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2. Arte indiana: storia di un dialogo

2.1 Arte indiana fra continuità e trasformazione

2.1.3 Modernismo indiano

Anche se ancora molto condizionato dalle vicende artistiche occidentali, l’impulso nazionalista si evolve nei decenni successivi attraverso il processo per l’Indipendenza fino al periodo repubblicano. Il rapporto problematico tra identità nazionale e modernità globale è stato il tema principale dell’arte indiana e degli ex-possedimenti coloniali per tutto il XX secolo. Lo stato ancora prevalentemente rurale dell’India a inizio Novecento ha protetto il popolo da quel senso di frammentazione della vita e dell’arte che ha reso gli intellettuali europei degli outsider nella loro società, causando alienazione e angoscia.

Anzi, come si è visto, il nazionalismo indiano si rivolge spesso al mito della propria unità, ai propri confini e alle proprie tradizioni, creando invece unione sociale.

Al contatto con le avanguardie europee, ciascun artista reagisce in maniera personale, senza però riuscire a risolvere la contraddizione fra il senso di alienazione dell’io artistico tipico dell’artista occidentale del periodo e la coesione culturale proprio di un popolo che combatte per l’indipendenza65.

La prima reazione indiana al modernismo si rivela un dialogo con il Cubismo condotto in particolare da Gaganendranath Tagore (1867-1938), fratello di Abanindranath, che trova in esso un’energia creativa sconosciuta. Tagore, lontano dalla scena europea, rimane folgorato dalle superfici spezzate, dai giochi di luci e ombre e le contrazioni e dilatazioni dei piani prospettici (Fig. 3).

Un secondo esito del modernismo segue la corrente del primitivismo. Alla fine del diciannovesimo secolo, le esposizioni d’arte nazionaliste restituiscono alle arti decorative il prestigio che meritano, il movimento di Gandhi dà voce alla popolazione rurale e a partire dagli anni ’20 del Novecento i nazionalisti iniziano a far combaciare il concetto di “nazione” con il concetto di “suolo”66. Questo è il periodo in cui la colta classe bengalese riscopre l’antica pittura Kalighat e intese vedere la tradizionale arte rurale come un’espressione di resistenza in nuce al colonialismo rendendolo elemento fondamentale dell’arte moderna indiana.

Il pittore che meglio esemplifica quest’uso del primitivismo come veicolo per la propria espressione artistica è il poeta Rabindranath Tagore (1861-1941), anche il primo a fare uso efficace della distorsione tipica dell’espressionismo nei suoi dipinti. L’affinità di Tagore con le avanguardie europee non sta nell’emulazione, ma in un semplice approccio parallelo al primitivismo artistico67. Tagore rimane molto affascinato dall’innovazione introdotta dalla combinazione di testo e immagine degli illustratori di Art Nouveau e Jugendstil: i dipinti di Tagore nascono da un gioco di “cancellazione”, ovvero creando forme imponendo colore e segno su parti di testo, elidendone delle parti (Fig. 4). 65 MITTER, 2001, p. 189. 66 Ibidem, p. 193. 67 ROMANO, 2017, p. 23.

Alla fine della sua carriera fugge dalle convenzioni formali della letteratura in attraverso un linguaggio enigmatico, personale ed erotico, rendendolo l’artista indiano più radicale e di ispirazione alle più giovani generazioni di artisti.

Tra le personalità più rappresentative di questo spirito nazionalista vi è senza dubbio anche Amrita Sher-Gil (1913-1941), figlia di un aristocratico sikh e di una colta musicista ungherese. All’inizio degli anni ’30 frequenta l’École des Beaux-Arts di Parigi e nel 1934 fa ritorno in India, profondamente influenzata dal post-impressionismo francese, in particolare da Van Gogh e Gauguin, e dal realismo dell’Europa centrale a cavallo delle due Guerre Mondiali68. Rientrata in patria dichiara la propria missione artistica: interpretare la vita muta e ignorata degli indiani, “the silent image of infinite submission…angular brown bodies strangely beautiful in their ugliness”69 (Fig. 5). Qui arriva a creare un proprio e originale linguaggio pittorico ispirato tanto dal cubismo europeo quanto alla pittura moghul. Mentre gli artisti uomini tendono a concentrarsi più sulle questioni legate all’identità nazionale, Amrita Sher-Gil, si interessa alle varie modalità di espressione individuale: non mira a indagare il rapporto tra arte tradizionale e modernismo ma se ne serve per trovare nuove rappresentazioni della donna e nuove rappresentazioni di sé70. Paradossalmente è la sua personalità a rappresentare meglio della sua arte l’essenza dell’artista moderno come outsider. Schierata in modo netto contro la Bengal School, critica questi due tratti fondamentali del movimento di rinascenza indiana: si oppone all’attaccamento morboso al passato divenuto ormai formula vuota e alla pedissequa imitazione scolastica di una “inferiore” arte occidentale71. Con la sua origine indo-europea, incarna al meglio le contraddizioni e le ambiguità insite nel concetto di nazionalismo e “purezza” culturale e razziale. Nel 1936, la giornalista Ela Sen scrive che l’ambizione di Sher-Gil è stata presentare la miseria della vita Indiana a un pubblico sempre più ampio e di elevarla a soggetto degno di diventare arte attraverso colore, forma e design72. 68 DUPLAIX, BOUSTEAU, 2011, p. 21. 69 MITTER, 2001, p. 194. 70 SEID, 2007, p. 15. 71 MITTER, 2007, p. 54. 72 Ibidem, p. 55.

Infine Jamini Roy (1887-1974), formatosi alla Calcutta Art School, rappresenta un terzo possibile esito modernista. Proviene da una piccola famiglia di proprietari terrieri del Bengala, regione che vanta una ricca tradizione di scultura in terracotta. Nella prima fase della sua produzione, si dedica alla ricerca di una forma di espressione “autentica” dell’arte indiana ricercando tra una varietà di stili diversi sia orientali che occidentali, spaziando tra il naturalismo accademico e l’Impressionismo e la pittura cinese. Il processo che lo porta a definire il suo stile pittorico è tortuoso e toccato da una profonda crisi spirituale che lo porta a mettere in discussione il suo rapporto stesso con la pittura. Il suo pensiero nazionalista contribuisce a plasmare una concezione tutta originale dell’arte indigena: è convinto che una vera e propria arte indigena non possa essere prodotta con pigmenti commerciali stranieri, per cui abbandona la pittura a olio optando per pigmenti organici; preferisce alla pittura Kalighat la pittura su pergamena dei villaggi indiani poiché più lontani dall’ambiente coloniale e urbano di Calcutta. L’obiettivo di Roy però non è imitare l’artigianato dei villaggi rurali ma imparare dal potere espressivo delle sue linee. Nella ricerca continua di una semplicità formale, Roy enfatizza il tratto a discapito del colore, tracciando con il pennello contorni neri su sfondo bianco73 (Fig. 6).

Il suo primitivismo porta a un grande impegno socio-culturale rinunciando all’individualismo tipico dell’artista coloniale creando opere in collaborazione e rifiutando di firmarle.