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Caratterizzazione di frutti e farine di quattro varietà di castagno della Garfagnana

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE AGRARIE, ALIMENTARI E AGRO-AMBIENTALI

Corso di laurea in Produzioni Agroalimentari e Gestione degli Agroecosistemi

TESI DI LAUREA

Caratterizzazione di frutti e farine di quattro varietà di

castagno della Garfagnana

Relatore: Prof. Damiano Remorini

Correlatore: Prof.ssa Lucia Guidi

Candidato: Luca Marchetti

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Sommario

CAPITOLO 1: IL CASTAGNO ... 1 1.1. Origine e diffusione ... 1 1.2. Ecologia ... 3 1.3. Caratteristiche botaniche ... 4 CAPITOLO 2: IL CASTAGNETO ... 9

2.1. La castagna: prodotto alimentare ... 9

2.2. Operazioni di conservazione ... 10

2.3. Altri prodotti ... 13

2.4. Buone pratiche nel castagneto ... 14

2.5. Fitopatologie ... 18

Cinipide del castagno ... 22

Cancro corticale e mal dell’inchiostro ... 27

Malattie fungine sul frutto ... 31

CAPITOLO 3: CASTANICOLTURA IN ITALIA ... 35

3.1 Panoramica generale ... 35

3.2 Le caratteristiche aziendali ... 36

3.3 Confronto regionale ... 38

3.4 I prodotti di qualità ... 41

3.5 Il commercio internazionale ... 43

CAPITOLO 4: CASTANICOLTURA IN GARFAGNANA ... 46

4.1. Un po’ di storia ... 46

4.2. Intervista Ivo Poli ... 47

4.3. Visita al museo del castagno, Località Colognora, Val di Roggio 55060 (Lu) ... 51

4.4. Farina di neccio della Garfagnana DOP ... 53

4.5. Descrizione varietà di castagno garfagnine... 54

CAPITOLO 5: LA TESI ... 77

5.1 Scopo della tesi... 77

5.2 Materiali e metodi. ... 77

5.3 Metodo di campionamento ... 83

5.4 Preparazione campioni... 84

5.5 Metodologie di analisi ... 85

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5.7 Discussione e conclusioni ... 104 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ... 110

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CAPITOLO 1: IL CASTAGNO

1.1. Origine e diffusione

Il castagno (Castanea sativa) è una specie appartenente alla famiglia delle Fagacee. Tale famiglia comprende sei generi (Castanea, Castanopsis, Fagus, Lithocarpus, Nothofagus, Quercus) e circa mille specie, tutte legnose o arbustive. Le Fagacee sono ben distribuite in tutto l’emisfero nord, e alcune di esse, in particolare i faggi, i vari tipi di querce e il castagno sono le specie che più caratterizzano l’ambiente forestale delle nostre regioni con climi perlopiù temperati e caldi. Il genere Castanea conta tredici specie, situate nelle zone a clima temperato dell’Asia, sud Europa e sud-est degli Stati Uniti d’America (Pron, 2004). In Figura 1 la distribuzione dei principali generi di Castanea. 1. Castanea dentata 2. Castanea sativa 3. Castanea mollissima 4. Castanea crenata

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2 Più in particolare, nella Tabella 1 sono riportate le principali specie di Castanea, con relativa origine e distribuzione attuale.

Tabella 1. Areale di origine e distribuzione del genere Castanea (adattato da Bounous, 2002)

Il castagno europeo trova il suo areale di origine nel bacino del Mediterraneo. Coltivato sin dai tempi remoti per la sua rusticità e le notevoli qualità del frutto, nel corso dei millenni è stato diffuso dal suo areale originario prima in diverse regioni europee, in particolare dell’area centro-meridionale, poi in altri Paesi del mondo (per esempio USA, Australia e Nuova Zelanda). Tra le civiltà più attive nella sua diffusione Fenici, Greci, Etruschi e soprattutto Romani. Oggi in Europa è l’unica specie di Castanea spp. spontanea: si ritrova infatti come specie predominante in estese foreste dal Caucaso all’Inghilterra, passando per Turchia, Grecia, Slovenia, Italia, poi Francia, Spagna, Portogallo e anche Germania. Anche in Nord Africa è presente, in maniera più limitata: in Marocco sulle montagne di Beni-Hoçmar , nelle zone montane dell’Algeria e della Tunisia.

In Italia vegeta in tutto il piano medio montano dell'Appennino e delle isole e al nord, dal piano basale alle Prealpi e alcune valli alpine. La specie è indicatrice della zona fitoclimatica Castanetum (Figura 2).

Specie Origine Areale di distribuzione Utilizzo prevalente

C. sativa Europa Europa, Asia Minore, Nord Africa Frutto, legno

C. crenata Asia Giappone, Corea Frutto

C. mollissima Asia Cina Frutto

C. seguignonii Asia Cina Ornamento

C. davidii Asia Cina Ornamento

C. henryi Asia Cina Legno

C. dentata America America del Nord Legno, frutto

C. pumila var. pumila America Sud-est USA Frutto

C. pumila var. zarkensis America U.S.A (Arkansas- Missouri-Oklahoma) Legno

C. floridana America Sud-est U.S.A Ornamento

C. ashei America Sud- est U.S.A Ornamento

C. alnifolia America Sud- est U.S.A (Alabama, Florida) Ornamento

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3 Figura 2. Zone fitoclimatiche italiane. Il Castanetum Si estende dalla pianura Padana alle zone collinari fino ai 700- 900 metri caratterizzate da clima temperato fresco. Via via che ci si sposta verso sud, tale zona occupa stazioni ad altitudini crescenti. È la zona delle foreste miste di latifoglie decidue: castagneti, querceti, frassineti, ecc., ma anche pioppeti e saliceti in presso i corsi d’acqua e le zone umide. (http://www.istitutomedici.gov.it)

1.2. Ecologia

Il castagno europeo è un grande albero deciduo e molto longevo; dal portamento maestoso, può superare i 500 anni di vita e raggiungere, in condizioni ottimali in bosco, i 30 - 35 metri di altezza, con un diametro del tronco che non raramente si aggira intorno a 4-6 m. L’albero della specie europea si distingue per vigoria, robustezza delle branche e qualità del legname. Il frutto è mediamente più grande rispetto alle altre specie, più consistente e con una polpa più saporita. Le cultivar più apprezzate e conosciute per il frutto sono i Marroni, con grossa pezzatura, ottimo sapore e di facile pelabilità. In generale C. sativa è una specie sensibile al mal dell’inchiostro (Phytophtora spp.) e al cancro corticale (Cryphonectria parasitica), anche se esistono genotipi con parziale resistenza (Bounous, 2002).

Terreno. I terreni migliori per il castagno europeo sono quelli profondi e leggeri, subacidi, ricchi in

elementi nutritivi e privi di calcare attivo, anche se il castagno è presente in alcuni ambienti caratterizzati da terreni calcarei (Carso e Alpi apuane). Questo è possibile grazie alla capacità delle radici di esplorare gli strati decalcificati (Morandini, 1955; Bounous, 1979). Il pH ideale può variare tra 5 e 6.5, Non sopporta terreni pesanti, asfittici, argillosi: i ristagni favoriscono attacchi di Phytophtora e Armillaria mellea. Inoltre suoli pesanti fanno sì che le radici si sviluppino solo in

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4 superficie rendendo l’albero soggetto a stress idrici durante i periodi siccitosi (Bounous, 2002; Bianchi, 2009).

Clima. Il castagno è considerata una pianta mediamente esigente di luce, capace di tollerare

periodi di ombra anche nella fase giovanile. Al nord sono da privilegiare gli ambienti soleggiati; mano a mano che si scende nella penisola l’esposizione da preferire è nord o nord-est, zone meno soggette a siccità estiva. La piovosità richiesta è superiore ai 600 mm. L’altitudine adatta si spinge fino ai 7-800 m, ma a latitudini basse può superare i 1500 m (Etna, Sierra Nevada in spagna, Caucaso). In Toscana lo troviamo fino ai 900-1000 m.

E’ una pianta moderatamente termofila, che tollera i freddi invernali; l’optimum è in ambienti con temperatura media annua compresa tra i +8 e i +15 °C, con medie mensili superiori ai 10 °C durante la stagione vegetativa. Soffre le gelate tardive. Durante la fioritura e la fecondazione sono ottimali temperature di 27-30 °C (Bounous, 2002).

1.3. Caratteristiche botaniche

Apparato radicale. L’apparato radicale è robusto ed espanso, costituito da un fittone di limitato

sviluppo in profondità; da suddetto fittone si sviluppano, in ogni direzione, radici più o meno vigorose. E’ sede di quasi tutte le riserve energetiche della pianta, cosicché se ceduato ricaccia con vigoria quasi imbattibile, ricostituendo in una stagione quasi tutte le riserve perse con il taglio. (Bounous, 2002; http://www.floraitaliae.actaplantarum.org/). Le radici che si diramano dal fittone centrale sono poco numerose ma assai ramificate, ed esplorano ampie porzioni di terreno, anche in profondità. Le radici più minute sono ricoperte di micorrize ectotrofiche, molto importanti anche, ma non solo, poiché consentono lo sviluppo di funghi eduli.

Fusto e rami. Il fusto ed i rami presentano, nei primi anni, una corteccia liscia, brillante, di colore

bruno-rossastro e con caratteristiche lenticelle che si allungano fino ad 1 cm. Dopo 20-25 anni la corteccia sviluppa screpolature, dando origine a uno spesso ritidoma di colore grigio-bruno e con profonde scanalature longitudinali che si snodano con andamento elicoidale (Figura 3). L’alburno è sottile, bianco-giallastro e il durame è bruno, senza macchie midollari e ricco di tannino (fino al 10%, in correlazione positiva con l’età). I rami dell'anno sono normalmente cilindrici, ma a volte anche angolati, specialmente nei polloni in forte accrescimento; i piccoli rami portano gemme piccole e ampiamente ovoidi con due-tre perule bruno rossicce e glabre; la gemma apicale abscinde molto presto e conseguentemente l’albero ha una crescita simpodiale a monocasio.

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5 Figura 3. Tronco albero adulto (foto Luca Marchetti)

Foglie. Le foglie sono semplici, alterne e disposte aspirale; sono provviste di picciolo lungo 15-25

mm, alla cui base si trovano due stipole lineari che cadono precocemente . La forma della foglia è ellittico-lanceolata, margine seghettato. L’ apice è brevemente acuminato, la base è cuneato-arrotondata. La lunghezza media varia dai 12 ai 20 cm, la larghezza dai 3 ai 7 cm. La pagina superiore è liscia, lucida, di colore verde intenso con nervature rilevate di consistenza coriacea; più chiara la pagina inferiore.

Fiori. Il castagno è una specie monoica: sul medesimo albero sono presenti fiori staminiferi e

pistilliferi in due tipi di amento, maschili e bisessuali, portati entrambi su germogli fiorali. I fiori maschili sono racchiusi in glomeruli, a loro volta disposti a spirale lungo l’asse degli amenti. Ogni glomerulo contiene 3-7 fiori. Ogni amento contiene in media 40 glomeruli. Gli amenti possono essere unisessuali o bisessuali e si sviluppano alla base del ramo nuovo dell'anno; sono appariscenti, eretti e lunghi fino a 35cm.

Il fiore maschile ha un perigonio esamero scisso in 8-12 stami di lunghezza variabile. Si classificano infatti in astaminei (privi di antere e sterili); brachistaminei (stami di 1-3 mm, con polline raro); mesostaminei (stami da 3 a 5 mm, con limitata produzione del polline); longistaminei (stami da 5 a 7 mm, con abbondante produzione del polline).

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6 Le infiorescenze miste (Figure 4 e 5) sono più brevi, complesse e si sviluppano verso l'apice del ramo; sono costituite da infiorescenze sia maschili che femminili, tipicamente con queste ultima alla base, e le altre – le maschili – distali. Il numero delle infiorescenze femminili per amento varia da 4 a 5 ma tra queste solamente 2 o 3 sono fertili. Ciascuna infiorescenza contiene 2-3 fiori racchiusi da una cupola, che poi diverrà il riccio una volta avvenuta la fecondazione. I fiori femminili sono formati da un perianzio esamero e tomentoso, con ovario infero a 6-9 carpelli e altrettanti stili rigidi e pelosi alla base, cilindrici e di colore verdognolo o giallo chiaro. All’interno di ciascun fiore troviamo più ovari, generalmente 6, che danno un frutto con 1 o più semi.

La differenziazione antogena ha inizio l’anno precedente, 30-40 gg dopo la ripresa vegetativa (Pisani e Rinaldelli 1990). In autunno la differenziazione si arresta , per poi riprendere in primavera con l’evoluzione dei glomeruli maschili e femminili. Nel suo sviluppo, il fiore del castagno è in una prima fase normalmente bisessuale, ma successivamente nei fiori maschili l'ovario arresta il suo sviluppo e nei fiori femminili gli stami non raggiungono la maturità; il rapporto tra i vari tipi di infiorescenze varia da individuo a individuo e anche negli anni.

Le condizioni climatiche primaverili possono anticipare o ritardare la fioritura che solitamente avviene, a seconda delle cultivar, da metà giugno a metà luglio. La proterandria è la norma: l’antesi dei fiori maschili avviene mediamente 7-10 giorni prima di quella femminile.

Figura 4. Infiorescenze miste e maschili (http://www.

floraitaliae.actaplantarum.org/viewtopic.php?t=614)

Figura 5. Infiorescenza mista (foto Luca Marchetti)

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7 La produzione di polline è continua per circa un mese, grazie alla scalarità della fioritura, ed il fiore femminile è recettivo per un periodo di 2-3 settimane.

L'impollinazione è principalmente anemofila, ma la presenza di nettari, la viscosità dei granuli pollinici, e l’odore attrattivo degli amenti fa sì che api, coleotteri e ditteri frequentino assiduamente i fiori del castagno; tuttavia non si tratta di un impollinazione insetto dipendente in quanto i fiori femminili sono privi di attrattivi e il contatto con i fiori femminili da parte di insetti è casuale. Il castagno è una specie con un certo grado di autoincompatibilità, soprattutto nelle sue varietà di maggior pregio commerciale (marroni) (Bounous, 2002).

Il riccio e il frutto. Il riccio (5-10 cm di diametro) è un involucro fortemente spinoso che contiene

un numero variabile di frutti, da 2 fino a 7, normalmente 3. A maturazione il riccio, di colore giallo-bruno, si apre in 2-4 valve e solitamente casca al suolo. L’interno dell’involucro spinoso si presenta color crema, sebaceo e più o meno tomentoso.

La castagna è un achenio di color marrone più o meno scuro, di forma da emisferica a appiattita, a seconda della posizione che esso occupa all’interno del riccio: appiattita se centrale, emisferica se laterale.

Il peso varia considerevolmente a seconda della varietà e anche delle condizioni pedoclimatiche, da circa 6-7 grammi fino a 50-60 g nei marroni.

L’epicarpo è liscio, coriaceo, con striature e solchi più o meno evidenti. Nella parte basale del frutto è presente il cosiddetto ilo, zona di attaccatura al riccio, che è bianco, di dimensioni più o meno rilevanti, con raggiatura stellare e tomentosità variabili.

La torcia si trova nella parte apicale del frutto. Altro non è che il residuo del perianzio e degli stili disseccati. Oltre all’epicarpo, a copertura del seme vi è l’episperma, sottile pellicola di color marrone chiaro, che circonda e racchiude il o i cotiledoni.

I marroni, secondo ormai la più accreditata definizione di Bergougnoux (1978) sono frutti di castagne in cui la percentuale dei frutti settati è minore del 12%. Nel caso dei marroni infatti l’episperma non penetra mai all’interno della massa cotiledonare, cosa peraltro funzionale dal punto di vista pratico. Al contrario nelle castagne si hanno spesso frutti settati, ovvero divisi in setti, con invaginature dell’episperma che rendono più complessa la sua rimozione. A tal proposito, Tanaka (1981) ha evidenziato come l’aderenza dell’episperma al seme sia correlata positivamente con la presenza, all’interno dell’episperma stesso, di composti fenolici. La parte edule del frutto è costituita dal seme, cioè dalla massa cotiledonare.

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8 Figura 6. Le parti del frutto (Conedera, 2005)

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CAPITOLO 2: IL CASTAGNETO

All’art. 52, comma 1 del Regolamento forestale della Toscana (DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE 8 agosto 2003, n. 48/R) si ritrova la definizione di castagneto da frutto: “Costituisce castagneto da frutto qualsiasi area, di estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e di larghezza maggiore di 20 metri, che abbia una densità non inferiore a 40 piante di castagno da frutto per ettaro”. La produzione italiana e soprattutto quella toscana proviene pressoché totalmente da impianti da frutto tradizionali e i proprietari sono perlopiù anziani. S’intendono tradizionali i castagneti caratterizzati da ampi sesti d’impianto, forme di allevamento ad alto volume e spesso e volentieri localizzati in zone che presentano limitazioni naturali.

Prodotti del castagneto

2.1. La castagna: prodotto alimentare

Negli ultimi anni, il frutto del castagno ha perso la tradizionale immagine del “cibo per poveri” ed è diventato ingrediente di preparazioni culinarie anche sofisticate (De la Montaña Mìgueleza, 2003). Numerosi studi hanno dimostrato il suo elevato valore nutrizionale: alto contenuto in acidi grassi essenziali, aminoacidi essenziali, antiossidanti e vitamine (Dall’Asta, 2010). In più, la castagna è considerata un alimento sano, come dimostrato da un sondaggio condotto dall’Istituto di Biometeorologia del CNR, che ha rilevato che la castagna si colloca al secondo posto fra i frutti ritenuti più genuini dai consumatori (Figura 7).

A conferma di ciò è la sempre minor percentuale di frutto che finisce essiccato: attualmente solo il 10%. Il consumo fresco, compreso l’autoconsumo e l’esportazione, interessa il 75% della destinazione finale di castagne e marroni, mentre un altro 10% del totale (35-40% se si

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10 considerano i soli marroni) è ritirato dalle industrie agroalimentari per la trasformazione in

marron glaçés, frutti canditi o sciroppati, marmellate, puree, paste di marroni e altri prodotti

dolciari (Adua, 2001).

Nella Figura 8 sono elencati schematicamente tutti i prodotti derivanti dalla castagna.

Figura 8. Classificazione dei prodotti derivanti da castagne (da tesi di laurea Giovannelli, Università di Padova, 2008).

In tempi più recenti si è sviluppata anche tutta un’industria di trasformazione legata ai prodotti alcolici: varie sono le birre di castagna (Petrognola in Garfagnana, Pietra in Corsica) e varie le utilizzazioni del frutto nell’industria di liquori (Castagnino, liquore alla crema di marroni di Agrimontana).

2.2. Operazioni di conservazione

Pur essendo considerato un frutto secco, non ha le caratteristiche proprie della categoria: basso contenuto in grassi, e notevole difficoltà nella conservazione. È soprattutto la conservazione che gioca un ruolo chiave nell’intera filiera castanicola: sottoporre le castagne a un efficace trattamento di conservazione, permette di mantenere turgida e sana nell'aspetto una percentuale maggiore di prodotto per lungo tempo, dilatando anche la commercializzazione in funzione dell’andamento del mercato.

Appena il frutto casca al suolo ha un’elevata attività metabolica: i carboidrati iniziano a essere consumati con produzione di CO2, calore e acqua. In più numerosi sono gli attacchi fungini cui

deve far fronte, soprattutto in caso di temperature elevate e bassa umidità relativa (Delatou e Morelet, 1979; Breisch, 1995): a T ambiente quindi la castagna è conservabile per pochi giorni, ed è necessario subito mettere a punto accorgimenti. Di seguito sono elencate e spiegate le principali operazioni messe in atto al fine di prolungare la vita media del prodotto castagna.

I GAMMA Castagne e marroni freschi

II GAMMA Marroni sciroppati, Marron Glaçes, Crema di marroni, Farina di castagne

III GAMMA Castagne, marroni e puree surgelate

IV GAMMA Castagne e marroni freschi mondati, frigo conservati

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Ricciaia

La ricciaia è il metodo di conservazione più antico e ormai caduto in disuso. Consiste nell’ammucchiare le castagne non ancora fuoriuscite dai ricci in mucchi di 0,5-1 m di altezza. I frutti vengono ricoperti con foglie, felci, terra e altro materiale vegetale, poi inumidite periodicamente. In questo modo all’interno del cumulo si crea un ambiente anaerobico, che provoca fermentazioni, abbassamento del pH e conseguente inibizione dello sviluppo di patogeni fungini.

Curatura o idroterapia

La curatura è un metodo classico, anticamente detto novena poiché la sua durata era di nove giorni, ancora ampiamente utilizzato poiché consente di conservare i frutti per alcuni mesi e favorisce alcuni processi successivi quali la canditura: il frutto subisce, infatti, delle modifiche strutturali che lo rendono più ricettivo agli sciroppi zuccherini. La curatura consiste nell’immergere le castagne in acqua a temperatura ambiente per un periodo che va dai quattro ai dieci giorni. Nelle condizioni anaerobiche che si creano, si sviluppano microrganismi in grado di effettuare una fermentazione lattica a carico degli zuccheri liberi presenti nel frutto. Questo processo elimina il substrato nutritivo alle muffe e permette di aumentare di un fattore 3 o 4 il periodo di conservabilità delle castagne (Conedera, 2005).Dopo in genere 4-5 giorni in acqua le castagne sono asciugate distendendole su pavimenti porosi e areati, sottoponendoli a continue trapalature (movimentazione della massa tramite paleggiamenti). La curatura è una tecnica antica, ma è stata recepita ufficialmente a partire dal 1929, quando le Autorità Fitosanitarie degli Stati Uniti d’America emanarono disposizioni categoriche che vietavano l’importazione negli USA di castagne con presenza di larve vive di Balaninus e Cydia spp: le castagne curate erano pulite e quindi il loro passaggio era permesso (Rocco Malanga, 1986).

Sterilizzazione o termoidroterapia

Si esegue convogliando i frutti in vasche contenenti acqua calda alla temperatura di 50 °C per 45 minuti. La temperatura scelta è quella massima che le proteine possono tollerare senza denaturarsi, mentre la durata del trattamento è scelta in base alla termoresistenza di larve e uova di insetti che si ritiene poter essere presenti nel prodotto. Dopodiché mediante nastri trasportatori le castagne vengono convogliate in vasche di raffreddamento a getto d’acqua e subiscono una cernita. Per avere maggiori garanzie di conservabilità, l’idroterapia deve essere seguita dalla curatura.

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Refrigerazione in atmosfera normale (AN)

I frutti vengono posti in celle a temperatura compresa fra 0 e +2 °C con umidità relativa del 90-95%. In questo modo, se la ventilazione dei locali di stoccaggio è adeguata, possono essere conservati 3-4 settimane. La frigoconservazione può essere abbinata ad altri metodi quali curatura e impiego di atmosfere controllate.

Refrigerazione in atmosfera controllata (AC)

Alti tassi di CO2 e bassi tenori di O2 riducono il decadimento dei frutti e inibiscono lo sviluppo

microbico. Per ogni prodotto vanno individuate le percentuali di CO2, di O2 e le temperature

ottimali. Gli studi effettuati hanno dimostrato che la conservabilità in atmosfera controllata dà i migliori risultati se i frutti sono preventivamente curati (Anelli e Mencarelli 1992) hanno ottenuto una shelf-life di 4-6 mesi adottando i seguenti parametri: T 0 °C, U.R. 95%, CO2 20% e O2 2%. In tal

modo a fine trattamento l’89% del prodotto risultava commerciabile con un calo di peso del 4%. Lasciando inalterati i parametri precedenti, ma non effettuando la curatura, a fine stoccaggio la quota commercializzabile era del 52% con un calo di peso del 7%.

Trattamenti con CO2

In alternativa alla curatura, le castagne possono essere trattate con massicce dosi di CO2 per 5

giorni a temperatura di 5 °C, seguita da semplice refrigerazione (U.R. 95%, T 0 °C) o dalla conservazione in A.C. (U.R. 95%, T 0 °C, CO2 20%, O2 2%). Utilizzando AC lo stoccaggio può

prolungarsi per 4-6 mesi. Per la conservazione di breve durata (circa un mese a 18 °C) le castagne confezionate in sacchi e disposte in pallets, vengono avvolte e sigillate in film di politene a bassa permeabilità e condizionate con dosi di CO2 pari al 45-50%, il calo di peso risulta molto contenuto. Surgelazione

Le castagne, nella maggior parte dei casi sbucciate e pelate, sono disposte in strati di circa 20 cm e surgelate rapidamente in tunnel a -35/-40 °C per circa 12 h. Dopodiché la temperatura cala a -18/-20 °C e viene mantenuta tale per tutto il periodo di conservazione. Tali temperature abbinate a un’umidità relativa dell’80-90% e a una buona ventilazione garantiscono una conservazione del prodotto per 6-12 mesi. Dopo lo scongelamento, i frutti devono essere immediatamente utilizzati.

Essiccazione

Attraverso l’essiccazione si verifica una riduzione del tenore idrico dal 50% al 10% (o anche minore, come abbiamo visto nella nostra tesi), un incremento della concentrazione dei principi attivi e degli elementi minerali e un aumento di serbevolezza e digeribilità da parte dei frutti. A questa trasformazione sono in genere destinati frutti di piccola pezzatura o gli scarti delle varietà destinate al consumo fresco. L’operazione di essiccazione avviene ancora frequentemente come

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13 un tempo e si svolge in appositi seccatoi detti canicci o metati. Si tratta di edifici a due piani, in pietra o mattoni, con tetto ricoperto da lastre di pietra, posti vicino al castagneto. I due piani sono separati da un graticcio sul quale sono disposte le castagne, questo può contenere fino a 150 quintali di castagne fresche, le quali sono distribuite a formare uno strato uniforme di circa 30-90 cm, collocato a un’altezza di due metri dal fuoco. Il combustibile è costituito da legna e pula di castagno dell’anno precedente, che arde al centro del pavimento sottostante. Il fuoco rimane acceso ininterrottamente per 20-40 giorni fino alla completa essiccazione del frutto. Durante questo periodo le castagne sono rivoltate più volte e la temperatura interna è controllata giornalmente affinché rimanga costante. Quando l’essiccazione è quasi completata, si coprono le castagne con teli e si alimenta il fuoco per ottenere l’effetto tostatura finale. Una volta terminata l’essiccatura, si procede alla pestatura o battitura, cioè alla separazione del frutto dalla buccia secca. Si può effettuare anche un vaglio, a maglie più piccole della castagna secca, in modo da eliminarne i residui. Mentre in passato l’operazione avveniva solo annualmente, oggi si può ricorrere a macchine sgusciatrici a tamburo che liberano le castagne secche sia dall’epicarpo sia dall’episperma in tempi rapidi. Anche per l’essiccazione sono disponibili forni moderni, che funzionano con resistenza elettrica o pompe erogatrici di calore, in grado di ridurre i tempi di essiccazione senza alterare la qualità del prodotto. Le castagne, così essiccate, sono sottoposte a cernita manuale, per eliminare quelle difettose o alterate, e d infine confezionate. Le castagne secche possono essere commercializzate tal quali o inviate ai molini per la molitura.

2.3. Altri prodotti

Il legno di castagno si caratterizza per l’elevato pregio tecnologico, è di facile lavorazione e si può adattare a diversi impieghi. Tra i prodotti tradizionali, a parte la paleria di varie dimensioni, si ricordano travi e travetti, materiale per l’industria del mobile e assortimenti per infissi esterni. Il legname destinato alla produzione industriale di tannino è rappresentato solitamente da materiale di scarto, come ad esempio parti di fusto cariate o con andamento particolarmente contorto. Il contenuto in tannino del legno con corteccia varia tra l’8 e il 12% del peso anidro. In passato, comunque, i prezzi pagati hanno fatto sì che vaste superfici a castagneto da frutto siano state sottoposte al taglio a tale scopo.

La produzione di carbone è attualmente in declino, anche se il prodotto è d’indubbia qualità: durante la combustione, il carbone di castagno raggiunge temperature ideali per la lavorazione del ferro, ed è per questo particolarmente apprezzato dai fabbri artigiani. Dal castagneto è possibile ottenere anche altri prodotti secondari funghi, miele e substrati. Il castagneto da frutto tradizionale, caratterizzato da alti fusti, ampi sesti d’impianto, suolo inerbito e pulito in prossimità

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14 della raccolta, risulta essere l’ambiente ideale per la produzione e la raccolta di funghi quali ovoli, porcini, galletti e colombine. Il miele di castagno è notevolmente apprezzato dal mercato e il “terriccio di castagno” ha trovato applicazione in floricoltura.

2.4. Buone pratiche nel castagneto

Nell’approfondire le tecniche agronomiche necessarie per la gestione, non bisogna eccedere le potenzialità sia del castanicoltore sia del castagneto stesso. La scelta che porto avanti è perciò quella di delineare modalità di gestione che siano alla portata di tutti. Per inciso, i disciplinari di produzione relativi ai prodotti DOP legati al mondo castanicolo spesso e volentieri fanno riferimento a modalità di produzione e pratiche agronomiche tradizionali; è così per la Farina di Neccio DOP, per il marrone del Mugello IGP, per la farina di castagne della Lunigiana DOP e così via.

Innanzitutto risulta spesso necessario intervenire sul terreno del sito d’impianto, per smussarne la pendenza. Sistemazioni quali gradoni o lunette fanno sì che la pianta riesca a esplorare un maggior volume di suolo, in più riducendo la pendenza riducono anche l’erosione, e aumentano la disponibilità idrica delle piante. Facilitano inoltre le operazioni di raccolta.

Per quanto riguarda la concimazione, il castagno non deve vegetare in terreni impoveriti. La specie è particolarmente esigente di potassio: in terreni poveri di fosforo e potassio la produzione di frutti viene compromessa sia da un punto di vista quantitativo (con il manifestarsi dell’alternanza di anni di carica ad anni di scarsa fruttificazione) sia da un punto di vista qualitativo (riduzione della pezzatura dei singoli frutti). Nella gestione dei castagneti tradizionali è buona norma effettuare tutte quelle pratiche agronomiche utili al mantenimento della fertilità del suolo e al suo incremento nei casi di carenza. Per questo motivo diviene fondamentale evitare tutte quelle pratiche che portano spesso a un impoverimento della fertilità, quali l’asporto o distruzione di humus e sostanza organica effettuate per esempio con la bruciatura delle foglie e del materiale di risulta. In passato la pratica del pascolo sotto il castagneto era assai frequente e ciò comportava, per l’apporto delle deiezioni animali, un positivo effetto sulla fertilità del suolo e un aiuto anche contro le fitopatie. Oggi difficilmente è proponibile un pascolamento nei castagneti, perciò si dovrebbe procedere all’apporto di letame con una dose consigliata di circa 300-400 q/ha ogni 2 anni. Il ricorso a concimi chimici in genere è sconsigliato e assolutamente da evitare nel caso che contengano calce. La concimazione dovrebbe avere un rapporto N-P-K (azoto-fosforo-potassio) pari a 1,2-1-1,5, ad esempio con la distribuzione annuale di 6 q/ha di solfato ammonico (titolo 20/21), 4 q/ha di perfosfato minerale (titolo 19/21) e 3 q/ha di solfato potassico (titolo

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15 50/52). Lo spargimento di letame e/o altri fertilizzanti va effettuato dopo la raccolta (Bianchi, 2009).

Per completezza, un accenno alla concimazione fogliare, pur se tale pratica risulta difficilmente attuabile nei nostri ambienti, per i motivi riportati nell’introduzione. Le concimazioni fogliari aeree sono utili per introdurre un maggior apporto di sali minerali e oligoelementi, quali zinco, manganese, rame e ferro, qualora questi elementi non siano sufficientemente presenti nel suolo (Di Matteo, 2013); in più hanno il vantaggio di permettere un più rapido assorbimento delle sostanze fornite. Tuttavia i prodotti ammessi in agricoltura biologica richiedono attente valutazioni e riservano rischi soprattutto per le piante giovani. L’effettiva convenienza e gli eventuali benefici, sono da valutare attentamente in sedi specifiche (Sabbatini Peverieri, 2014). La potatura, nel castagneto da frutto, è una pratica colturale usuale, a differenza di quanto accade negli altri popolamenti forestali. Tradizionalmente viene definita come “potatura di rimonda” poiché l’operazione consiste nella regolare e periodica asportazione dei rami secchi e di quelli non più produttivi (deperienti per vecchiaia o perché sottoposti a un eccessivo ombreggiamento). Gli effetti principali della potatura, secondo l’intensità dell’intervento sono principalmente la produzione di nuovi getti (nel caso di interventi che mirano a recuperare piante in precario stato vegetativo) e il rinvigorimento dei rami lasciati grazie alla maggiore illuminazione e alla maggiore disponibilità di rifornimento idrico e di elementi nutritivi.

All’interno di una potatura ordinaria, una potatura corretta non è mai troppo intensa: per lo più, si eliminano, con taglio di ritorno o di diradamento, rami di piccole dimensioni con l’accortezza di rispettare il collare di cicatrizzazione. In tal modo si producono ferite di diametro limitato capaci di cicatrizzare rapidamente. Tradizionalmente per la potatura si faceva ricorso ai ramponi per salire sugli alberi: oggi questa tecnica è evitata perché si provocano ferite anche piuttosto profonde, che possono costituire vie d’ingresso per il patogeno responsabile del cancro corticale. Nel caso di piante non molto alte, l’operazione può essere condotta senza grossi costi e in condizioni di accettabile sicurezza anche da operatori non specializzati. Comunemente nella realtà italiana si fa ricorso a potatori specializzati. Gli elevati costi, giustificati da attrezzature e professionalità, fanno sì che l’intervallo fra un intervento e il successivo sia dilatato: ne risultano così interventi di maggiore intensità.

Si ricorre alla potatura anche a scopi di risanamento, ringiovanimento, recupero e conversione. Nell'ambito delle numerose iniziative di rilancio della castanicoltura attualmente in atto, le conoscenze su tecniche di raccolta, trattamento e conservazione del frutto fresco assumono un'importanza di primo ordine.

Quando le castagne giungono a maturazione, il riccio tipicamente si apre in 4 valve lungo linee predisposte e libera i frutti maturi. L'apertura è favorita da un decorso metereologico umido,

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16 mentre in caso di clima secco i ricci tendono a cadere chiusi (Pratella, 1994). In passato la raccolta delle castagne veniva preceduta dalla battitura dei rami con pertiche (bacchiatura). Tale pratica, che serviva a concentrare la raccolta in pochi giorni e far cadere i ricci ancora chiusi e pronti da mettere in ricciaia, è ormai obsoleta, sia per il disuso della conservazione in ricciaia, sia per il pericolo di danni e infezioni all'albero che tale pratica portava appresso. Non solo: quando la castagna non ancora matura è forzata al di fuori del proprio involucro, non ha buone caratteristiche organolettiche e deperisce rapidamente. La tendenza moderna è quindi quella di lasciar maturare naturalmente il frutto prima di raccoglierlo. Le castagne giungono però a maturazione in modo scalare, sia all'interno dell'albero, sia tra alberi della stessa varietà sia, soprattutto, all'interno dello stesso castagneto, dove sempre sono presenti differenti varietà. Il periodo di cascola dei frutti si estende così anche su più settimane (Romano, 1989). Date queste premesse, la raccolta deve essere impostata secondo i seguenti principi generali:

- curare e pulire preventivamente il terreno all'interno del castagneto, per agevolare l’operazione; - evitare la bacchiatura degli alberi;

- procedere a una raccolta tempestiva (giornaliera se possibile) dopo la cascola; - evitare ferite ai frutti durante la raccolta;

- allontanare anche i frutti non utilizzabili (frutti immaturi, vani, bacati o di piccolo calibro), i ricci e la lettiera.

La raccolta è attualmente uno dei passaggi più costosi del ciclo produttivo: tale operazione può incidere fino al 40-60% sul prezzo di vendita del prodotto. Le tecniche di raccolta possono essere sostanzialmente suddivise in tre categorie (Monarca, 1996; Breisch, 1993):

1. Raccolta manuale diretta: effettuata direttamente a terra dall'operatore con l'ausilio di un'attrezzatura minima (rastrelli, bastoni, pinze e guanti protettivi). La produttività varia considerevolmente in funzione di vari fattori, tra cui il tipo e quindi la pezzatura delle castagne, la pulizia del terreno. La resa oraria può essere stimata in valori tra i 5 kg/h/persona in castagneti tradizionali con frutti di piccola pezzatura per salire fino ai 25 kg in impianti razionali con varietà a frutto grosso.

2. Raccolta manuale agevolata con reti: le castagne sono raccolte in reti preventivamente disposte nel castagneto. Le reti possono essere adagiate al suolo, in strisce di larghezza variabile da 4 a 8 metri e orientate lungo la linea di massima pendenza (praticato soprattutto in caso di castagneti in declivio) o piazzate a un'altezza di circa 1,2- 1,6 m e sostenute da supporti metallici e dagli alberi stessi (variante usata in terreni pianeggianti). Nel caso della posa a terra, le castagne vengono fatte rotolare lungo il pendio scuotendo le reti, mentre per le reti sospese le castagne vengono raccolte con particolari utensili a

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17 forma di mestolo. La raccolta con l’ausilio di reti è più celere, e, soprattutto nel caso delle reti rialzate da terra, si riduce consistentemente il deterioramento della qualità, evitando il contatto dei frutti con il suolo e proteggendo lo stesso frutto da escoriazioni e danni. Gli svantaggi consistono nell'investimento iniziale relativamente alto (circa 5 000-7 000 euro/ha) (Bounuos, 2002) e nella necessità, in certi casi, di procedere a una successiva dericciatura e cernita delle castagne. Esiste inoltre un rischio di manomissione dell'impianto da parte di animali selvatici.

3.

Raccolta meccanica: i prototipi finora sviluppati per la raccolta delle castagne derivano da modifiche delle macchine raccoglitrici per la frutta a guscio. Sono riconducibili a due tipologie: aspiratrici (il prodotto viene risucchiato tramite tubi aspiratori) (figura 9a) e raccattatrici (i frutti vengono raccolti da apposite spazzole) (Figura 9b). Le macchine operano in maniera vantaggiosa se le castagne sono preventivamente raggruppate in andane. Le raccoglitrici meccaniche non hanno ancora trovato largo uso: la maggior parte dei modelli esistenti sono migliorati per quanto riguarda le garanzie di integrità dei frutti raccolti (i primi prototipi causavano una notevole incidenza di rotture della torcia, contusioni o abrasioni e spaccature dell'epidermide), ma hanno ancora notevoli limiti operativi per quanto riguarda l'acclività del terreno riducendo sensibilmente le loro prestazioni con pendenze superiori al 25% (soprattutto nel caso delle macchine raccattatrici).

Capitolo a parte per le separatrici, che hanno il compito di separare le castagne dai ricci. Le separatrici meccaniche trovano impiego soprattutto nei castagneti dotati di rete di raccolta: in tal modo le castagne sono già accumulate ed è agevole il loro caricamento nella macchina (Figura 10).

b

Figura 9. a) Modello OSSIAN HT, marca Agrinova (https://www.agritechstore.it/aspiratore_trolley_ossian_ht) b) Modello CIMINA 200 S, marca FACMA (https://www.facma.it/raccoglitrici-semoventi.asp) a

a

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18 Nella maggioranza dei casi, la raccolta delle castagne avviene ancora con il sistema manuale tradizionale, sono pochi i casi in cui ci si avvale dell'ausilio delle reti, diffuse soprattutto in Francia, nei castagneti tradizionali delle zone montuose delle Cevenne e del Gard. Per i castagneti tradizionali caratterizzati da difficoltà di accesso, acclività e irregolarità del terreno, presenza di vegetazione spontanea e di pietre e cascola molto diluita nel tempo, risulta molto difficile pensare di adottare un sistema meccanico di raccolta (Romano, 1989).

In più vi è un problema di costi fissi: secondo Monarca (2002) la raccolta meccanica risulta economicamente conveniente solo a partire da una estensione minima del castagneto di 10 ha. Appezzamenti di tali dimensioni sono più unici che rari nelle zone montane. Più promettente sembra invece l'impiego delle reti, soprattutto nella variante sospesa da terra: la raccolta è rapida, le castagne subiscono meno ferite da caduta -cosa molto utile in terreni sassosi- e l'allontanamento dei residui è facilitato. Le difficoltà consistono soprattutto nella posa e nella messa in tensione delle reti, che devono essere predisposte per contenere la massa di ricci e frutti dettata dal ritmo di raccolta. Gli intervalli di raccolta non devono comunque superare i 2-3 giorni, specialmente al momento di massima cascola, in quanto l'eccessivo peso dei frutti potrebbe provocare una perdita di tensione delle reti. Da evitare anche l’eccessiva tensione delle reti, che provocherebbe una fuoriuscita per rimbalzo.

2.5. Fitopatologie

Il castagno s’inserisce all’interno della catena trofica dell’ecosistema foresta nel quale si trova. Esiste perciò naturalmente una vastissima schiera di altri organismi che si nutrono e si sviluppano

Figura 10. Separatrice modello SHP2, ditta FACMA (https://www.facma.it/ventilatori-separatori.asp)

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19 a sue spese: i fitofagi e i parassiti determinano danni alla pianta, ma non bisogna dimenticare la schiera dei microrganismi legati alle piante da rapporti simbiontici (un esempio su tutti, le micorrize). Se e solo se i sistemi naturali vengono in qualche maniera alterati si può avere il manifestarsi di danni ingenti all’albero; in caso contrario, ovvero in condizioni di equilibrio, tutto è regolato e tenuto sotto controllo dall’ecosistema stesso, che ha per scopo il suo sviluppo e il suo perpetrarsi nel tempo.

In Italia sul castagno europeo si rinvengono circa 50 specie di insetti fitofagi, ma solamente alcuni sono considerati economicamente dannosi per la coltivazione (Tabella 2).

Tabella 2. Caratteristiche morfologiche ed ecologiche dei principali parassiti delle castagne (Fonti: Bovey, 1975; Paparatti, 1999; Rigotti, 2000).

Nome

scientifico e volgare

Adulto Larva Ecologia Ciclo biologico e descrizione del

danno Pammene fasciana L. Tortrice precoce delle castagne Apertura alare: 14-15 mm

Ala anteriore: macchia biancastra mediana, all’esterno della quale tre piccole macchie nere, seguite da due bande grigio piombo brillanti comprendenti uno spazio bruno con quattro tratti neri; lungo il bordo anteriore presenza di tacche virgoliformi nere. Ala posteriore: grigio-bruna. Stadi larvali: 5 Dimensioni:10-13 mm Morfologia: biancastra o rosata, testa marrone, scudo protoracico e placca anale bruno chiaro; grandi verruche pilifere rosso scuro; pettine anale Distribuzione geografica: Europa, Asia. Piante ospiti: castagno, faggio, quercia, acero.

La larva si nutre dapprima della lamina fogliare e mediana e attacca in seguito i ricci immaturi, al momento in cui aumenta la loro spinescenza. Penetra nei frutti in formazione dalla cicatrice ilare e distrugge il loro contenuto. Una sola larva può attaccare più di un riccio e causarne la cascola precoce. Le larve lasciano ai fori di penetrazione e di uscita escrementi granulati, visibili tra le spine della cupola e rilegati da un filo sericeo. Cydia fagiglandana Z. Tortrice intermedia delle castagne Apertura alare: 13-19 mm

Ala anteriore: bruna, con striature oblique chiare a spina di pesce. Maschio: nella regione anale, presenza di due macchie biancastre formanti un disegno ad U.

Ala posteriore: bruna (più scura di quella anteriore).

Stadi larvali: ?

Dimensioni larva

matura: 14-17 mm Morfologia: rossastra, testa marrone, placca pronotale e scudo sopranale giallo-rossastri; verruche pilifere rossastre. Distribuzione geografica: Europa, Iran. Piante ospiti: faggio, quercia, castagno, nocciolo

Le uova sono deposte sui ricci. Le larve penetrano in seguito sul frutto scavando gallerie nutrizionali. A maturazione, le larve fuoriescono dal frutto per andare a ripararsi nel suolo o sotto le placche esterne della corteccia dell’albero. DI solito

al momento dello

sfarfallamento il frutto si trova ancora sull’albero: in altri casi i frutti si trovano già a terra. Nome

scientifico e volgare

Adulto Larva Ecologia Ciclo biologico e descrizione del

danno Cydia splendana Hb. Tortrice tardiva delle castagne o Apertura alare: 13-18 mm

Ala anteriore: grigio cenere o grigio bruna; l’angolo posteriore

Stadi larvali: 5

Dimensioni: 13-15 mm Morfologia: bianca, testa bruna, scudo protoracico e placca Distribuzione geografica: Europa, Asia. Piante ospiti: castagno, quercia,

Le uova vengono deposte generalmente sulla pagina superiore o inferiore delle foglie, più raramente alla base dei ricci. Le larve penetrano alla

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20 Nelle figura 11 e 12 sono illustrate le principali specie dannose: le cidie del castagno (Cydia

fagiglandana, C. splendana e Pammene fasciana) – lepidotteri appartenenti alla famiglia dei

tortricidi – e i balanini del castagno (Curculio elephas e C. propinquus) – coleotteri appartenenti alla famiglia dei curculionidi (Sabbatini Peverieri, 2014).

carpocapsa presenta una macchia gialla con bordo nero, nella quale sono evidenti quattro piccoli tratti neri. Ad ali chiuse le due bordature nere

confluiscono per

formare una macchia romboidale.

anale giallastri

(assenza di verruche e pettine anale)

faggio, noce. base dei ricci e raggiungono i frutti attraverso gallerie periferiche a partire dall’ilo. Penetrano in seguito nei frutti ad avanzato stadio di maturazione, dove scavano gallerie nutrendosi del

contenuto amilaceo e

riempiendole di escrementi granulati. Inizialmente il danno è

limitato alla regione dell’ilo, in seguito si estende e la

castagna si presenta depressa alla base. A maturazione la larva scava un foro d’uscita di circa. 1,5 mm di diametro per poi andare a ripararsi nel suolo o sotto le placche esterne della corteccia dell’albero.

Curculio elephas

Gyll. Balanino

Lunghezza: 6-10 mm Forma: ovale, colore grigio fulvo, zampe e antenne bruno-rossicce, elitre striate; femori rigonfi e con un dente; rostro sottile, lungo quanto il corpo della femmina, circa la metà nel maschio Stadi larvali: 4 Dimensioni: 12-15 mm Morfologia: apoda, tozza, incurvata, biancastra, testa bruna. Distribuzione geografica: Europa meridionale, Africa del Nord Piante ospiti: castagno, quercia

La femmina utilizza il lungo rostro per perforare l’involucro spinoso e il tegumento del frutto, deponendovi un uovo all’interno. Le larve scavano gallerie nel frutto e le riempiono man mano di escrementi estremamente fini.

La castagna rimane

apparentemente sana fino al momento della fuoriuscita della larva attraverso un caratteristico foro di 4-5 mm di diametro. Le larve mature svernano in seguito a una profondità variabile da 10 a 70 cm nel terreno.

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21 Figura 11. Esemplari adulti dei principali parassiti delle castagne:

A - Pammene fasciana L. (tortrice precoce delle castagne); B - Cydia fagiglandana Z. (tortrice intermedia delle castagne); C - Cydia splendana Hb. (carpocapsa o tortrice tardiva delle castagne); D - Curculio elephas Gyll. (balanino o punteruolo, esemplare femmina).

(Foto: Agroscope RAC Changins, D. Quattrocchi)

Figura 12. Larve di balanino e di carpocapsa. Le larve di balanino si riconoscono per la loro tendenza a prendere una posizione ricurva, per l’aspetto tozzo e per la mancanza di pseudopodi. La larva produce inoltre escrementi molto fini (A). La larva di carpocapsa è molto più slanciata ed è munita dei tipici pseudopodi. Inoltre gli escrementi rilasciati nelle gallerie hanno una struttura più granulosa (B). (Foto: Agroscope RAC Changins, D. Quattrocchi)

Nei boschi di castagno, normalmente, non sono effettuate pratiche di lotta ai fitofagi: non vi è margine economico, non vi è certezza di efficacia e spesso l’intervento risulta difficoltoso per le condizioni stesse del castagneto (alberi di notevoli dimensioni, terreno in pendenza etc.). In più il buon mercato della castagna è da attribuire anche a una sua “naturalità”, che trattando con prodotti chimici di sintesi si andrebbe a intaccare.

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22 Ci sono prima di tutto pratiche agronomiche che, se adottate costantemente negli anni, possono aiutare a contenere i danni dai principali fitofagi. I lepidotteri tortricidi e il coleottero curculionide hanno in comune una spiccata preferenza per il castagno, l’univoltismo, e le larve che si sviluppano endofiticamente nel frutto. Già il liberare il campo dalle castagne cadute infestate, la cosiddetta “raccolta a pulire”, e bruciarle, apporta notevoli benefici riducendo negli anni la popolazione dei fitofagi. In più si parla di posizionare reti sul terreno al fine di evitare l’impupamento al suolo dei vari fitofagi (soprattutto balanino e carpocapsa), ma l’intervento risulta impegnativo e la convenienza è tutta da dimostrare.

Anche lo stoccaggio delle castagne appena raccolte in “ricciaie” con fondi di cemento o in pietra, serve a ripulire le castagne e a impedire l’interramento delle larve al suolo.

La possibilità di utilizzare sistemi di monitoraggio delle popolazioni mediante l’impiego di trappole a feromoni, per valutare la densità di popolazione in base al numero delle catture, non trova sempre un riscontro adeguato. Allo stesso modo, l’efficacia della tecnica delle catture massali con trappole innescate con feromoni sessuali, non è sufficientemente supportata da adeguate prove scientifiche; a questo riguardo si mette in evidenza che sono catturati solamente i maschi, trattandosi in questo caso di un feromone sessuale emesso dalle femmine. La possibilità di immigrazione di femmine fecondate dall’esterno, può vanificare gli sforzi compiuti e far registrare comunque elevati danni.

Cinipide del castagno

Dryocosmus kuriphilus è un insetto fitofago del castagno e appartenente all’ordine degli

imenotteri, famiglia Cynipidae. In questa famiglia sono comprese specie a comportamento galligeno, cioè specie che causano, in una precisa fase del proprio ciclo di vita, la formazione di galle sulle piante ospiti, ovvero strutture ipertrofiche di origine vegetale indotte dall’insetto stesso. All’interno delle galle si sviluppano le forme giovanili dell’insetto, che emerge una volta adulto attraverso un foro praticato nei tessuti della galla con l’apparato masticatore.

D. kuriphilus è un insetto legato alle diverse specie del genere Castanea, è infatti originaria della

Cina ed è stata accidentalmente introdotta tra gli anni ’40 e ’70, prima in Giappone, poi in Corea e negli USA e, dai primi anni 2000, anche in Europa. Dalla prima segnalazione, avvenuta in Piemonte nel 2002, il cinipide si è diffuso in Italia e in Europa con grande rapidità. La diffusione dell’insetto nell’ambiente può avvenire tramite le femmine adulte che si spostano in volo, ma soprattutto avviene nello stadio giovanile (uovo, larva o pupa) all’interno di gemme o galle, tramite il trasporto di materiale di propagazione (giovani piantine, talee o marze per innesti).

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23 La femmina del cinipide depone le proprie uova nel periodo estivo (prevalentemente tra giugno e luglio), infilando il suo lungo ovopositore nelle gemme del castagno. Una femmina può deporre circa 150 uova, singolarmente o a gruppi e più femmine possono deporre nella stessa gemma. Nei castagneti in cui i livelli di infestazione sono elevati, si possono contare comunemente una media di 15-30 uova per gemma e in alcune gemme anche più di 60. Le uova schiudono alcune settimane dopo la deposizione e le larve passano l’inverno nello stadio di prima età senza dare nessun segno apparente della loro presenza nelle gemme (da qui l’enorme difficoltà di individuare precocemente le piante infestate dal cinipide); le due età larvali successive si svolgono nella primavera dell’anno seguente. Alla ripresa vegetativa del castagno, la larva del cinipide riprende la sua attività di alimentazione in perfetta sincronia con la pianta e la presenza dell’insetto induce la formazione delle tipiche galle che possono interessare gemme, foglie e infiorescenze (Figura 13). Le galle, di forma più o meno globulosa, in un primo momento hanno una colorazione verde, poi tendono ad arrossarsi e infine, una volta che il ciclo vitale del cinipide si è compiuto, si seccano e rimangono attaccate alla pianta anche durante l’inverno, con l’albero spoglio.

Figura 13. Galle di cinipide (https://agronotizie.imagelinenetwork.com)

Le larve si trovano racchiuse in appositi spazi simili a cellette nella parte interna della galla e qui portano a termine il proprio ciclo di sviluppo. Le larve mature sono di dimensioni comunque molto piccole, circa 2,5 mm di lunghezza, e passano allo stadio pupale verso la fine della primavera e l’inizio dell’estate; gli adulti poi escono dalle galle forandole con l’apparato boccale. A oggi si riconoscono solo esemplari femminili adulti, che, durante la loro breve vita, non si nutrono e si dedicano esclusivamente alla deposizione delle uova. La riproduzione è per partenogenesi telitoca, senza cioè fecondazione da parte del maschio: i maschi adulti sembrano assenti.

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24 I danni principali causati dalla presenza del cinipide alle piante sono rappresentati dall’alterazione dell’accrescimento dei germogli, la riduzione degli accrescimenti fogliari, delle infiorescenze e dei rami dell’anno. Tali eventi comportano:

– riduzione della superficie fotosintetizzante, con successivo stress fisiologico; – indebolimento della pianta, rendendola più suscettibile ad altre avversità; – riduzione degli accrescimenti in termini di massa legnosa;

– riduzione della produzione di frutti, impedendo o riducendo la formazione delle infiorescenze e riducendo l’apporto nutritivo per la maturazione delle castagne.

Nella letteratura scientifica è riportata anche la possibilità che la pianta pesantemente colpita vada incontro a morte, cosa che per l’Italia ancora non è stata documentata; questo effetto tuttavia non può essere escluso soprattutto per le piante giovani in vivaio (Peveteri, 2012).

La lotta biologica al cinipide del castagno si articola tutta intorno all’uso dell’imenottero parassitoide Torymus sinensis. Questo insetto, come anche il cinipide del castagno, appartiene all’ordine degli imenotteri, ma è incluso nella superfamiglia Chalcidoideae, famiglia Torymidae. T.

sinensis è un parassitoide specifico degli stadi larvali del cinipide del castagno.

Il ciclo biologico di T. sinensis si compie nell’arco di un anno, ma esistono sostanziali differenze nelle fasi fenologiche dei due insetti in esame, aspetti che devono essere presi in considerazione nelle pratiche gestionali del castagneto. Gli adulti di T. sinensis hanno una vita media piuttosto lunga (circa 30 giorni in condizioni di laboratorio) nutrendosi di sostanze zuccherine che trovano nell’ambiente. In primavera, la femmina di T. sinensis, dopo l’accoppiamento, depone le proprie uova all’interno delle galle del cinipide: le uova, in media 70 per femmina, vengono deposte mediante l’ovopositore in prossimità delle larve del cinipide all’interno delle loro stesse cellette. La larva di T. sinensis ha un comportamento ectoparassita, ovvero si nutre della larva del proprio ospite cibandosene dall’esterno. Durante l’inverno il parassitoide raggiunge lo stadio di pupa, mentre l’adulto sfarfalla infine durante la primavera dell’anno successivo dalle galle del cinipide ormai secche e vecchie di un anno. Quindi, a differenza del cinipide che sverna in una gemma vitale di castagno allo stadio di larva di prima età, T. sinensis sverna allo stadio di pupa nelle galle secche del cinipide. L’intero ciclo di sviluppo dell’antagonista naturale si compie all’interno delle galle del cinipide.

In Italia, T. sinensis è stato introdotto con lo scopo di avviare un programma di lotta biologica propagativa classica contro D. kuriphilus. I primi rilasci del parassitoide sono avvenuti nel 2005 in alcuni castagneti del Piemonte, dove poi per alcuni anni è stata intrapresa un’intensa attività di

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25 allevamento del parassitoide stesso. Parallelamente alla diffusione del cinipide nel resto dell’Italia, il rilascio dell’antagonista naturale ha interessato progressivamente altre regioni castanicole. Nel corso dei programmi finanziati dal MiPAAF (il progetto Lobiocin e, in particolare, il progetto Bioinfocast) svoltisi tra il 2012 e il 2014, sono stati rilasciati quasi 300.000 esemplari di T. sinensis in 1.669 siti selezionati dai Servizi Fitosanitari, collocati su scala nazionale e individuati secondo parametri prestabiliti in accordo con il MiPAAF. Le Regioni maggiormente interessate sono state Campania, Toscana, Calabria, Lazio e a seguire Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e infine le altre Regioni (Figura 14). A questi rilasci si devono poi aggiungere i lanci effettuati da soggetti privati. In Piemonte i risultati raggiunti in questi 7-8 anni sembrano incoraggianti e sembrano confermare le varie esperienze osservate in Giappone, dove la lotta biologica con T.

sinensis è stata intrapresa con successo già negli anni ’80 del secolo scorso.

Figura 14.Lanci di Torymus sinensis effettuati in Italia con i programmi MiPAAF (dal 2012 al 2014 e ripartiti per Regione) (da Sabbatini Peverieri, 2014)

Per quanto riguarda la Toscana, la prima segnalazione ufficiale di D. kuriphilus risale al giugno 2008 in castagneti della provincia di Massa Carrara. Nello stesso anno il monitoraggio capillare del territorio portò all’individuazione di altre piccole aree infestate nei comuni di Montemurlo, Prato, Vaiano e Cantagallo (provincia di Prato) e nei comuni di Larciano e Marliana (Pistoia). Già con il decreto n.320 del 7 luglio 2006, che prende il nome di “Lotta obbligatoria contro il cinipide del castagno Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu”, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale

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26 della Toscana (Arpat) fissò le norme applicative del Decreto Ministeriale del 23 febbraio 2006, con il quale il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali emanò le misure di lotta obbligatoria contro Dryocosmus kuriphilus(Bianchi, 2009). I primi rilasci del parassitoide mediante il metodo propagativo risalgono al 2010. Negli anni successivi vi è stata una intensa attività di lanci controllati, si veda Figura 15.

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27 Sul sito della regione Toscana si legge così: Complice anche l’andamento climatico particolarmente favorevole di questi ultimi due anni (2014-2015) sembra quindi che l’emergenza cinipide con i suoi danni alla vegetazione si stia avviando alla conclusione e la cosa è percepita con un cauto ottimismo anche dai castanicoltori delle aree dove questo nuovo equilibrio si sta manifestando in modo piuttosto evidente (Garfagnana).

Anche negli anni successivi vi sono state buone risposte, complice ancora una volta il decorso climatico. Non si può, non per ora, affermare con certezza la validità e la riuscita del contenimento del cinipide tramite i lanci di Torymus, perché intervengono anche altri fattori che possono in qualche modo influenzare i risultati. In ogni caso, ad ora, la produzione castanicola toscana si può dire che risente abbastanza limitatamente dell’influenza del cinipide, soprattutto nelle zone dove più numerosi sono stati i lanci dell’antagonista, ad esempio in Garfagnana.

Cancro corticale e mal dell’inchiostro

Tra le malattie fungine il mal dell’inchiostro e il cancro corticale sono le più temute, quelle che in passato hanno più condizionato la produzione castanicola e che tuttora rappresentano una forte minaccia.

Il cancro corticale è provocato dal fungo ascomicete Cryphonectria parasitica (Murr.) Barr., patogeno di origine asiatica, giunto in Europa negli anni trenta. Si tratta di un patogeno da ferita, che penetra in corrispondenza di fessure anche di piccole dimensioni, soprattutto su tronco e rami. Sono immuni all’azione del patogeno i germogli non lignificati, le strutture riproduttive, le foglie, l’apparato radicale e la zona del colletto; su ricci e castagne il fungo può presentarsi solo eccezionalmente. Il fungo, una volta penetrato, si sviluppa e si espande tra legno e corteccia nella zona del cambio. L’azione del fungo sulla corteccia di giovani fusti e rami provoca necrosi (i cosiddetti cancri) che possono estendersi fino a circondare i rami. La corteccia degli organi colpiti assume una colorazione scura e si fessura fino a mettere a nudo il legno: ne consegue la morte degli organi in questione. Quando il cambio viene danneggiato irreparabilmente (Figura 16) si assiste alla morte dei rami al di sopra del punto di infezione e, sotto a questo, alla emissione di numerosi ricacci detti rami epicormici. Nel caso di estese ferite sul tronco, si ha il disseccamento di tutta la chioma, seguito dall’emissione di numerosi polloni, come avviene normalmente dopo una ceduazione; l’apparato radicale infatti non è colpito.

Da oltre mezzo secolo si è registrato un lento regresso della malattia, praticamente su tutti i castagneti della penisola; infatti alcuni ceppi del fungo patogeno sono stati a loro volta infettati da micovirus che ne hanno attenuato la virulenza. Le piante colpite dai ceppi “ipovirulenti” subiscono danni di minore intensità in quanto reagiscono all’infezione producendo calli e barriere, cosa non possibile in caso di presenza del ceppo virulento. Per questo motivo è estremamente importante

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28 saper riconoscere i due tipi di fungo, in modo da velocizzare questo processo naturale, favorendo la diffusione dei ceppi ipovirulenti.

Le infezioni virulente, o normali, hanno i seguenti caratteri distintivi:

— la corteccia infettata si presenta dapprima arrossata, con imbrunimenti, dando luogo a un’area depressa, come se mancasse del materiale sotto la corteccia; in seguito compaiono fessurazioni e abbondanti pustole rosso-arancioni (fruttificazioni del fungo);

— il fungo, al di sotto della corteccia, forma un micelio feltroso, di colore bianco crema, a forma di ventaglio, che emana un buon profumo di funghi;

— morte della parte di pianta posta sopra l’infezione ed emissione di numerosi rami epicormici. Le infezioni ipovirulente, o anormali, si differenziano da quelle virulente per i seguenti caratteri: — l’area colpita si manifesta all’inizio arrossata e fessurata; successivamente la corteccia mostra un rigonfiamento, dovuto alla reazione dei tessuti sottostanti, di colore nerastro, solcato da numerose fessurazioni. Mancano, o sono molto scarse, le fruttificazioni rosso-arancioni;

— il micelio del fungo è localizzato molto superficialmente e mostra uno sviluppo limitato;

— non si manifestano disseccamenti al di sopra della zona di infezione e non si ha ricaccio di rametti.

Figura 16. Cryphonectria parasitica: a) cancro mortale; b) cancro cicatrizzante; c) cancro cicatrizzato; d) cancro intermedio (Sabbatini, 2012)

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29 La lotta a questo patogeno è soprattutto di tipo preventivo. Buone pratiche da adottare sono: – eliminare tempestivamente branche e rami secchi dovuti ad attacchi recenti (riconoscibili per le foglie ingiallite o morte ancora attaccate sui rami), tagliando almeno 10-15 cm più in basso rispetto all’area infetta, così da evitare infezioni dell’attrezzo in uso.

– proteggere le superfici di taglio con mastici biologici e/o anticrittogamici pennellabili; – negli innesti il cancro della corteccia può ancora essere un problema significativo,

a causa della suscettibilità dei tessuti e del materiale vegetale in uso. In questo caso occorre proteggere adeguatamente il punto di innesto con biomastici e adottare tecniche che producano piccole ferite, facilmente cicatrizzabili. Le marze non attecchite devono essere prontamente rimosse e le ferite ricoperte con il mastice per accelerarne la cicatrizzazione. Il punto d’innesto rimane vulnerabile anche negli anni successivi all’innesto e pertanto si dovrà provvedere periodicamente a trattamenti con biomastici.

Vanno limitate le ferite, in particolar modo sul legno giovane, o comunque coperte con appositi mastici o con terriccio di bosco. Le branche colpite da infezioni virulente vanno asportate e il materiale di risulta va allontanato o eliminato in quanto, anche a terra, continua a rappresentare una fonte di inoculo (le cataste sono potenziali focolai di infezione).

La lotta contro il cancro del castagno può inoltre essere effettuata con una certa efficacia assecondando il processo naturale della diffusione dei ceppi ipovirulenti a scapito di quelli aggressivi.

Si tratta di un meccanismo di lotta biologica “spontanea” che è quanto mai opportuno incoraggiare (dalla diffusione artificiale degli isolati ipovirulenti si va alla semplice eliminazione dei cancri normali, accompagnata al rilascio di polloni e fusti colonizzati da ceppi ipovirulenti con cancri anormali).

Due recenti studi condotti nei castagneti toscani affermano che la situazione fitopalogica, per quanto riguarda il cancro corticale, è in miglioramento (Feducci, 2008; Turchetti, 2008).

Gli agenti del mal dell’inchiostro sono funghi del genere Phytophthora spp. (Phytophthora

cambivora Petri e dagli anni novanta P. cinnamomi Rand). Si tratta di una patologia presente in

Europa sin dalla fine XIX secolo, che prima della comparsa e diffusione del cancro corticale veniva considerata come la principale avversità nei castagneti.

I patogeni colonizzano le piante partendo dall’apparato radicale e risalendo il colletto e fusto fino a circa 1 metro di altezza da terra.

L’esito della malattia dipende dalle condizioni vegetative oltre che dalla quantità di inoculo presente nel suolo, ma in genere comporta innanzitutto un indebolimento rapido della pianta, con ingiallimento delle foglie e diminuzione della fioritura. Non rari i casi in cui risulta letale per

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30 l’albero. Nei primi stadi dell’infezione il soggetto malato mostra i tipici segni provocati dalla mancanza di acqua; questi sintomi inizialmente possono interessare solo un settore del fogliame, poi in genere si estendono all’intera chioma. Durante il periodo autunnale e invernale si notano i ricci, portati solo sulla parte più alta dei rami, che spesso rimangono piccoli e immaturi. Nella fase avanzata della malattia le piante, se scortecciate al colletto, presentano un caratteristico imbrunimento sotto la corteccia a forma di fiamma che risale la base del fusto (Figura 17).

Su piante ancora vive ma infette è possibile osservare la fuoriuscita di un liquido nerastro dal colletto, caratteristica che ha attribuito il nome alla malattia. Il decorso del mal dell’inchiostro può essere rapido, portando velocemente a morte la pianta colpita oppure può prolungarsi per anni; a volte possono verificarsi possibili recuperi delle piante colpite. Le segnalazioni di patologie da mal dell’inchiostro sono attualmente in aumento. La frequenza della malattia “classica” risulta maggiore in situazioni di ristagno idrico (Cristinzio, 2009), tuttavia ad oggi vi sono casi in cui la malattia si manifesta in situazioni completamente diverse: la si trova anche su culmini di dossi, scarpate, e in generale zone non prone al ristagno idrico. La spiegazione di queste nuove manifestazioni potrebbe essere legata allo stato di stress che, a causa del mutato andamento climatico degli ultimi anni (inverni più caldi e minori precipitazioni, soprattutto nevose), può colpire il castagno. I funghi responsabili sono particolarmente sensibili alle basse temperature.

I metodi di lotta si basano per lo più su interventi colturali di tipo fisico che possono prevedere, oltre alla rimozione delle cause responsabili del ristagno di umidità, l’esposizione delle ceppaie al freddo invernale (i fusti vengono scalzati alla base). La lotta su basi colturali e biologiche prende spunto da efficaci tradizioni del passato: in particolare si è notato che, dove i castagneti venivano Figura 17. Piante colpite dal mal dell’inchiostro (http://forestale.agraria.org/ ehttp://clubagricoltori.altervista.org/)

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