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CAPITOLO 4: CASTANICOLTURA IN GARFAGNANA

4.2. Intervista Ivo Poli

Ivo Poli (Barga, 1949) da sempre studia e si interessa del mondo agroalimentare garfagnino. E’ presidente dell’associazione Città del castagno, e membro dell’associazione castanicoltori della Garfagnana. E’ quindi ritenuta una voce autorevole nell’ambito della castanicoltura garfagnina e abbiamo ritenuto interessante procedere a una breve intervista. Sono andato a trovarlo in data 12/01/2018, nella sua casa di Molazzana.

Fai parte dell’associazione castanicoltori della Garfagnana, ci puoi dire come quando e perché è nata questa associazione?

Questa associazione è nata nel 1998: già nel 1994 io sentivo parlare dei marroni, e da alcuni libri risultava che in Garfagnana i marroni non fossero presenti, perché faceva troppo freddo. Io trovai alberi di marroni e iniziai a fare un po’ di ricerca con un amico che c’aveva passione. Poi continuai e collaborando con i vari anziani della zona riuscii ad apprendere le varie varietà presenti nel territorio. Nel 1994, in un giovedì di mercato, organizzammo una mostra pomologica con 84 varietà di castagne locali. Chiamai un professore trovato su un libro, tale prof. Bellini, e lui mi stimolò ad andare avanti. Da lì si creo un gruppo di persone che nel ’98 formarono l’associazione.

Quali furono e quali sono gli intenti di tale associazione?

Lo scopo principale è valorizzare il territorio, subito si fece una ricerca sulle varietà locali, chiesi alla comunità montana un appezzamento di ceduo da tagliare a raso per farci un campo marze. Fu concesso e per due anni si sono fatte schede in cui si caratterizzavano fenologicamente tutte le varietà, grazie anche alla collaborazione con il corpo forestale e le guardie della comunità montana. Si registrarono anche il numero di castagne per riccio, la pezzatura, il peso, il colore , la forma della cicatrice ilare. e internamente, una volta tagliate, il colore della polpa, l’introflessione dell’episperma.

…Fino ad arrivare alla certificazione DOP della Farina

Esatto, dopo poco si elaborò un disciplinare tale da renderlo il meno possibile aggirabile da qualche malintenzionato. Lì per lì vennero fuori due o tre personaggi che dicevano avere centinaia di ettari di castagneto, ma di fronte a questo disciplinare non sono stati in grado di raggirarlo né forse hanno voluto farlo, perché non conviene: sono previsti quaranta giorni di essicazione nel

48 metato, e in più la farina deve avere determinate caratteristiche. Questo ha fatto sì che mentre prima si potevano in qualche modo anticipare i tempi, e arrivare a commercializzare la farina anche prima di dicembre, ora questo non è più possibile. Anche quest’anno, annata secca, alcuni produttori hanno messo in vendita la farina la seconda metà di dicembre: non c’è più la furia, e si tende a privilegiare la qualità, anche a costo di dilatare i tempi. Poi c’è un’altra cosa da considerare: con il riscaldamento globale, anche ottobre e novembre sono spesso caldi, e ciò fa sì che il consumatore preferisca consumare il frutto fresco. Solo dopo, verso novembre-dicembre, quindi con l’arrivo del freddo, si ha richiesta di frutta secca e farina sul mercato.

Quindi la farina DOP ha successo?

Non tanto, perché molto del commercio è a brevi mani: se conosco te che hai il metato e fai la farina, vengo a comprarla da te, non curandomi della certificazione. E devi considerare anche i costi: avere la certificazione costa 2 €/kg solo di spese tra tutto. In più chi conferisce per la DOP viene tracciato e certificato, e quindi è anche tutto fatturato. La grande maggioranza fa per conto suo e vende in nero, non vi è interesse ad essere certificato. C’è un rischio addirittura che le certificazione di questi prodotti locali e di limitata produzione vadano a perdersi. Il loro compito è quello di conferire valore al prodotto, di valorizzare una produzione locale, poi dopo il nero prende il sopravvento.

Ma lo auspichi che tutti si iscrivano al disciplinare?

No, per conto mio non conviene. E’ importantissimo registrare un marchio per valorizzare un territorio, dopodiché è naturale e inevitabile che all’interno di quel territorio vi sia una fetta più o meno grossa di nero che si fregia del marchio ma che effettivamente non lo ha. Anche nel territorio del parmigiano reggiano c’è il mercato nero, ma c’è talmente tanta produzione che una grossa fetta deve rivolgersi a canali di commercializzazione più ampi. Invece in Garfagnana la produzione di farina è talmente poca che tutta o quasi viene commercializzata a brevi mani.

Quindi tra i risultati raggiunti dall’associazione prima di tutto la certificazione DOP, poi?

Si, prima di tutto quello, poi siccome il periodo di commercializzazione della farina è molto limitato, si disse vediamo se riusciamo a trasformarla in altri prodotti. Quindi abbiamo cominciato a far lavorare la farina a diversi forni per farci i biscotti, poi il liquore dal Nardini, poi le marmellate, addirittura la grappa come in Valcamonica, e poi considera che la nostra farina è registrata per celiaci… In più l’associazione vendeva anche tutti questi prodotti..

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Quindi l’associazione era ed è anche cooperativa?

No, era volontariato. Quando il commercio si è iniziato un po’ ad espandere abbiamo dato in gestione il marchio dell’associazione alla ditta Coletti bontà della Garfagnana , ora è lui che commercializza e organizza la filiera dei prodotti castanicoli che comunque mantengono l’etichetta dell’associazione castanicoltori. In più nell’accordo fatto la ditta deve ritirare tutto il prodotto ai soci castanicoltori, e questo è gran bel risultato per noi, perché garantisce la remunerazione dei produttori.

Si riesce a garantire anche la remunerazione del primo anello della catena?

Direi di si, considera che prima, senza l’associazione e quindi senza il marchio, si era completamente perso l’interesse per il prodotto castagna. Ora è sempre più in crescita, poi c’è stato uno stallo dovuto al cinipide, ma se riprende la produzione anche l’interesse e il volume di mercato aumenterà sempre di più!

Ma ci sono i castanicoltori?

Qualcosa c’è, ma c’è un problema ora: dall’anno scorso il castagno rientra tra coltura da frutto, e come tale non può ricevere finanziamenti per la potatura.

Ma non può sfruttare gli aiuti dovuti al frutteto?

E’ complicato, perché spessissimo si parla di hobbismo, i terreni sono frazionati. E se non c’è l’aiuto per la potatura si rischia di non vederla più. Ora si prova a fare nuovi impianti di castagno, sono stato in Puglia, nel Salento, e feci fare un impianto a settonce, 320 piante/ha, che però deve essere potato come un frutteto. Con l’Università di Firenze stiamo provando a vedere il comportamento del nostro castagno su certi tipi di innesti, cercare innesti da piante deboli, per cominciare a ripensare la castanicoltura anche in questi termini. In Italia abbiamo insegnato la frutticoltura in tutto il mondo, ma sul castagno abbiamo fatto poco.

C’è qualche punto della filiera castanicola che palesemente pecca per qualche motivo?

Se parli della filiera castanicola generale, c’è un enorme patrimonio di legname. Abbiamo moltissimi ettari di ceduati che stanno marcendo. Non lo so di preciso quanto ceduato abbiamo, ma considera che nel censimento 1978 c’erano 15 000 ha di castagneto da frutto, e nel 2005, col lavoro che abbiamo fatto fare, ce n’erano 3000. Significa che almeno 12 000 ha di ceduato lo abbiamo, ma non viene assolutamente sfruttato.

50 Sulla filiera del prodotto si dovrebbe lavorare un po’ di più sulla trasformazione in loco, e lavorare un po’ di più sul mondo della celiachia.

Guardando il mondo della produzione, ci sono delle mancanze tecnologiche, di professionalità dei castanicoltori? Si, il ricambio generazionale ce n’è poco e anche lo scambio delle conoscenze

vecchio mondo-nuovo mondo è difficoltoso. Ci vorrebbero, e a volta li abbiamo fatti, dei corsi su tutte le varie buone pratiche colturali da condurre nel castagneto, dalla potatura al metato.

I conduttori sono spesso anziani, e c’è chi dice che i conduttori anziani sono poco inclini ad ammodernarsi.

Il discorso è l’associazionismo, mettersi insieme vuol dire evolversi, confrontarsi e invogliarsi. Da soli non si può fare, non si ha spazio e si rischia di fare il nostro piccolo e basta. Anche noi all’inizio dell’associazione mica avevamo le idee così chiare, ma parlando, interagendo, si cresce, da cosa nasce cosa.

Quindi ipoteticamente una forte interazione tra università, associazioni e castanicoltori sarebbe diciamo perfetto.

Ci vorrebbe la politica che tira le fila, ci vuole una politica che riesca a rispondere alla esigenze che vengono dal basso. E dal basso, dalle associazioni che nascono dal basso, devono nascere delle domande, bisogna che si tiri la giacca alla politica. Ma fare associazionismo in Garfagnana non è facile eh, la Garfagnana è fatta di piccoli centri che sempre storicamente sono stati nemici, e quindi è scritto nel DNA.. è difficile cambiare la mentalità!

Per quanto riguarda le problematiche fitosanitaria, com’è la situazione? Il mal dell’inchiostro è vero che è uno dei problemi principali?

Il mal dell’inchiostro sta andando tanto, e poi viene anche nei posti dove prima non veniva, ovvero nei posti che non soffrono di ristagno: il ceppo si è rafforzato. Poi c’è da dire che un elemento base di contrasto al mal dell’inchiostro era il freddo, e ora gli inverni sono più miti. Venisse un po’ più freddo, come quando faceva le gelate periodiche, si darebbe un bel colpo alle spore rimaste. E poi gli ungulati, se graffiano, tagliano, calpestano, non fanno altro che aprire ferite da cui poi il fungo entra.

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Il mal dell’inchiostro è associato alla scarsa biodiversità microbica del suolo. Letamazioni oppure, come un tempo, i pascolamenti all’interno del castagneto possono aiutare?

Ora si combatte, dopo mille anni siamo arrivati ai risultati di un tempo, con le concimazioni. Già diverse zone concimano parecchio, con effetti positivi sia sulla resa sia poi sulla sanità degli alberi.

Due parole invece sull’associazione città del castagno?

La città del castagno è una associazione nazionale di città di identità (tartufo-ciliegie). La città del castagno mette insieme enti, associazioni, unioni dei comuni, GAL, che all’interno dei propri territori hanno superfici castanicole. L’intento è quello di promuovere la castanicoltura nelle varie zone, anche con convegni, corsi, eventi, sagre. Siamo autorizzati dal Mipaaf ad organizzare corsi anche su problematiche fitosanitarie, politiche. La città del castagno rappresenta l’Italia nei convegni europei sul castagno, a cui partecipano Italia, Spagna, Portogallo, e ora anche Grecia.

E’ facile coordinare tutte le varie istanze dei vari paesi?

Ora è tempo, e ce ne stiamo rendendo conto, di mettere da parte i campanilismi e di mettersi insieme per affrontare il problema delle grosse importazioni di prodotto che viene dalla Cina, dalla Turchia. Nei convegni emergono esigenze comuni che poi devono essere riportate alla comunità europea. Che non vuol dire conformarsi, ognuno deve mantenere tradizioni e varietà.

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