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4. The Rebellion of the Dead

4.2 La rivolta dei morti Part II 1 Nalini Malani al Castello di Rivol

4.3.1 Intervista a Nalini Malan

Quale ruolo dovrebbe giocare l’arte contemporanea nella società indiana, a tuo parere?

Penso l’arte debba aprire l’immaginazione. Se l’arte contemporanea e la cultura museale fossero più prolifiche in India, si creerebbe uno spazio di riflessione più ampio che potrebbe nutrire la mente del popolo indiano. La mente tende a diventare violenta in un territorio dominato dalla noia.

Cosa pensi stia trascurando il mondo dell’arte in questo momento?

Penso si stia volutamente allontanando da un approccio umanistico senza commercio, senza lucro. Questo mi spaventa. È quello di cui voglio parlare

con la mia mostra a Rivoli, di una rivoluzione radicale che serve al mondo se vogliamo sopravvivere e di un nuovo umanesimo in senso ecologico.

Qual è il tuo rapporto con le generazioni artistiche indiane del passato e con la giovane scena emergente?

Vorrei che si creasse un terreno di connessione storica. A causa della voragine lasciata dalla dominazione coloniale, si è creato un vero e proprio scisma tra l’arte indigena di trecento anni fa e la scena attuale. Vorrei poter trasmettere la consapevolezza della tradizione.

Cosa pensi debbano fare il governo e le istituzioni indiane per aiutare la crescita e lo sviluppo dell’arte e degli artisti?

La censura è il dramma. Il governo dovrebbe farsi da parte e le istituzioni dovrebbe attivare un vero e proprio sistema di supporto anche finanziario.

È significativo parlare di differenti approcci curatoriali in Oriente e in Occidente verso la tua produzione artistica oggi? Si è arrivati alla fine a considerare l’arte come transnazionale o i regionalismi sono ancora forti?

Riguardo al contesto espositivo occidentale, serve ancora molta ricerca da parte dei curatori. La tendenza è quella ancora di associare l’arte a delle zone del mondo. Questo non è accaduto a Rivoli, dove posso contare su una profonda intesa con Carolyn Christov-Bakargiev nata nel 2005, e con Marcella Beccaria.

Come si è rivelata questa forte connessione nel corso dell’organizzazione della mostra?

Carolyn conosceva già perfettamente il mio lavoro avendolo già esposto più volte nella sua carriera. Conosceva i diversi contesti espositivi, le potenzialità dei vari display e soprattutto le mie riflessioni e ciò che mi sta a cuore. Dal dialogo con lei e Marcella è nata la mostra. Anche a Parigi, Sophie Duplaix era già entrata in contatto con alcune delle mie opere, ma volendo seguire un percorso più storico ha dovuto studiare i miei archivi per la propria parte di retrospettiva.

I tuoi disegni a muro/performance di cancellazione sono uno dei tratti della tua produzione che più ti avvicina al tuo pubblico. Come adatti di volta in volta i tuoi progetti agli spazi che hai a disposizione? Come è andata a Parigi e a Rivoli?

L’architettura di ciascuno spazio dà l’idea di come apparirà il disegno. È lo spazio a dettare le regole. Le tematiche ricorrono, come ricorrono i protagonisti, sempre derelitti ed emarginati. Per quanto concerne le performance di cancellazione al Centre Pompidou, è stato lo staff che ha costruito la mostra a doverlo cancellare, con delle rose rosse. Chi ha progettato la mostra ha avuto la possibilità di trascrivere nella propria memoria il disegno fino al momento in cui è stato eliminato per sempre. È stata una metafora della decostruzione stessa di una retrospettiva: un percorso a ritroso sulle tracce della memoria, con solo il ricordo a guidarci. Per quanto riguarda il Castello di Rivoli, il mio vuole essere un messaggio di speranza: i bambini, come la mia Skipping Girl, sono la speranza, quella a cui io affido la mia opera, sono loro a doversi prendere in carico il mondo malato che stiamo lasciando loro.

Le tue opere non effimere come hanno reagito invece con le sale del Castello?

È sempre stato distintivo della mia pratica voler adattare il mio lavoro allo spazio. Per esempio, Mother India: Transactions in the Construction of Pain è sempre stato esposto in una struttura semicircolare fatta da cinque schermi oppure in un semicerchio di tre schermi con due proiezioni su due letti di sale al pavimento. A Rivoli per la prima volta nella sua storia Mother India è stata esposta tramite la proiezione su un unico muro continuo, in questo caso lungo ben venticinque metri.

Nei tuoi progetti artistici cosa detta la scelta del medium? Qual è il medium che soddisfa al meglio la tua urgenza di esprimerti al momento?

Come sempre è il soggetto che influenza la scelta del medium. Anzi che la prescrive. All’inizio parto sempre da un disegno che a seconda dei casi si trasforma in un video, o nel formato di un’installazione a gioco di ombre o di un dipinto a molteplici pannelli.

La tipologia su cui mi sto concentrando maggiormente adesso sono le animazioni stop-motion che realizzo con l’iPad. Sono a mio parere come dei dipinti in movimento che io dissemino su Instagram e Facebook. Sto sperimentando la comunicazione via social network e le possibilità di arrivare davvero a un pubblico vastissimo.

Il ruolo dello spettatore è sempre centrale nelle tue mostre, come riesci a creare un dialogo così potente e pieno di significato?

Penso fermamente che la creazione artistica sia possibile solo in un rapporto in cui interagiscono tre entità: l’artista, l’opera e l’osservatore. Io creo ma senza nessuno che accolga ciò che ho creato la mia creazione non esiste.

Sempre parlando di sguardo e di spettatore, in un mondo che è dominato dallo sguardo maschile, quale deve essere l’obiettivo primario di un’arte che aspira a definirsi femminista?

L’arte non può fare altro che proteggersi da questo sguardo con uno specchio che rifletta questa visione. Dobbiamo dare voce a quell’aspetto femminile del nostro carattere che è presente in ognuno di noi, uomini compresi. Dobbiamo combattere il fatto che le donne rappresentano la più grande minoranza politica della storia. I numeri sono dalla nostra parte ma il patriarcato ha dominato per troppi secoli e di certo non vuole cedere il suo potere. Almeno fin quando non ci sarà una rivoluzione femminista. Troppo è accaduto a causa dell’impostazione patriarcale della nostra società, e il capitalismo estremo sta distruggendo la nostra società dall’interno.

È risaputo che il tuo rapporto con la letteratura è vitale per il tuo lavoro. Lo è anche nel tuo tessere un legame tra presente e passato. Come scegli i testi che citi, perché hai scelto Le città invisibili di Italo Calvino per il disegno a muro di Rivoli? Quanto è importante la città all’interno della tua narrazione?

Invidio gli scrittori. Producono con una tale povertà di mezzi e possono farlo ovunque. Tutto ciò che serve è un computer, o ancora meno, una penna e un pezzo di carta. Poi pensa alla diversità dei testi che possono scrivere…romanzi, novelle, lettere d’amore, biografie, autobiografie…è impressionante. Alcuni libri hanno il potere di rendere visibile l’invisibile,

proprio come l’arte. Sono molto attratta dalla letteratura che racconta e che usa le varie sfumature della parola. Le città invisibili è un testo molto conosciuto in India, proprio come lo è in Italia, e per me creava come una sorta di ponte.

La Città che narro io è il calderone che comprende tutte le città in costante mutamento, mete di centinaia di migliaia di migranti in fuga. La città è anche quel microcosmo simbolo di ciò che il mondo potrebbe diventare: un luogo della modernità che finalmente si fonda su un terreno egualitario.

Quale opera d’arte sogni di poter realizzare adesso?

Sogno di creare una grande produzione teatrale che si possa servire di ogni medium che ho usato in passato. Quest’opera sarà dedicata a Cassandra, la cui figura continua a ossessionarmi.