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La molteplicità di dèi nel panteon zapoteco

3 La religione indigena fra sopravvivenze e sincretismo

3.2 La molteplicità di dèi nel panteon zapoteco

Prima di intraprendere qualunque analisi in campo religioso, bisogna tener conto del fatto che ciò che possiamo conoscere della religione mesoamericana, in generale, e zapoteca, in particolare, è il suo stadio evolutivo nel Post-classico (quindi di un periodo relativamente recente), per di più filtrata dall’ottica dei missionari e dei colonizzatori, che ce ne restituiscono la loro interpretazione. Inoltre, è necessario considerare che la penetrazione in territorio oaxachegno dei mexica, poco prima dell’arrivo degli spagnoli, e la loro permanenza durante tutto il periodo coloniale, diede origine a un’ibridazione interna alle due religioni indigene, per cui la religione zapoteca assimilò elementi di quella azteca. Non solo, quindi non possiamo accedere in maniera diretta alla religione zapoteca, dovendo affidarci a ciò che gli osservatori europei ci hanno tramandato, ma dobbiamo anche considerare il fenomeno di un certo sincretismo interno alle religioni indigene.

Come è possibile, allora, giungere a una definizione della cosmovisione indigena e, nello specifico di quella zapoteca?

Secondo López Austin300 esisterebbe una cosmovisione mesoamericana caratterizzata da una serie di elementi comuni estremamente resistenti alla trasformazione storica, che costituirebbero il “nucleo duro” della religione nativa. Esso sarebbe un’entità estremamente antica, formatasi all’epoca delle società egualitarie dei villaggi del Pre-Classico e molti dei suoi elementi sarebbero tuttora vivi nelle comunità indigene, nonostante la conquista e i lunghi secoli di colonizzazione e di meticciato cu

300

Alfredo López Austin “El núcleo duro, la cosmovisón y la tradición mesoamaricana”, Cosmovión, ritual e identidad

de los pueblos indígenas de México, Johanna Broda – Félix Báez-Jorge, México, CONACULTA – Fondo de Cultura

153

In sostanza, quindi, come afferma Botta301: “di fronte al ‘tremendo impatto’ della conquista, l’unica possibilità di ricostruire ‘l’autenticamente nativo’ sta nell’aggrapparsi a quel ‘nucleo duro’ di elementi culturali tanto resistenti al cambiamento da sopportare non solo il mutamento interno, ma anche l’incontro col mondo completamente ‘altro’”.

Da un lato, dunque, intervengono i cambiamenti interni e le strategie di adattamento del sistema religioso indigeno. Dall’altro, lo studioso deve fare la tara all’inevitabile deformazione dei concetti autoctoni operata da chi li ha tramandati alla posterità, tenendo sempre ben presente che i missionari interpretarono la diversità locale attraverso le loro categorie europee.

Il processo interpretativo dei missionari, per altro, non solo era soggetto a un fraintendimento inconscio, ma, in certa misura, era anche deliberatamente deformato allo scopo di giustificare la condanna del carattere idolatrico del paganesimo indigeno. Ed è persino lecito supporre che in gran parte i missionari furono gli “inventori” del panteon mesoamericano302, che come già si è sottolineato, non poteva essere equiparato a quello fisso e antropomorfo tipico del paganesimo classico greco-romano.

In primo luogo, è bene mettere in luce che il concetto di divinità elaborato dalla cultura occidentale è molto diverso da quello caratteristico della religione mesoamericana.

Nello specifico della religione zapoteca, ad esempio, il termine che fu tradotto, semplicisticamente come «dio», nelle dottrine, nei confessionari, nelle grammatiche e nei vocabolari, era pitào, che, alla lettera, significa «grande spirito» (da pi- «vento», «alito», «soffio vitale», e tào «grande»). Pitào, però, da quanto ci è consentito di dedurre dagli elementi linguistici di cui disponiamo, non veniva mai riferito a una divinità specifica, ma piuttosto alla forza vitale grande e sacra attribuita a un essere extraumano e soprannaturale. Il termine, comunque, fu adottato dai frati per tradurre la loro concezione di “dio” e, da allora, diventò – come teotl, in ambito nahua – un significante condiviso da entrambe le culture, che a causa dell’equilibrio asimmetrico fra dominanti e dominati, all’interno del rapporto dialogico di acculturazione, finì per allontanarsi dal valore preispanico, diventando oggetto di una risignificazione nella quale prevaleva il senso occidentale.

Già Wilfrido Cruz303 aveva messo in rilievo come il termine, a causa della reinterpretazione operata dagli spagnoli, finì con l’assumere un significato che non corrispondeva alla concezione zapoteca, processo che sortì il risultato di deformare tutte le successive letture della religione indigena.

301

Sergio Botta, Le acque preziose, saggio sui sistemi religiosi mesoamericani, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 20-21.

302

Ibid., p. 83.

303

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È opportuno, allora, riflettere sul concetto di divinità, e chiedersi se esso sia un universale presente in tutte le culture e, pertanto, condiviso anche dai popoli mesoamericani, o non sia piuttosto un concetto occidentale introdotto dai missionari, che “avendo bisogno di un politeismo con cui misurarsi e di dèi da sbugiardare”304, costruirono un modello di panteon antropomorfo sullo stile dei paganesimi politeistici che nel corso della storia il cristianesimo aveva già affrontato e combattuto.

Ritenendo corretta quest’ultima ipotesi, si può supporre che i frati siano stati gli artefici di una vasta opera di “invenzione”, funzionale all’impresa evangelizzatrice e derivante dall’imbarazzo di fronte a una concezione nativa che non era direttamente sovrapponibile alla categoria occidentale di divinità.

Infatti, le divinità mesoamericane devono essere considerate come realtà che non si esauriscono in una sola funzione e non si spiegano in base a un codice unico305. In altri termini, esse non sono fisse e con i loro molteplici aspetti e funzioni sono atte a convogliare in sé, a unire, diversi e complessi interessi umani: “ogni divinità politeistica è complessa e ognuna unisce nella propria figura aspetti e settori apparentemente eterogenei di ciò che nel mondo dell’esperienza umana ha un interesse religioso, ogni figura divina è quindi un’organizzazione di esperienze e interessi religiosi”306.

E tuttavia, un riferimento troppo marcato al modello delle divinità politeistiche rischia di essere fuorviante nell’analisi dei sistemi religiosi mesoamericani.

Sempre secondo Brelich307 le divinità appaiono come il risultato di un’oggettivazione della natura in forme divine necessarie a stabilire una distanza fissa dalla natura stessa. Le divinità assumono il ruolo di intermediari che rendono possibile la comunicazione fra l’uomo e la natura. La codificazione di un numero limitato di divinità, ciascuna dotata della propria sfera di competenza, deriva dalla necessità di rendere definito e, quindi comprensibile, l’infinitamente molteplice, processo che sfocia nella costituzione di un panteon. Tuttavia, questo procedimento tipico dei sistemi politeistici solo in parte si realizza all’interno delle religioni mesoamericane, nell’ambito delle quali la molteplicità di dèi prolifera in maniera esponenziale. Miller e Taube308 avanzano il dubbio che l’abuso del concetto di divinità abbia prodotto la pletora di dèi, ognuno distinto da

304

Dario Sabbatucci, Politeismo, Roma, Bulzoni, 1998, p. 643.

305

Angelo Brelich, Il politeismo, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1957-58, p. 69.

306

Ibidem.

307

Ibidem.

308

Mary Miller – Karl Taube, An Illustred Dictionary of the Gods and Symbols of Ancient Mexico and the Maya, London,Thames & Hudson, 1993, p. 89.

155 o.

minuscole differenze. López Austin309, dal canto suo, ha elaborato una teoria concernente la duttilità dei panteon mesoamericani, secondo la quale gruppi di dèi possono fondersi e incarnarsi in un dio superiore che li rappresenta e che assume ciascuna delle loro caratteristiche; ma possono anche scindersi, dando vita a una serie di altri dèi, che incarnano un attributo specifico del dio da cui derivan

Totalmente scettica rispetto alla possibilità di definire come dèi le entità extraumane delle religioni mesoamericane, è, invece, Joyce Marcus310 che ritiene sussista una forte matrice animistica all’interno del politeismo zapoteco, il quale si fondava sul concetto di forza vitale, che distingueva gli esseri animati e viventi da quelli che non lo erano. Per gli zapotechi tale forza era il pèe «vento», «respiro», «spirito»311. In modo ancora più deciso, Marcus312 si oppone vivamente alla definizione di “dio” per le entità soprannaturali zapoteche e alla loro rappresentazione antropomorfa313. Interrogandosi rispetto a quante e quali fossero le presunte divinità del panteon zapoteco, e ragionando sull’elenco registrato da Córdova, avanza l’ipotesi che le ventiquattro divinità del Vocabulario, corrispondano alla maniera zapoteca di dirigersi alla forza vitale contenuta nei fenomeni naturali da esse rappresentate e che corrispondevano alle forze soprannaturali dell’universo. Per esempio, continua ad argomentare la studiosa statunitense, quando uno zapoteco voleva esprimere l’idea di un abbondante raccolto, usava cozobitào, ma quando faceva un’offerta o si dirigeva al “respiro” o alla “forza vitale interiore” della messe, utilizzava Pitào Cozobi, che non è lo stesso concetto di una divinità incaricata delle messi. Similmente, Pitào Cocijo non era la divinità a carico della pioggia, ma il “grande spirito”, la “vita interna” contenuta nel fulmine, nel tuono e nella pioggia.

Ogni cosa priva di pèe era considerata inanimata e poteva essere manipolata per mezzo della tecnologia. Mentre ciò che possedeva pèe e di conseguenza era vivo, dunque in certo senso sacro, era oggetto di rispetto, e non poteva essere semplicemente utilizzato, ma si interagiva con esso per mezzo di rituali. A livello linguistico, le varianti della stessa radice pe- / pi- sono presenti, come

309

Alfredo López Austin, “Nota sobre la fusión y fisión del los dioses en el panteón mexica”, Anales de Antropología, 20, 2, pp.75-87.

310

Kent Flannery – Joyce Marcus, The Cloud people, cit., p. 345.

311

Sempre Marcus (The Cloud people, cit., p. 345) osserva alcuni paralleli di questo concetto presso altre culture mesoamericane: per i mixtechi era yni o ini «spirito», «cuore», «testa»; per gli aztechi era il tona «energia vitale», «testa» e per i maya era ku o ik «vento», «respiro», «vita».

312

Kent Flannery – Joyce Marcus, The cloud people, cit., p. 349.

313

Dallo studio delle urne, ritiene di poter affermare che non si tratti direttamente di divinità, ma di uomini, sovrani e sacerdoti, addobbati con le insegne dell’entità extra-umana di cui era considerati intermediari. In questo senso propone una lettura delle urne funerarie in chiave radicalmente diversa da quella canonica inaugurata da Caso.

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prefisso, in molte parole che indicano esseri animati. Vari fenomeni come nuvole (zaa), terremoti (xoo), fulmini (cocijo) erano considerati alla stregua di forze soprannaturali.

Spesso si è sorvolato, sull’aspetto animistico, in quanto si è soliti credere che l’animismo non possa essere un sistema religioso caratteristico di stati o civilizzazioni strutturate e complesse: tali “alte culture” si suppone abbiano complessi panteon di dèi o che siano monoteistiche. Al contrario, pur senza definire la religione zapoteca come monoteistica, la studiosa nordamericana ritiene che essi riconoscessero un essere supremo. Quest’essere supremo, in cambio, avrebbe creato una serie di potenti forze soprannaturali tra cui il fulmine, il sole, il terremoto, il fuoco, le nuvole, con cui gli zapotechi interagivano, ma che non possono essere considerate individualità soprannaturali a sé stanti. Fra di esse non sussisteva un ordine gerarchico, ma i loro ambiti di competenza erano mobili e spesso sovrapponibili, per cui gli “spazi di intervento”314 degli uni sconfinano in quelli degli altri, ragion per cui diventa difficile tracciarne i confini in maniera nitida. Secondo Nicholson315 il sistema religioso nativo si organizzava intorno a gruppi di divinità, accomunati dal vincolo con alcuni “temi di culto” fondamentali. Dunque, all’interno dei panteon mesoamericani si possono individuare “complessi di divinità”, ovvero “gruppi di divinità che esprimono differenti aspetti e sono caratterizzati dall’esistenza di alcuni sottotemi”, per quanto non sia sempre netta la demarcazione fra di essi e anzi spesso tendano a sovrapporsi.

In definitiva le posizioni assunte dagli studiosi sono varie e spesso contraddittorie.

Un altro aspetto importante della religione zapoteca, il quale fu causa di ulteriori malintesi fra i rappresentanti delle due cultura, era il culto degli antenati, e in particolare degli antenati reali. Tale pratica fu largamente fraintesa dagli spagnoli del XVI sec, che generalmente scambiarono le immagini di sovrani deceduti e divinizzati con idoli e dèi. Siccome il culto degli antenati reali variava da città a città, gli spagnoli finirono per credere che si trattasse di dozzine di dèi, dando inizio alla nozione di un esteso panteon indefinito, multiforme e in continua espansione.

3.2.1 Le divinità secondo il Vocabulario di Córdova

Va ricordato che Córdova aveva una conoscenza sicuramente estesa e variegata della cultura indigena, tanto per aver avuto contatto diretto e prolungato coi nativi, durante l’opera di predicazione, che per esser stato uno dei giudici incaricati di esaminare il caso di recidività

314

Sergio Botta, Le acque preziose..., cit. p. 95.

315

Henry B. Nicholson, “Religion in Pre-Hispanic Central Mexico”, HMAI, 15 voll., 1967-1975, Austin, University of Texas Press, a cura di Robert Wauchope, 1971, 10, pp. 395-446.

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idolatrica del sovrano Cosijopij, occasione grazie alla quale ebbe accesso a una serie di informazioni esoteriche precluse alla maggior parte dei missionari. Tuttavia, le informazioni che ci trasmette – dovuto anche al genere di opera che redige – sono piuttosto esigue e laconiche e lasciano al lettore il desiderio di saperne di più. Ciononostante, nel Vocabulario si trova registrata una quantità di nozioni utilissime per ricostruire, almeno in via ipotetica, gli aspetti salienti della religione zapoteca al momento del contatto e relativamente alla regione delle Valli Centrali.

Si è già detto che le entradas rispondenti alla voce «dios» sono in totale ventiquattro e che di queste quindici si riferiscono a divinità specifiche. Tuttavia anticipiamo, che di queste quindici, alcune possono essere unificate, sulla base di casi sinonimia all’interno della sequenza dei nomi zapotechi. Trascriviamo subito di seguito i lemmi del dizionario pertinenti ai nomi specifici delle divinità:

1- «Dioses del infierno. Pitào pezèlao»; 2- «Dios de los temblores de tierra. Pitào xoo»;

3- «Dios de los animales a quien sacrificaban cazadores y pescadores para que les ayudasen. Cozàana, pitòocozàana»;

4- «Dios o Diosa de los niños, o de la generación a quien las paridas sacrificaban. Huichàna, pitào huichaana, cochàna, huichàana»;

5- «Dios de las gallinas. Coquilào»;

6- «Dios de las riquezas y mercaderes. Pitào pèeze, pitàoquille pitòoyàge»; 7- «Dios de las ganancias dicha y ventura. Pitào quillepitòoyàge. [ve]l. yàxe»; 8- «Dios de las miserias y perdidas y desdichas. Pitàozij pitàoyàa, pitàotèe»; 9- «Dios de las miesses. Pitàocoçòbi»;

10- «Dios de la caza. Cozàaña, pitòo cozàaña»;

11- «Dios de los agueros. Pitòopijzi. [ve]l. pèeci. [ve]l. pijze»; 12- «Dios de los sueños. Pitào xicala, pecàla»;

13- «Dios del amor. Vide luxuria, el asmodeo o demonio que incita, como dicen el dios del amor. Pixèe pecàla»;

14- «Dios de las lluvias. Cocijo».

Innanzitutto vogliamo interrogarci su un primo dato, cioè su quale sia l’ordine seguito da Córdova nel registrare i nomi di queste divinità, dal momento che non si tratta di un elenco alfabetico. Si può ipotizzare che la sequenza rispecchi una qualche gerarchia o si adegui a una

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successione, magari a base calendariale, come quelle che analizzeremo più avanti, stilata sulla scorta delle notizie riportate dal maestro en idolatrias Diego Luis, informatore di Balsalobre.

Se si considerano alcune unificazioni, operabili, come si accennava, sulla base di coincidenze onomastiche nella traduzione zapoteca, risulta che undici sono le divinità diverse nominate registrate da Córdova (mentre, come vedremo più avanti, quelle nominate da Diego Luis sono tredici, una per ciascun giorno delle tredicine calendariali). Tuttavia a queste undici bisogna aggiungere il “dio supremo” Piye tào, Coquixée, Cozàana tào.

Dall’elenco e dalla successione proposta dal frate, nonché avvalendosi di fonti extratestuali, per lo più archeologiche, è possibile individuare:

- 2 diadi divine: una coppia composta da maschile e femminile (Cozàana e Huichàana) e un’altra composta da divinità afferenti ad ambiti opposti («Dio della ricchezza», Pitào pèeze e «Dio della miseria», Pitào zij).

- 2 dèi nominati 2 volte come afferenti a diverse sfere di influenza: 1) Cozàana, definito sia «Dios de los animales», che «Dios de la caza»; 2) Pecala, annoverato sia come «Dios de los sueños» che come «Dios del amor».

- una divinità nominata tre volte come afferente a diverse sfere di influenza: Pitào pèeze/pèeci che come dimostreremo poco più avanti si può identificare con Pitào yàge. Ne risulta che una stessa divinità assume, di volta in volta, il ruolo di «Dios de los agüeros», «Dios de la ganacia, abundancia y buena suerte», «Dios de la miseria y desdicha».

Cominciamo ora l’analisi delle diverse divinità, seguendo l’ordine proposto da Córdova.

1- Pitào Pezelao, «dioses del infierno»

Era sicuramente una divinità legata all’inframondo e al regno dei morti. Per questo suo carattere ctonio fu identificato dai frati col demonio. Infatti, nel Vocabulario si trovano alcune voci che confermano questa identificazione: «Diablo. Pezelào, quelayè-tènina» e «Diablo grande principal. Pezèlào-tào», «Demonio. Pezelào, pezèelào».

È interessante notare che la traduzione castigliana si trova al plurale: «dioses del infierno». Possiamo formulare alcune ipotesi in merito.

La prima si basa sull’esistenza di una divinità complementare, per quanto non registrata da Córdova, definita in più documenti come la “moglie del dio dell’inferno”: Xonaxi Quecuya316, Xonaxi Huilio317.

316

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La seconda può rispecchiare l’esistenza di divinità minori, che fungevano da intermediari fra l’uomo e il dio infero. Nella Relación di Ocelotepec, il dio principale era Bezelao «demonio», del quale si dice era un idolo universale che determinava il destino in guerra, ma che era invocato anche per attività agricole e commerciali, e al quale ci si indirizzava per mezzo di divinità minori, che si chiamavano Cozichacozee318. È quindi plausibile che esistesse tutt’una serie di pezelào, sui quali dominava Pezelào tào, ritenuto il “diablo principal”, anche se non è escluso che questa lettura risenta della concezione cristiana, secondo la quale Satana era il capo delle legioni degli angeli caduti.

La terza possibilità, che analizzeremo nel dettaglio nel paragrafo seguente, si basa sull’affermazione del letrado Diego Luis, secondo il quale il “dios del infierno” aveva tre manifestazioni.

Smith Stark319, nel cercare di ricostruire l’etimologia del nome ha notato un possibile legame di questa divinità con certi riti di sacrificio umano. Nota, infatti, il linguista che nella voce:

- «Cu. Donde sacrificauan antiguamente, era como tumulo de piedra a do subían por escalones, y allí matauan los hombres que sacrificauan. Eèche peze-lào, yèeche, zèe»,

compare il termine pezelào. È possibile, allora, che l’entrada riveli una stretta connessione del dio coi sacrifici umani e il luogo a essi preposto. Il linguista suppone, inoltre, che il nome sia composto dal noto prefisso pe-, per gli esseri animati e dalle radici zèe, «piramide», «tempio», «adoratorio» e lào, «volto», «faccia».

Altri termini relazionati a Pezelào sono:

- «Aues nocturnas que tenían por agueros. Xicochína pezeeláo, es metaphora».

Che sia un’espressione metaforica si spiega perché xicochina significa «messaggero», termine che associato a pezelào assume il significato di «messaggero del dio dell’inferno», pertanto «foriero di presagi». Se ne deduce che esisteva nel sistema religioso zapoteco una particolare specie di uccelli, considerati portavoce della volontà del dio dell’inframondo.

317

Gonzalo de Balsalobre, Relación auténtica…, cit., 353.

318

Acuña (RGA, cit., I, p. 89) riconoscendo la radice cocij-, ipotizza si tratti di entità extra-umane legate al fulmine.

319

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- «Vino de los Indios con que se emborrachan e por metaphora le llaman Xi-nìça pezèelào s[cilicet] agua del demonio».

Anche in questo caso siamo di fronte a un’espressione metaforica apparentemente propria dell’idioma zapoteco. Tuttavia sembra che nella traduzione spagnola sia insito un giudizio morale di impianto cristiano. Se da un lato xi-nìça pezèelào poteva essere una bevanda sacra al dio dell’inframondo (magari un brebaje con poteri psicotropi), dall’altro può anche trattarsi di un’interpretazione dei frati, che associavano il vino e la sregolatezza con attività viziose indotte dal demonio.

2- Pitào Xoo, «dios de los temblores»

Anche questa, come Pezelào, era una divinità terrestre, legata all’inframondo e alle profondità ctonie, ragion per cui fu spesso associata, dai missionari a Lucifero.

La parola «xòo» significa tanto «terremoto» come «forza». Purtroppo però il Vocabulario non ci fornisce elementi ulteriori per definire la sfera di competenza e le caratteristiche specifiche di questa divinità. Solo in un altro documento cinquecentesco, la Descripción del pueblo de San Miguel Tiltepec320, si trova una divinità, Laxoo, che forse può corrispondere a Pitào Xoo.

Diego Luis nomina un Lexee, «dios del infierno, Lucifer», afferamzione che conferemerebbe