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2 Colonizzazione e società zapoteca

2.1 Struttura sociale

Per ricostruire la struttura della società zapoteca, ma prima ancora la sua genesi e la sua formazione nel corso dei secoli, è utile fare riferimento agli studi di etnostoria. Gli studiosi che si sono occupati del tema in passato, i quali, oltre alle fonti archeologiche, si sono basati essenzialmente sulle Relaciones Geográficas, sono Alfonso Caso, Ignacio Bernal, John Paddock, John Chance, Joseph Withecotton, Kent Flannery e Joyce Marcus. Questi specialisti concordano nel delineare una società zapoteca (ci riferiamo al momento del contatto) bipartita in due strati sociali, tagliati trasversalmente da “stati” o gruppi con una funzione specifica, ovvero il clero e l’esercito. È possibile infatti individuare una classe nobiliare e una classe plebea, ciascuna con i propri compiti e i propri mestieri specifici. Tuttavia, a formare la classe sacerdotale e quella militare concorrevano entrambe le classi, fornendo l’una i sommi sacerdoti e gli ufficiali dell’esercito, l’altra i sacerdoti ausiliari e i soldati semplici.

Secondo quanto emerge dalle relazioni spagnole, come si vedrà poco più avanti, queste due classi (che secondo Whitecotton112 non possono, tuttavia, definirsi caste) si mantenevano separate per mezzo di un regime matrimoniale endogamico, che proibiva le unioni fra individui appartenenti a strati sociali diversi.

Lo strato superiore, cioè la nobiltà ereditaria, aveva al proprio vertice un governante maschio, il coqui, e la sua sposa principale, la xònaxi. Il Vocabulario (rinviamo alla sezione “gerarchia sociale”) riporta un’ampia gamma di termini, che distinguendosi per il prefisso e utilizzando queste stesse radici, descrivono una stratificazione gerarchica all’interno della classe nobiliare. Essa, infatti, si divideva in numerosi livelli, ma i nobili erano tutti appartenenti allo stesso strato e pertanto potevano contrarre matrimonio gli uni con gli altri, indipendentemente dal proprio grado di nobiltà. La stratificazione interna alla classe nobiliare fu vista dagli spagnoli altrettanto variegata di quella europea, coi suoi principi, duchi, conti e baroni.

Come testimonia il Vocabulario, fra gli zapotechi esistevano almeno tre lignaggi nobiliari: tija coqui, lignaggio dei signori ereditari di più alto rango; tija joàna, lignaggio di nobili non reali,

112

Joseph Whitecotton, Los Zapotecos: principes, sacerdotes y campesinos, México, Fondo de Cultura Económica, 1985, p. 162.

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ma pur sempre elevati, equivalenti ai cavalieri; tija joánahuini, lignaggio ancora inferiore, affine agli hidalgos e ai baroni europei. Complesse residenze si associavano frequentemente a questi nobili. Ad esempio, un coquí viveva in una yòho quèhui, o «casa reale», mentre un coquitào viveva in un quihuitào, «splendido palazzo reale». Tali palazzi erano solitamente di adobe, con fondamenta di calcestruzzo.

L’altro strato della società era costituito dai plebei, dai servi e dagli schiavi. Anche all’interno della classe popolare sussistevano molte differenze di categoria, di prestigio e di ricchezza, distinzioni che tuttavia non implicavano ulteriori divisioni giuridiche, ragion per cui il regime endogamico non precludeva matrimoni, ad esempio, fra un mercante e una serva.

Persino gli schiavi erano parte integrante della classe plebea e non costituivano un sottogruppo separato. Essi erano, per lo più, membri di altri gruppi etnici, catturati come prigionieri di guerra.

A livello giuridico, si riteneva che i plebei appartenessero ai tija pèniquéche, cioè «lignaggi di vicini», i quali abitavano in case semplici, «yòho». Come si può dedurre dal Vocabulario e come si vedrà nella sezione specifica, i plebei svolgevano un vasto ventaglio di occupazioni e mestieri, da jornaleros a falegnami, da tessitori a commercianti, da danzatori a musicisti, da scultori a pittori a interpreti, indovini, curanderos, minatori, contadini, etc.

Esistevano anche plebei ricchi, come i mercanti o i mastri artigiani, ma non si può parlare per la società zapoteca di una vera e propria classe media, nel senso di un terzo strato endogamico. Se come stile di vita un ricco commerciante godeva di tutti gli agi di un piccolo signore, questi due soggetti sociali si distinguevano in quanto il secondo poteva essere eletto per svolgere cariche pubbliche e governative, nonché contrarre matrimonio con altri nobili, mentre al primo tali privilegi erano preclusi.

Le differenze essenziali fra nobili e plebei consistevano in privilegi ereditari e il rango sociale era sottolineato pubblicamente dalla diversità di abbigliamento (sia in situazioni civili, che militari) e di alimentazione, nonché dall’uso di perifrasi riverenziali per rivolgersi alla nobiltà (v. Arte113).

113

77 2.1.1 Divisione in classi e gerarchia sociale

All’interno del Vocabulario quest’ambito, unitamente a quello religioso, è il più ricco di termini di interesse etnografico.

Rispetto a esso abbiamo individuato due sottoaree tematiche, comunque strettamente relazionate: la prima, che presentiamo in questo paragrafo, riunisce vocaboli legati alla struttura sociale, i suoi livelli gerarchici e la suddivisione in classi; la seconda, esaminata nel paragrafo 2.2.1, è formata da lemmi relativi all’organizzazione interna dei vincoli di parentela, la cui definizione presenta alcuni legami con l’organizzazione sociale, per mezzo di istutuzioni giuridiche quali il matrimonio, l’eredità e la linea di successione, l’adozione, la distribuzione dei ruoli fra uomo e donna, etc.

Circa la nobiltà, le voci «Linaje» – tija –, «Señor», «Señora», «Cauallero», con i loro molteplici lemmi, dimostrano che esistevano almeno tre livelli di gerarchia.

Riportiamo di seguito le voci del Vocabulario che mostrano attinenza con la divisione sociale, annotando prima i termini relativi a «casta» e «lignaggio» ed elencando poi quelli che si riferiscono a precise figure sociali, secondo il loro grado gerarchico:

- «Casta linaje. Tija, quela-tija»;

- «Generacion ò genealogia. Vide linaje. Tija, pi+nij, xi+tija÷ya, xi+pi+nija quela-co+zàana». - «Generacion ò linaje noble de caualleros. Tija coqui, tija-joàna».

- «Linaje — generalmente o cepa. Tija-cocíyo, huecháa, huichaana, cózáana, picinjgo»; — de señores grandes. Tíja-coquij. [ve]l. Coquì»;

— de señores más bajos como cavalleros. Tija-joàna»;

— más bajos como de hidalgos. Tija-joána-huíni, tija-collába»; — de populares o labradores. Tija-péni-quéche».

- «Ralea o linaje. Vide linaje. Tija, quèla-tija».

- «Noble de condicion real. Pèni làchi pàa, làchi làna, tòa tìcha. [ve]l. làchi-xène»;

- «Rey todos los nombres sacando el primero son nombres del officio de rey. Coqui, conñij-tào, cobèe-pèa-tào, coquì-che-pèa-tào, hue+tòco-tìcha pèa-tào, cocòo-pèa-tào»;

- «Reyna coquì-xonàxí lechèla rey»;

- «Señor — de casa o señor de familia o de qualquier cosa. Pe+joàna yòho, &c., con de lo que es. s. joàna yòho. [ve]l. Pe+joàna-huaxi-yòho, huaxi-lìchi÷ni»;

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— de siervos o de la casa. Pe+joàna, y pe+chàna. si es de casta»; — muy grande como emperador o rey. Coquì-tào hue+zàqui-quèche»; — de casta. Coquì. Si es grande. Coqui-tào»;

— grande. Joàna, coquì»;

— como cauallero o hidalgo. Joàna lahuìti»;

— soberano, poderoso como Dios. Coquì-tào niqui-zàala-tàca, niqui-zàala-còca, coquì-hue+zàquí-quèche»;

— ser de gentes o de hazienda. Tàca-coquìa, napàni, nolànía, na cijxiàaya». - «Señora — de siervos y de la casa. Pe+joàna. Y si es de casta. Chàna, xonàxi pe+joàna»;

— de linaje grande. Coqui-tào-xonàxi, xonàxi-coquì-tào»; — grande algo menor. Coquì-xonàxi»;

— muchacha ò niña. Patào xonàxi»;

— como de linaje de caualleros medianos. Xònaxi xini-joàna,càní xìni joàna»;

- «Principe — o principal. Coquí-huàlào»;

— hijo del rey o del señor, mientras que es mochacho le llaman anthono matice. Patao, petáo. s. Niño».

- «Princesa — Coquií-xonáxi. [ve]l. Xonási».

- «Cauallero — grande. Joàna-rào»;

— absolute. Joàna, peni-joana, peni-tija joàana»; — mediano o hidalgo. Joàana quela-tija joàna».

- «Baxo de linaje, hombre baxo mucho. Peni quèche-tète, nicòca-tète. Peni còca-tète». - «Vassallo. Xo+pàci, xi+co+pàci. [ve]l. xo+bàci co+pàci»;

- «Vassallos gente plebeya. vide popular. Càni pèni-guèche, càni pèni-lào-quèche, nàa-quèche».

Riguardo al primo gruppo di termini, quelli relativi a «casta» e «lignaggio» concordano tutti nel presentare il vocabolo zapoteco «tija». Il più esaustivo per delineare la stratificazione sociale è senza dubbio «linaje», secondo il quale possiamo ricostruire una società bipartita: da un alto i nobili, «tija coqui», «tija-joàna», dall’altro la gente del popolo, «tija-péni-quéche». Stando sempre ai dati forniti da questo lemma, la nobiltà al suo interno si suddivideva in ulteriori tre strati: nobiltà regnante, «tija coqui», alta nobiltà, ma non regnante, «tija-joàna», bassa nobiltà, paragonabile agli hidalgos spagnoli, «tija-joána-huíni» o «tija-collába».

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Nella sequenza successiva di termini, appare evidente che il vocabolo «coqui» designa inconfutabilmente il grado più alto all’interno della nobiltà regnante: indica il sovrano, o la figura più eminente all’interno della dinastia (v. «Señor de casta. Coquì. Si es grande. Coquì-tào»). Tuttavia, pare fosse contemplato un grado gerarchico ancora superiore e corrispondente alla figura dell’imperatore: «Señor muy grande como emperador o rey. Coquì-tào hue+zà-quiquèche». Si noti che quest’ultimo termine zapoteco ricorre anche nel lemma «Señor soberano, poderoso como Dios. Coquì-tào niqui-zàala-tàca, niqui-zàala-còca, coquì-hue+zàquí-quèche», a indicare la grandezza del potere di un simile sovrano, equiparabile a quella di un dio in terra. «Queche», con le sue varianti «quèche» e «quéche», è un sintagma che ricorre molto frequentemente nella lingua zapoteca e in contesti spesso diversi e senza alcun legame fra loro. Tuttavia, lo si trova sovente, all’interno del dizionario di Córdova, in voci che appartengono al campo semantico della gente comune, del popolo (v. per es. «Generacion» e «Vassallos»). È allora possibile che il termine zapoteco, che traduce lo spagnolo emperador, significhi qualcosa come «signore sommo di popoli o genti», «colui che sta in cima alle genti». «Hue» è infatti un prefisso agentivo che unito alla radice verbale «za-», «andare/essere in cima», può significare «colui che sta al di sopra».

Segnaliamo però che «queche» significa anche «città» o «villaggio»114. In tal caso il termine potrebbe tradursi come «grande signore di città o della città».

Inoltre, se confrontiamo il termine in esame con quelli che traducono i vocaboli

- «Conquistador. Hue-záaqui-quéche, co+càa-xóo-tilla, hue-tipi-nija-quelayè»; - «Vencedor triumphador en guerra. Hue-zàqui-quèche, hue-zàqui nèza».

sorprende l’identità dei tre termini. Per questa ragione, il vocabolo che traduce «imperatore» potrebbe voler dire letteralmente «grande signore che vince in guerra», «colui che ha trionfato in guerra e conquistato» e, ancora «signore conquistatore».

Tornando alla sequenza sinonimica che traduce lo spagnolo «rey», notiamo che il missionario si premura di rilevare che solo il primo termine, ovvero «coqui», si riferisce alla carica del re, mentre gli altri sono relativi “al officio del rey”. Quest’avvertenza indica che «conñij-tào, cobèe-pèa-tào, coquì-che-pèa-tào, hue+tòco-tìcha pèa-tào, cocòo-pèa-tào» sono vocaboli che esprimono le funzioni del re.

114

V. Voc.: «Arrabal. Xobanaquèche, queche xiche quèche»; «Barrio de villa o lugar. Tòbi lào-quèche, tobi quiña

queche, chacuè quèchè»; «Comarca de pueblo. Qui-tòbi quèche, pi+zàa quèche, pi+zàa qui-tòbi quèche», «Ciudad los

edificios, vide pueblo. Quèeche. [ve]l. queechi»; «Ciudad ayuntamiento de ciudadanos. Qui+tóbi-queche, qui+táa-

pèni-quèche»; «Pueblo. Quèche»; «Vezino de vn lugar o villa o natural. Pèni quèche, pèni hua-làache»; «Vezino de

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Ho cercato di ricostruire l’etimologia di questi termini, per accertare in cosa consistessero le funzioni del sovrano, apporto che può far luce anche su qualche aspetto dell’impianto giuridico e istituzionale della società zapoteca. Per fare ciò mi sono basata sugli studi del Vocabulario condotti, a mio giudizio magistralmente, da Smith Stark115, compendiandone, in certa misura, gli esiti. Sebbene l’eminente linguista si sia occupato dei termini relativi all’ambito religioso, nel portare avanti la mia indagine etimologica, avvalendomi del suo metodo, ho rilevato interessanti parallelismi fra molti vocaboli appartenenti al campo semantico della religione – attributi di divinità, figure specifiche all’interno della gerarchia sacerdotale, officianti delle pratiche magiche – e al campo della struttura sociale e delle cariche civili.

A questo proposito, analizziamo nel dettaglio i termini che traducono la parola «rey»:

- «Conñij-tào, cobèe-pèa-tào, coquì-che-pèa-tào, hue+tòco-tìcha pèa-tào, cocòo-pèa-tào»

Innanzitutto, notiamo che tutti e cinque i termini presentano l’aggettivo «tào», «grande». Inoltre, tutti a eccezione del primo, di cui ci occuperemo più avanti, contengono la parola «pèa», che a seconda dei contesti significa «abitudine, arte, maniera, misura, stile, usanza».

«Pèa» si trova spesso, in alternanza con «tìcha», «parola, lingua», associata alla radice verbale tòco / tògo / toçò che significa letteralmente «tagliare»116. Questi termini abbinati al verbo «tòco», ne modificano l’accezione in senso metaforico: «tògo-tìcha» e «tògo-pèa», che in senso letterale significano rispettivamente «tagliar parola» e «tagliar abitudine, costume, maniera, misura, stile, usanza», assumono, rispettivamente, il valore di «giudicare»117, e quello di «giudicare, comandare, governare»118.

115

Thomas Smith Stark, “Dioses, sacerdotes y sacrificio: una mirada a la religión zapoteca a través del Vocabulario en

lengua çapoteca (1578) de Juan de Córdova”, La religión de los binningula’sa’, a cura di V. de la Cruz e M. Winter,

Instituto Estatal de Educación Pública de Oaxaca, Oaxaca, 2002. D’ora in poi ci si riferirà a questo testo col titolo abbreviato “Dioses, sacerdotes y sacrificio…”.

116

V. Voc.: «Cortar algo generalmente. To-tògo÷a, ti+cichi÷a, to-ttógo÷a», nella quale si riconosce la radice togo/toco.

117

V. Voc.: Fra le equivalenze che traducono «Iuez ordinario ò como quiera. Iuez {l.} hue+tògo-ticha, co+bèe-nija»; «Gouernador. Vide rey, regir. Hue+zàa-lào ticha, hue-tòco ticha, co+quiche pèa, co+bèe pèa, na-pàni, na-llàni

quèche»; «Iuzgar sentenciando. To+tògo ticha÷ya, ti+qui+chepèa−ya. coti»; «Regidor que rige o gouierna. Hue+tògo-

tìcha, pèa, co+quìche-pèa, co+bèe-pèa»; «Sentenciador. Hue+tòco tìcha», si trova l’espressione «hue+tògo-ticha»,

«hue+tòco-ticha», «tògo-ticha».

118

V. Voc.: «Tògo-pèa» o «tòco-pèa» si trovano, ad esempio, nelle serie di equivalenze che traducono «Arbitrar, juzgar entre partes. Vide juez. To+tògo-pèa÷ya, to+tògo-ticha-làhui. [ve]l. pèa»; «Instituyr qualquier cosa el que tiene poder para ello. Vide mandar ordenar. Tocó-péa÷ya, to+çóo-xiquà÷ya, tiqui-che-pèa, co+tíche», «Mandar el señor o mayor.

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Con questi elementi è già possibile tradurre letteralmente il quarto dei termini sopra elencati – «hue-tòco-tìcha pèa-tào» – il quale presenta tra l’altro un dilogismo, come «colui che giudica e comanda», ovvero «il grande giudice e governatore».

È importante rilevare, anche se il tema verrà sviluppato nel capitolo seguente, come termini costruiti sulle stesse radici – «Hue-tòco-tìcha-tào», «Hue-tòco-pèa-tào», «Toçò-pèa÷ya» – si trovino nelle sequenze sinonimiche che traducono «Dios padre de todos y que sustenta todas las creaturas y las rige», «Dios regidor gobernador con todos los atributos que a esto se ayuntan» e «Dios ser assi todo lo dicho y deshazerlo disponerlo y obrarlo». Tali termini sono utilizzati come attributi della divinità per indicare la sua qualità di sovrano universale. Ma, avvertiamo fin d’ora che l’associazione fra la divinità e la figura del re signore, suona di matrice piuttosto cristiana e, per questo, può essere che si tratti di un calco dallo spagnolo.

Per quanto riguarda il terzo – «coquì-che-pèa-tào» – si può riconoscere facilmente la parola «coquì», «signore». Tuttavia, non ho trovato altri luoghi in cui la radice «che» sia associata a «pèa», mentre il verbo «quiche», «spezzare»119, unito a «pèa» assume un valore metaforico analogo a «tòco-pèa», cioè «giudicare, comandare»120. Ritengo di conseguenza che possa trattarsi di una trascrizione erronea e che la parola sia, in realtà, composta dal prefisso agentivo «co+», seguito dal verbo «quiche», a sua volta orientato in senso metaforico dalla presenza del vocabolo «pèa». Se ne otterrebbe il termine «co+quiche-pèa-tào», che significherebbe «il grande giudice o il grande detentore del comando».

Anche in questo caso «co+quiche-pèa-rào» si trova come attributo di una divinità in:

- «Dios regidor gobernador con todos los atributos que a esto se ayuntan: hue-tòco-ticha-tào, co- quiche-pèa-rào, co-quixè-pea-tào, co-bàqui-pèa-rao, co-llàba-pèa-rào».

To+tògo pèa÷ya. l. tìcha, tibèe pèa÷ya», «Regir. Vide reinar, gouernar. Ti+quìche-pèa÷ya, ti+tògo-pèa÷ya, to+tògo-

pèa÷ya. [ve]l. tìcha-pèa, ti+còo-pèa÷ya».

119

V. Voc.: «Frangollar moler mal molido. Ti+quìche÷a, co+ti»; «Quebrar palo o assi troncar tronchar. Ti+quíche÷a,

co+ti, ti+quícha÷ya, co+ti»; «Quebrador tal. [Quebrar palo o assi troncar tronchar.] Péni-co+quíche, co+quícha».

120

V. Voc.: «Capitan que manda en la guerra. Co+quiche-pèa peni-pée, pèni-quelayé, pi+xóce»; «Determinar alguna diferencia entre partes. Ti+quìche pèa÷ya»; «Determinador della assi [de alguna diferencia]. Vide juez arbitro.

Co+quìche-pèa»; «Gouernador. Vide rey, regir. Hue-zàa-lào ticha, hue-tòco ticha, co+quiche pèa, co+bèe pèa, na-

pàni, na-llàni quèche»; «Mandon que manda mucho. Co+quìche pèa ciàni, co+quìche pèa, càti càtigàa»; «Regir. Vide

reinar gouernar. Ti+quìche-pèa÷ya, ti+tògo-pèa÷ya, to+tògo-pèa÷ya. [ve]l. tìcha-pèa, ti+còo-pèa÷ya»; «Reynar. Vide gouernar y proueer y regir mandar. Tòni-coquì÷a, ti+çòo÷a, to+tògo-tìcha-pèa÷ya, ti+bèe-pèa÷ya, colè, ti+quìche-

pèa÷ya»; «Tassador. Co+quìche-pèa quèya, hue-tògo-quèya». Tutti questi termini contenenti il binomio «quiche-pèa»

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Molto più oscuro e difficile da determinare è, invece, l’etimo di «cocòo-pèa-tào». Infatti il vocabolo «cocòo» ricorre nel Vocabulario in una serie di contesti eterogenei121 per i quali non sono riuscita a circoscrivere precisi campi semantici. L’unica osservazione che ho potuto operare è che una serie di termini contenenti «cocòo» mostrano qualche legame, a vario titolo, con il campo semantico della parola e, in particolare, della parola offensiva, dell’ingiuria.

Dei termini in cui ricorre la radice «cocòo», solo nel seguente:

- «Abad prelado de monjes. Pixòce coquì còpa-pitòo, co+quìche-pea, cocòo-pea»

si trova associato a «pèa» e, in effetti, tale binomio è usato come sinonimo di «co+quìche- pea», che, come si è dimostrato poco sopra, significa «colui che ha o detiene il potere», «colui che comanda e giudica».

Sussiste anche la possibilità che «cocòo» sia un termine composto dal consueto prefisso agentivo «co+» e dalla radice verbale «còo». In effetti, «còo» associato a «pèa» si trova in termini che hanno attinenza con il misurare, il porre limiti, il regolarsi e il comandare122 e il binomio di termini preceduto dal prefisso «co+» indica figure detentrici del comando123.

Veniamo ora al primo dei termini della sequenza sinonimica che traduce lo spagnolo «rey»:

- «Co+nñij-tào»

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V. Voc.: «Abad prelado de monjes. Pixòce coquì còpapitòo, coquìchepea, cocòo-pea»; «Acusador falso. Peni-cocòo-

quia-xihui. [ve]l. hue+ni+làchi. [ve]l. pijci»; «Aposentador assi [en su casa]. vide hospedar. Peni co+bàqui-lichini.

[ve]l. Cocòo-lichini»; «Auentador que auienta. Hue+lága, hue+ni, cocòo-pe, cóo-pee»; «Auergonçar a otro, o afrentarle afeandole vna cosa que hizo reprehendiendole. Toci-cocòo÷ya»; «Baldon que se dize. Ticha cocòo»; «Injuria assi. [affrentando] Ticha-cocòo»; «Injuriacion. Quela-cocòo, quela-yàxe»; «Muger machorra. Vide esteril. Coxijcho,

cohuèche, cocòo, cotòba»; «Palabras duras affrentosas methaphora. Pij-tóxo, Pij-quéça, pij-yána, tícha-naquéça,

cocòo»; «Peccador. Tonijti lào quela-na+tòhui, quela cocòo, q[ue]la-pàa làna»; «Reprehension assi passiua.

[reprehension la que se da] Quela-na+cij-cocòo, quela-na+tóhui-láo, quela-huíña-tícha-cocóo, tícha-na+tóhui,

na+chéche»; «Reprehendedor que reprehende. Péni-hue+cij-cocóo»; «Reprehension lo que se dize. s[cilicet], la

substancia. Cocòo, tícha-cocóo».

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V. Voc.: «Medidor tal. [cantidad continua] Huecà pèa, co+quìxe-pèa, còo-pèa»; «Medidura actiua. Quela hue+cà-

pèa-quela còo-pèa, quela co+quìxe, pèa»; «Medirse el hombre assi proprio, ò tentarse para conocerse. Ti+còo-pèa làchia. Toçàca-pèa làchi yòbia»; «Regir. Vide reinar gouernar. Ti+quìche-pèa÷ya, ti+tògo-pèa÷ya, to+tògo-pèa÷ya.