2. Lettura e scrittura stratificata: l’ipertesto
2.1. Letture e scritture collettive
2.1.2. L’ipertesto per la narrativa digitale
Un discorso a parte merita la letteratura ipertestuale che si caratterizza come genere a sé stante al cui interno possono coesistere altri generi e sottocategorie.
In vero casi di la letteratura ipernarrativa, derivante dall’utilizzo dell’ipertesto come strumento dello scheletro narrativo, sono frequenti anche nella tradizionale pratica delle scrivere che ha preceduto l’ingresso del computer nel paesaggio degli scrittori di varia, come Calvino e Borges, ma le sperimentazioni, tuttora in corso, hanno come prerogativa la genesi digitale: le narrazioni-tessuto si animano a partir dal digitale per il telaio-libro elettronico. Tra i primissimi esperimenti di ipernarrative c’è senza dubbio il celebre (più citato che letto) afternoon, a story di Michel Joyce [1994]. I testi dell’ipernarrativa tentano di fornire al lettore più possibilità di scelta per comprendere come la storia può evolversi sulla base di apertura di talune finestre a discapito di altre. La struttura del libro è dunque simile a quella del gioco di ruolo ma con apertura dei percorsi comunque prestabiliti dall’autore. L’entusiasmo con cui viene accolto l’ipertesto in ambito creativo è legato soprattutto all’ideale di liberazione «dell’oppressione da parte dell’autore». Questa sedicente libertà resta solo in superficie in quanto a tessere resta comunque lo scrittore che determina le strade percorribili. Inoltre, seppur risulti estremamente affascinate, il testo libero dalla presenza ingombrante dell’autore non viene accettato dai lettori forti che - come scrive Laura Miller [1998] - ritengono che
leggere sia «un’aspirazione all’arrendevolezza e all’intimità con l’autore, una gioia dunque al quale il lettore non vuole venire meno» . 88
Nella struttura degli ipertesti narrativi, inoltre, si annida il pericolo della eccessiva solitudine del lettore che da solo dovrà ristabilire il legame tra la fabula e l’intreccio, esercizio che lo destabilizza al punto da perdere di vista gli eventi narrati. La struttura a rizoma, come definita da Deleuze e Guattari [1987], è in opposizione a quella gerarchicamente nota dei testi narrativi perché «il rizoma connette un punto qualunque con un altro punto qualunque e ognuno dei suoi tratti non rinvia necessariamente a tratti della stessa natura, mette in gioco regimi di segni molto differenti e anche stati di non segni» (Landow, 1997) In questa maniera, secondo i critici, viene messo in discussione anche l’impianto retorico dell’intero impianto narrativo con il rischio di compiere scelte argomentative non sempre ponderate ed inefficienti sul piano degli effetti desiderati di climax e successioni iperboliche in grado di rendere il racconto emotivamente coinvolgente oltre che contenutisticamente interessante.
Essendo il rizoma per sua natura «una memoria a breve termine, o antimemoria» (Deleuze e Guattari 1987, in Landow 1997), si può cogliere la sua caratteristica di mutante, provvisorio, temporaneo che influisce sulla pratica della lettura in maniera considerevole. La lettura, come la scrittura, è un atto interiorizzato e complesso da esplicitare, che si svolge tipicamente in solitudine in maniera intima concentrandosi passo dopo passo nella comprensione e nell’immedesimazione nella vicende raccontate, nel caso della cosiddetta varia, nel punto di vista dello scrivente: «il lettore fa delle singole lessíe il temporaneo centro del proprio spostamento attraverso lo spazio informativo» (Landow, 1997), ovvero fa ricorso alla memoria delle frasi per compiere una sintesi memoriale necessaria a comprendere il testo come Segre spiega attraverso un grafico:
traduzione in Bolter 2001 88
Dove f è la frase attualmente letta come tale, mentre le precedenti costituiscono una sintesi memoriale, da cui sono escluse le possibilità non sviluppate dallo scrittore, mentre (per il lettore) sono ancora aperte varie possibilità, che finiscono per chiudersi alla lettura dell’ultima frase, quando f toccherà il vertice del triangolo, e il racconto sarà completamente trasformato in sintesi memoriale. (Segre, 1974)
La frammentazione dello schema di lettura come descritto da Segre provoca un senso di straniamento nel lettore, abituato ad un andamento di tipo cronologico della narrazione, nel senso di cause ed effetti che hanno ripercussioni a livello della fabula. Si perde la percezione temporale nella narrazione dovuta alla mancanza di linearità dell’ipertesto ed invece tipica dalla scrittura tradizionale. «Questa visualizzazione delle sequenze cronologiche è sconosciuta alle società orali; allo stesso modo essa diventa irrilevante nell'età elettrica del movimento dell’informazione» (McLuhan, 1962). Vi è dunque una separazione tra tempo digitale e tempo lineare che, secondo Fiormonte, provoca conflitti a livello etico: il digitale si esprime in un presente continuo capace di modificare e plasmare l’identità della collettività basata, fino a questo momento, sulla narrazione e attraverso le coordinate spazio-tempo, la sua costruzione. «Abbandonare, o magari solo trasformare, la narrativa vorrebbe dire sacrificare in parte o del tutto la nostra identità» (Fiormonte, 2003).
É probabilmente questa la ragione per cui il “genere” dell’ipernarrativa, professata come tale da Bolter, non ha penetrato le abitudini dei lettori: il cambiamento di parametri così tradizionalmente saldi della cultura alfabetizzata della narrativa non rispecchiano ancora il gusto. A tutto questo si aggiunge la frustrazione per il mancato mantenimento del patto tra lo scrittore dell’ipertesto e il suo lettore: le acclarate libertà di scelta e di partecipazione alla co- produzione del contenuto da parte del fruitore vengono disattese provocando un tacito senso di confusione e di stordimento senza il gusto della creazione.
Nonostante tutto, è idea condivisa che possa essere l’ipertesto possa costituire un interessante campo di sperimentazione per nuove forme espressive e in ambito artistico. In effetti, salvo per qualche eccezione isolata, il “genere ipertesto” per la narrativa sembra non essere decollato: i prodotti multimediali e ipermediali in ambito librario di maggiore successo di pubblico sono prevalentemente i book-game, un genere narrativo che permette al lettore di viaggiare su media differenti e avere un approccio interattivo con il libro cartaceo.
Discorso a parte andrebbe fatto per il libro, che sia cartaceo o digitale, che invece al di là della sua forma definitiva può avere una vita al di fuori del confine della sua copertina, soprattutto quando si tratta di veri e propri fenomeni editoriali. Viene definita “convergenza dei media”
ed è il fenomeno che vede la negoziazione, mediazione e integrazione tra i differenti mezzi di comunicazione:
la convergenza dei media influenza le modalità di consumo. Uno studente che fa i compiti a casa può tenere aperte quattro o cinque finestre di lavoro, navigare, ascoltare e scaricare file mp3, chattare con gli amici, scrivere e rispondere alle e-mail e passare rapidamente da un’azione all’altra.
I fan di una popolare serie televisiva possono campionare i dialoghi, riassumere le puntate, organizzare dibattiti, creare originali fan fiction, registrare la propria colonna sonora, girare propri filmati, e magari distribuire tutto questo via Internet (Jenkins, 2007).
Nell’epoca di Internet, fenomeni legati al fandom si sono allargati a macchia d’olio anche grazie allo strumento che riesce a consentire alle comunità di fan e appassionati di un romanzo di prolungare il piacere della fruizione di un prodotto a cui si è particolarmente legati. Un esempio per tutti è senza dubbio quello legato ai libri di J. K. Rowling che nel 2011 lanciò il sito pottermore.com in cui non solo l’esperienza del lettore è accresciuta dai contenuti testuali e mediali prevalentemente firmati dall’autrice ma esso può può anche interagire con altri utenti per “ruolare” e scambiarsi informazioni. Pottermore è il tipico esempio di come un fenomeno editoriale che è stato pensato per la carta stampata abbia poi una vita digitale a sé stante in cui anche la componente social è molto forte. Quell’atto interiore della lettura viene condiviso con la propria comunità di rifermento attraverso i social o attraverso piattaforme specifiche quel ad esempio Wattpad in cui la pratica del leggere diviene partecipativa attraverso anche la condivisione in tempo reale delle proprie opinioni. Siamo davanti alle qualità dell’artefatto culturale umano che è al contempo struttura logica, sintattica, semantica ma soprattutto pragmatica ricordate da Fiormonte.