1. Rimedi giusfamiliari e regole di responsabilità
1.3. L’intervento del giudice nell’ipotesi di disaccordo dei coniugi
Nella fase di costanza della convivenza coniugale, che caratterizza il momento fisiologico del rapporto matrimoniale, il legislatore ha previsto con apposita norma la possibilità che il giudice intervenga per comporre il conflitto insorto tra i coniugi, limitandone fortemente i poteri e improntandoli alla ricerca di soluzioni concordate o a lui conferiti con l’accordo di entrambi. L’atteggiamento estremamente prudente si rinviene nella volontà del legislatore di salvaguardare il più possibile la prosecuzione del rapporto coniugale, senza fornire strumenti processuali che possano al contrario favorire la litigiosità tra i coniugi: la ricerca di soluzioni concordate o la necessaria volontà di entrambi i coniugi sono segnali di questa tendenza alla conservazione del rapporto.
In particolare, il co. 1 dell’art. 145 cod. civ. disciplina l’ipotesi generale di disaccordo prevedendo che ciascuno dei coniugi possa chiedere l’intervento del giudice, il quale tenterà per quanto possibile di trovare una soluzione concordata.
Dalla lettura di tale norma emerge in primo luogo l’esigenza di non cristallizzare l’accordo originariamente raggiunto80, al fine di poter perfettamente consapevole; C. MARTI, L’art. 129 bis nella prospettiva dei rapporti tra pena privata e diritto di famiglia, in Le pene private, F.D.BUSNELLI –G.SCALFI (a cura di), Milano, 1985, p. 209 ss; D. BUZZELLI, Sulla responsabilità dei coniugi per l’invalidità del matrimonio, in Rass. dir. civ., 1982, p. 324; L. ROSSI CARLEO, Brevi cenni sui difficili rapporti tra scioglimento e invalidità del matrimonio nel nostro ordinamento, in Rass. dir. civ., 1981, p. 1092.
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Parte della dottrina è orientata nel senso di ritenere che la regola dell’accordo sia soggetta alla clausola rebus sic stantibus e che il mutamento delle esigenze e delle
giungere ad una riconsiderazione dello stesso qualora siano mutate le esigenze di uno o di entrambi i coniugi, oppure venga in rilievo un’esigenza familiare destinata, nel caso concreto, a prevalere. Inoltre, per procedere ad una rivisitazione dell’accordo non è neppure necessario il consenso di entrambi i coniugi, essendo sufficiente anche l’iniziativa di uno solo dei due, anche se resta ferma la necessità del consenso congiunto di entrambi per pervenire ad una nuova intesa.
Il co. 2 dell’art. 145 cod. civ. limita, poi, la funzione decisoria del giudice soltanto alle questioni «essenziali», stabilendo che qualora per esse non sia possibile pervenire ad una soluzione concordata, e nell’ipotesi in cui sia espressamente richiesto da entrambi i coniugi, il giudice avrà il potere di emanare un provvedimento non impugnabile per adottare la soluzione più adeguata alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia81.
Le materie che possono formare oggetto dell’intervento del giudice ex art. 145 cod. civ. sono quelle che attengono strettamente alla nozione di vicende della vita non siano compatibili con la cristallizzazione dell’accordo raggiunto tra i coniugi. Tale clausola non sarebbe, invece, applicabile per la regolamentazione del contrasto sulle questioni minori, almeno fino a quando queste non portino e non presuppongano l’adozione di decisioni aventi rilevanza esterna che possano definirsi «essenziali». Cfr., tra gli altri, M. PARADISO, I rapporti personali tra i coniugi, cit., p. 193; G.CONTE, I rapporti personali tra i coniugi, in Trattato di diritto di famiglia diretto da G. Ferrando, Bologna, 2008, p. 49; G.CIAN, Autonomia privata e diritto di famiglia, in Confini attuali dell’autonomia privata, A. BELVEDERE e C. GRANELLI (a cura di),
Padova, 2001, p. 48.
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Restano, dunque, esclusi da tale intervento gli «affari non essenziali», dal momento che il rispetto dell’accordo su tali questioni, c.d. minori, è affidato all’esclusivo senso di responsabilità dei coniugi, non risultando possibile l’individuazione di elementi che in modo univoco possano giustificare o meno il successivo dissenso. In ordine alla vincolatività di tali affari, gli stessi dovranno considerarsi tali fin quando non sopravvengano elementi atti a modificare le condizioni di fatto e le prospettive di vita comune che avevano portato i coniugi a raggiungere un determinato consenso. Cfr. M. PARADISO, I rapporti personali tra i coniugi, cit., p. 190, il quale rileva che la diversità di disciplina tra affari essenziali e non essenziali “se attribuisce indiretta rilevanza al diverso modo di comporre i dissidi (e di ritenerli obiettivamente giustificati) che già opera nella realtà sociale, autorizza a ritenere soggetto a regole analogamente differenziate lo stesso comportamento dei coniugi nel raggiungimento e nella modificazione delle loro intese”.
indirizzo della vita familiare e agli interessi dei componenti della famiglia, ma mentre la funzione conciliativa del giudice riguarda gli affari essenziali e non, così come individuati dalla norma, la funzione decisoria di cui al co. 2 dell’art. 145 cod. civ. riguarda esclusivamente le questioni essenziali. In questo quadro, i diritti della personalità non potranno costituire oggetto di tale intervento “[...] fino a quando non ledano, ostacolino o intralcino analoghi diritti di altri familiari […]”82. Ciò significa che l’intervento giudiziale potrà riguardare le modalità di svolgimento di un’attività oggetto di un diritto costituzionalmente garantito, ma non dovrà estendersi al punto di indagare sulla possibilità di esercizio di quel diritto, per il quale non è di certo necessario né un accordo tra i coniugi né, tantomeno, l’intervento del giudice regolato all’art. 145 cod. civ.
La ratio della norma va ricercata, quindi, nell’intenzione del legislatore di offrire ai coniugi uno strumento di composizione degli interessi confliggenti nella fase fisiologica del rapporto. Si tratta, dunque, di un istituto volto a ripristinare l’accordo e l’intesa sull’indirizzo della vita familiare. Esso non incide sull’autonomia personale del coniuge, che resta comunque libero di disattendere il contenuto del provvedimento giudiziale senza che ciò gli procuri conseguenze sul piano giuridico83.
In questa fase, in cui è lo stesso legislatore a indirizzare gli interventi giudiziali con il deliberato fine di salvaguardare l’unità e la vita familiare, sembrerebbe che non possa porsi un problema di responsabilità perché ciò andrebbe, se non altro, a contrastare con la ratio degli istituti strettamente giusfamiliari e con la logica utilizzata per la disciplina dei rapporti
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Così R.TOMMASINI, Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio, cit., p. 464 ss.
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È chiaro che, ad ogni modo, il persistere del disaccordo e la mancanza di volontà di uno o di entrambi i coniugi a ripristinare l’accordo necessario può costituire il sintomo di una profonda crisi coniugale, che, se è irrimediabile e idonea a rendere intollerabile la convivenza, potrà giustificare il ricorso ai rimedi predisposti dall’ordinamento per la crisi familiare.
familiari. Dunque, nel periodo di svolgimento del rapporto matrimoniale l’unico rimedio al contrasto tra i coniugi resterebbe quello qui esaminato, volto a ricomporre il conflitto insorto tra i coniugi.