campione; 5.5 La ricerca passo dopo passo; 5.6 Analisi e discussione dei risultati conseguiti.
5.1 Introduzione e presentazione della base letteraria
Vista la diffusione della realtà in tema e la vastità di risorse teoriche presentate in parte nelle pagine precedenti, in questa sede si vuole indagare sul campione di imprese italiane in seguito descritto, con lo scopo ultimo di constatare la validità dell’ipotesi più volte riportata dai media e da numerosi studi in campo circa le imprese con a capo una o più famiglie: secondo tale ipotesi infatti queste entità economiche, nonostante la crisi attuale che stiamo vivendo e, quindi, il duro periodo che l’Italia insieme ad altri Paesi sta affrontando, si dimostrano più forti rispetto alle altre società presenti sul mercato.
L’obiettivo dell’indagine è stato duplice in quanto si è cercato di verificare se e in che misura tali imprese creano valore per i portatori di capitale di rischio e, allo stesso tempo, sono stati individuati i principali fattori presenti alla base della creazione del valore.
Nel corso degli anni, gli interessati al tema in questione sono diventati sempre più numerosi272: sono stati creati dei veri e propri gruppi di ricerca sulla “family business”, sia a livello nazionale, come l’Osservatorio ABU nato dall’unione tra l’associazione Aidaf, la società bancaria Unicredit e l’Università Bocconi, sia a livello internazionale: anche la Commissione Europea ha istituito l’Overview of
Family Business Relevant Issues: Research, Networks, Policy Measures and Existing Studies, gruppo composto da esperti provenienti da diversi Paesi
272
142 dell’Unione Europea e creato con lo scopo di tenere aggiornata la Commissione su tutto ciò che caratterizza il soggetto in questione, assicurando il coordinamento con gli Stati membri e lo scambio di opinioni273.
La lettura e l’analisi di molte ricerche, basi per la stesura di questo elaborato, hanno evidenziato come, spesso, l’attenzione di questi studi sia rivolta a problemi che riguardano l’assetto proprietario, il ricambio generazionale, o semplicemente costatano l’andamento economico di tali società e il cambiamento della loro numerosità nel corso di un arco temporale predefinito.
Il quadro teorico di riferimento della relazione tra impresa familiare e performance è stato costruito nel tempo mediante l’applicazione di alcune teorie consolidate in letteratura e già richiamate all’interno dei precedenti capitoli: tra le più note si hanno la resource-based view (RBV), la teoria dell’agenzia e la stewardship theory, apparentemente in contrasto tra loro e non in grado di spiegare in modo approfondito il rapporto esistente tra il trinomio famiglia- impresa-performance ma che, se considerate in modo complementare e da più prospettive, come la letteratura stessa raccomanda (Le Breton-Miller et al., 2011; Sciarelli, 2007), allora saranno indispensabili per definire un quadro di elementi e caratteri del sistema “family business” in grado di influenzare le performance aziendali registrate nel corso del tempo. In modo generale e sintetico è possibile dire che la prima delle tre teorie citate, la teoria RBV, è utile per la definizione delle risorse e competenze che determinano le performance di un’impresa (Penrose, 1959; Prahalad e Hamel, 1990; Wernerfelt, 1984): esse sono la fonte di un forte vantaggio competitivo se in grado di adattarsi alla realtà economica e alla sua dinamicità (Teece et al., 1997). A riguardo si richiama il termine “familiness” creato da Habbershon e Williams nel 1999, con il quale si individuavano le risorse generate dall’azienda familiare, suddivise in due classi,
273
Per ulteriori informazioni sull’argomento si rimanda al sito della Commissione Europea, sezione REGISTRO DEI GRUPPI ESPERTI DELLA COMMISSIONE E DI ALTRI ORGANISMI ANALOGHI. www.ec.europa.eu.
143 distinctive e constrictive, a seconda della loro natura innovativa e originale ovvero di sviluppo di altre già esistenti e in grado di intervenire sulla capacità di creare valore.
Qualora l’analisi svolta voglia invece constatare la relazione esistente tra proprietà e potere, quindi l’influenza che una direzione esterna può avere sulla performance aziendale, allora si ricorrerà alla teoria dell’agenzia (Jensen e Meckling, 1976; Shleifer e Vishny, 1997): in molte realtà economiche si riscontrano i costi di agenzia, costi legati al controllo compiuto sull’agente con lo scopo di verificare che la sua operatività sia in linea con gli obiettivi dell’impresa (Eisenhardt, 1989). Molti autori, tra i quali Daily e Dollinger, sostenevano che la presenza di familiari all’interno dell’organo direzionale potesse abbattere tali costi e ciò grazie alla maggior fiducia riconosciuta al discendente: la realtà rivela che questa conclusione non è sempre verificata e che parte di questi costi derivano anche da comportamenti opportunistici che gli azionisti di maggioranza tengono a danno delle minoranze (Morck et al., 1988). Una caratteristica a volte riscontrata nelle family business, oggetto dell’ultima corrente di pensiero sopra citata, la stewardship theory, è quella relativa al comportamento dell’imprenditore, che guida l’impresa per raggiungere obiettivi di crescita collettiva e non soltanto di guadagni personali. Molti studiosi, tra i quali gli italiani Corbetta e Salvato, sostenevano la presenza di questa attitudine in numerosi imprenditori a capo di aziende familiari, dimostrata soprattutto nei momenti di programmazione della successione generazionale. La stewardship può quindi essere considerata una determinante delle performance delle imprese familiari, fonte di vantaggio competitivo (Eddleston e Kellermanns, 2007; Miller et al., 2008).
Dalla lettura incrociata delle tre teorie qui richiamate è possibile concludere che la creazione di ricchezza non è il primario obiettivo delle imprese familiari (Tagiuri e Davis, 1992): ad esso infatti si affiancano scopi di natura anche non economica ma necessari per far raggiungere il totale benessere all’impresa (Chrisman e Carroll, 1984).
144 Da ciò deriva la conclusione che parlare di creazione di valore per l’azienda in soli termini di ricchezza è sicuramente limitativo perché creare valore significa indirizzare la gestione verso l’implementazione di strategie che meritino gli sforzi, le energie e le risorse impiegati per il loro raggiungimento (Donna, 1999; Sicoli, 2008). In risposta a tale osservazione viene elaborata la teoria del valore (Guatri, 1991), secondo la quale l’attività di governo debba essere volta alla definizione di un complesso di obiettivi che riflettano le molteplici aspettative di tutti i soggetti che gravitano intorno all’impresa e non solo quelle degli azionisti (stakeholder theory - Freeman, 1984).
Alcuni importanti contributi in termini di ricerca sul campo portano il nome di Guido Corbetta, membro del Comitato editoriale di Entrepreneurship Theory and Practice, Family Business Review., fellow of IFERA (International Family Enterprise Research Academy), nonché professore titolare della cattedra AIdAF - Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari: numerose sono le sue pubblicazioni sul tema in questione, molte rivolte all’analisi dell’assetto organizzativo, al ruolo del manager e alle strategie che portano al successo. Al suo fianco si hanno le ricerche condotte in collaborazione con altre associazioni, tra le quali quelle dell’Osservatorio AUB già sopra richiamate. Ulteriori indagini sono condotte periodicamente dal Centro Studi sull’impresa di famiglia “Di padre in figlio” che monitora costantemente il fenomeno family business per istituzioni, banche ed associazioni di categoria, affinché possano formulare proposte e soluzioni personalizzate alla loro clientela. Esponente rilevante di tale organo è Walter Zocchi, autore di numerose pubblicazioni sulle family businesses, pilastri della letteratura italiana e fonti di dati evolutivi sulla particolare realtà in oggetto.