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POLITECNICO DI MILANO. Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria della Prevenzione e Sicurezza nell Industria di Processo

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POLITECNICO DI MILANO

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria della Prevenzione e Sicurezza nell’Industria di Processo

Strategie di incremento della produttività Kinetic Free per reattori semi-batch multipurpose

Relatore: Prof. Francesco Maestri

Correlatore: Ing. Ester Rossi

Tesi di Laurea di:

Luca Gentile, matricola 884593

Anno accademico 2018-2019

(2)
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Sommario

1. Introduzione ... 1

1.1 Cenni storici ... 4

1.2 Comportamento termico ... 6

1.3 Classificazione dei processi ... 8

1.4 Condizioni di funzionamento sicuro ... 9

1.5 Utilizzo dello Ψ Number per obiettivi produttivi ... 10

2. Modello matematico ... 12

3. Definizione delle condizioni operative ottimali ... 18

3.1 Correlazioni grafiche ... 19

3.2 Criterio di dimensionamento dell’area dello scambiatore esterno ... 24

3.3 Caso studio 1: dimensionamento dello scambiatore esterno per la nitrazione del 4-Cl BTF ... 25

3.4 Caso studio 2: dimensionamento dello scambiatore esterno per la nitrazione del 2,4-diCl BTF ... 38

3.5 Valutazione dei diversi tempi di dosaggio in caso di un unico scambiatore di calore ... 49

4. Ottimizzazione del processo ... 52

4.1 Ψ Number ... 52

4.2 Utilizzo di Ψ e approccio risolutivo ... 56

4.3 Caso studio ... 60

4.3.1 Nitrazione del 4-Cl BTF ... 61

4.3.2 Analisi di sensitività sull’incremento di temperatura ... 74

4.3.3 Nitrazione del 2,4-diCl BTF ... 77

5. Conclusioni ... 80

Nomenclatura ... 83

Bibliografia ... 87

(4)
(5)

1

1. Introduzione

Nel ramo industriale della chimica fine e farmaceutica capita molto frequentemente di dover esercire reazioni fuggitive all’interno di reattori semibatch (Figura 1.1), una tipologia di reattori in cui il coreagente (A) viene dosato per gocciolamento all’interno del reagente caricato inizialmente (B). Il reattore è inoltre munito di un sistema di miscelazione e di una camicia esterna atta alla sua regolazione termica.

Figura 1.1. Reattore semi-batch

Questa tipologia di reattori fornisce molteplici vantaggi, due dei quali sono significativi ai fini della trattazione:

• Essendo reattori discontinui presentano la peculiarità di essere reattori multipurpose, ossia reattori versatili nei quali è possibile attuare una produzione per campagne in modo da rispondere alle diverse esigenze produttive del momento; nell’industria chimica fine, infatti, è molto frequente la sintesi di diversi prodotti che variano, ad esempio, con il periodo dell’anno o con le differenti richieste del mercato. Esempi significativi di ciò sono rappresentati dalle nitrazioni di composti

A

B

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2

aromatici, i cui prodotti di reazione vengono utilizzati come intermedio nella produzione di una vasta gamma di erbicidi (es. 4-Cloro 3-Nitro Benzotrifluoruro e 2,4-diCloro 5-Nitro Benzotrifluoruro), all’interno dell’industria farmaceutica (es. Nitrobenzene, utilizzato per la produzione di anilina) o nella produzione di pigmenti (es. Mononitrotoluene).

• Permettono di controllare e gestire l’esotermia della reazione dosando uno dei reagenti (Steensma e Westerterp, 1988),: aumentando il tempo dosaggio fino a un valore significativamente superiore ai tempi caratteristici della reazione e dei fenomeni diffusivi, è possibile diluire lo sviluppo entalpico della reazione su un tempo più ampio, in modo da limitare la potenza termica prodotta ed evitare in questo modo la perdita del controllo. Questo aspetto è particolarmente importante nella trattazione di sistemi reagenti in regime di “Slow Reaction”, ossia sistemi caratterizzati da una velocità di reazione significativamente inferiore rispetto alla velocità di diffusione del coreagente dalla fase dispersa organica a quella continua acida (Steensma e Westerterp, 1990),; questa differenza di velocità implica la possibilità di un pesante accumulo di coreagente all’interno della fase continua, con conseguente rischio di innesco incontrollato della reazione e perdita del controllo termico del reattore (Westerterp e Molga, 2004).

Il parametro che permette di identificare il regime caratteristico del sistema è il modulo di Hatta, definito come il rapporto tra i tempi caratteristici del trasporto diffusivo del coreagente e il tempo caratteristico della reazione chimica:

= = ⁄ ( )

1 ( ∗⁄ , )

(1) In cui:

• = spessore del film che separa la fase continua dalla fase dispersa

( ) = coefficiente di diffusività materiale della specie A

• = costante cinetica della reazione

, = concentrazione della specie B nel bulk della fase continua

Se il valore del modulo di Hatta non supera il valore 0,3, il processo si trova in regime di “Slow Reaction” ed è quindi assoggettato al rischio di accumulo di coreagente e al conseguente innesco incontrollato della reazione.

La perdita del controllo termico del reattore (Runaway) è un fenomeno molto pericoloso, in quanto può portare, soprattutto in presenza di reazioni fuggitive (fortemente esotermiche e con una velocità elevata),

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3

allo sviluppo di pericolose sovrappressioni e di fenomeni di decomposizione dei reagenti (Copelli et al., 2014).

Le reazioni di decomposizione, infatti, sono caratterizzate da un meccanismo di reazione particolarmente rapido e soprattutto da una elevata esotermia (Cardillo, 1998): la consistente potenza termica prodotta può portare di conseguenza a ulteriori sovrappressioni che possono sfociare talvolta in dispersioni di sostanze tossiche o, nel peggiore degli scenari, all’esplosione del reattore.

Il runaway può essere dovuto a molteplici motivi; i principali sono riportati nel seguente albero dei guasti:

Figura 1.2. Albero dei guasti

Dal diagramma (Figura 1.2) è evidente che le principali cause della perdita del controllo termico sono rappresentate da guasti al sistema di regolazione termica, guasti al sistema di miscelazione ed errori degli operatori.

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1.1 Cenni storici

In passato il Runaway termico di reazioni fuggitive ha portato a vere e proprie catastrofi; per meglio comprenderne la pericolosità, vengono riportati tre eventi incidentali significativi che hanno causato notevoli danni sia dal punto di vista delle perdite umane che dal punto di vista ambientale:

Seveso (10 luglio 1976)

Il 10 luglio 1976 viene ricordato per l’esplosione di un reattore all’interno dell’impianto ICMESA di Meda (circa venticinque chilometri a nord di Milano), il quale veniva esercito per la produzione del 2,4,5-Triclorofenolo, un intermedio utilizzato nell’industria farmaceutica e della cosmesi. In seguito al runaway della reazione e alla conseguente esplosione del reattore, furono rilasciate consistenti quantità di idrossido di sodio, glicole etilenico, sodio triclorofenato e circa trenta chilogrammi di tetracloro-dibenzo-diossina, nota per essere un pericolosissimo cancerogeno (J. L. Gustin, 2002). La nube tossica si diffuse su un’area di diciotto chilometri quadrati (prevalentemente nella cittadina di Seveso, poiché contigua allo stabilimento) e causò negli istanti successivi all’esplosione numerosi casi di intossicazione, irritazione e lesione cutanea, oltre che alla morte di un elevatissimo numero di animali. L’incidente fu causato dall’instabilità termica della miscela reagente finale uscente dalla colonna di distillazione dello xylene, dovuta alla presenza di soda caustica anidra in eccesso; in queste condizioni, infatti, il glicole (utilizzato come solvente) reagisce con la soda caustica a dare glicossido di sodio e acqua:

− → −

− → −

La temperatura di esercizio superava quella di decomposizione del glicossido di sodio (circa 160- 170°C), il quale di conseguenza si decompose attraverso una reazione runaway e causò quindi l’esplosione del reattore.

A distanza di anni si sono evidenziate numerose patologie croniche tra gli individui esposti alla nube tossica (Brenda Eskenazi et al., 2018), quali malattie cardiache e cancro (soprattutto per gli individui di sesso femminile, che hanno manifestato numerosi casi di cancro al seno).

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5

Griesheim (22 febbraio 1993)

L’incidente di Griesheim fu causato dall’insorgenza di una reazione runaway, la quale portò alla fuoriuscita di circa dieci tonnellate di miscela reagente attraverso la valvola di sicurezza del reattore; il rilascio bifase si diffuse sotto l’effetto del vento nelle aree contigue della provincia di Francoforte (prevalentemente su Schwanheim, Goldstein e sulle rive del fiume Main) su una superficie di circa 300000 m2 (J. L. Gustin, 2002).

Lo stabilimento produceva orto-nitroanisolo facendo reagire cloro-nitrobenzene con soda caustica metanolica in un reattore semi-batch di 36 m3 alla temperatura di 80°C e ad una pressione assoluta pari a 10 bar; il processo prevedeva un iniziale caricamento di 2800 litri di metanolo e di 5800 litri di cloro-nitrobenzene sotto agitazione continua, ai quali venivano poi aggiunti 15,8 litri di soda caustica metanolica (15% w/w) mediante un tempo di dosaggio di cinque ore.

L’evento incidentale nacque dal fatto che, una volta caricata la miscela di reagenti iniziale, l’agitatore del reattore venne spento per controllare manualmente il livello raggiunto dalla miscela liquida e non fu successivamente riazionato all’inizio del dosaggio.

Una volta effettuato il campionamento della miscela reagente per il controllo della conversione raggiunta, gli operatori si accorsero del mancato riavviamento dell’agitatore e sfortunatamente decisero di attuarlo una volta che il coreagente si era accumulato significativamente all’interno del reattore (la conversione raggiunta al momento del riavviamento era pari al 45%); ciò provocò il runaway della reazione e fece raggiungere un picco di temperatura pari a 160°C (corrispondenti a una pressione 16 barG), alla quale avvenne la decomposizione dei composti nitrati. Quest’ultima reazione (fortemente esotermica e veloce), incrementò ulteriormente la temperatura del reattore e fece registrare valori di pressione abbondantemente superiori a quello di scatto della PSV (pressure swing valve) applicata ad esso (set value=16 barG), provocando così la fuoriuscita e la conseguente dispersione della miscela bifase reagente.

Fu-Kao (18 maggio 2001)

Il 18 maggio 2001, all’interno dell’area industriale localizzata nella regione a nord di Taiwan, il reattore dell’impianto chimico per la produzione di resina acrilica di Fu-Kao esplose causando più di 100 feriti e numerosi danni agli impianti delle compagnie contigue. La causa dell’incidente fu il runaway della reazione di polimerizzazione all’interno del reattore batch di 6 tonnellate che conteneva metil-acrilato, alcool metilico, acrilo-nitrile, alcool isopropilico, acido acrilico, acido metacrilico e perossido di benzoile (Chen-Shan Kao e Kwan-Hua Hu, 2002).

Il processo prevedeva il mantenimento di una temperatura della miscela reagente pari a 60°C, ottenuta pompando vapore tramite la camicia esterna del reattore, fino al raggiungimento dell’innesco della reazione. Successivamente all’innesco, data la spiccata esotermia della reazione,

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il vapore veniva sostituito con acqua di raffreddamento in modo da ottenere una temperatura di 75°C entro 70 minuti; il reattore era inoltre munito di un sistema di riflusso che permetteva di condensare i solventi evaporati per poi rimandarli al reattore, asportando quindi una consistente dose di calore e concorrendo all’obiettivo del mantenimento della temperatura di target.

Successivamente, il pompaggio dell’acqua di raffreddamento e il sistema di miscelazione venivano bloccati e la polimerizzazione veniva lasciata procedere per quattro ore; una volta completato il processo batch, il reattore veniva lasciato chiuso con il sistema di ricircolo attivo fino al giorno successivo, quando soda caustica, acqua e agenti anti-bolle venivano aggiunti alla miscela, completando così il processo.

Il giorno dell’incidente un operatore notò un anomalo incremento della temperatura del reattore e della velocità di produzione del calore, iniziando così a raffreddare il vessel spruzzando abbondanti quantità di acqua sul reattore; il problema tuttavia non si risolse e, dopo aver azionato l’allarme, l’operatore si allontanò dall’area del processo quando ormai la temperatura del reattore aveva raggiunto una temperatura di 90°C, salvandosi così dall’imminente esplosione.

Il runaway della reazione e la conseguente esplosione del reattore furono causati da due principali motivi: un raffreddamento della massa reagente insufficiente e una velocità di produzione del calore troppo elevata in seguito a condizioni di reazione anormali (probabilmente il caricamento iniziale dei reagenti fu errato).

1.2 Comportamento termico

Il runaway di una reazione è un fenomeno che presenta un andamento termico comune ogni qualvolta si presenti:

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7

Figura 1.3 Profilo termico caratteristico del runaway

Il grafico in Figura 1.3 rappresenta il tipico andamento termico di un reattore in cui hanno luogo delle reazioni di decomposizione successivamente alla perdita del controllo termico del reattore (Copelli et al., 2010):

1. I reagenti vengono portati alla temperatura di processo (la cosiddetta temperatura “di ricetta”) attraverso il sistema di regolazione termica del reattore

2. Successivamente ad un guasto nel sistema di raffreddamento/agitazione (o semplicemente in conseguenza ad un errato scale up del processo studiato in laboratorio), si perde il controllo termico del reattore; ciò sta a significare che la potenza termica prodotta dalla reazione non viene smaltita (o viene smaltita solamente in parte) dal sistema di raffreddamento e di conseguenza si raggiunge la MTSR (Maximum Temperature due to Synthesis Reaction = !"#$ % &')

3. La temperatura del sistema non varia in quanto il calore prodotto dalla reazione non viene asportato; se tale valore è superiore a quello a cui possono avvenire reazioni indesiderate (decomposizione dei reagenti, fortemente esotermiche), la temperatura del sistema ricomincia ad alzarsi fino a raggiungere la TMAX, a cui sono solitamente associati fenomeni esplosivi.

Il tempo che intercorre tra l’istante in cui viene raggiunta la MTSR e l’istante in cui si raggiunge la TMAX, corrispondente alla massima velocità di sviluppo del calore, viene definito TMR (Time to Maximum Rate).

Quest’ultimo parametro ricopre un ruolo importantissimo nella caratterizzazione della pericolosità del

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sistema: un TMR elevato, infatti, permette di individuare la perdita di controllo e conseguentemente di inibire la reazione in tempi più ampi rispetto al caso di un TMR ridotto.

1.3 Classificazione dei processi

I processi chimici sono stati classificati in cinque diverse categorie, distinguibili a seconda delle differenti temperature caratteristiche (Stoessel, 2008):

Figura 1.4. Classificazione di Stoessel

I primi tre processi analizzati (Figura 1.4) sono sicuri, in quanto, se anche si perdesse il controllo termico del reattore, la massima temperatura consentita non verrebbe mai raggiunta, poiché la MTSR è abbondantemente inferiore rispetto a tale valore soglia. La terza categoria rappresenta tuttavia una situazione indesiderata, poiché sarebbe possibile l’evaporazione del solvente, con conseguente aumento di pressione all’interno del reattore.

Le ultime due tipologie di processo rappresentano invece una situazione pericolosa che potrebbe potenzialmente sfociare in un Runaway: la MTSR è superiore alla MAT (Maximum Allowable Temperature)

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e ciò potrebbe innescare reazioni fuggitive, quali la decomposizione dei reagenti (Stoessel, 1993). Ad essere precisi, il processo 4 è meno pericoloso poiché la Teb è inferiore rispetto alla MTSR e per questo motivo l’ebollizione della miscela reagente aiuterebbe ad asportare parte del calore liberato, attenuando così l’esotermicità (cosa che nel processo 5 non sarebbe possibile).

1.4 Condizioni di funzionamento sicuro

Le reazioni veloci e fortemente esotermiche presentate in precedenza (un esempio particolarmente calzante è rappresentato dalle reazioni di nitrazione) vengono normalmente esercite in reattori semi-batch per le ragioni sopracitate.

Tuttavia in molti casi, quando ad esempio la reazione è eccessivamente esotermica o quando per ragioni di produttività si è costretti a diminuire il tempo di dosaggio del coreagente (aumentando di conseguenza la quantità di calore prodotta dalla reazione nell’unità di tempo), la superficie di scambio di calore offerta dalla camicia esterna e dal serpentino interno al reattore non è sufficiente a garantire condizioni di funzionamento sicuro o a mantenere la temperatura della miscela reagente entro il range stabilito dalla ricetta chimica, al fine di ottenere prodotti di qualità (purezza elevata).

Una soluzione a queste problematiche potrebbe essere rappresentata dall’allocazione di uno scambiatore di calore esterno al reattore (Maestri et al., 2019): esso oltre a fornire un contributo supplementare nell’asportazione del calore di reazione, offre anche il vantaggio di essere indipendente da vincoli geometrici e di mettere a disposizione la sua superficie di scambio sin dai primi istanti del processo, poiché essa non è dipendente dal grado di riempimento del reattore e di conseguenza dal tempo di dosaggio (a differenza di quanto accade per la camicia esterna e per le serpentine, le quali offrono un’area di scambio dipendente dal grado di riempimento del reattore).

Imbattendosi in queste tipologie di processo sembrerebbe quindi consigliabile adottare condizioni di funzionamento isoterme, controllando la temperatura del reattore attraverso la portata di fluido refrigerante e la temperatura d’ingresso nello scambiatore; tuttavia questa tipologia di controllo è di difficile applicazione. Solitamente si adottano quindi condizioni isoperiboliche (temperatura del fluido

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10

refrigerante costante), mantenendo però un range di variazione della temperatura del reattore molto ridotto: la strategia migliore per raggiungere questo obiettivo si configura dunque nell’applicazione di uno scambiatore di calore di giuste dimensioni all’esterno del reattore, in modo da asportare calore dalla miscela reagente e mantenere la temperatura del reattore in un intorno sufficientemente ristretto della temperatura di ricetta (ciò è applicabile a sistemi reagenti in cui le proprietà fisiche della miscela reagente non variano con l’avanzare della reazione, poiché ciò influenzerebbe pesantemente i fenomeni di trasporto e di conseguenza l’asportazione del calore).

Inoltre l’installazione di uno scambiatore di calore esterno aumenterebbe non solo la superficie di scambio disponibile, ma anche l’efficienza globale di trasferimento: se ad esempio si adottano scambiatori a piastre al posto dei più comuni scambiatori a fascio tubiero, è possibile ottenere coefficienti globali di scambio elevati (dell’ordine di 1000 W/(m2K)), con conseguente diminuzione dell’area di scambio necessaria.

Tuttavia è necessario ricordare sempre che, anche se l’adozione di una superficie di scambio esterna potrebbe teoricamente fornire un valore di temperatura costante per gran parte del periodo di dosaggio, bisogna comunque considerare di avere a disposizione la camicia e le serpentine del reattore, in modo da non sovradimensionare lo scambiatore esterno; questa ridondanza nel sistema di raffreddamento è particolarmente utile nel caso in cui, in seguito ad uno scenario incidentale, una delle superfici di scambio non sia disponibile (ad esempio quando avviene un guasto al sistema di alimentazione della camicia esterna o al sistema di agitazione del reattore).

Un ulteriore aspetto da considerare è rappresentato dal fatto che l’installazione di uno scambiatore di calore esterno consente di diminuire i tempi di dosaggio del coreagente, in quanto l’aumento del calore prodotto dalla reazione nell’unità di tempo verrebbe contrastato dalla maggiore capacità di asportazione dello stesso; ciò rappresenta un significativo vantaggio in termini di aumento della produttività dell’impianto.

1.5 Utilizzo dello Ψ Number per obiettivi produttivi

L’ultimo aspetto trattato nell’elaborato è quello dell’ottimizzazione della produttività dei reattori semi- batch attraverso l’utilizzo dello Ψ Number, un parametro che quantifica la “distanza” del processo in analisi

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dalle condizioni di target (Maestri e Rota, 2016) e che viene definito come il rapporto tra il calore asportato realmente e il calore asportato in condizioni ideali (corrispondente al calore prodotto dalla reazione):

( =)'#*+!'#*( − '#*) ,-$##. /!$##.( $##.,#01$##.,23) ),'#*(−% 4 )

(2) Esso, quindi, prescinde dai parametri cinetici del processo, consentendo di operare il controllo e l’ottimizzazione della produzione evitando l’utilizzo e la risoluzione di un modello matematico .

Solitamente i criteri energetici (tra i quali viene annoverato lo Ψ Number) vengono utilizzati per la scelta di condizioni operative sicure per il funzionamento di reattori semi-batch all’interno dei quali vengono condotte reazioni potenzialmente fuggitive. Questa scelta viene effettuata alla scala calorimetrica, scegliendo un tempo di dosaggio per il quale il parametro Ψ raggiunga valori superiori a 80 prima di aver alimentato il 20% del coreagente; il tempo di dosaggio calcolato alla scala di laboratorio verrà quindi scalato all’impianto industriale considerando il rapporto tra le efficienze di scambio termico del calorimetro e del reattore.

L’osservazione dell’andamento di Ψ nelle successive fasi del dosaggio ha invece tipicamente lo scopo di monitorare lo svolgimento in sicurezza del processo, facendo in modo che eventuali inibizioni, decadimenti di reattività o guasti al sistema di asportazione del calore di reazione vengano prontamente individuati: se Ψ assume valori inferiori rispetto ad un valore soglia precedentemente stabilito o presenta brusche diminuzioni in intervalli ristretti di tempo, sarà necessario attivare la procedura di interblocco.

La novità di questo elaborato risiede nell’utilizzo di Ψ non solo per fini di sicurezza, ma anche per la massimizzazione della produttività dell’impianto. Esso, infatti, fornisce indicazioni indirette sulla cinetica del processo: una diminuzione di Ψ indica una diminuzione della reattività della miscela, principalmente dovuta al consumo del reagente precaricato (il quale assume concentrazioni bassissime negli istanti finali del processo), che potrà essere contrastata attraverso la regolazione dei parametri operativi del reattore in modo da massimizzare la produzione.

A questo fine, verrà quindi introdotto un incremento della temperatura del reattore attraverso il sistema di condizionamento termico; così facendo, si otterrà un aumento della velocità di reazione negli istanti finali del dosaggio, nei quali, in seguito alla diminuzione della concentrazione del reagente precaricato, la velocità di conversione diminuisce notevolmente. L’obiettivo è dunque quello di compensare la perdita di reattività

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negli istanti finali del processo attraverso l’aumento della costante cinetica (la velocità di reazione ha infatti una dipendenza di tipo esponenziale dalla temperatura).

2. Modello matematico

Per derivare le equazioni necessarie alla trattazione del problema in esame, è necessario partire dall’equazione generale di bilancio energetico per un reattore semibatch:

567 /!89' 67 /!89$:;

;< = 6) +!9'#*( '#*− ) =>??8"6−% 4 9 − @231 231( − $##.)

(3) Presupponendo di utilizzare uno scambiatore esterno al reattore, è necessario aggiungere un ulteriore termine di asportazione del calore:

567 /!89' 67 /!89$:;

;<

= 6) +!9'#*( '#*− ) =>??8"6−% 4 9 − @231 231( − $##.) − @>A1 >A1( − $##.)

67 /!89$B1 67 /!89' 67 /!89$C;

;<

= 6) +!9'#*( '#*− ) =>??8"6−% 4 9 − @231 231( − $##.) − @>A1 >A1( − $##.)

(4) Si definiscono inoltre i seguenti parametri:

6D /6D /E9F

E9G = H = I < J K JL<M = <LN

OF,PQPO

G = R = H KKN=<N SNTUVI<=LJN <= JN=I WIX<I <N< TI ;LYKI=YN I =I WIX<I K=IJ =LJ <N

11

FQZ= [ = <IVKN ;LVIXYLNX TI

• \ =]]

^_` = <IVKI= <U= ;LVIXYLNX TI

(17)

13

• a =3b,c3d3b

b,c = JNXSI=YLNXI Con "2?= 300℃ (scelta arbitrariamente)

L’equazione precedente assume dunque la seguente forma:

67 /!89$h1 H R[i; \

;[<'#*"2?

= 6) +!9'#*( '#*− ) =>??8"6−% 4 9 − @231 231( − $##.) − @>A1 >A1( − $##.)

(5) E’ possibile ora riformulare i seguenti termini:

• )'#*=31FQZ

FQZ =DFQZ1 OFQZ

FQZ

• ( '#*− ) = 6 \'#*− \9 "2?

• =>??8" =j3b,c

b1FQZ 'k 'l

• 8 = 8",m 8'= 8",m(1 R[)

• = m(1 R[)

• ( − $##.) = 6 \ − \$##.9 "2?

Applicando le sostituzioni appena analizzate si ottiene:

67 /!89$h1 H R[i; \

;[<'#*"2?

=(7 /!)'#*8'#*

<'#* 6 \'#*− \9 "2? X ,m

<'#*

;a

;[ 6−%4 9 − (@ )m(1 R[)6 \ − \$##.9 "2?

− (@ )>A16 \ − \$##.9 "2?

(6)

Dividendo poi entrambi i membri per 67 /!89$]1^_`

FQZ, si ricava:

h1 H R[i; \

;[ = H R6 \'#*− \9 J ,m

(7 /!)$ "2?

;a

;[ 6−%4 9 − (@ )m(1 R[)6 \ − \$##.9<'#*

67 /!89$

−(@ )>A16 \ − \$##.9<'#*

67 /!89$

(6)

(18)

14

E’ necessario ora definire due raggruppamenti adimensionali che saranno fondamentali per la trattazione successiva, ovvero l’incremento adiabatico di temperatura adimensionale (incremento di temperatura che si avrebbe in condizioni adiabatiche, normalizzato rispetto alla temperatura di riferimento) e il Cooling number, un parametro che rappresenta il rapporto tra la capacità di asportazione termica del sistema e l’inerzia termica dello stesso (Pohorecki e Molga, 2010); avendo a disposizione due superfici di scambio termico (quella interna, rappresentata dalla camicia e dal serpentino, e quella esterna, costituita dallo scambiatore esterno al reattore) è necessario formulare due Cooling Number distinti, uno interno ed uno esterno:

J ,m

(7 /!)$6−% 4 9 = % &'

% &'

"2? = % \&'

(@ )m<'#*

R67 /!89$ = N231

(@ )>A1<'#*

R67 /!89$ = N>A1

Il bilancio energetico finora sviluppato diventa quindi:

h1 H R[i; \

;[ = H R6 \'#*− \9 % &';a

;[ − R N231(1 R[)6 \ − \$##.9 − R N>A16 \ − \$##.9 (7) L’ultimo raggruppamento adimensionale da esplicitare è quello della temperatura adimensionale efficace di raffreddamento, temperatura che tiene conto sia della temperatura del fluido refrigerante, sia della temperatura della corrente di dosaggio:

\$##.,>?? =R N231(1 R[) \$##. R N>A1 \$##. RH \'#*

R N231(1 R[) R N>A1 RH

Per cui:

\ − \$##.,>?? =R N231(1 R[)( \ − \$##.) R N>A1( \ − \$##.) RH ( \ − \'#*) R N231(1 R[) R N>A1 RH

(19)

15

\ − \$##.,>?? = N231(1 R[)( \ − \$##.) N>A1( \ − \$##.) H ( \ − \'#*) N231(1 R[) N>A1 H

(8) Applicando le opportune sostituzioni, il bilancio diventa:

h1 H R[i; \

;[ = % &';a

;[ − Rh N231(1 R[) N>A1 H i6 \ − \$##.,>??9

(9) Valida per 0 ≤ [ ≤ 1.

Per valori di [ > 1, è necessario applicare le seguenti sostituzioni:

R[ = R (non si hanno più variazioni volumetriche dopo la fine del dosaggio)

'#*= nella definizione della $##.,>??

A questo punto si ipotizza di trovarsi in condizioni di target; ciò implica condizioni isoterme e di pseudostazionarietà rispetto alla conversione del reagente dosato A (Maestri e Rota, 2016):

;

;< = 0

;X

;< ≅ 0

Per definire la quantità di A all’interno del reattore, è necessario considerare due contributi, ossia quello dovuto al dosaggio (positivo) e quello dovuto alla reazione (negativo, la reazione consuma A):

;X

;< = ),'#*− =>??8" ≅ 0 ),'#*− =>??8" ≅ 0

),'#* = =>??8" = X ,m

<'#*;a

;[

),'#* inoltre, può anche essere inteso come il rapporto tra la quantità totale di reagente dosato e il tempo di dosaggio:

),'#* =X ,1#1

<'#*

Per cui:

(20)

16 X ,m

<'#*

;a

;[ =X ,1#1

<'#*

X ,m;a

;[ = X ,1#1 X ,m;a

;[ =X ,1#1

Il vincolo stechiometrico impone che 3b,c

jb =3q,PQPj

q ; per questo motivo:

;a

;[ = 1

Risolvendo l’equazione differenziale, utilizzando come condizioni al contorno quelle iniziali:

\([ = 0) = \m

a([ = 0) = 0

E’ possibile stabilire che:

a = [

Ciò significa che in condizioni di target la conversione dei reagenti viene controllata attraverso il tempo di dosaggio ed avrà quindi un valore pari alla frazione di coreagente dosato (Steinbach, 1999).

Inserendo le condizioni di target all’interno del bilancio sviluppato finora:

0 = % \&'− Rh N231(1 R[) N>A1 H i6 \1&− \$##.,>??9

(10) E’ possibile definire il profilo della temperatura di target ( \1&) attraverso l’aggiunta di un coefficiente sperimentale conservativo:

\1& = \$##.,>?? % \&'∗ 1.05

Rh N231(1 R[) N>A1 H i

(11) Il profilo termico di target è perciò una funzione decrescente nel tempo: il denominatore aumenta all’aumentare di θ, parametro che varia da 0 a 1 durante il periodo di dosaggio per poi rimanere formalmente costante dopo la fine di esso. La temperatura di target dopo la fine del dosaggio (periodo di maturazione) rimane dunque costante. Questo comportamento è giustificato dal fatto che la superficie

(21)

17

interna di scambio termico (camicia + serpentina) cresce con il grado di riempimento del reattore, il quale aumenta durante il periodo di dosaggio in seguito all’ingombro volumetrico fornito dal reagente dosato.

Come già spiegato in precedenza, l’obiettivo è quello di lavorare in condizioni vicine a quelle isoterme; per questo motivo il parametro fondamentale che si vuole minimizzare è % \1&, ossia la differenza tra le temperature adimensionali di target all’inizio e alla fine del dosaggio (rispettivamente corrispondenti a [ = 0 e a [ = 1) :

% \1&= \1&,m− \1&,t

Per cui:

% \1& =H \'#* ( N>A1 N231) \$##.

H N>A1 N231 −H \'#* 6 N>A1 N231(1 R)9 \$##.

H N>A1 N231(1 R)

% \&'∗ 1.05

R h 1

N231 N>A1 H − 1

N231(1 R) N>A1 H i

(12) Raggruppando:

% \1& =H \'#* ( N>A1 N231) \$##. 1.05 % \&'

H N>A1 N231 R

−H \'#* 6 N>A1 N231(1 R)9 \$##. 1.05 % \&'

H N>A1 N231(1 R) R

(13) In caso si abbia \'#*= \$##. = \m (ipotesi conservativa, in quanto l’assunzione di \'#*= \$##. = \m

anziché \'#*< \$##. = \m fa in modo che la fonte di raffreddamento derivante dal contributo entalpico della corrente dosata sia nulla), l’espressione appena ricavata si riduce alla seguente:

% \1&=% \&'∗ 1.05

R h 1

N231 N>A1 H − 1

N231(1 R) N>A1 H i

(14) Attraverso l’ultimo bilancio termico sarà quindi possibile confrontare il profilo termico reale del reattore con quello definito dalle condizioni di target, in modo da stabilire se l’apparecchio venga esercito in condizioni di sicurezza o meno.

(22)

18

3. Definizione delle condizioni operative ottimali

La scelta delle condizioni operative ottimali di un processo semibatch passa attraverso la definizione delle due condizioni che configurano il profilo termico di target, garantendo il funzionamento sicuro del reattore:

• Condizioni isoterme di funzionamento: il calore prodotto dalla reazione viene istantaneamente rimosso attraverso il sistema di raffreddamento del reattore:

; ;< ≈ 0

• Pseudostazionarietà della concentrazione del coreagente dosato: la reazione converte istantaneamente il reagente dosato, non consentendone l’accumulo:

;X

;< ≈ 0

Il profilo termico del reattore è dunque tanto più sicuro, quanto più si avvicina al profilo di target: affinchè ciò avvenga la temperatura del processo deve raggiungere valori prossimi a quelli di target nel minore tempo possibile (se la temperatura si avvicina velocemente a quella di target si ha un accumulo di coreagente tendente a zero), mantenerli per gran parte del periodo di dosaggio e infine crollare bruscamente una volta terminato il dosaggio, ad indicare che la quantità di coreagente al termine del processo è praticamente nulla (Maestri et al., 2019).

Come già riportato in precedenza, il raggiungimento delle condizioni operative ottimali può essere attuato mediante l’allocazione di uno scambiatore di calore esterno al reattore: esso, infatti, permette un’elevata ed efficiente asportazione del calore, avvicinando le condizioni di funzionamento del reattore a quelle isoterme, in quanto la temperatura del reattore si mantiene in un intorno ridotto della temperatura di ricetta del processo.

A questo punto è dunque necessario stimare l’area dello scambiatore esterno che massimizzi la sicurezza del processo; essa deve essere sufficientemente ampia da minimizzare la dipendenza funzionale della \1& (e di conseguenza del % \1&) da [, ma non eccessivamente grande da ridurre % \w>&* (differenza tra la temperatura di target e la temperatura del fluido refrigerante a un tempo pari alla metà del tempo di dosaggio) al di sotto di un ragionevole limite di misurabilità, poiché se ciò accadesse non sarebbe possibile il rilevamento di fenomeni di inibizione della reazione.

% \w>&* = \1&([ = 1/2) − \$##.,>??= \$##.,>?? % \&'∗ 1.05

Rh N231z1 R2{ N>A1 H i− \$##.,>??

= % \&'∗ 1.05

Rh N231z1 R2{ N>A1 H i

(23)

19

(15) Sulla base dell’accuratezza media delle termocoppie utilizzate a livello industriale, è ragionevole supporre che il valore limite sotto il quale non debba scendere % w>&* sia pari a 2℃ (è consigliabile inoltre l’applicazione di più termocoppie sul reattore, sia per fini di ridondanza di sicurezza, sia per mediare gli errori di misura delle singole termocoppie).

In seguito verranno riportati due significativi casi studio riguardanti le nitrazioni del 4-Cloro Benzotrifluoruro e del 2,4-diCloro Benzotrifluoruro. La scelta è ricaduta su queste due reazioni poiché sono trasformazioni pericolosamente fuggitive e largamente studiate in passato (Zaldivar et al., 1995; Zaldivar et al., 1996): ciò consente di poter simulare con buona precisione il loro cammino di reazione sfruttando i parametri cinetici e termodinamici presenti in letteratura, senza dover studiare il loro comportamento a livello sperimentale.

3.1 Correlazioni grafiche

Al fine di dimensionare l’area dello scambiatore esterno da applicare al reattore, è necessario ricavare il valore di N>A1 attraverso l’azzeramento del bilancio termico adimensionale del reattore in funzione del valore di N231 ( N>A1= |( N231)):

% \1&

% \&' =1.05

R h 1

N231 N>A1 H − 1

N231(1 R) N>A1 H i

(16)

ottenendo così una curva che, una volta assegnati i valori di R, H e H =}]\}]\P~

~F∗ 100(parametro che quantifica la distanza del processo dalle condizioni di funzionamento isotermo), è in grado di fornire il valore di N>A1 per ogni N231 considerato ( N>A1= |( N231)).

Questa curva ha un andamento a massimo, poiché la dipendenza della Tta da θ è inferiore rispetto ad un reattore semi-batch standard munito solo di una superficie di scambio interna (e quindi dipendente dal grado di riempimento del reattore). Infatti:

N>A1 N231 ≫ R ∗ [ ∗ N231

(24)

20

Siccome durante il dosaggio R ∗ [ < 1, la velocità di crescita di N231 è maggiore rispetto a quella di R ∗ [ ∗ N231 .

Per questo motivo, se N231 aumenta, N>A1 deve aumentare con una velocità decrescente, la quale implica una derivata seconda minore di zero e quindi un andamento a massimo.

Inoltre, fissati RH e RDT, N>A1 è inferiore per valori di ε elevati: ciò può essere spiegato dal fatto che, aumentando ε, il contributo entalpico (refrigerante) della corrente di dosaggio cresce, diminuendo così il carico termico da smaltire nello scambiatore esterno.

Sulla base di quanto detto, è possibile distinguere tre casistiche in relazione al tipo di sistema studiato (Westerterp Molga):

• Sistemi omogenei: H ≅ 1

• Sistemi bifase liquido/liquido con fase continua acquosa: H ≅ 0.4

• Sistemi bifase liquido/liquido con fase continua organica: H ≅ 2.5

I valori di H presi in esame sono 0.05, 0.1, 0.2, 0.5 e 1; a parità di % \&'(essendo H definito come il rapporto }]\}]\P~

~F∗ 100), a bassi valori di H corrispondono valori di % \1& tendenti a zero e di conseguenza profili della temperatura di target tendenti a quello isotermo (condizione ottimale per il monitoraggio e la sicurezza del reattore). Tuttavia la scelta di un valore di H basso non sempre porta a profili di temperatura ottimali, in quanto, soprattutto nel caso di reazioni con un % \&' relativamente ridotto, rende la differenza tra la temperatura di target e la temperatura del fluido refrigerante inferiore al valore soglia scelto (2℃); in questo modo il rilevamento di scenari di inibizione sarà difficoltoso.

A titolo esemplificativo vengono riportate le correlazioni grafiche per il calcolo di N>A1 nel caso di sistemi bifase liquido/liquido con fase continua acquosa (H ≅ 0.4) per ogni valore di H indicato (Figure 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 3.5); i valori di R scelti per il calcolo sono 0.05, 0.3 e 0.6.

(25)

21

(Figura 3.1. H = 0.05)

(Figura 3.2. H = 0.1)

(26)

22

(Figura 3.3. H = 0.2)

(Figura 3.4. H = 0.5)

(27)

23

(Figura 3.5. H = 1)

Per quanto riguarda il calcolo di N231, è possibile utilizzare le correlazioni grafiche fornite da Westerterp e Molga (articolo), le quali stabiliscono il valore di #_•P

1FQZ (cooling number interno riferito ad un tempo di dosaggio pari ad un’ora) in funzione del volume del reattore, sotto l’ipotesi di adeguata miscelazione.

• La prima correlazione riguarda reattori muniti di sola camicia

• La seconda correlazione viene fornita per reattori equipaggiati con camicia e serpentino interno

(28)

24

Figura 3.6. Correlazioni grafiche per il calcolo di #_•P,

1FQZ

Una volta stabilito il valore di #_•P,

1FQZ, le correlazioni grafiche fornite in precedenza permettono di ottenere il valore di #‚ƒP

1FQZ , necessario per dimensionare lo scambiatore esterno.

3.2 Criterio di dimensionamento dell’area dello scambiatore esterno

La procedura di dimensionamento dello scambiatore esterno si articola in 7 step (Maestri et al., 2019):

1. Si raccolgono i dati termodinamici e i parametri di processo provenienti dalla “ricetta” del chimico (se non presenti, si cercano in letteratura); in questo modo è possibile calcolare % &' ed ε (la cinetica di reazione non è dunque necessaria).

2. Una volta stabilito il volume del reattore, si calcola #_•P,

1FQZ attraverso le correlazioni fornite da Westerterp e Molga (Westerterp e Molga, 2004).

3. Si sceglie il valore di RDT minimo (=0.05). Ciò significa che se % &'= 200°C, il corrispondente % 1&

sarà inferiore a 0.1°C; per questo motivo la variazione della 1& sarà trascurabile (profilo della 1&

praticamente isotermo).

4. Si ricava #‚ƒP,

1FQZ dalle correlazioni grafiche mostrate in precedenza (Figure 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 3.5).

(29)

25 5. Si verifica che #‚ƒP,

1FQZ e di conseguenza l’area dello scambiatore esterno abbiano un valore adeguato attraverso due controlli:

• % w>&*≥ 2°

• L’area dello scambiatore esterno sia compatibile con le limitazioni logistiche ed economiche dell’impianto

6. Se i controlli effettuati risultano positivi, si adotta lo scambiatore di misura standard superiore e si calcolano i parametri operativi finali dell’impianto.

7. Se % w>&* è troppo basso (o la misura dell’area dello scambiatore esterno è troppo elevata rispetto allo spazio disponibile o non realistica), si ripetono i punti 3-6 utilizzando un valore di RDT maggiore (il limite superiore di RDT è quello corrispondente al massimo % 1& stabilito).

Una volta dimensionato lo scambiatore esterno, il reattore può essere monitorato misurando la temperatura del reattore e confrontandola con il suo valore di target ( 1&): per la maggior parte del periodo di dosaggio, la temperatura deve discostarsi da 1& di un valore che tiene conto dei disturbi dovuti ai

“rumori” di misura e alle piccole variazioni delle proprietà del sistema col procedere della reazione.

Per questo motivo, supponendo di avere strumenti con un’accuratezza = ±1℃ e tenendo conto del fatto che % w>&* debba essere ≥ 2℃, la banda di variazione della temperatura dal profilo di target deve essere ragionevolmente compresa tra 1 e 2°C. (Questo criterio è applicabile a sistemi in cui le proprietà fisiche non variano significativamente durante il periodo di dosaggio, caratteristici dell’industria chimica fine e dell’industria farmaceutica).

3.3 Caso studio 1: dimensionamento dello scambiatore esterno per la nitrazione del 4-Cl BTF

La nitrazione del 4-Cloro Benzotrifluoruro a dare 4-Cloro, 3-Nitro Benzotrifluoruro avviene dosando il reagente in una soluzione di acido nitrico e acido solforico (il quale agisce come catalizzatore). Essa è una reazione fortemente esotermica (∆ 4 = −123 ‡/VNT) che porta alla formazione di un composto utilizzato prevalentemente come intermedio per la sintesi di una vasta classe di erbicidi fluorurati (Maestri e Rota, 2016). Dal momento che la massa reagente subisce un forte aumento di temperatura e pressione

(30)

26

che può portare a pericolosi fenomeni di decomposizione (Tdec=140°C), la reazione può essere esercita su scala industriale a una temperatura 100°C inferiore rispetto a quella di decomposizione, in accordo alla cosiddetta “regola dei 100°C” (Hofelich e Thomas, 1989). Tuttavia questo criterio potrebbe portare alla scelta di una temperatura iniziale di reazione troppo bassa che causerebbe un eccessivo accumulo di reagente dovuto ad una velocità iniziale di reazione ridotta, creando così una potenziale situazione di runaway.

Per questo motivo la temperatura iniziale di reazione viene settata a 60°C, accertandosi poi che con il procedere della reazione la temperatura non superi mai gli 80°C (oltre questa temperatura potrebbe avvenire una doppia nitrazione del composto, dando luogo così ad un prodotto di reazione indesiderato).

Inoltre, essendo una reazione che avviene in fase continua e che implica quindi il trasporto del coreagente dalla fase dispersa organica alla fase continua acida (ad elevata densità), il reattore semi-batch deve essere munito di un sistema di agitazione potente (400 rpm) in modo da minimizzare le resistenze al trasporto materiale e da massimizzare l’efficienza di trasporto del calore.

Figura 3.7. Nitrazione del 4-Cl BTF

La ricetta chimica prevede il dosaggio del 4-Cloro Benzotrifluoruro puro all’interno della soluzione acida al 9% w/w di acido nitrico (Maestri e Rota, 2016), il che implica un eccesso di acido nitrico rispetto al reagente dosato pari al 6% (Tabella 3.1):

QUANTITA’ SPECIE

CARICO INIZIALE 67.05g HNO3 (PM=63 g/mol)

(31)

27

621g H2SO4 (PM=98 g/mol)

688.05g Tot

COREAGENTE 181.3g 4-Cl BTF (PM=180.5 g/mol)

T0 60°C

TMAX 80°C

Tdec

/!,$

140°C

1.477 kJ/(kg K) (Yaws, 1998)

Tabella 3.1. Dati RC1 per la nitrazione del 4-Cl BTF

% &' = J ,m

(7 /!)$6−∆ 4 9 = X ,m

8$(7 /!)$(−% ") = X ,m

(V /!)$6−∆ 4 9 =

67.05

688.05 ∗ 1.477 (123000)63

= 128.8℃

, ‹H = m&' = 60 128.8 = 188.8℃

Poiché la MAT è stata fissata a 140°C, la condizione operativa risulta fortemente a rischio.

Si suppone ora di avere a disposizione un reattore industriale con volume pari a 9m3 (H=2D, con H corrispondente all’altezza del reattore e D corrispondente al diametro del reattore) riempito inizialmente con 4.688m3 di soluzione acida nella quale viene poi dosato il 4-Cl BTF.

Caratteristiche reattore:

Volume [m3] 9 Vc=4.688

Vd=1.641 Sup. Iniziale scambio th. [m2] 45

Velocità di agitazione [rpm] 400

(UA)0 [kW/K] 12

(32)

28

(UA)fin [kW/K] 16.2

(UA)medio [kW/K] 14.1

Parametri adimensionali

Energia di attivazione γ 35

Incremento adiabatico T ΔTad 0.43

Incremento volumetrico ε 0.35

Heat Capacity Ratio RH 0.644

Tabella 3.2. Dati reattore per la nitrazione del 4-Cl BTF

E’ necessario ora studiare il processo alla scala calorimetrica, in modo da effettuare successivamente uno scale up in condizioni di sicurezza alla scala industriale (Maestri et al., 2009); il calorimetro preso in considerazione è un calorimetro RC1, avente i seguenti parametri operativi:

• @ = 154wŒŽ

m = 0.021 V (superficie di scambio termico ad inizio dosaggio)

• 8m= 385 JV (volume di reazione iniziale)

Il #_•P

1FQZ del calorimetro può dunque essere agevolmente calcolato:

N231 =(@ )m∗ <'#*

R67 /!89$ = z154 •V ‘ ∗ 0.021 V { ∗ 3600

0.35 ∗ (1787 WV∗ 1477 ‡W ∗ ‘ ∗ 385 ∗ 10^(−6)V)≅ 33

Effettuando le dovute simulazioni alla scala calorimetrica, è possibile stabilire che un tempo di dosaggio pari ad un’ora sia in grado di consentire l’operazione in sicurezza del processo rimanendo distante dalla temperatura di doppia nitrazione (80°C).

(33)

29 Figura 3.8. #_•P

1FQZ = 33, <'#* = 1ℎ

Come si evince dal profilo termico del calorimetro (Figura 3.8), la temperatura del sistema si avvicina a quella di target abbastanza velocemente, indicando un accumulo ridotto del coreagente dosato e di conseguenza condizioni di funzionamento sicure.

La procedura di scale up in impianto deve essere effettuata tenendo in considerazione le diverse efficienze di scambio termico alle due scale; per fare ciò è dunque necessario conservare lo stesso valore di cooling number utilizzato alla scala calorimetrica anche alla scala industriale. Attraverso le correlazioni grafiche fornite da Westerterp e Molga (Westerterp e Molga, 2004) è possibile stabilire che il valore di 1#_•P

FQZ sia 3 in caso di reattore semibatch munito di sola camicia, o 11 in caso di reattore semibatch equipaggiato con camicia e serpentino interno. Dunque, volendo scalare il processo alla scala industriale in condizioni di sicurezza si dovranno adottare:

• Un tempo di dosaggio pari a <'#*= #_•P( t)∗1# FQZ( t)

_•P(23') =••∗t” = 11ℎ in caso di reattore semibatch munito di sola camicia esterna (Figura 3.9)

(34)

30 Figura 3.9. #_•P

1FQZ = 3, <'#*= 11ℎ

• Un tempo di dosaggio pari a <'#*= #_•P( t)∗1# FQZ( t)

_•P(23') =••∗t”tt = 3ℎ in caso di reattore semibatch munito di camicia esterna e serpentino interno (Figura 3.10)

(35)

31 Figura 3.10. #_•P

1FQZ = 11, <'#*= 3ℎ

A questo punto, nell’ottica di un aumento della produttività dell’impianto, si suppone di voler contenere il periodo di dosaggio alla scala industriale entro le tre ore; è necessario dunque valutare i profili termici del reattore nelle due casistiche appena analizzate, implementando il tempo di dosaggio appena scelto:

• In caso si scegliesse un tempo di dosaggio del coreagente pari a tre ore all’interno di un reattore munito di sola camicia esterna, si otterrebbe un profilo termico non accettabile (Figura 3.11), in quanto nelle fasi iniziali del dosaggio la temperatura del reattore è lontana da quella di target (indice di un forte accumulo del reagente dosato) e raggiunge picchi di temperatura superiori agli 80°C, temperatura alla quale si presenta il rischio di doppia nitrazione del composto (con conseguente sviluppo di un prodotto indesiderato)

(36)

32 Figura 3.11. #_•P

1FQZ = 3, <'#*= 3ℎ

• Se invece si scegliesse di adottare un tempo di dosaggio del coreagente pari a tre ore in un reattore munito sia di camicia esterna che di serpentino interno, il profilo termico sarebbe uguale a quello ottenuto in precedenza operando lo scale up dalla scala calorimetrica alla scala industriale (Figura 3.10). Esso è indicativo di un funzionamento sicuro del reattore, in quanto non presenta significativi accumuli iniziali di coreagente (la temperatura del reattore si avvicina abbastanza velocemente a quella di target) e i picchi di temperatura si aggirano intorno ai 70°C, per cui inferiori rispetto alla temperatura di doppia nitrazione con un buon margine (circa 10°C). Tuttavia queste condizioni potrebbero essere ulteriormente migliorate, cercando di ridurre al minimo l’accumulo iniziale del coreagente e limitando a picchi di temperatura a valori inferiori rispetto a quello ottenuto, in modo da avere un intervallo temporale di manovra superiore in caso di scenari incidentali (ad esempio un guasto al sistema di raffreddamento o uno scenario di inibizione).

In quest’ottica di miglioramento delle condizioni operative, è possibile valutare il comportamento del reattore nel caso in cui la superficie di scambio del serpentino interno venisse trasportata all’esterno del reattore mediante l’allocazione di uno scambiatore di calore esterno; questa operazione fornirebbe il vantaggio di poter usufruire sin dai primi istanti del dosaggio di tutta la superficie di asportazione dello scambiatore, cosa che non era possibile utilizzando un serpentino interno, in quanto la superficie di

(37)

33

scambio del serpentino è subordinata al grado di riempimento del reattore. Inoltre un ulteriore vantaggio è rappresentato dal fatto che, spostando la superficie di scambio dall’interno all’esterno del reattore, si ha un guadagno in termini volumetrici dovuto al mancato ingombro del serpentino all’interno del reattore.

Figura 3.12. #_•P

1FQZ = 3; 1#‚ƒP

FQZ = 8: <'#*= 3ℎ

Come è possibile notare dalla Figura 3.12, l’accumulo iniziale di coreagente è rimasto praticamente invariato (leggera diminuzione) rispetto al caso in cui veniva utilizzato un serpentino interno, ma attraverso l’applicazione dello scambiatore esterno è stato possibile ottenere un andamento della temperatura di target più vicino a quello isotermo (e quindi più facile da monitorare) e un profilo termico del reattore molto più vicino a quello di target; ciò significa che le condizioni operative ottenute sono più simili a quelle rappresentanti le condizioni di target e che quindi la conversione dei reagenti durante il periodo di dosaggio sia maggiore (una delle condizioni di target ipotizzate in precedenza era rappresentata dalla pseudostazionarietà della concentrazione del coreagente dosato, o in altri termini il fatto che il coreagente venisse consumato istantaneamente, producendo un accumulo pari a zero e quindi una conversione a fine dosaggio pari al 100%).

E’ stato dunque dimostrato come l’installazione di una superficie di scambio termico esterna al reattore produca vantaggi non indifferenti in termini di sicurezza del processo.

(38)

34

Si applica dunque l’iter illustrato precedentemente per il dimensionamento dello scambiatore esterno;

trattandosi di un sistema bifase liquido/liquido con fase continua acquosa, è possibile utilizzare le correlazioni grafiche mostrate in precedenza (Figure 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 3.5): selezionando come primo tentativo il valore di RDT minimo (=0.05), è possibile stabilire che ad un 1#_•P

FQZ pari a 11, corrisponde un valore di #‚ƒP

1FQZ pari a 138 (si è scelto il valore di ε pari a 0.3, in quanto è il più prossimo a quello del sistema in esame).

Si valuta ora il profilo termico applicando uno scambiatore di calore esterno con #‚ƒP

1FQZ =138:

Figura 3.13. #_•P

1FQZ = 11; 1#‚ƒP

FQZ = 138

Il profilo termico del reattore sembrerebbe sicuro, in quanto, oltre ad essere praticamente isotermo, non presenta accumulo iniziale (la temperatura del reattore si avvicina a quella di target sin dai primi istanti del dosaggio) e la temperatura reale del reattore si discosta da quella di target di un valore inferiore a 1°C durante tutto il periodo di dosaggio; tuttavia % w>&* è inferiore a 2℃ e ciò potrebbe rappresentare un problema in caso di inibizione della reazione, in quanto si correrebbe il rischio di non identificare per tempo il fenomeno.

(39)

35

Per questo motivo, come spiegato nel punto 7 della procedura per il dimensionamento dell’area dello scambiatore esterno, è necessario scegliere valori di RDT superiori; le figure seguenti (3.14, 3.15, 3.16) rappresentano i profili termici del reattore, ottenuti applicando scambiatori di calore esterni con i cooling number ricavati dalle correlazioni con RDT superiori:

• H = 0.1; 1#‚ƒP

FQZ = 93

• H = 0.2; 1#‚ƒP

FQZ = 63

• H = 0.5; 1#‚ƒP

FQZ = 35

Figura 3.14. H = 0.1; 1#_•P

FQZ = 11; 1#‚ƒP

FQZ = 93

(40)

36 Figura 3.15. H = 0.2; 1#_•P

FQZ = 11; 1#‚ƒP

FQZ = 63

In entrambi i casi (Figure 3.14 e 3.15), il profilo termico del reattore risulta sicuro in termini di accumulo e di temperature raggiunte, ma presenta nuovamente il problema di fornire un valore di % w>&* inferiore ai 2℃. Scambiatori esterni aventi 1#‚ƒP

FQZ pari a 93 o 63 non sono dunque accettabili.

(41)

37 Figura 3.16. H = 0.5; 1#_•P

FQZ = 11; 1#‚ƒP

FQZ = 35 Assumendo un valore di #‚ƒP

1FQZ pari a 35 (Figura 3.16) è possibile ottenere un profilo che, oltre a mantenersi ben al di sotto della MAT e a non presentare accumulo del coreagente, è in grado di fornire un valore di

% w>&* superiore ai 2℃.

E’ finalmente possibile dimensionare l’area dello scambiatore esterno sfruttando la definizione di cooling number:

N>A1 =(˜ )™∗(D∗ /‚ƒP∗1FQZ

E∗O)G

>A1 = N>A1∗ R ∗ (7 ∗ /!∗ 8)$

@ ∗ <'#*

(17) Come è possibile notare dalla formula, il valore di >A1 è inversamente proporzionale al coefficiente di scambio termico globale dello scambiatore (indice dell’efficienza di scambio)

Solitamente le tipologie di scambiatori di calore utilizzate in questi casi sono essenzialmente due (Green e Perry, 2008):

T (°C)

(42)

38

• Scambiatori a fascio tubiero (@ ≅ 267wŒŽ)

• Scambiatori a piastre (@ ≅ 1000wŒŽ)

In caso di scambiatore a fascio tubiero:

= N>A1∗ R ∗ (7 ∗ /!∗ 8)$

@ ∗ <'#* =35 ∗ 0.35 ∗ 1787 ∗ 1477 ∗ 4.688

267 ∗ 3600 = 157V

In alternativa, con uno scambiatore a piastre si otterrebbe un’area di scambio pari a circa un quarto di quella calcolata per uno scambiatore a fascio tubiero (l’efficienza di scambio dello scambiatore a piastre è circa quattro volte superiore)

= N>A1∗ R ∗ (7 ∗ /!∗ 8)$

@ ∗ <'#* =35 ∗ 0.35 ∗ 1787 ∗ 1477 ∗ 4.688

1000 ∗ 3600 = 42V

3.4 Caso studio 2: dimensionamento dello scambiatore esterno per la nitrazione del 2,4-diCl BTF

La nitrazione del 2,4-diCloro Benzotrifluoruro a dare 2,4-diCloro 5-Nitro Benzotrifluoruro è una reazione che avviene mediante il dosaggio del coreagente in una soluzione composta da acido nitrico e acido solforico. Essa viene utilizzata nell’industria agroalimentare, in quanto il prodotto di reazione rappresenta un intermedio nella sintesi del Trifluorometil-difenil etere, anch’esso utilizzato diffusamente come erbicida (Maestri et al., 2018).

Trattandosi di una nitrazione di un composto aromatico, valgono tutte le considerazioni formulate nella trattazione del 4-Cloro Benzotrifluoruro.

Essendo inoltre i due composti chimicamente simili, le proprietà chimiche e le condizioni operative del processo non si discostano considerevolmente dal caso precedente: la Tdec del prodotto di reazione si aggira ancora intorno ai 140°C e la ricetta fornita dal chimico prevede un range di temperatura ideale compreso tra i 55 e i 65°C; l’esotermia della reazione è anche in questo caso elevata (∆ 4 = −152 ‡/VNT) e la frequenza del sistema di miscelazione deve essere intorno ai 300-400 rpm.

Riferimenti

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