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2. Arte indiana: storia di un dialogo

2.5 La narrazione come tessuto connettivo dell’India di ogg

La narrazione è il vero legame che unisce l’arte contemporanea alla ricca tradizione orale indiana.

Associare immagini a queste narrazioni aiuta gli artisti a rendere visibile al loro pubblico il proprio modo di vedere e quindi crea la possibilità di giungere a un punto di incontro tra artista e spettatore per analizzare insieme la società contemporanea. Così facendo gli artisti, narratori a loro volta,

102 Bindi in sanscrito significa “punto”, “goccia” ed è un marchio colorato applicato al centro della fronte accanto alle sopracciglia. Usato in tutto il subcontinente indiano e per indù e buddisti rappresenta il “terzo occhio”.

103 Il tilaka è un segno applicato sulla fronte o su altre parti del corpo dei fedeli. Può essere portato quotidianamente, per riti di passaggio o in cerimonie particolari a seconda dell’uso regionale.

possono scegliere che cosa raccontare: sebbene ogni narrazione sia profondamente personale, alcune trattano eventi legati intimamente al loro autore, altre invece descrivono attraverso immagini storie comuni, situazioni condivise. La letteratura offre gli artisti una fonte inesauribile di immagini, li spinge a fare propria una storia, ricollocandola nel tempo, aggiungendo a essa un successivo livello di senso per poi servirsene per comprendere la realtà in cui vivono.

Il termine “narrazione” non deve confondere nel suo significato aristotelico di racconto con inizio, svolgimento ed epilogo, né far pensare che ciò che è narrato sia necessariamente specchio di una realtà accaduta, che debba essere realistica o anche solo verosimile: fatto o finzione che sia, ciò che importa è che siano storie. Gli artisti indiani di oggi sono ritornati alla pratica del racconto da cui erano fuggiti i pittori modernisti, riconoscono che ci sono tante storie da raccontare e innumerevoli modi per farlo.

I motivi per cui un artista decida di narrare la storia che ha scelto sono molteplici, primo fra tutti quello di intrattenere. Questo intrattenimento può anche non essere fine a se stesso, ma può diventare un modo per educare il pubblico attraverso l’insegnamento che alcuni miti e racconti popolari portano con sé. L’atto del raccontare, imprime ordine al caos della vita, e il narratore dà forma al magma che compone l’esistente: spesso solo raccontando, ci è possibile ritrovare la logica di quanto è successo. La narrazione prevede due attori, chi narra e chi ascolta. Entrambi sono ruoli attivi, l’azione dell’ascolto attento richiede presenza e responsabilità, tanta quanta ne è richiesta a colui che tesse le fila del racconto. Senza chi ascolta, chi parla è muto. Allo spettatore inoltre è richiesto di conoscere e interpretare i segni che il narratore gli trasmette, ci deve essere un piano di conoscenze condiviso, un terreno di comune scambio.

In passato era il committente a determinare il significato della storia e l’unico che poteva goderne; ora, anche se le regole sono dettate dal mercato, il campo di indagine dell’artista si è talmente aperto alle infinite possibilità creative che non c’è condizionamento di sorta per colui o colei che senta l’urgenza di parlare e grazie all’ampio raggio dei mezzi di comunicazione di massa che il

nuovo millennio ha portato con sé, il messaggio può potenzialmente raggiungere chiunque 105.

Le storie narrate dall’arte indiana hanno sempre corso il rischio di essere male interpretate dalla teoria Orientalista. L’Occidente pretendeva che l’arte indiana, rispecchiasse ciò che era indiano secondo la sua visione dell’Oriente. Ora gli artisti si sono finalmente liberati dal desiderio di compiacere aspettative insensate, si presentano agli occhi del pubblico con il proprio bagaglio di storie personali o nazionali, sono loro a determinare le condizioni di questa condivisione; reagiscono alla situazione politica che vivono e operano affinché il loro lavoro abbia un impatto.

Il racconto è un elemento fondamentale della tradizione indiana e il bisogno di raccontare resta un’inarrestabile spinta a creare. Ciò che evolve nel rapporto fra arte indiana e narrazione è legata alla possibilità che queste storie oggi hanno di essere udite ovunque; le tecniche attraverso cui i racconti prendono vita sono molteplici e soprattutto ci sono sempre più voci femminili nel panorama indiano che fanno sentire la propria voce.

Gli artisti sono inoltre i primi a reagire nei momenti di crisi, traducendo in un linguaggio personale le angoscianti esperienze proprie o altrui di violenza o ingiustizia sociale. In particolare gli artisti indiani si trovano direttamente a dove affrontare problemi un tempo locali e ora sempre più globali, nutrendo con la loro pratica artistica il loro impegno sociale.

L’agenda femminista inoltre riconosce la natura politica di tutte le relazioni umane: ciò che può essere letto superficialmente come un semplice resoconto di eventi diventa narrazione politica perché vivere una vita immersa nel proprio tempo è inevitabilmente un atto politico106. Il fondamentalismo religioso e la violenza che ne scaturisce generano il caos nella città, le disuguaglianze provocano povertà e fame, l’ingiustizia in ogni sua forma ispira lotta politica, e l’artista combatte con la propria arte.

Particolarmente attento al potere tanto catartico quanto educativo del racconto è l’artista Atul Dodiya, nato a Mumbai nel 1959. Attraverso acuti riferimenti alla storia dell’arte internazionale, tramite le sue complesse istallazioni e la sua profonda pratica pittorica, mostra al pubblico la sua

105 SEID, 2007, p. 13. 106 Ibidem, p. 15.

personale partecipazione al dolore che colpisce la sua terra107. Originario del Gujarat, non può restare impassibile davanti alla guerra tra indù e musulmani che imperversa dall’alba del ventesimo secolo, di fronte anche alla strage avvenuta nel 2002 e in un’intervista rilasciata all’indomani della tragedia dichiarò: “Il massacro del Gujarat di quest’anno mi ha fatto realizzare pienamente il senso di angoscia e sgomento che già mi perseguitava. Come è possibile per qualsiasi persona sensibile restare indifferente a ciò che sta accadendo in Gujarat oggi? Per tutta la vita ho creduto che l’India avesse una cultura che ci arricchisse tutti e, per questo, le sommosse pubbliche mi addolorano. Provate a mettervi nei panni di chi soffre, le violenze, la perdita della propria casa, la perdita di fiducia nel genere umano…potete immaginare di avere timore del vostro vicino di casa?”108. Quello di Dodiya è un appello viscerale all’umanità al di là di ogni confine territoriale, contro quella dis-umanità che sembra vincere ogni vincolo di pace e fratellanza: “È impossibile chiudere gli occhi sul mondo attorno a noi, per quanto si tenti di farlo. Questi attacchi hanno distrutto il mio senso di interezza e di pace e mi hanno fatto capire che certe verità devono essere affrontate. Questi episodi si riflettono nei miei quadri in forma di intonaci scrostati e di crepe”109.

La serie di istallazioni di Dodiya, Devoured Darkenss del 2006 (Fig. 11), prende il nome da un verso di una poesia di Allama Prabhu, santo e mistico del decimo secolo, poeta celebrato dal movimento dei Vīraśaiva, basato sui principi dell'egualitarismo e della bhakti, aperta a tutte le classi sociali, opponendosi così al sistema delle caste e all’intermediazione dei sacerdoti. Dodiya utilizza i versi di Prabhu come contraltare alle sue audaci installazioni di forche da impiccagione. Ogni lavoro presenta una forca e su uno dei lati del pilastro di questa, viene illustrata una poesia, con l’aggiunta di un collage di immagini; sull’altro lato, viene applicato un piccolo specchio che invita lo spettatore a immedesimarsi e prendere posizione. Tramite il riferimento alla protesta medievale contro le strutture gerarchiche che impediscono un libero

107 http://www.gallerychemould.com/artists/atul-dodiya-home/ (consultato in data 10

ottobre 2018).

108 DUTT, 2002, http://www.littlemag.com/faith/atuldodiya.html (consultato in data 10 ottobre 2018).

rapporto con la divinità, mostra la propria protesta contro la violenza che accompagna la discriminazione e il fanatismo religioso110.