1. Introduzione
Nel ramo industriale della chimica fine e farmaceutica capita molto frequentemente di dover esercire reazioni fuggitive all’interno di reattori semibatch (Figura 1.1), una tipologia di reattori in cui il coreagente (A) viene dosato per gocciolamento all’interno del reagente caricato inizialmente (B). Il reattore è inoltre munito di un sistema di miscelazione e di una camicia esterna atta alla sua regolazione termica.
Figura 1.1. Reattore semi-batch
Questa tipologia di reattori fornisce molteplici vantaggi, due dei quali sono significativi ai fini della trattazione:
• Essendo reattori discontinui presentano la peculiarità di essere reattori multipurpose, ossia reattori versatili nei quali è possibile attuare una produzione per campagne in modo da rispondere alle diverse esigenze produttive del momento; nell’industria chimica fine, infatti, è molto frequente la sintesi di diversi prodotti che variano, ad esempio, con il periodo dell’anno o con le differenti richieste del mercato. Esempi significativi di ciò sono rappresentati dalle nitrazioni di composti
A
B
2
aromatici, i cui prodotti di reazione vengono utilizzati come intermedio nella produzione di una vasta gamma di erbicidi (es. 4-Cloro 3-Nitro Benzotrifluoruro e 2,4-diCloro 5-Nitro Benzotrifluoruro), all’interno dell’industria farmaceutica (es. Nitrobenzene, utilizzato per la produzione di anilina) o nella produzione di pigmenti (es. Mononitrotoluene).
• Permettono di controllare e gestire l’esotermia della reazione dosando uno dei reagenti (Steensma e Westerterp, 1988),: aumentando il tempo dosaggio fino a un valore significativamente superiore ai tempi caratteristici della reazione e dei fenomeni diffusivi, è possibile diluire lo sviluppo entalpico della reazione su un tempo più ampio, in modo da limitare la potenza termica prodotta ed evitare in questo modo la perdita del controllo. Questo aspetto è particolarmente importante nella trattazione di sistemi reagenti in regime di “Slow Reaction”, ossia sistemi caratterizzati da una velocità di reazione significativamente inferiore rispetto alla velocità di diffusione del coreagente dalla fase dispersa organica a quella continua acida (Steensma e Westerterp, 1990),; questa differenza di velocità implica la possibilità di un pesante accumulo di coreagente all’interno della fase continua, con conseguente rischio di innesco incontrollato della reazione e perdita del controllo termico del reattore (Westerterp e Molga, 2004).
Il parametro che permette di identificare il regime caratteristico del sistema è il modulo di Hatta, definito come il rapporto tra i tempi caratteristici del trasporto diffusivo del coreagente e il tempo caratteristico della reazione chimica:
= = ⁄ ( )
1 ( ∗⁄ , )
(1) In cui:
• = spessore del film che separa la fase continua dalla fase dispersa
• ( ) = coefficiente di diffusività materiale della specie A
• = costante cinetica della reazione
• , = concentrazione della specie B nel bulk della fase continua
Se il valore del modulo di Hatta non supera il valore 0,3, il processo si trova in regime di “Slow Reaction” ed è quindi assoggettato al rischio di accumulo di coreagente e al conseguente innesco incontrollato della reazione.
La perdita del controllo termico del reattore (Runaway) è un fenomeno molto pericoloso, in quanto può portare, soprattutto in presenza di reazioni fuggitive (fortemente esotermiche e con una velocità elevata),
3
allo sviluppo di pericolose sovrappressioni e di fenomeni di decomposizione dei reagenti (Copelli et al., 2014).
Le reazioni di decomposizione, infatti, sono caratterizzate da un meccanismo di reazione particolarmente rapido e soprattutto da una elevata esotermia (Cardillo, 1998): la consistente potenza termica prodotta può portare di conseguenza a ulteriori sovrappressioni che possono sfociare talvolta in dispersioni di sostanze tossiche o, nel peggiore degli scenari, all’esplosione del reattore.
Il runaway può essere dovuto a molteplici motivi; i principali sono riportati nel seguente albero dei guasti:
Figura 1.2. Albero dei guasti
Dal diagramma (Figura 1.2) è evidente che le principali cause della perdita del controllo termico sono rappresentate da guasti al sistema di regolazione termica, guasti al sistema di miscelazione ed errori degli operatori.
4
1.1 Cenni storici
In passato il Runaway termico di reazioni fuggitive ha portato a vere e proprie catastrofi; per meglio comprenderne la pericolosità, vengono riportati tre eventi incidentali significativi che hanno causato notevoli danni sia dal punto di vista delle perdite umane che dal punto di vista ambientale:
•
Seveso (10 luglio 1976)Il 10 luglio 1976 viene ricordato per l’esplosione di un reattore all’interno dell’impianto ICMESA di Meda (circa venticinque chilometri a nord di Milano), il quale veniva esercito per la produzione del 2,4,5-Triclorofenolo, un intermedio utilizzato nell’industria farmaceutica e della cosmesi. In seguito al runaway della reazione e alla conseguente esplosione del reattore, furono rilasciate consistenti quantità di idrossido di sodio, glicole etilenico, sodio triclorofenato e circa trenta chilogrammi di tetracloro-dibenzo-diossina, nota per essere un pericolosissimo cancerogeno (J. L. Gustin, 2002). La nube tossica si diffuse su un’area di diciotto chilometri quadrati (prevalentemente nella cittadina di Seveso, poiché contigua allo stabilimento) e causò negli istanti successivi all’esplosione numerosi casi di intossicazione, irritazione e lesione cutanea, oltre che alla morte di un elevatissimo numero di animali. L’incidente fu causato dall’instabilità termica della miscela reagente finale uscente dalla colonna di distillazione dello xylene, dovuta alla presenza di soda caustica anidra in eccesso; in queste condizioni, infatti, il glicole (utilizzato come solvente) reagisce con la soda caustica a dare glicossido di sodio e acqua:
− → −
− → −
La temperatura di esercizio superava quella di decomposizione del glicossido di sodio (circa 160-170°C), il quale di conseguenza si decompose attraverso una reazione runaway e causò quindi l’esplosione del reattore.
A distanza di anni si sono evidenziate numerose patologie croniche tra gli individui esposti alla nube tossica (Brenda Eskenazi et al., 2018), quali malattie cardiache e cancro (soprattutto per gli individui di sesso femminile, che hanno manifestato numerosi casi di cancro al seno).
5 superficie di circa 300000 m2 (J. L. Gustin, 2002).
Lo stabilimento produceva orto-nitroanisolo facendo reagire cloro-nitrobenzene con soda caustica metanolica in un reattore semi-batch di 36 m3 alla temperatura di 80°C e ad una pressione assoluta pari a 10 bar; il processo prevedeva un iniziale caricamento di 2800 litri di metanolo e di 5800 litri di cloro-nitrobenzene sotto agitazione continua, ai quali venivano poi aggiunti 15,8 litri di soda caustica metanolica (15% w/w) mediante un tempo di dosaggio di cinque ore.
L’evento incidentale nacque dal fatto che, una volta caricata la miscela di reagenti iniziale, l’agitatore del reattore venne spento per controllare manualmente il livello raggiunto dalla miscela liquida e non fu successivamente riazionato all’inizio del dosaggio.
Una volta effettuato il campionamento della miscela reagente per il controllo della conversione raggiunta, gli operatori si accorsero del mancato riavviamento dell’agitatore e sfortunatamente decisero di attuarlo una volta che il coreagente si era accumulato significativamente all’interno del reattore (la conversione raggiunta al momento del riavviamento era pari al 45%); ciò provocò il runaway della reazione e fece raggiungere un picco di temperatura pari a 160°C (corrispondenti a una pressione 16 barG), alla quale avvenne la decomposizione dei composti nitrati. Quest’ultima reazione (fortemente esotermica e veloce), incrementò ulteriormente la temperatura del reattore e fece registrare valori di pressione abbondantemente superiori a quello di scatto della PSV (pressure swing valve) applicata ad esso (set value=16 barG), provocando così la fuoriuscita e la conseguente dispersione della miscela bifase reagente.
• Fu-Kao (18 maggio 2001)
Il 18 maggio 2001, all’interno dell’area industriale localizzata nella regione a nord di Taiwan, il reattore dell’impianto chimico per la produzione di resina acrilica di Fu-Kao esplose causando più di 100 feriti e numerosi danni agli impianti delle compagnie contigue. La causa dell’incidente fu il runaway della reazione di polimerizzazione all’interno del reattore batch di 6 tonnellate che conteneva metil-acrilato, alcool metilico, acrilo-nitrile, alcool isopropilico, acido acrilico, acido metacrilico e perossido di benzoile (Chen-Shan Kao e Kwan-Hua Hu, 2002).
Il processo prevedeva il mantenimento di una temperatura della miscela reagente pari a 60°C, ottenuta pompando vapore tramite la camicia esterna del reattore, fino al raggiungimento dell’innesco della reazione. Successivamente all’innesco, data la spiccata esotermia della reazione,
6
il vapore veniva sostituito con acqua di raffreddamento in modo da ottenere una temperatura di 75°C entro 70 minuti; il reattore era inoltre munito di un sistema di riflusso che permetteva di condensare i solventi evaporati per poi rimandarli al reattore, asportando quindi una consistente dose di calore e concorrendo all’obiettivo del mantenimento della temperatura di target.
Successivamente, il pompaggio dell’acqua di raffreddamento e il sistema di miscelazione venivano bloccati e la polimerizzazione veniva lasciata procedere per quattro ore; una volta completato il processo batch, il reattore veniva lasciato chiuso con il sistema di ricircolo attivo fino al giorno successivo, quando soda caustica, acqua e agenti anti-bolle venivano aggiunti alla miscela, completando così il processo.
Il giorno dell’incidente un operatore notò un anomalo incremento della temperatura del reattore e della velocità di produzione del calore, iniziando così a raffreddare il vessel spruzzando abbondanti quantità di acqua sul reattore; il problema tuttavia non si risolse e, dopo aver azionato l’allarme, l’operatore si allontanò dall’area del processo quando ormai la temperatura del reattore aveva raggiunto una temperatura di 90°C, salvandosi così dall’imminente esplosione.
Il runaway della reazione e la conseguente esplosione del reattore furono causati da due principali motivi: un raffreddamento della massa reagente insufficiente e una velocità di produzione del calore troppo elevata in seguito a condizioni di reazione anormali (probabilmente il caricamento iniziale dei reagenti fu errato).
1.2 Comportamento termico
Il runaway di una reazione è un fenomeno che presenta un andamento termico comune ogni qualvolta si presenti:
7
Figura 1.3 Profilo termico caratteristico del runaway
Il grafico in Figura 1.3 rappresenta il tipico andamento termico di un reattore in cui hanno luogo delle reazioni di decomposizione successivamente alla perdita del controllo termico del reattore (Copelli et al., 2010):
1. I reagenti vengono portati alla temperatura di processo (la cosiddetta temperatura “di ricetta”) attraverso il sistema di regolazione termica del reattore
2. Successivamente ad un guasto nel sistema di raffreddamento/agitazione (o semplicemente in conseguenza ad un errato scale up del processo studiato in laboratorio), si perde il controllo termico del reattore; ciò sta a significare che la potenza termica prodotta dalla reazione non viene smaltita (o viene smaltita solamente in parte) dal sistema di raffreddamento e di conseguenza si raggiunge la MTSR (Maximum Temperature due to Synthesis Reaction = !"#$ % &')
3. La temperatura del sistema non varia in quanto il calore prodotto dalla reazione non viene asportato; se tale valore è superiore a quello a cui possono avvenire reazioni indesiderate (decomposizione dei reagenti, fortemente esotermiche), la temperatura del sistema ricomincia ad alzarsi fino a raggiungere la TMAX, a cui sono solitamente associati fenomeni esplosivi.
Il tempo che intercorre tra l’istante in cui viene raggiunta la MTSR e l’istante in cui si raggiunge la TMAX, corrispondente alla massima velocità di sviluppo del calore, viene definito TMR (Time to Maximum Rate).
Quest’ultimo parametro ricopre un ruolo importantissimo nella caratterizzazione della pericolosità del
8
sistema: un TMR elevato, infatti, permette di individuare la perdita di controllo e conseguentemente di inibire la reazione in tempi più ampi rispetto al caso di un TMR ridotto.
1.3 Classificazione dei processi
I processi chimici sono stati classificati in cinque diverse categorie, distinguibili a seconda delle differenti temperature caratteristiche (Stoessel, 2008):
Figura 1.4. Classificazione di Stoessel
I primi tre processi analizzati (Figura 1.4) sono sicuri, in quanto, se anche si perdesse il controllo termico del reattore, la massima temperatura consentita non verrebbe mai raggiunta, poiché la MTSR è abbondantemente inferiore rispetto a tale valore soglia. La terza categoria rappresenta tuttavia una situazione indesiderata, poiché sarebbe possibile l’evaporazione del solvente, con conseguente aumento di pressione all’interno del reattore.
Le ultime due tipologie di processo rappresentano invece una situazione pericolosa che potrebbe potenzialmente sfociare in un Runaway: la MTSR è superiore alla MAT (Maximum Allowable Temperature)
9
e ciò potrebbe innescare reazioni fuggitive, quali la decomposizione dei reagenti (Stoessel, 1993). Ad essere precisi, il processo 4 è meno pericoloso poiché la Teb è inferiore rispetto alla MTSR e per questo motivo l’ebollizione della miscela reagente aiuterebbe ad asportare parte del calore liberato, attenuando così l’esotermicità (cosa che nel processo 5 non sarebbe possibile).
1.4 Condizioni di funzionamento sicuro
Le reazioni veloci e fortemente esotermiche presentate in precedenza (un esempio particolarmente calzante è rappresentato dalle reazioni di nitrazione) vengono normalmente esercite in reattori semi-batch per le ragioni sopracitate.
Tuttavia in molti casi, quando ad esempio la reazione è eccessivamente esotermica o quando per ragioni di produttività si è costretti a diminuire il tempo di dosaggio del coreagente (aumentando di conseguenza la quantità di calore prodotta dalla reazione nell’unità di tempo), la superficie di scambio di calore offerta dalla camicia esterna e dal serpentino interno al reattore non è sufficiente a garantire condizioni di funzionamento sicuro o a mantenere la temperatura della miscela reagente entro il range stabilito dalla ricetta chimica, al fine di ottenere prodotti di qualità (purezza elevata).
Una soluzione a queste problematiche potrebbe essere rappresentata dall’allocazione di uno scambiatore di calore esterno al reattore (Maestri et al., 2019): esso oltre a fornire un contributo supplementare nell’asportazione del calore di reazione, offre anche il vantaggio di essere indipendente da vincoli geometrici e di mettere a disposizione la sua superficie di scambio sin dai primi istanti del processo, poiché essa non è dipendente dal grado di riempimento del reattore e di conseguenza dal tempo di dosaggio (a differenza di quanto accade per la camicia esterna e per le serpentine, le quali offrono un’area di scambio dipendente dal grado di riempimento del reattore).
Imbattendosi in queste tipologie di processo sembrerebbe quindi consigliabile adottare condizioni di funzionamento isoterme, controllando la temperatura del reattore attraverso la portata di fluido refrigerante e la temperatura d’ingresso nello scambiatore; tuttavia questa tipologia di controllo è di difficile applicazione. Solitamente si adottano quindi condizioni isoperiboliche (temperatura del fluido
10
refrigerante costante), mantenendo però un range di variazione della temperatura del reattore molto ridotto: la strategia migliore per raggiungere questo obiettivo si configura dunque nell’applicazione di uno scambiatore di calore di giuste dimensioni all’esterno del reattore, in modo da asportare calore dalla miscela reagente e mantenere la temperatura del reattore in un intorno sufficientemente ristretto della temperatura di ricetta (ciò è applicabile a sistemi reagenti in cui le proprietà fisiche della miscela reagente non variano con l’avanzare della reazione, poiché ciò influenzerebbe pesantemente i fenomeni di trasporto e di conseguenza l’asportazione del calore).
Inoltre l’installazione di uno scambiatore di calore esterno aumenterebbe non solo la superficie di scambio disponibile, ma anche l’efficienza globale di trasferimento: se ad esempio si adottano scambiatori a piastre al posto dei più comuni scambiatori a fascio tubiero, è possibile ottenere coefficienti globali di scambio elevati (dell’ordine di 1000 W/(m2K)), con conseguente diminuzione dell’area di scambio necessaria.
Tuttavia è necessario ricordare sempre che, anche se l’adozione di una superficie di scambio esterna potrebbe teoricamente fornire un valore di temperatura costante per gran parte del periodo di dosaggio, bisogna comunque considerare di avere a disposizione la camicia e le serpentine del reattore, in modo da non sovradimensionare lo scambiatore esterno; questa ridondanza nel sistema di raffreddamento è particolarmente utile nel caso in cui, in seguito ad uno scenario incidentale, una delle superfici di scambio non sia disponibile (ad esempio quando avviene un guasto al sistema di alimentazione della camicia esterna o al sistema di agitazione del reattore).
Un ulteriore aspetto da considerare è rappresentato dal fatto che l’installazione di uno scambiatore di calore esterno consente di diminuire i tempi di dosaggio del coreagente, in quanto l’aumento del calore prodotto dalla reazione nell’unità di tempo verrebbe contrastato dalla maggiore capacità di asportazione dello stesso; ciò rappresenta un significativo vantaggio in termini di aumento della produttività dell’impianto.
1.5 Utilizzo dello Ψ Number per obiettivi produttivi
L’ultimo aspetto trattato nell’elaborato è quello dell’ottimizzazione della produttività dei reattori semi-batch attraverso l’utilizzo dello Ψ Number, un parametro che quantifica la “distanza” del processo in analisi
11
dalle condizioni di target (Maestri e Rota, 2016) e che viene definito come il rapporto tra il calore asportato realmente e il calore asportato in condizioni ideali (corrispondente al calore prodotto dalla reazione):
( =)'#*+!'#*( − '#*) ,-$##. /!$##.( $##.,#01− $##.,23) ),'#*(−% 4 )
(2) Esso, quindi, prescinde dai parametri cinetici del processo, consentendo di operare il controllo e l’ottimizzazione della produzione evitando l’utilizzo e la risoluzione di un modello matematico .
Solitamente i criteri energetici (tra i quali viene annoverato lo Ψ Number) vengono utilizzati per la scelta di condizioni operative sicure per il funzionamento di reattori semi-batch all’interno dei quali vengono condotte reazioni potenzialmente fuggitive. Questa scelta viene effettuata alla scala calorimetrica, scegliendo un tempo di dosaggio per il quale il parametro Ψ raggiunga valori superiori a 80 prima di aver alimentato il 20% del coreagente; il tempo di dosaggio calcolato alla scala di laboratorio verrà quindi scalato all’impianto industriale considerando il rapporto tra le efficienze di scambio termico del calorimetro e del reattore.
L’osservazione dell’andamento di Ψ nelle successive fasi del dosaggio ha invece tipicamente lo scopo di monitorare lo svolgimento in sicurezza del processo, facendo in modo che eventuali inibizioni, decadimenti di reattività o guasti al sistema di asportazione del calore di reazione vengano prontamente individuati: se Ψ assume valori inferiori rispetto ad un valore soglia precedentemente stabilito o presenta brusche diminuzioni in intervalli ristretti di tempo, sarà necessario attivare la procedura di interblocco.
La novità di questo elaborato risiede nell’utilizzo di Ψ non solo per fini di sicurezza, ma anche per la massimizzazione della produttività dell’impianto. Esso, infatti, fornisce indicazioni indirette sulla cinetica del processo: una diminuzione di Ψ indica una diminuzione della reattività della miscela, principalmente dovuta al consumo del reagente precaricato (il quale assume concentrazioni bassissime negli istanti finali del processo), che potrà essere contrastata attraverso la regolazione dei parametri operativi del reattore in modo da massimizzare la produzione.
A questo fine, verrà quindi introdotto un incremento della temperatura del reattore attraverso il sistema di condizionamento termico; così facendo, si otterrà un aumento della velocità di reazione negli istanti finali del dosaggio, nei quali, in seguito alla diminuzione della concentrazione del reagente precaricato, la velocità di conversione diminuisce notevolmente. L’obiettivo è dunque quello di compensare la perdita di reattività
12
negli istanti finali del processo attraverso l’aumento della costante cinetica (la velocità di reazione ha infatti una dipendenza di tipo esponenziale dalla temperatura).