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2. Arte indiana: storia di un dialogo

2.3 Lo spazio della pratica artistica indiana contemporanea: la città

Se da una parte l’arte acquista visibilità attraverso la globalizzazione, la “politica del luogo”, sia esso comunità, paese, nazione, regione anche di confine o d’esilio, tende a perdere il privilegio di un riferimento diretto86. Il diritto di appartenenza a un luogo fu conquistato dalle popolazioni e considerato come fonte di opportunità al termine del processo di decolonizzazione. Ma con il trionfo del capitalismo globale, il successo raggiunto nella lotta all’autodeterminazione è diventato un semplice simbolo di identificazione territoriale. Per Geeta Kapur, che si concentra sugli effetti socio-politici della pratica artistica indiana, l’artista indiano contemporaneo deve essere collocato in una specie di “sotto-territorio”87 dove si possa liberarsi dalle costrizioni imposte dal sistema espositivo internazionale e dal mercato dell’arte che preferisce un più blando non-luogo, non-tempo, non-spazio88.

L’artista indiano cerca di riposizionarsi all’interno delle coordinate spazio- temporali a lui proprie anche attraverso la forma di performance pubbliche dove la sua soggettività è evidente. È nella città globale che diventa interessante osservare come la pratica artistica può diventare davvero dissenso attivo: l’artista da interlocutore privilegiato diventa soggetto svantaggiato in una società fondata sull’ingiustizia della divisione di caste e ora sembra essere costretto ad accettare di essere soggetto alla pressione e instabilità di uno Stato forte. In India infatti l’artista è spesso identificato come portatore di una coscienza subalterna al pari di contadini, operai, donne, indigenti abitanti delle metropoli e dalit, letteralmente “gli intoccabili”, ed egli in quanto cittadino pare l’unico che possa combattere o almeno rallentare l’avanzata delle ideologie oppressive, come quelle del nazionalismo di estrema destra o della globalizzazione coatta. Questo “sotto-territorio” potrebbe anche coincidere con una sorta di inconscio politico dell’uomo-

86 KAPUR, 2007, p. 277.

87 Nella versione inglese originale il termine è “subterrain” e si è cercato di renderlo in italiano con una traduzione il più letterale possibile.

cittadino che più che a una coscienza di classe assomiglia a un strumento di interpretazione collettiva.

Se si dovesse delineare l’obiettivo politico dell’artista indiano di oggi, sarebbe appunto questo: resistere alle ideologie oppressive e contrastare ogni forma di emarginazione. L’artista-cittadino, responsabile e rivoluzionario, è colui che può immaginare forme appropriate di azione politica sotto la forma di prassi artistica, ideando una rete di solidarietà con altri artisti a livello globale89. Gli artisti si trovano a muoversi in un mondo terribilmente competitivo, in costante mutamento e oltre che a grandi opere, si dedicano a progetti più minuti, volti a creare critica, dissenso e coscienza civile nella quotidianità90. Questa battaglia si svolge nel luogo implicito dell’opera dell’artista, ovvero il suo stesso corpo. Questo diventa terreno di contestazione fondamentale anche riguardo all’identità sessuale: il corpo fornisce spazio per il desiderio ma rivela anche in extremis l’anatomia del dolore provato dalla società civile a livello pubblico quanto privato91. È possibile stabilire un vero e proprio rapporto metonimico tra corpo e città: i corpi dei cittadini compongono quel “tutto” che è la città e i segni e le ferite marcati che troviamo su un corpo possono essere riscontrati nel tessuto interno di una città, come unico grande “corpo urbano”. Il corpo-umano è posto in una relazione di contiguità con il corpo-urbano, dimodoché ci sia possibile trovare delle somiglianze fra i due ma soprattutto di creare un legame tra corpo, città e società. Seguendo tali similitudini, come in un labirinto, l’artista indiano è preso da disorientamento rilevando l’estrema vulnerabilità alla violenza, all’alienazione e soggezione dell’uomo che vive nella città. La relazione fra attività artistica radicale e politica diventa effettiva solo quando l’arte esce dallo spazio privato e viene collocata sotto gli occhi del pubblico nella città. Le opere d’arte che si pongono all’interno di contesti complessi della società fanno sorgere importanti interrogativi sulla situazione della cittadinanza e sul grado di democrazia che la governa92. Gli artisti indiani chiedono al loro pubblico di riconoscere che la violenza, che spesso ritraggono nelle proprie opere, è la prova più evidente che le promesse di civilizzazione fatte all’alba

89 KAPUR, 2007, p. 278.

90 ITALIANO, FERRACCI, 2011, p. 68. 91 KAPUR, 2007, p. 279.

dell’Indipendenza sono state irrimediabilmente tradite. Un esempio di ciò è lo straordinario documentario fotografico che Raghu Rai (1942) ha prodotto sul Disastro di Bhopal93 e sulle vittime. In collaborazione con Greenpeace International, il fotografo, membro dal 1977 dell’agenzia Magnum Photos, realizza nel 2002 Exposure: Portrait Of A Corporate Crime (Fig. 9), un reportage sul luogo di quello che è stato definito come il peggior disastro industriale della storia dell’umanità. La schietta cronaca dell’agonia in cui versa ancora la città di Bhopal è trattata da Rai con i solenni toni del bianco e nero, tramite un realismo che non dà adito ad alcun melodramma ma che forza lo spettatore a prendere atto della tragedia dei sopravvissuti, abbandonati dalle istituzioni e ancora gravemente ammalati. Le sue fotografie sono allo stesso tempo un documento umano e una testimonianza della complicità tra lo Stato indiano e gli interessi dell’industria americana e sugli effetti devastanti che ciò comporta sulla fisionomia della città di Bhopal e dei suoi cittadini. Le fotografie di Rai di Bhopal sono inoltre una grande e lancinante denuncia della farsa che comunemente ha luogo nel nome dei diritti umani e della giustizia internazionale in questa fase di capitalismo globale94.

Gli artisti visuali hanno apertamente fatto riferimento alla città e alla loro esperienza all’interno di essa a partire dagli anni Quaranta come vero e proprio passaggio verso la modernità, prima osservata e rielaborata attraverso i canoni del realismo, poi simultaneamente si trasforma in costruzione surrealista dell’immaginario e negli anni Ottanta attraverso l’industria cinematografica diventa il luogo di autorappresentazione della classe operaia, del cittadino comune, dell’umanità provata dei diritti e degli artisti di ogni genere95.

Negli anni Novanta, la città come corpo dell’arte si arricchisce del concetto di internazionalità che inizia a scaturire con la globalizzazione. Così la città globale si ritrova a essere sostituta della nazione e le istanze tipicamente

93 Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, un’ingente fuoriuscita di gas letale nello stabilimento della Union Carbide della città di Bhopal, specializzato nella produzione di fitofarmaci e fertilizzanti, uccise 8000 persone, ne ferì 500000, e condannò 150000 persone a morte per gli effetti dell’avvelenamento. L’inquinamento prodotto dalla tragedia, causata da una politica criminale di negligenza e incuria, continua a infestare lo stato del Madhya Pradesh e i suoi terreni.

94 KAPUR, 2007, p. 285. 95 Ibidem, p. 280.

nazionali di identità, autodeterminazione e lotta democratica vengono ora percepite dall’artista anche all’interno di quell’organismo in costante evoluzione che è la città del nuovo millennio.