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SQUADRE INVESTIGATIVE COMUNI E ORDINE EUROPEO DI INDAGINE

PROPOSTA N. 7

SQUADRE INVESTIGATIVE COMUNI E ORDINE EUROPEO DI INDAGINE

(v. contributo Prof.Varraso)

7.1. Squadre investigative comuni.

Squadre investigative comuni: nell’ottica di un più proficuo coordinamento investigativo, si ritiene opportuno prevedere la partecipazione alla squadra di membri di OLAF, Europol, Eurojust nella normativa italiana di recepimento dell’istituto delle squadre investigative comuni. Si fa riferimento alla previsione di cui all’art. 2 d.lgs. n. 34 del 2016, che consente in ogni caso il ricorso alla squadra per le indagini relative ai delitti di cui agli artt. 51, commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, e 407, comma 2, lett. a) c.p.p.,

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ovvero a delitti per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni.

7.2. Ordine europeo di indagine.

Sia il d.lgs. n. 34 del 2016 in tema di squadre investigative comuni, sia il d.lgs. n.

108 del 2017 in tema di ordine europeo di indagine penale, si sono premurati di porre rimedio al vizio d’origine della direttiva 2014/41/UE e della Decisione Quadro 2002/465/GAI, consistente nel disinteresse per le regole di utilizzabilità della prova acquisita all’estero; in merito all’ordine europeo di indagine penale, si è scelto tuttavia di non dettare una previsione analoga all’art. 729 c.p.p. (cfr. art. 36).

1) La soluzione appare forse meritevole di un ripensamento: fermi i criteri fissati dagli artt. 431 comma 1 lett. d) ed f) e 512 bis c.p.p. e art. 78 disp. att. c.p.p., occorrerebbe quantomeno prevedere una norma analoga all’art. 729 co. 1 c.p.p., nella versione anteriore alla riforma operata con d.lgs. n. 149 del 2017. La norma in esame sanzionava infatti con l’inutilizzabilità la violazione delle norme internazionali regolanti l’acquisizione e trasmissione delle prove: una simile soluzione consentirebbe di dichiarare inutilizzabili le prove acquisite in violazione dei principi di proporzionalità e rispetto dei diritti inviolabili di cui alla direttiva 2014/41/UE. Sarebbe altresì opportuna l’introduzione di una norma analoga all'art. 729 comma 2 c.p.p., come riformato dal d.lgs. n. 149 del 2017, che sanziona con l’inutilizzabilità le prove acquisite all’estero con modalità difformi da quelle indicate dall’autorità richiedente, nei casi in cui tale sanzione sia prevista dalla lex fori.

2) Sempre in merito al decreto legislativo sull’ordine europeo di indagine, è da apprezzare la regolamentazione della partecipazione difensiva al compimento dell’atto, di cui all’art. 4 co. 4. Residuano tuttavia alcune zone d’ombra quanto alla tutela delle prerogative difensive.

2.a) In primo luogo, la non impugnabilità del rigetto della richiesta difensiva di emissione dell’ordine europeo (art. 31) ingenera una profonda disparità di trattamento tra difensore e pubblico ministero. Sembra dunque opportuno prevedere una forma di impugnazione del rigetto.

2.b) In secondo luogo, appare opportuna una espressa presa di posizione circa i rapporti tra ordine europeo di indagine ed investigazioni difensive.

2.c) Qualora poi – in linea con quanto affermato dalla Relazione allo schema di decreto legislativo – si ritenessero ammissibili le investigazioni difensive all’estero al di fuori del ricorso all’ordine europeo, dovrebbero prevedersi meccanismi analoghi all’art.

391 bis co. 10 e 11 c.p.p., per il caso in cui la persona residente all’estero rifiuti di rendere dichiarazioni o non si presenti al colloquio con il difensore. Si potrebbe pensare in tal caso all’emissione di un ordine europeo d’indagine su richiesta del difensore: in linea con quanto previsto dall’art. 391 bis co. 10 c.p.p., il pubblico ministero dovrebbe essere vincolato ad emettere l’ordine al fine di provvedere all’audizione.

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7.3. A livello europeo: le intercettazioni.

(v. contributo prof. Varraso) La direttiva 2014/41/UE appresta una analitica disciplina delle intercettazioni delle telecomunicazioni.

Replicando un modello già presente nel titolo III della Convenzione di Bruxelles, si distingue a seconda che ai fini della intercettazione sia o meno necessaria l’assistenza tecnica di un altro Stato membro. Nel primo caso, l’ordine europeo può essere eseguito mediante trasmissione immediata delle comunicazioni allo Stato di emissione, ovvero mediante registrazione e trasmissione successiva; l’esecuzione può peraltro essere rifiutata qualora la stessa non sarebbe ammessa in un caso interno analogo (art. 30). Nel secondo caso, lo Stato di intercettazione è tenuto a notificare lo svolgimento delle operazioni allo Stato nel cui territorio l’utenza intercettata si trova. Se l’intercettazione non è consentita secondo la disciplina nazionale, lo Stato notificato, entro novantasei ore, può comunicare allo Stato di intercettazione che le operazioni non possono essere effettuate o devono essere interrotte, con conseguente inutilizzabilità assoluta o relativa dei loro risultati (art. 31).

Il medesimo impianto era stato adottato dallo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva, predisposto dalla Commissione per la riforma del Libro XI Codice Procedura Penale, presieduta dalla prof.ssa Maria Riccarda Marchetti. Con riguardo alle intercettazioni, lo schema di decreto distingueva infatti, oltre che tra procedura attiva e passiva, a seconda che fosse o meno necessaria l’assistenza tecnica dello Stato destinatario dell’ordine. Dal lato attivo, in caso di necessità di assistenza da parte dello Stato estero (art. 48 dello schema di decreto legislativo), il Procuratore della Repubblica avrebbe dovuto richiedere al giudice per le indagini preliminari l’autorizzazione ad emettere l’ordine europeo: quanto al vaglio del giudice sulla richiesta, si rinviava agli artt. 266 ss. c.p.p. Nei casi di non necessità dell’assistenza tecnica, lo schema di decreto recepiva pienamente le indicazioni della direttiva.

La distinzione tra necessità o meno dell'assistenza è ripresa altresì dal d.lgs. n.

108/2017, di recepimento della direttiva. Per quanto attiene alla procedura attiva, si prevede che l'ordine europeo debba essere emesso qualora si renda necessaria l'assistenza all'esecuzione delle operazioni di uno Stato estero, nel cui territorio si trovi il dispositivo da controllare (art. 43). Il pubblico ministero deve in tal caso indicare la durata delle operazioni e i motivi di rilevanza dell'atto. Per contro, qualora l’assistenza tecnica non si renda necessaria, il pubblico ministero deve immediatamente informare lo Stato estero dell’avvio delle operazioni, e disporne la cessazione qualora l’autorità giudiziaria estera comunichi che le intercettazioni non possono essere eseguite o proseguite (art. 44): in tal caso, l’utilizzabilità delle conversazioni captate è possibile nei limiti fissati dall’autorità giudiziaria estera (per ulteriori approfondimenti si rimanda al contributo del Prof. Varraso).

Proposta. Ciò che emerge è che la possibilità di realizzare le intercettazioni telefoniche e la loro conseguente utilizzabilità è rimessa alla legislazione interna dello Stato richiesto, con la conseguenza che in tal modo non si risolvono i problemi emersi nella prassi, come evidenziato nelle audizioni, e cioè la profonda differenza tra la legislazione italiana (ben più invasiva) e quella degli altri paesi europei. L’Italia deve

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farsi promotrice, allora, di una iniziativa a livello europeo per promuovere l’armonizzazione in materia o, perlomeno, per stabilire una disciplina che regolamenti la materia in modo autonomo, imponendo allo Stato richiesto l’esecuzione dell’intercettazione anche in casi non previsti dalla disciplina interna; chiaramente il tutto cercando un corretto equilibrio tra le esigenze della lotta al crimine organizzato e la tutela dei diritti fondamentali. La questione si pone ancora più a monte per le altre forme di intercettazioni, come quelle ambientali, neanche considerate dalla direttiva.

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