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Il Private Equity

2.3 Gli Investitor

L’orizzonte degli investitori è abbastanza variegato, a seconda delle caratteristiche ricercate in termini di servizi offerti, stadio d’intervento, focalizzazione settoriale e competenze apportate all’azienda. In generale gli investitori in capitale di rischio vengono definiti, più o meno dettagliatamente, dall’EVCA come i soggetti:

 che svolgono come attività prevalente l’apporto di finanziamenti a titolo di capitale proprio o comunque permanente, per l’avvio e/o lo sviluppo di imprese con un elevato potenziale o per la ristrutturazione di imprese o, ancora, per la trasmissione di proprietà;

 che hanno come principale obiettivo il conseguimento nel medio-lungo termine, di capital gain per remunerare i rischi assunti;

 i cui investimenti riguardano prevalentemente titoli non quotati;

 che possono fornire un attivo supporto al management nelle aziende partecipate44.

34 Mentre in Italia, l’AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e del Venture Capital), riconosce come operatori del settore i soggetti:

 che come attività principale effettuano investimenti in aziende sotto forma di capitale di rischio attraverso l’assunzione, la gestione e lo smobilizzo di partecipazioni prevalentemente in società non quotate in Borsa;

 che hanno un attivo coinvolgimento nello sviluppo delle aziende partecipate pur senza assunzione della responsabilità imprenditoriale delle stesse45.

In letteratura la definizione globalmente accettata è quella di Sahlman (1990) che definisce le imprese di venture capital come: a professionally managed pool of capital that is invested in equity-linked securities of private ventures at various stages in their development. Venture capitalists are actively involved in the management of the ventures they fund, typically becoming members of the Board of directors and retaining important economic rights in addition to their ownership rights. The prevailing organizational form is the limited partnership, with the venture capitalists acting as general partners and the outside investors as limited partners»46. I venture capitalist sono società, banche, assicurazioni, fondi pensione, imprese o privati con grandi patrimoni. Tutti questi investitori focalizzano la loro attenzione su progetti ad elevato potenziale di sviluppo, quindi su imprese con progetti e prospettive di crescita da tutti i punti di vista (fatturato, reddito, dimensioni, posizione competitiva sul mercato, ecc). L’obiettivo, infatti, è quello di inserire l’impresa in un percorso di crescita ben delineato, supportata e guidata dall’investitore, per portarla nel più breve tempo possibile, al momento di maturità finanziaria, momento in cui l’impresa sarà in grado di continuare a reperire autonomamente i capitali necessari, permettendo

45

Gervasoni A. (1999), Impresa e mercato…, op. cit.

46

Sahlaman (1990) su Il venture capital, Finanziamento dell’innovazione, capitale di rischio e nuovi mercati finanziari, Bancaria editrice, Roma, 2001. «…una riserva di capitale gestito professionalmente che viene investito in titoli legati ad azioni di imprese private, nelle varie fasi del loro sviluppo. I venture capitalist sono attivamente coinvolti nella gestione delle imprese che finanziano, in genere diventando membri del Consiglio di amministrazione e mantenendo importanti diritti economici in aggiunta ai loro diritti di proprietà. La forma prevalente di organizzazione è la società in accomandita semplice, con i venture capitalist in qualità di soci accomandatari e gli investitori esterni come soci accomandanti.»

35 l’uscita dell’investitore con il massimo guadagno in conto capitale. L’attività d’investimento infatti è innanzitutto temporanea, le partecipazioni sono acquisite con la prospettiva di una loro successiva cessione nel mercato, già pianificata all’inizio dell’operazione. L’investitore non ha nessuna intenzione di prolungare la permanenza in azienda, quando non ritiene di poter portare valore aggiunto. Anche per questo motivo la posizione assunta all’interno della compagine sociale è solitamente di minoranza, e anche se partecipa alle decisioni strategiche relative all’impresa finanziata, contribuendo attivamente al suo sviluppo, non si assume responsabilità di gestione, poiché l’intento dell’investitore non è quello di ottenere il controllo della società ma piuttosto concedere una serie di supporti che rendono di fatto possibile una crescita aziendale molto più rapida e potente. In effetti, come già sottolineato, il venture capitalist non si limita ad un mero apporto di capitale, ma esso è generalmente accompagnato da un supporto gestionale, che si concretizza in una serie di servizi di consulenza e assistenza finanziaria e manageriale. Questo è uno degli aspetti che differenzia il private equity da un finanziamento tradizionale; quest’ultimo viene erogato dalle banche, come sappiamo, a favore dell’impresa prendendo in considerazione esclusivamente la solvibilità dell’impresa stessa, limitandosi ad osservare la capacità di rimborso, mentre la valutazione da parte dell’investitore istituzionale si concentra sulla capacità dell’impresa di crescere nel medio-lungo termine e di creare valore per gli azionisti. È naturale che viene fatta una valutazione sulla struttura finanziaria, per tener conto anche del citato vincolo finanziario, e della solidità, ma si pone l’accento sulla capacità del management di sviluppare i progetti aziendali e raggiungere gli obiettivi di crescita prefissati47. Si fa infatti la differenza tra capitale di credito e capitale di rischio. Così l’investitore in capitale di debito risulta molto più rigido, poiché le banche concedono finanziamenti alle imprese con il solo fine di percepire una remunerazione e di ottenere il rimborso del capitale a scadenza, mentre nel nostro caso si ha condivisione del rischio d’impresa, in quanto l’investitore si accolla una parte delle potenziali perdite diventando “co-imprenditore”. In realtà, nonostante si abbia compartecipazione

36 al capitale di rischio, il finanziamento con private equity rimane comunque un’operazione di intermediazione finanziaria, nella quale obiettivo finale è la liquidazione dell’investimento sul mercato cercando di massimizzare il capital gain.

Il quadro attuale degli operatori in Italia vede, accanto agli investitori

istituzionali, gli incubatori d’impresa, e i business angels. Questi ultimi sono

investitori privati ed informali, che finanziano piccole imprese in fase di avvio o di primo sviluppo. La loro natura informale è dovuta al fatto che essi prediligono il rapporto diretto con l’imprenditore diventando soci a titolo personale dell’impresa, senza la presenza di intermediari riconosciuti nei mercati regolamentati. Di solito si tratta di ex imprenditori, manager in attività o in pensione, liberi professionisti che dispongono di un notevole patrimonio personale e di una buona rete di relazioni con il mondo economico-finanziario, di conoscenze tecnico-operative e capacità gestionali da investire in una nuova attività. Essi hanno una forte competenza settoriale e locale, tendono, appunto, ad investire nei settori in cui hanno avuto esperienza diretta, prediligendo anche a livello geografico aree fisicamente vicine, anche per sfruttare la rete di relazioni posseduta. La capacità d’investimento di un business angels in Europa è compresa nell’intervallo che va da 50.000 a 500.000, in Italia l’investimento massimo si aggira attorno ai 250.000, mentre in USA si toccano anche i 5 milioni di dollari. In Italia nel 1999 nasce I.B.A.N. (Italian Business Angel Network) che organizza delle reti locali, chiamate B.A.N (Business Angel Network) aventi l’obiettivo di facilitare l’incontro tra investitori ed imprenditori. Gli apporti concreti che i B.A.N. forniscono vanno dall’assistenza alla redazione del business plan, all’organizzazione di meeting periodici e di forum con gli investitori, alla selezione dei business angels che, per interessi territoriali o settoriali, risultano idonei a far parte del network, fino alla gestione di reti informatiche, attraverso cui è possibile consultare sia le informazioni provenienti dagli investitori, sia le iniziative imprenditoriali in cerca di finanziamenti.

37  territoriali: hanno tendenzialmente una dimensione regionale, o trans regionale, con l’obiettivo di raggruppare il maggior numero possibile di investitori operanti sul medesimo territorio.

 tematici: in questo caso gli investitori sono individuati e riuniti per l’interesse riconducibile a specifici settori produttivi.

 telematici: l’attività è svolta esclusivamente attraverso l’utilizzo di reti telematiche (internet).

Accanto ai business angels troviamo gli incubatori, spazi fisici e non, in cui le start up possono trovare tutta l’assistenza, servizi d’ufficio e le attrezzature necessarie all’implementazione della business idea. Essi fungono da catalizzatori di idee, risorse, specializzazioni professionali, network di relazioni e conoscenze, al fine di far partire il percorso che va dall’idea all’impresa48. Concretamente gli incubatori forniscono il supporto per la redazione del business plan, favoriscono l’avvicinamento dell’azienda al mercato e possono anche provvedere al capitale di rischio, direttamente o mettendo l’azienda in contatto con gli investitori. Proprio per questo l’incubatore non viene visto come un operatore concorrente rispetto al venture capitalist, ma piuttosto si può considerare come un’attività complementare, giacché esso fornisce il cosiddetto “seed money”, quello cioè necessario per far nascere materialmente l’impresa dall’idea originaria. L’attività d’incubazione presenta diverse forme di applicazione, in Italia troviamo essenzialmente operatori pubblici, privati ed universitari. Gli incubatori pubblici sono enti non profit, finanziati con capitali statali, regionali o europei, spesso a fondo perduto, gestiti da operatori istituzionali. Essenzialmente gli obiettivi di questi soggetti sono di natura economico/sociale, come la creazione di posti di lavoro in zone ad alto tasso di disoccupazione, lo sviluppo di aree o settori depressi o deindustrializzati, o la riconversione di aree geografiche precedentemente sedi di stabilimenti industriali. Praticamente essi hanno lo scopo di selezionare progetti economicamente e fattivamente validi per poter offrire i servizi necessari all’azienda, che possono andare dalla semplice attività

38 di front e back office, fino alle consulenze amministrative, organizzative, commerciali, finanziarie e fiscali. Gli incubatori privati, al contrario, sono ovviamente profit oriented, e come i precedenti forniscono tutto il supporto necessario al primo sviluppo dell’impresa, dagli spazi fisici, ai servizi amministrativi e organizzativi, dall’assistenza per la redazione del business plan alla fornitura di contatti e alla credibilità necessaria per ottenere nuovi finanziamenti, come una sorta di ponte tra impresa e venture capital o investitori diversi. Essi, però, sono costituiti appunto da operatori privati, spesso emanazione di gruppi industriali o di istituzioni finanziarie e sono, come già detto, orientati al profitto attraverso il pagamento di commissioni e/o l’acquisizione di quote dell’impresa assistita. Per ultimi troviamo gli incubatori universitari, centri e laboratori dove studenti e ricercatori sfruttano le strutture, le apparecchiature tecniche, gli spazi e gli strumenti per trasformare le idee in progetti, e successivamente brevettarli. Essi spesso rappresentano infatti la modalità con cui le università capitalizzano e monetizzano questi brevetti. Le aziende incubate nell’ambito dell’università si sviluppano in un contesto altamente qualificato, che potrà tornare utile anche per eventuali contatti con finanziatori esterni49. La categoria di operatori che maggiormente si occupa dell’attività di investimento in private equity in Italia è quella degli investitori istituzionali, che possono essere scorporati in diverse categorie:

 venture capitalist;

 operatori bancari;

 operatori di corporate venture capital;

 operatori pubblici.

La differenziazione viene fatta riconducendosi a determinate caratteristiche, come la tipologia di operazione, l’area geografica, la dimensione dell’investimento, il settore industriale e l’acquisizione di quote di maggioranza o minoranza. Riguardo agli operatori bancari, essi possono operare con differenti modalità. Innanzitutto le banche possono promuovere la creazione di fondi

39 chiusi, investendo così attraverso una struttura diversa dalla casa madre, oppure più o meno formalmente, istituiscono al loro interno divisioni specializzate che investono direttamente in capitale di rischio o mediante finanziarie da esse interamente controllate e a ciò dedicate. Ovviamente gli operatori bancari, per loro natura, gestendo capitali non destinati ad attività di private equity, si caratterizzano per un profilo di rischio minore rispetto ad altri operatori, e di conseguenza la strategia di investimento sarà rivolta ad imprese già esistenti e con un ruolo marginale nella compagine sociale, cioè attraverso l’acquisizione di una quota di minoranza. Le modalità di rimborso delle quote ai sottoscrittori non essendo vincolanti alla stregua di quelle dei fondi comuni, come vedremo, fanno si che gli operatori bancari risultino investitori maggiormente “pazienti”. Il corporate venture capital, invece, viene definito come « practice where a large firm takes an equity stake in (or enters into a joint venture arrangement with) a small but innovative or specialist firm, to wich it may also provide management and marketing expertise. The objective is to gain a specific competitive advantage»50. Essenzialmente può essere vista come la semplice attività in venture capital, ma la differenza, oltre al fatto che è condotta da grandi gruppi industriali rispetto ai singoli investitori, sta nella motivazione alla base dell’operazione. Infatti mentre nel caso di altri operatori lo scopo è un certo ritorno atteso dell’operazione, i corporate venture capital investono per sfruttare al meglio le sinergie operative, tecniche ed industriali che le piccole aziende possono fornire, come l’accesso a nuove tecnologie, la penetrazione in nuovi mercati e infine anche i ritorni finanziari. Come per le banche, essi possono operare direttamente costituendo al loro interno delle divisioni specifiche che si occupino di questo tipo di investimento, oppure impiegare le risorse in un fondo di venture capital indipendente. Essi tendono comunque ad acquisire partecipazioni di minoranza all’inizio per poi incrementare il controllo via via che l’azienda si sviluppa, anche perché propendono per una gestione e una presenza attiva all’interno dell’impresa finanziata. Gli operatori pubblici, come

50

«Pratica in cui una grande impresa acquista una partecipazione azionaria (o entra in un accordo di joint venture) in una ditta piccola ma innovativa o specialista, a cui può anche fornire il management e competenze di marketing. L’obiettivo è di ottenere un vantaggio competitivo specifico. »

40 già gli incubatori di emanazione pubblica, hanno più che altro una funzione economico/sociale. Essi rispondono alle esigenze di aree geografiche svantaggiate dal punto di vista occupazionale o industriale, e che presentano una scarsità di mezzi tecnici e tecnologici. Proprio per questo il loro obiettivo non è quello di un ritorno economico, e infatti spesso si occupano di settori o di tipi di business che restano fuori dalle logiche degli investitori privati. Alla fine di questo elenco troviamo gli operatori istituiti ad hoc per la fornitura del capitale di rischio, ossia i venture capitalist. Essi si servono di un particolare strumento finanziario per la fornitura del capitale in questione, ossia del fondo di investimento mobiliare chiuso. In realtà la maggior parte degli operatori, quelli formali e non, utilizzano il fondo chiuso per la raccolta e gestione del capitale di rischio, per questo è necessario definirlo e illustrarne le caratteristiche.