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L’interpretazione della storia di Giuseppe e le Benedizioni di Giacobbe

Osservazioni sulla Genesi di Millstatt

Sommario 1. Introduzione – 2 Rapporti tra le versioni della Altdeutsche Genesis – 3 Analis

6 L’interpretazione della storia di Giuseppe e le Benedizioni di Giacobbe

Nel testo della Genesi di Millstatt, come già visto per le illustrazioni, tro- viamo espressioni che si prestano ad un’interpretazione tipologica o tro- pologica. All’inizio della storia di Giuseppe il comportamento malevolo e ingiusto dei fratelli nei suoi confronti viene riportato all’influenza del de- monio che oscura la loro mente: […] Joʃeph ʃach daz ʃi begunde triegen | der

ualant mit unrehtir minne: daz betrůbete ʃine ʃinne (Diemer 1862, p. 73,

12-13). Interessante è la domanda rivolta dal padre a Giuseppe dopo l’in- terpretazione dei sogni: er ʃprach ‘wæneʃt du daz ich unde din můtir dar

zu dine brůdir | noch hie in erde din durftigen werden? (Diemer 1862, p.

75, 7-8). Giuseppe che nell’interpretazione tipologica è figura di Cristo, è quindi indispensabile in questa vita ai suoi parenti nella prospettiva della sopravvivenza e della salvezza come Cristo lo è per l’umanità. Ricorrente nelle indicazioni di tempo è il numero tre, ad esempio i fratelli vengono liberati dal carcere precisamente il terzo giorno. Riguardo alle colpe dei fratelli nei confronti di Giuseppe abbiamo un commento che può essere valido per ogni peccatore e in particolare per chi non si cura del prossimo (Diemer 1862, p. 90, 31-34):

ʃi můʃen uol iehen  daz in rehte wære geʃchehen, ʃi heten an ir brudir garnet  ʃwaz in wære begegenet, do ʃi ʃine angiʃt ʃahen  unde in niht wolden begnaden, dar zů in niht gie ze herzzen  ʃineʃ ellendeʃ ʃmerzzen.

Un riferimento al sangue di un innocente si ha nelle parole di Ruben che ricorda le azioni malvagie compiute nei confronti di Giuseppe il quale

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appare quindi ingiustamente perseguitato come Cristo: ʃehet nu gat ubir

unʃ alle durch not daz ʃin unʃchuldige blůt (Diemer 1862, p. 91, 2). Un colle-

gamento con l’Ultima Cena sorge spontaneo per l’espressione riferita al banchetto, che vede Giuseppe ricongiunto con i suoi fratelli: Si teilten daz

brot (Diemer 1862, p. 95, 5). Subito dopo parlando di Beniamino, l’ultimo

dei fratelli, si dice: do wart daz meiʃte dem allen nidiriʃt a indicare che «gli ultimi saranno i primi» con un chiaro riferimento evangelico (Diemer 1862, p. 95, 6). Un simile messaggio ricorre anche nella Benedizione di Aser dove viene ripresa la parabola degli invitati al banchetto di nozze che rifiutarono l’invito per cui furono chiamati i poveri e i diseredati.26

Infine la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli in Egitto, salvati dalla care- stia, è presentata come la storia del popolo eletto da cui Cristo ha voluto nascere: Von dir [Joseph] wirt geborn der ze hirte iʃt erchorn (Diemer 1862, p. 113, 30).27

Abbiamo visto che Giuseppe è figura di Cristo e che nella rielaborazione della materia biblica sono inserite delle interpretazioni tipologiche, ma è soprattutto nelle Benedizioni di Giacobbe che le interpretazioni tipologiche e tropologiche trovano più ampio spazio. Questo è un aspetto particolare di entrambe le versioni della Genesi che ampliano considerevolmente la materia rispetto alla fonte biblica. Nella Genesi di Millstatt vi sono ulteriori aggiunte e variazioni rispetto alla Genesi di Vienna per cui si conferma l’ipotesi che il rielaboratore doveva essere un predicatore e che con que- sta versione della Genesi si voleva mettere in grado un destinatario non particolarmente colto di comprendere la materia dottrinale. L’interpreta- zione tipologica è particolarmente estesa nella Benedizione di Giuda che è presentato come figura di Cristo, e si deve osservare che l’interpretazione è staccata ed è introdotta dalla rubrica: Bezeichnunge wil ich iv geben

ubir den ʃegen (Diemer 1862, p. 108, 34). Questa strutturazione del testo

in due parti rappresenta un’ulteriore analogia con i testi del Physiologus, dove alla descrizione della natura dell’animale segue poi l’interpretazione allegorica con riferimenti a Cristo o al demonio. Il ruolo del rielaboratore in questa parte finale è quindi di fare da tramite per l’interpretazione della materia biblica e questa sua funzione è ben espressa nei versi seguenti (Diemer 1862, p. 108, 35-37):

Ditzze iʃt ein tieffe rede,  ia wæn ʃi ieman errechen mege; chunde ichz nu wol uerʃten  daz ich dar ubir han geleʃen, gerne ich danne ʃagete  welich pizeichnunge ez habete.

26 Si giengen an die strazze da die armen sazzen, | daz huʃ ʃi erfulten mit den die ez nemen wolten | Da iene zů geladet waren, daz geʃchach unʃ ze genaden (Diemer 1862, pp. 112, 36-

37 – 113, 1). Vedi: Luca 14, 15-24; La Bibbia (NT) (1985, pp. 121-122).

27 Interessante anche un verso seguente in cui Cristo è definito come deʃ rehteʃ ein ʃtein

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Non solo si sottolinea qui la difficoltà della materia, ma si ribadisce che il rielaboratore ha le conoscenze acquisite attraverso lo studio ed è in grado di interpretarla.

Nella Benedizione di Giuda vi sono collegamenti al Physiologus a sot- tolineare lo stretto rapporto di continuità tra le due opere. In particolare viene ripreso e interpretato il seguente passo della Genesi: «Giuda, figlio mio, sei come un giovane leone che ha ucciso la sua preda e torna alla sua tana».28 Nella Genesi di Millstatt si ha lo stesso riferimento al leone e si

afferma che Giuda avrà potere su molte terre: Vil manigiv lant choment

in din gewalt, | ʃwenne du dei gewinneʃt dem lewen gelich du gebariʃt (Di-

emer 1862, p. 108, 9-10). Rispetto alla fonte biblica viene però aggiunto un secondo riferimento al leone come nel Physiologus: si dice infatti che il leone dorme, ma tiene gli occhi aperti come Cristo che vigila sull’uma- nità.29 Un’ulteriore aggiunta del rielaboratore di Millstatt è il riferimento

all’aquila che come il leone è simbolo di Cristo (Freytag 1982, pp. 225-226, nota 64). L’iniziale dell’aquila appare con lettera maiuscola all’interno del testo per cui è indubbio che si voleva dare a questo riferimento un parti- colare rilievo: dine uiant uerbernt dich gar, ubir ʃi biʃt du ein Âr (Diemer 1862, p. 108, 19).

Ancora riguardo a Giuda nella Genesi si legge: «Egli porterà una gran- de abbondanza: userà la vite anche per legarvi l’asino e il vino per lavare le vesti. Il vino ravviverà lo splendore dei suoi occhi e il latte renderà più bianchi i denti».30 Nel codice di Millstatt questo passo è commentato in

senso tipologico: Giuda che lega il piccolo dell’asina allo steccato e l’asina alla vite è come Cristo che vuol legare con l’amore sia gli Ebrei che i pa- gani. La parte finale viene così riformulata: Sconir danne der win ʃint dei

ov

gen ʃin, | Siner zene gliz iʃt wizzi[r] danne milch wiz (Diemer 1862, p. 108,

32-33). L’interpretazione che viene data nella tradizione esegetica è che Giuda prefigura Cristo che è venuto a salvare l’umanità. Gli occhi stanno a rappresentare il mistero della Grazia e sono più belli del vino, mentre i denti rappresentano i predicatori che trasmettono agli uomini la dottrina dopo averla fatta propria e sono più bianchi del latte di cui si nutrono i pic- coli (Freytag 1982, pp. 69-70). Questo particolare presente nella Genesi di

Millstatt è molto interessante, se si considera che il rielaboratore si poneva

come un predicatore con queste stesse finalità di fronte al suo pubblico. Possiamo quindi dire che il rielaboratore ha ripreso dal testo della Genesi biblica, ma ha fatto anche riferimento alla tradizione esegetica. Vari studi sono stati condotti sulle rielaborazioni medievali della materia biblica, tra

28 Genesi 49, 9. La Bibbia (AT) (1985, p. 76).

29 Diemer (1862, p. 108, 14-15): Also den lewen ieman geʃchrehen ode in ie ieman getar

gewechen | ʃo er růwet tov

gen mit offenen ov

gen.

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cui segnalo quello di Freytag (1982), che analizza tra l’altro la Genesi di

Vienna senza però giungere a identificare delle fonti precise e delle riprese

letterali. Si deve infatti considerare che i due rielaboratori tedeschi della

Genesi devono aver fatto riferimento per lo più a dei compendi oppure si

sono basati sulle loro conoscenze per offrire interpretazioni più semplici e adeguate alle finalità di queste opere.

Un commento escatologico si trova nella Benedizione di Dan il quale è paragonato al serpente e quindi rappresenta il demonio, come pure viene definito «gehurneter wrm» con riferimento all’Anticristo (Diemer 1862, p. 110, 37). Oltre all’interpretazione, anche in questo caso staccata dalla prima parte della benedizione, acquista rilievo il messaggio tropologico che mette in guardia coloro che ricercano onori e potere, perché la morte giungerà all’improvviso e contro di loro sarà rivolta l’ira di Dio; bene invece sarà per coloro che sono rimasti saldi nella fede. Alla fine di questa bene- dizione per coinvolgere direttamente il pubblico viene fatta la seguente richiesta: «nu sprechet alle AMen» (Diemer 1862, p. 111, 34) quasi che fosse la conclusione di una celebrazione liturgica.