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Intorno al concetto di dio supremo

3 La religione indigena fra sopravvivenze e sincretismo

3.1 Intorno al concetto di dio supremo

Non vi è dubbio sul fatto che i vari sistemi religiosi mesoamericani, e tra questi quello zapoteco, fossero essenzialmente politeistici. Forse contemplavano anche alcuni aspetti panteistici e animistici, in quanto attribuivano divinità agli elementi e alle forze naturali, ritenendo che un “soffio vitale” risiedesse in ogni cosa animata e persino in enti che per la nostra cultura sono considerati inanimati.

Tuttavia, suscita ripetute controversie il dibattito intorno ai miti cosmogonici, allorché ci si chiede se i popoli amerindiani avessero concepito, autonomamente e prima del contatto col cristianesimo, pur essendo politeisti, l’idea di un essere supremo, unico e creatore di tutti gli altri dèi.

Il terreno si mostra estremamente scivoloso, non solo perché le fonti preispaniche sono scarse o, addirittura, inesistenti, ma soprattutto perché, come si è già rilevato, gli autori missionari erano inclini a deformare le nozioni acquisite dai nativi, adattandole alla loro cultura monoteista. Il gioco di specchi si complica esponenzialmente se si considera poi che nemmeno il punto di vista dello studioso può essere considerato sempre scevro da condizionamenti ideologici, più o meno coscienti.

Per questo ritengo opportuno ricorrere direttamente ai testi e, nello specifico, attenersi a un esame filologico dei termini accolti da Juan de Córdova nel suo Vocabulario. In quest’opera, vasta e complessa, le voci «Dios» e «Dioses» sono ben ventiquattro, di cui quindici corrispondono a divinità specifiche (che analizzeremo nel paragrafo seguente), mentre le altre nove forniscono elementi che ci permettono di ragionare sull’ipotetico concetto di “dio unico” o “essere supremo”.

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William Madsen, “Religiuos Syncretism”, HMAI, 15 voll., Austin, University of Texas Press, a cura di Robert Wauchope, 1967-1971, 4, pp. 369-391; Christo-Paganism: a Study in Mexican Religious Syncretism, Tulane, Middle American Research Institute, 1975.

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Il confronto incrociato con altri termini ivi contenuti, può gettar luce su importanti riferimenti, simmetrie e analogie che, a partire da corrispondenze linguistiche, possono delineare i principi fondamentali di tutta la cosmovisione del popolo zapoteco. Infatti, notando le ripetizioni e le analogie fra le varie equivalenze sinonimiche dello zapoteco che traducono uno stesso vocabolo spagnolo – ricordo, a questo proposito che il dizionario di Córdova è concepito in maniera univoca, dallo spagnolo allo zapoteco e non viceversa –, è possibile ricostruire campi semantici che riflettono il pensiero soggiacente all’espressione linguistica. Nell’analizzare le voci, che trascrivo di seguito, mi sono basata principalmente sull’attento e rigoroso studio filologico del linguista Smith Stark232.

Riportiamo le nove entradas che ci interessano, secondo l’ordine in cui si trovano nel Vocabulario:

1) «Dios vivo verdadero, Dios. Pitào-nalij. Cualquier dios. Pitào».

2) «Dios padre de todos y que sustenta todas las creaturas y las rige. Coqui-za-chiba-tija, co-zàana- tao, còla-co-zàana-tàao, hue-tòco-ticha-tào, hue-tòco-pèa-tào».

3) «Dios principio de las cosas y creador de ellas. Hue÷ni-xèe hue÷ni-cilla, hue-zàa-xèelxie-zàa- cilla quizàa-laào, coqui-hue-chiba-tija».

4) «Dios infinito y sin principio. Llamábanle sin saber a quien. Coqui-xèe coqui-cilla, xèe-tào, pixèe-tào, cilla-tào, ni-xèe-tào ni-chilla-tào, pije-tào».

5) «Dios, ser sin principio. Tàca-xèe-taca cistatàca».

6) «Dios regidor gobernador con todos los atributos que a esto se ayuntan. Hue-tòco-ticha-tào, co- quiche-pèa-rào, co-quixè-pea-tào, co-bàqui-pèa-rao, co-llàba-pèa-rào».

7) «Dios ser assi todo lo dicho y deshazerlo disponerlo y obrarlo. Toçò-pèa÷ya, ti-quixè-pea÷ya, ti- llàba-pèa÷ya».

8) «Dios, termino y limite a todas las cosas. Ti-quixe-pèa÷ya, ti-bàqui-pèa÷ya».

9) «Dios que dezian que era criador de todo y el increado. Piyè-tào, piye-xòo, coqui-xèe, coqui- cilla, coqui-nij».

Questa serie di voci spagnole – corrispondenti a diciotto diverse espressioni zapoteche, che possono considerarsi altrettanti epiteti per riferirsi a una stessa entità divina233 –, almeno in apparenza, sembra delineare il profilo di un unico dio, creatore increato, principio di ogni cosa e signore dell’universo.

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Thomas Smith Stark, “Dioses, sacerdotes y sacrificio…”, cit., p. 95 e segg.

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Innanzitutto notiamo che a una prima lettura, persino superficiale, risulta evidente un apparato terminologico e concettuale di derivazione cristiana: «vero dio», «padre di tutte le cose», «creatore increato», «senza principio, né fine».

Si insinua immediatamente il dubbio che si tratti di una lista di neologismi zapotechi, creati ad arte dai frati missionari, sulla base di termini preesistenti, per tradurre le nozioni basilari del monoteismo cristiano. Un simile dubbio era già stato avanzato, nel loro imprescindibile Urnas de Oaxaca234, da Caso e Bernal, i quali, tuttavia, rilevano l’incongruenza di alcune chiose dello stesso autore, atte a sottolineare la matrice pre-ispanica di certi concetti.

Dal canto suo, Smith Stark, che in generale segue la linea interpretativa di Caso, tiene a chiarire che il primo epiteto, Pitào nalij, ad esempio, non può essere altro che un calco zapoteco per riferirsi al “Dios verdadero” cristiano. Infatti, osserva il linguista del Colegio de México, «pi-tào», il termine generico zapoteco per indicare qualunque divinità, fu adottato dai missionari per indicare «Dio». Lo si ritrova, infatti, impiegato in vari neologismi atti a tradurre realtà di matrice cristiana: «Abad prelado de monjes» 235, «Ahijado en el sacramento»236, «Angel de mi guarda»237, etc... L’associazione del sostantivo pitào all’aggettivo nalij («vero»), per altro, suona affatto occidentale, infatti, il concetto di «vero dio» ha echi biblici piuttosto evidenti. Tuttavia, pare che anche nella cultura nahua, stando alla Historia Tolteca-Chichimeca238, uno degli attributi di Ometeotl fosse in nelli téotl, cioè «dio vero».

D’altra parte però, gli altri termini, che indicano altrettanti attributi generici della divinità, non sono necessariamente esclusivi del sistema religioso cristiano e danno adito a un’interpretazione alternativa, la quale trova fondamento in alcune annotazioni dello stesso Córdova – proprio quelle che avevano insospettito Caso e Bernal –, con le quali sembra che il frate volesse evidenziare una concezione propria degli indigeni e antecedente l’arrivo degli spagnoli. Nel Vocabulario si trovano frequentemente espressioni come “...según la idea antigua de los indios”, “...antiguo/a de los indios”, “...según le dezian antiguamente los indios”, etc. per mezzo delle quali il redattore glossa alcune entradas per specificare che si tratta di concetti o parole preispanici.

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Alfonso Caso – Ignacio Bernal, Urnas de Oaxaca, México, INAH, 1952. Anche altrove (La religión de los aztecas, México, Secretería de Educación Pública, 1945) Caso si è pronunciato a favore di un principio duale supremo, maschile e femminile, che avrebbe generato gli dei, il mondo e gli uomini.

235

Nel Vocabulario, tra le altre traduzioni, si legge anche pixòce coqui còpa-pitòo.

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Secondo il Vocabulario una traduzione possibile è xini quela pitào.

237

Sempre nel Vocabulario si legge la traduzione pitào-ñee.

238

Trattasi di un codice pittografico in lingua nahua del XVI secolo, dunque non pre-colombiano e di conseguenza ha potuto subire influenze cristiane. Historia Tolteca-Chichimeca, a cura di Paul Kirchhoff, Lina Odena Guemes, Luis Reyes Garcia, México, Cisinah, 1976.

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Nello specifico dei termini riferiti a «Dios», alla voce 4) si riscontra la postilla: “Llamábanle sin saber a quien”. Con questa laconica annotazione, il missionario sta affermando che gli indigeni possedevano la nozione di un dio infinito e senza principio, ovvero un essere increato e senza limiti, ma che ignari della buona novella, non lo chiamavano col giusto nome, ovvero non lo identificavano con l’unico e vero Dio della religione cristiana.

Ora, questo è ciò che riteneva Córdova, ma noi studiosi moderni, pur tenendo in considerazione il dato, non possiamo assumerlo come veridico tout-court, senza un vaglio più approfondito. Per questo ci proponiamo di analizzare nel dettaglio le parole relative alla divinità, in quanto “essere infinito”, “non creato” e “principio di ogni cosa”.

Comunque, è importante notare fin d’ora come la versione spagnola stravolga il significato etimologico e letterale delle espressioni zapoteche, spesso difrastiche e metaforiche. Bisogna quindi pensare che l’equivalenza fra i termini delle due lingue si basi essenzialmente su una traslazione di concetti. Quel che intendiamo fare, attraverso la nostra analisi filologica, è ricostruire come ci si appellava in zapoteco alla divinità e cercar di capire se tali termini possano leggittimare l’interpretazione dell’esistenza di un dio supremo, come le voci spagnole del dizionario sembrano suggerire. Inoltre, anticipiamo qui che, solitamente, della moltitudine di denominazioni, che offre Córdova per dèi e dee, alcune si riferiscono alle loro sfere di influenza e alle loro funzioni, più che essere veri e propri nomi. Per quanto riguarda gli epiteti divini, insomma, non ci si trova di fronte a dei sostantivi, bensì a forme verbali sostantivate, che indicano azioni più che stati.

I diciotto epiteti della divinità, registrati nelle nove entradas sopra elencate, possono essere suddivise in cinque gruppi in base alla loro radice etimologica:

1) costruiti su xèe e cilla; 2) costruiti su pije; 3) costruiti su zàana; 4) costruiti su tòco e pèa; 5) costruiti su tija.

Da questa suddivisione resta escluso solo Coqui-nij «Signore eterno», che comunque ai fini della nostra analisi è piuttosto marginale, in quanto sembrerebbe un evidente calco dallo spagnolo.

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Cominciamo con i termini contenenti le due radici xèe e cilla:

- Coqui-xèe coqui-cilla

Si tratta di un dilogismo composto dalla parola coqui239, «signore», «sovrano», e da due termini che possono essere considerati sinonimi: xèe, «alba» e per metafora «principio», «creazione»; cilla, «alba», «mattina». Si ottiene la traduzione letterale: «Signore dell’alba, signore della mattina», che per mezzo di uno slittamento metaforico viene a indicare il «Signore del principio», essendo l’alba l’inizio del giorno e della luce.

Víctor de la Cruz240, invece, propone una traduzione alternativa per xèe, che ritiene trattarsi di un’aggettivo dal significato di «pulito»241, e che, sostantivizzandosi, assumerebbe il significato di «purezza». Di conseguenza, il senso della traduzione di «Dios ser sin principio» (la quinta entrada), Tàca-xèe taca-cillatào, risulta “si fa la purezza, si fa la mattina”.

Qualunque traduzione di xèe si accolga, questa parola come cilla si trova in numerose espressioni dilogiche che indicano l’idea di infinito242, di creazione243 e di dar principio244. Cosicché, unitamente al concetto di «Signore del principio e della creazione» questi termini, in virtù della loro ambivalenza semantica, convogliano anche l’idea di infinito, sempre però in senso temporale.

Alla luce di questi dati, risulta semplice tradurre le altre equivalenze costruite con i lessemi già citati:

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V. Voc. «Rey», «Señor», etc.

240

Víctor de la Cruz, El pensamiento de los binnigula’sa: cosmovisión, religión y calendario, Oaxaca, Publicaciones de la Casa Chata, 2007, p. 221. D’ora in poi ci si riferirà a questo testo col titolo abbreviato El pensamiento de los

binnigula’sa…

241

V. Voc. «Limpia, cosa, ropa, agua, vaso o manta», dove è presente il lessema xèe.

242

V. Voc.: «Eterno ser, vide infinito. Ti+xèe÷a, ti-xij÷a, ti+cilla÷ya, ti+nij÷a, ti+tija÷ya, ti+chijño÷a»; «Infinito sin principio, vide eterno. Ni xèe ni cìlla, ni xèe tào ni cilla tào».

243

V. Voc.: «Criar como dios de nonada. To+zàa÷ya, to+zàa xèe to+zàa cilla÷ya, t+oni-xèe t+oni cilla÷ya»; «Criado ser assi todo, segun nuestra fe dios. Ni-quizàa la hue zàa, co+zàana-tào quizàa-là, hue-zàa xèe hue+zàa-cilla,

hue+chijba-tija-quizàa-lào hueni-xèe hueni-cilla qui-zàa-lào»; «Criaturas las cosas criadas. Ni-xèe-ni-cilla, ni+co÷yàa

ni-co+xêe, ni-co+cilla»; etc...

244

V. Voc.: «Dar principio a las cosas como dios. Vide criar. T+òni-xèe t+òni-cilla÷ya, to+zàa-xèe, to+zàa cilla÷ya»; «Principio de todas las cosas. […] xèe-cilla, ni-xèe ni-cílla-nj»; «Principio este assi no le ay en Dios que es principio de todo. […] yàca ni-xèe ni-cílla»; «Principiar dar principio a todas las cosas, cielo, tierra.&c. Tòni-xée tóni-cilla÷ya,

138 - Xèe-tào

«Alba grande», «Grande principio». Equivale a Cilla-tào. La variante Pi-xèe-tào aggiunge il suffisso pi, che indica gli esseri animati e il soffio vitale.

- Ni-xèe-tào ni-chilla-tào

Ci troviamo di nuovo di fronte a un dilogismo, dove il suffisso ni, stando all’interpretazione di Seler245, significa «colui che è». Se ne ricava la traduzione letterale: «Colui che è la grande alba, colui che è la grande mattina».

Espressioni simili, composte dalle stesse radici xèe e cilla si ritrovano anche in altre voci tutte relative al concetto di infinito, di principio e di creazione:

- «Autor Dios hazedor de todas las cosas. Hueni-xée hueni-cilla-quizaà-lao».

Qui hue è suffisso agentivo, «colui che», rafforzato dall’altro suffisso ni, appena visto. Quizaa-lào246 significa «tutto», «tutte le cose», «ciò che esiste». Si ottiene di conseguenza «Colui che è l’alba e il principio di tutto ciò che esiste». In realtà, Smith Stark247 traduce: «Hacedor de la creación, hacedor del amanecer», ponenedo l’accento più sull’aspetto attivo che su quello statico.

- «Principio de todas las cosas Dios y assi le llaman. Pejoàna Dios, coquí-xée coquí-cilla, xèe-táo pí-xée-táo cílla-táo, cóla cozàana quizáha-lào, yàca-lóo».

La sequenza di traduzioni zapoteche per questa entrada registra invariati alcuni termini già visti nelle voci precedenti: coquí-xée coquí-cilla, xèe-táo pí-xée-táo cílla-táo. La prima parola della sequenza presenta però in forma sospetta il lessema castigliano “Dios”, cosa che la delata come calco coniato dai frati. Circa cóla cozàana quizáha-lào vedremo più avanti le sue relazioni col concetto di creazione e con quello che Córdova chiama “dios da la caza”.

- «Infinito ser assi, vide Dios. Tàca-xèe taca-cílla÷ya, xèe-tàoa, cílla-táoa-nácaya».

245

Eduard Seler, “La religión de los zapotecos”, La religión de los binningula’sa’, a cura di Víctor de la Cruz e Marcus Winter, Instituto Estatal de Educación Pública de Oaxaca, Oaxaca, 2002, p. 16. D’ora in poi ci si riferirà a questo testo con il solo titolo del saggio “La religión de los zapotecos”.

246

V. Voc.: «Todas las cosas, iterum. Quizàa-lào qui-chijño-lào».

247

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Ancora una volta ci interessa rilevare la presenza di xèe-tào e cilla-tào.

Dunque, questa prima serie di appellativi definisce la divinità come «Signore dell’alba», con tutte le implicazioni polisemiche fino a ora messe in evidenza. Seler248, secondo il quale i diversi epiteti si riferiscono ad altrettante sfere di influenza di una stessa divinità creatrice, ne propone l’identificazione con il Tlauizcalpan Tecutli nahua. In effetti, la divinità nahua era associata al Pianeta Venere, detto anche «Lucero», ovvero stella della mattina. L’analogia sarebbe il retaggio di un sostrato comune condiviso dai vari popoli mesoamericani. Lo studioso tedesco si spinge oltre, affermando che nelle serie di epiteti zapotechi relativi a questa divinità resta l’evidenza etimologica, di ciò che narra la mitologia nahua, ovvero la trasformazione di Quetzalcoatl, Signore del vento in Tezcalpan Tecutli, Signore della casa dell’alba. Infatti lo zapoteco per riferirsi a tale divinità utilizza – come vedremo subito di seguito – tanto l’appellativo di Piye-tào («vento grande») come quello di Xèe-tao («alba grande», «grande luce della mattina», identificabile con Venere, detta in zapoteco Pelle Huij249).

L’unico termine della sequenza sinonimica – registrata come traduzione di «Dios infinito y sin principio» – a non avere parentela etimologica coi precedenti è Pije-tào, appunto. La parola è composta dalla radice piye o pije250, che è il termine generico per «tempo»251, «durata di tempo», «periodo» e dall’aggettivo tào. Tuttavia pije è anche il termine col quale conosciamo il calendario rituale di 260 giorni, ovvero il tonalpohualli zapoteco. Il lessema si costruisce, infatti, sulla radice pij (varianti: pe, be, bi) che ha come primo significato quello di «aria», «vento», ma anche «soffio vitale», e che per traslato indica la forza sacra che anima ogni ente dotato di movimento (secondo Marcus252 è il corrispettivo della radice maya ku). Per questo si trova in una molteplicità di parole designanti esseri animati: pe-ni «essere umano», pi-china «cervo», pi-chilla «coccodrillo», péo «luna», pi-tào «grande spirito», «dio», nonché pije «calendario», che in quanto soggetto di rotazione era considerato dotato di movimento.

Ora è interessante notare come lo stesso termine si ritrova in alcuni composti, nella nona entrada per definire dio – «Dios que dezian que era criador de todo y el increado: Piyè-tào, piye- xòo, coqui-xèe, coqui-cilla, coqui-nij» –, nonché alla voce «Criador según la opinión antigua de los Indios que no tuuo principio: Piyè-tào, piyè-xòo». La prima espressione significherebbe «Tempo

248

Eduard Seler, “La religión de los zapotecos”, cit., p. 15-17.

249

Ibidem.

250

Nella trascrizione di Córdova “j” aveva lo stesso valore fonetico di “y” e non indicava il suono gutturale velare della moderna ortografia.

251

V. Voc.: «Tiempo generalmente. Vide entreualo. Piye, pij, chij, çòo, chij la-yòo, çòo-chij, çòo guèla». E «Tiempo sancto. Pij, piyee napàna, làya, cocij, piyè-chij. &c».

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grande» o «Tempo sacro»253, la seconda «Tempo forza»254. Seler propone, invece, «Vento grande» e «Vento forte», considerando pij255 nel suo senso più etimologico di aria, vento.

Qualunque delle due traduzioni si scelga di seguire, è evidente il legame della divinità, cui l’epiteto si riferisce, con il tempo sacro: una delle sue qualità era l’esserne origine, principio e presiedere al suo ciclo.

Tirando le somme di queste prime osservazioni relative al gruppo di termini costruiti su xèe, cilla e pije, relativi agli attributi divini dell’infinità e dell’essere principio increato, notiamo che i vocaboli indigeni veicolano l’idea di essere creatore per mezzo della metafora dilogistica «signore/facitore dell’alba» oppure «vento grande» e che solo nella dicitura spagnola si afferma che esso è increato. Ciò non di meno, può essere che la dicitura spagnola sia una spia di una concezione indigena sottostante, non evidente direttamente a livello linguistico. La nozione di infinito, invece, anch’essa esplicita solo nell’entrada spagnola è intesa in senso temporale più che spaziale, essa cioè è sinonimo di eterno (vedremo in seguito le implicazioni di tale osservazione, quando tratteremo il concetto di divinità come «Grande misuratrice» che pone limiti al cosmo), concetto piuttosto sospetto che potrebbe essere di derivazione cristiana.

Prima di passare a un altro gruppo di termini, però, è opportuno notare, come accennavamo più sopra, che in entrambe le entradas – la nona per «Dios» e quella di «Criador» – Córdova sottolinea trattarsi di concetti già esistenti nella cosmovisione pre-ispanica: nella prima entrada la spia è costituita da «dezian», nella seconda dalla frase «según la opinión antigua de los Indios». Tutt’e due le espressioni rinforzano quel «llamabanle sin saber a quien» citato prima. Tuttavia, anche all’interno di queste sequenze sinonimiche, che l’autore ha voluto segnalarci come precolombiane, troviamo il termine Coqui-nij, «Signore eterno», che nuovamente denota una certa influenza della mentalità europea256.

Ribadiamo quindi che lo studioso moderno deve stare sempre assolutamente allerta, perché il processo sincretico e di osmosi culturale era già in atto all’epoca in cui fu redatto il Vocabulario. Per questo è probabile che neanche il suo autore fosse sempre e del tutto rigoroso e consapevole nel mantenere distinti i termini che riflettevano concetti pre-ispanici e i termini che introducevano nuove idee di derivazione europea e cristiana.

253

Thomas Smith Stark, “Dioses, sacerdotes y sacrificio…”, cit., p. 94.

254

Ibid., p. 113.

255

Nel Voc. alla voce «Anhelito» si legge: cobaa, pee, pije, chije.

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Tornando all’analisi etimologica degli epiteti con cui ci si appella a dio, rileviamo che nell’idea di essere principio di ogni cosa è sottintesa quella di creatore, generatore, ovvero di principio come origine. Per questo analizziamo ora i termini indigeni che si riferiscono a dio o alla