zone più ricche del Paese, che la criminalità organizzata, vecchia e nuova, affonda le sue radici malsane.

Proposte:

1) Forse il legislatore avrebbe potuto ulteriormente arricchire il significato della

“convenienza” delle scelte di legalità, adottando soluzioni ancora più marcate, come per il caso della premialità per la persona offesa collaborativa con l’autorità giudiziaria.

2) Le critiche, spesso strumentali, all’impostazione privilegiata dal legislatore con la legge 199 hanno cavalcato i timori connessi ad una presunta sovraesposizione dei datori di lavoro che, ai sensi del nuovo art. 603bis c.p., sarebbero penalizzati in maniera eccessiva quando, ad esempio – magari anche occasionalmente – violassero le norme sui salari minimi ovvero sull’orario di lavoro. Tuttavia, la lettura del nuovo testo normativo esclude che il datore di lavoro possa commettere il delitto con isolate condotte illecite.

Piuttosto, la descrizione del fatto tipico evidenzia un modello di incriminazione che presume una certa abitualità della condotta (le condotte devono essere “reiterate”); deve sussistere quasi una sorta di politica imprenditoriale, richiedendosi la ricorrenza congiunta delle condizioni di sfruttamento cui sono sottoposti i lavoratori e dell’approfittamento della loro situazione di vulnerabilità (stato di bisogno).

3) Peraltro, proprio in questa ottica, l’estensione della responsabilità da reato degli enti alla nuova fattispecie dell’art. 603bis c.p. deve comportare l’adozione di modelli organizzativi (artt. 6 e 7 d.lgs. 231/2001) nella gestione aziendale, che potranno assumere un fondamentale ruolo di prevenzione di tale fenomeno criminale.

4) Sarebbe stato certamente più opportuno effettuare un riferimento alla condizione di vulnerabilità, piuttosto che allo stato di bisogno, di cui parla la direttiva 2011/36/EU e – dal 2014 – anche l’art. 601 c.p., sia per eliminare il riferimento a terminologie più aderenti ad altre realtà deboli (si pensi ai fenomeni dell’usura) sia per armonizzare la terminologia giuridica nel settore del vulnus ai diritti umani dei soggetti

“deboli”. Tuttavia, l’aspetto terminologico, seppur criticabile, non dovrebbe essere pregiudizievole, stante il pacifico insegnamento della Corte di cassazione che uniforma lo stato di bisogno alla posizione di vulnerabilità, già prevista sin dalla decisione quadro dell’Unione Europea del 19 luglio 2002.

5) Dall’audizione con il Dott. Mancini emerge l’importanza di formare gli ispettori del lavoro nello svolgimento della loro attività a riconoscere e segnalare quelle anomalie che possono rappresentare degli indicatori di rischio circa la consumazione dei reati in questione, che sono difficili da accertare e provare (“fenomeno diffuso, enorme sommerso”); anche la procura di Teramo ha elaborato un protocollo con indicatori e molti si trovano in documenti sovrannazionali.

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