• Non ci sono risultati.

Interni interreligiosi per l’inclusione sociale

Anna Barbara

L’articolo 18 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 10 dicembre 1948 sancisce «la libertà … di ogni individuo … di pensiero, di coscienza, di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo, da soli o in comune, in pubblico o in privato, nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti». Considerare i luoghi interreligiosi come spazi in grado di attivare pratiche inclusive può sembrare anacronistico o addirittura provocatorio, eppure la storia ci induce a pensare che i luoghi interreligiosi siano stati e saranno sempre più strategici per una politica e una pratica dell’integrazione, soprattutto nei momenti di crisi, di conflitto e di potenziale segregazione.

Il dialogo interreligioso ha varie configurazioni e i luoghi che lo possono ospitare sono variegati sia nelle forme, sia nei contesti, sia nelle pratiche. Talvolta sono contenitori neutri che si prestano a ospitare a rotazione le religioni differenti; talvolta sono spazi che contengono più confessioni contemporaneamente nei medesimi luoghi, o in aree separate; sono piccole sovrapposizioni spazio/temporali sulle questioni e sulle pratiche più secolarizzate o artistiche; sono luoghi che hanno un’alta vocazione spirituale, piuttosto che religiosa, che riescono a far coesistere pratiche di meditazione di fedeli differenti nel medesimo tempo, in assenza però di simboli religiosi. La presenza dei differenti culti può essere gestita prevedendo spazi flessibili, in grado di avere una rotazione delle attività, tale per cui la presenza di un culto non avviene in concomitanza di un altro o spazi assembleari in grado di avere una compresenza di culti differenti. I primi sono flessibili negli spazi e sono in grado di configurarsi in maniera differente a seconda delle religioni e delle attività previste,

FORME DELL’INCLUSIVITÀ | 187 186 | INTERNI INTERRELIGIOSI PER L’INCLUSIONE SOCIALE

ma non presuppongono un effettivo dialogo tra le religioni che possono anche fisicamente non incontrarsi mai. I secondi danno la possibilità di condividere uno spazio interreligioso nel medesimo tempo, e quindi di stare insieme nel medesimo spazio, presupponendo un dialogo effettivo o sui culti o sulle attività secolari al contorno. I luoghi di preghiera, che prevedono una presenza simultanea, sono quelli del sincretismo o quelli della meditazione silenziosa. Progettano il silenzio, usano i pavimenti come piani di seduta, considerano l’orientamento verso oriente una direzione comune, impiegano la luce diffusa come elemento unificante e hanno connotazioni olfattive legate agli incensi, ai legni e alle essenze naturali.

Le tipologie sono molteplici e sempre più sperimentano formule di convivenza che si configurano come motori dell’inclusività. Usando le medesime categorie impiegate nell’accezione religiosa e filosofica, si può pensare che gli interni interreligiosi si possano classificare in:

- sincretisti (per somma); - pluralisti (per unione); - ecumenici (per intersezione); - spirituali (per sottrazione).

Ognuno di essi ha un comportamento diverso rispetto all’inclusività, alle configurazioni dei propri spazi e ai tempi. Il ruolo giocato dai simboli è fondamentale perché, citando Herman Hesse, essi sono il tentativo dell’umanità di esprimere in immagini l’indicibile. Noi ricorriamo costantemente all’uso di termini simbolici per rappresentare concetti che è impossibile definire o comprendere completamente e per questo tutte le religioni usano un linguaggio simbolico. Alcune religioni lo fanno attraverso l’arte, altre attraverso archetipi, altre attraverso sensazioni o pratiche come la meditazione. Karl Jung aveva scoperto l’esistenza di simboli ricorrenti, cosiddetti archetipi, comuni a tutta l’umanità. Esiste quindi un linguaggio simbolico comune che offre un abaco formale ai luoghi del dialogo interreligioso: la sfera, il cerchio, il menhir, la cornice quadrata, la perpendicolare e la croce, il recinto, il tunnel, il percorso. Esistono anche simboli legati alla luce e ai colori, al rapporto luce- tenebre come due forze polari, ma anche alla luce naturale come elemento unificatore. Ad esclusione del sincretismo, molte religioni tendono a non praticare i propri culti in presenza di altri simboli religiosi, pertanto gli archetipi junghiani sono tra le matrici formali più ricorrenti.

In sintesi gli ingredienti con cui i luoghi interreligiosi elaborano i propri interni sono:

- la luce. Spesso naturale, modellata e diffusa omogeneamente, oppure artificiale, direzionata;

- il silenzio. La dimensione del dialogo prevede spazi silenziosi, o materiali e forme introverse e assorbenti;

- l’acqua. È un elemento ricorrente, sia ferma sia in movimento;

- l’aria. Può essere rarefatta o veicolare odori d’incensi o essenze naturali; - i materiali. Sono pregiati o estremamente essenziali, ma ricercati ed evocativi come ingredienti imprescindibili del sacro.

Per somma

Il sincretismo considera che le religioni abbiano un fondamento comune e che ciascuna di esse debba basare la propria inclusione sulla messa in comune di riti e simboli. Lavora sulla somma e i suoi spazi ospitano tutti i simboli delle religioni, talvolta fusi anche insieme. Gli interni sono spesso espressione di correnti new age, oppure tentativi di raggruppamento spirituale di comunità nascenti, ma sono anche le forme più frequenti di interni interreligiosi nei nuovi luoghi della mobilità e del transito. Due casi, per certi versi opposti, sono: il Tempio dell’Universo a Kazan in Russia e la Cappella Interreligiosa dell’Aeroporto Internazionale di Gatwick a Londra.

Il Tempio dell’Universo, progetto architettonico e religioso del mecenate Ildar Khanov, è una sommatoria di caratteri che contraddistinguono le varie religioni, in un tentativo di metterle insieme, sotto il medesimo tetto. È un edificio che presenta una cupola greco-ortodossa; un minareto, una sinagoga e una pagoda; incorpora le influenze architettoniche di sedici religioni differenti, ma non ospita funzioni religiose. Gli interni sono in pietra, legno e vetro colorato, in un susseguirsi di stili: da quello tradizionale delle dacie russe rivestite in legno, a quello delle sale luminose in intonaco bianco e pietra a spacco. Il linguaggio progettuale è volutamente anacronistico e sembra voler dare risposta a un mondo che attraverso la globalizzazione vuole fondere le differenze anziché esaltarle.

La Cappella Interreligiosa dell’Aeroporto di Gatwick a Londra, che nasce in un contesto opposto, di transito internazionale e di inevitabile promiscuità tra persone e culture differenti, offre una risposta che, seppure formalmente opposta, ha la medesima natura del tempio di Kazan. È un luogo di transito che presuppone condizioni inesorabili d’inclusione per chi vuole professare il proprio culto in assenza di una sede, eppure anziché ricorrere a un anonimo linguaggio globale prova a dare ad ogni

FORME DELL’INCLUSIVITÀ | 189 188 | INTERNI INTERRELIGIOSI PER L’INCLUSIONE SOCIALE

religione una propria specifica risposta, per rispondere alla necessità di viaggiatori in transito di pregare e svolgere i propri rituali religiosi. Si tratta di un tema frequente nei luoghi della mobilità internazionale. La cappella, che comprendeva sin dal 1973, anno di costituzione, i simboli del Cristianesimo, dell’Ebraismo, dell’Islam fu in seguito integrata con spazi per l’Induismo e il Sikh Khanda.

La Cappella è composta di spazi per la preghiera e spazi per incontri, nei quali un arredamento di base (tavoli, sede, leggii) garantisce la versatilità degli spazi, e una serie di segni e simboli indica le direzioni geografiche dei luoghi sacri (Qibla e Mizrah) delle varie religioni. Esistono aree più riservate, come quella per la preghiera musulmana che contiene un altare per le sacre scritture, un armadio per i tappeti, un piccolo mimbar per i sermoni e un’area a parte per le abluzioni rituali prima della preghiera. Nella Cappella sono presenti tutti i simboli, come decorazione permanente, mentre gli arredi sono gli elementi della flessibilità che assecondano il ricco programma di attività: momenti comuni, distinti, collettivi, individuali che prevedono però una rigorosissima gestione degli spazi, degli arredi e dei paramenti sacri di ciascuno.

Per unione

Dal punto di vista della teologia e della filosofia, il pluralismo è una pratica assai diffusa di dialogo che si basa sulle esperienze, anzichè sulle dottrine, rivolta al superamento delle differenze. È tipico dei paesi in cui esiste un’estrema libertà di religione e tutte le dottrine sono poste sul medesimo piano del diritto, senza alcuna prevaricazione di una sulle altre. L’opposto di quanto accade nei paesi teocratici, o in quelli in cui esiste una religione di Stato, dove il pluralismo è invece negato e talvolta combattutto come forma di pericolosa contaminazione.

Le cappelle pluraliste sono spesso ubicate nei campus delle grandi università americane, dove per esempio diventano piattaforme straordinarie d’inclusione e incontro tra studenti provenienti da luoghi di tutto il mondo e praticanti confessioni diverse. Spesso sono, insieme alle mense e alle biblioteche, i luoghi preposti alla creazione della nuova comunità universitaria. Uno dei primi esempi di cappella pluralista fu la Cappella dei Cadetti all’Air Force Academy, che fu progettata da Walter Netsch Jr., dello studio Skidmore, Owings e Merrill tra il 1959 e il 1962. L’edificio è un padiglione in vetro, alluminio e acciaio realizzato con diciassette portali a sezione triangolare su una navata unica, che si susseguono e scandiscono la sequenza in pianta. La composizione dei luoghi per i vari

culti è risolta in sezione anziché in pianta: nella parte superiore è ospitata la cappella protestante, nella parte inferiore la cappella cattolica e la sinagoga ebraica a forma circolare, mentre un piccolo tempietto buddista e stanze per i culti di altre religioni sono ospitati nelle sale al piano terra. Fondamentalmente si tratta di un luogo in cui sono previste cappelle per tutti i culti, ma non ci sono luoghi in comune, né collettivi. Gli interni hanno elementi iconici delle rispettive religioni: un mosaico e una via crucis per la cappella cattolica; una struttura in vetro circolare per la cappella ebraica per richiamare la struttura di una tenda; un pavimento di legno pregiato e profumato per il tempio buddista. Eccetto la cappella protestante (per la comunità più numerosa), che ha un rapporto diretto con la luce naturale, gli altri luoghi di culto hanno luce indiretta e filtrata. Il rapporto delle varie cappelle tra di loro non è programmaticamente inclusivo, ma è solo di prossimità tra i culti più vicini.

Una delle opere più rappresentative è la Kresge Chapel di Eero Saarinen inserita nel Campus universitario del Massachussets Institute of Technology di Cambridge, del 1956. Non è una cappella confessionale, ma un luogo di raccoglimento per studenti provenienti da tutto il mondo, come straordinariamente accadeva in quegli anni nelle università americane. La forma cilindrica crea un contatto diretto con l’altare illuminato dall’alto da una luce, drammatizzata ulteriomente da una pioggia aurea di lamelle metalliche, un’opera di Harry Bertoia. L’interno, pure seguendo l’andamento cilindrico, presenta un muro perimetrale ondulato che si apre in archi per far penetrare la luce. Esternamente un corso d’acqua segue il perimetro dell’edificio.

Un progetto cardine per la comprensione degli interni pluralisti nei campus universitari americani è il Centro Spirituale Interreligioso nella Northeastern University a Boston, Massachusetts del 1998, progettato da Studio Nadaa (Nader Teherani, Monica Ponce de Leon). L’idea nacque dopo l’incendio che nel 1996 demolì la Cappella della Northeastern University nella Bacon Hall. In quell’occasione fu deciso di progettare uno spazio sacro per integrare la diversità religiosa nel campus che ospita per metà studenti cattolici, un quarto ebrei, un quarto protestanti e piccole comunità di studenti musulmani, indù e buddisti. Il Centro, rispetto alle altre cappelle interconfessionali presenti nei campus, presenta uno spazio flessibile privo d’iconografia religiosa. Secondo le necessità (evidentemente non simultanee), lo spazio offre, agli uni e agli altri credi, un luogo di preghiera che con estrema facilità si può attrezzare per ospitare circa centoventi persone: altari, sedie e altri arredi. Oltre allo spazio dell’assemblea, sono presenti delle piccole anticamere a ogni estremità

FORME DELL’INCLUSIVITÀ | 191 190 | INTERNI INTERRELIGIOSI PER L’INCLUSIONE SOCIALE

dello spazio principale (uno per le abluzioni musulmane e uno per la lettura e le riunioni), una stanza riservata a otto persone al piano superiore e una piccola cucina. Il progetto ha vinto numerosi premi di design per l’illuminazione, la quale prevede tre oculi nel soffitto funzionanti come otturatori di fotocamera, che si aprono e chiudono in base alle necessità di luce nello spazio e alle esigenze dei differenti culti.

Molto simile è il Multi-faith Center dell’Università di Toronto, del 2008, progettato dagli architetti Moriyama & Teshima Architects. Il centro è ospitato dentro la Koffler House e prova a seguire quello che è il mandato di università pubblica multiculturale. Il progetto esclude l’uso d’icone e di simboli e impiega la luce come tema comune a tutte le religioni. I materiali impiegati per le finiture sono espressamente locali, evidenziando una risposta specificatamente canadese alle sfide del pluralismo religioso. Lo spazio multireligioso prevede un’area ampia e comune per consentire pratiche e discussioni per tutte le religioni, delle stanze piccole e silenziose, una sala per le meditazioni, un bagno per le abluzioni, una stanza multifunzionale, una cucina, sale riunioni, uffici e un centro studi. La stanza di meditazione viene anche usata per le lezioni di yoga degli accademici, ma anche delle famiglie e della comunità vicina, con un gesto inclusivo che fa di quel luogo una porta sempre aperta tra culture e confessioni.

Un recente progetto che procede nella medesima direzione è il Bet- und Lehrhaus del 1911, progettato dallo studio Kuehn Malvezzi. Bet-und Lehrhaus, letteralmente «casa di preghiera e scuola», che sorgerà nell’antica piazza di San Pietro nel centro di Berlino e che riunirà, sotto un solo tetto, cristiani, ebrei e musulmani. Il Bet-und Lehrhaus ospiterà chiunque abbia bisogno di una casa per pregare, studiare, conoscersi in un clima di dialogo che preserva le diverse identità. La richiesta di preservare la diversità come fondamento del dialogo era esplicita sin dal bando del concorso, per consentire un incontro tra le comunità in una dimensione di pluralismo. Il progetto parte dalle tre religioni monoteiste che hanno costruito la storia berlinese fino al XX secolo, ma vuole anche aprirsi alle comunità berlinesi del XXI secolo che l’immigrazione sta riconfigurando. Così l’edificio prevede anche una sala centrale, che cita il Pantheon di Roma, non solo per la forma e le dimensioni, ma anche per la sua vocazione a diventare un luogo “pubblico” coperto, ma aperto. Questo spazio-intersezione sarà adibito alle attività secolarizzate (conferenze, dibattiti, incontri) e da esso si accederà ai tre luoghi di culto. Altri spazi pubblici inclusivi saranno una biblioteca prevista al piano superiore e una terrazza esterna che si affaccerà sul panorama di Berlino.

FORME DELL’INCLUSIVITÀ | 193 192 | INTERNI INTERRELIGIOSI PER L’INCLUSIONE SOCIALE

Una formula singolare di pluralismo è quello proposto dallo studio Yellow Office per la rifunzionalizzazione dell’area ex-Expo a Milano. Si chiama ll Terzo: il Cimitero di Tutte le Religioni, per il riuso dell’area Expo alla fine del grande evento. La struttura del sito ex-EXPO sarebbe rimasta immutata, ma lungo il decumano era previsto un percorso sopraelevato lungo 1 km, che avrebbe scandito gli spazi destinati alle differenti culture e fedi: il cimitero ebraico, poi quello protestante, quello degli atei, mentre lungo il cardo si sarebbe sviluppato un ampio colonnato per il cimitero cattolico, poi gli ortodossi e nella parte centrale un grande triangolo per le sepolture orientate verso la Mecca della religione musulmana. Il percorso si sarebbe poi dissolto in un bosco per accogliere quei riti sepolcrali che necessitano un contatto più diretto con gli elementi naturali: buddisti, taoisti, induisti. Una parte dell’area del bosco sarebbe anche stata dedicata alla sepoltura degli animali.

Per intersezione

L’ecumenismo è una forma di dialogo strettamente interno alle tre principali confessioni della cristianità, che risale alla comune radice: la fede nel culto della Trinità; l’assunzione della Bibbia come testo sacro; il battesimo e i sacramenti.

Le pratiche inclusive dei luoghi ecumenici sono fondamentali soprattutto per il ruolo storico e sociale svolto, non tanto dai luoghi di culto in sè, ma dagli spazi di servizio che operano intorno ad essi e che fanno da ponte tra il mondo religioso e laico, tra comunità dei fedeli e società. Si tratta degli oratori, dei refettori, delle scuole che durante le forti emigrazioni e immigrazioni svolgono spesso un ruolo fondamentale per far incontrare, conoscere, integrare, informare le comunità insediate con quelle immigrate. Perchè inclusione è sempre un processo bidirezionale, dell’uno verso l’altro, della comunità ospitata che s’integra a quella ospitante e viceversa, altrimenti si tratta di assimilazione che è un’altra storia.

Negli anni più recenti il fenomeno ecumenico è stato promosso dalle varie chiese cristiane con raduni e preghiere comuni, e i luoghi ecumenici sono diventati, nelle metropoli internazionali, luoghi indispensabili per veicolare inclusione e dialogo per differenti comunità. L’ecumenismo è un’altra forma d’interreligione, lavora sul principio dell’intersezione tra le confessioni e su quelle parti comuni costruisce il dialogo. Le parti comuni possono essere aree per i culti, lasciando nelle zone periferiche le attività secolari, oppure possono provocare il dialogo interreligioso su temi secolari quali il silenzio o l’arte, lasciando nel perimetro le

cappelle multiconfessionali. Del primo tipo è il Centro interreligioso della Bryant University a Rhode Island, progettato da Gwathmey Siegel & Associates Architects nel 2010, che mette i culti al centro prevedendo due sale interreligiose (una per 250 e una per 40 persone) all’interno di due corpi circolari intorno ai quali si sviluppano sale per attività extra religiose. Del secondo tipo è il Fish Interfaith Center, presso la Chapman University a Orange in California, progettato da AC Partners Martin, che dimostra come spesso l’arte diventa linguaggio interconfessionale che opera in questi luoghi un ruolo magnetico e inclusivo.

Questa cappella è uno spazio non confessionale dentro cui cinque artisti, hanno collaborato per creare uno spazio spirituale, riflessivo e accogliente per tutti i membri dell’università. Susan Narduli col Giardino dei Sensi in cui l’olfatto entra in tensione con piccole sculture geometriche in onice bianchissimo; Lita Albuquerque con l’installazione Solar Star Score, ispirata alle processioni nelle cattedrali medievali; Norie Sato con la porta di bronzo e la controparete di vetro all’interno del santuario principale; Richard Turner con una scultura di metallo monumentale e William Tunberg con l’arredamento della cappella.

La Cappella della Pace Interreligiosa, progettata da Philip Johnson a Dallas nel 2005 e realizzata nel 2010, è un monumento alla visione interreligiosa dei culti cristiani negli Stati Uniti. Si tratta di un esperimento formale e costruttivo che ha fatto scuola, perché fu realizzato tramite una macchina meccanica in grado di stampare curvature di ampie superfici. L’edificio offre spazi religiosi, ma anche secolarizzati per conferenze, seminari, matrimoni, funerali e altre funzioni comunitarie. L’interno è suddiviso in due piani. Al piano terra è previsto uno spazio per le celebrazioni, mentre al piano superiore sono previste aule destinate a incontri e altre attività. Gli interni non presentano segni e simboli delle religioni cristiane, ma uno spazio vuoto che gioca con la luce e le forme cercando di enfatizzare la neutralità del dialogo.

Nel panorama delle possibili intersezioni uno dei temi più ricorrenti è il silenzio. Il silenzio è l’intersezione interreligiosa della Cappella del Silenzio di Kamppi a Helsinki, del 2012, dei K2S Architects, perché vuole essere un luogo dove avere un momento di sospensione in una delle zone più frequentate della città finlandese. La Cappella del Silenzio è una cappella luterana che ospita tutte le persone che vogliono pregare a prescindere dalla religione a cui appartengano. Per questo il silenzio è (come per la preghiera di Assisi) il centro del dialogo.

FORME DELL’INCLUSIVITÀ | 195 194 | INTERNI INTERRELIGIOSI PER L’INCLUSIONE SOCIALE

Non si tengono funzioni religiose, ma si accolgono tutti senza distinzione di religione. Quest’oasi di silenzio è un luogo dove meditare, ma anche dove trovare qualcuno con cui parlare. Nelle aree laterali sono a disposizione dei visitatori, rappresentanti dell’Unione delle parocchie di Helsinki e dei servizi sociali della città. Lo spazio della cappella è l’unico a trovarsi all’interno del volume di legno, mentre i servizi secolarizzati si trovano in un’area aperta, verso la piazza, realizzata in cemento armato a vista. Lo spazio sacro all’interno è calmo e tutto contribuisce a favorire questa sensazione: le superfici curve in legno creano una cassa armonica straordinaria, un’atmosfera calda e un profumo resinoso, mentre la luce che le lambisce, arrotonda le forme. Questa cappella riassume molti temi