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L’open access: la ricerca al tempo del web 2.0

2. Lettura e scrittura stratificata: l’ipertesto

2.3. L’open access: la ricerca al tempo del web 2.0

Non è però solo l’ambito della scrittura creativo ad essere investito dalla problematiche relativa ai diritti d’autore: la scrittura scientifica, come abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, ha goduto della innovazioni tecnologiche ed ha ancora molti percorsi da esplorare

Il grande timore relativo ai mancati introiti dovuti alla pirateria editoriale è stato spesso sconfessato da studi, 92

soprattutto relativi al campo musicale e cinematografico, che dimostrano che il danneggiamento a causa dei “ladri digitali” è assolutamente esiguo per una casa di produzione, soprattutto se il costo del prodotto è significativamente basso (Gazoia, 2014). Da un’inchiesta condotta da repubblica sui consumi cinematografici non risulta, inoltre, un immediato collegamento tra il numero degli spettatori nelle sale (per altro aumentato durante il 2014) e la pirateria, anzi. Il cinema pare averne giovato perché funge da «da volano alla visione legale dei film (al cinema e in dvd), a mo' di veicolo pubblicitario non convenzionale», oltre che ad accrescere le vendite nei settori del merchandising correlate alle produzioni < http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/ 2014/08/18/news/pirateria_download-94027777/#Governare >. Scrive Tim O’Reilly: «[The] piracy is not a

significant problem. Yes, there are people who are pirating my books, there are people who are sharing links to places where they can be downloaded. But the vast majority of customers are willing to pay if the product is widely available and the price is fair. If you have a relationship with your customers, and they know you’re doing the right thing, they will support you. The people who are pirating are most likely the people who would never give you a nickel to begin with. Piracy serves people on the fringes who are not being served adequately by legitimate markets. Frankly, if people in Romania can download my books and enjoy them, more power to them. They weren’t going to pay me anyway» < https://gigaom.com/2012/01/13/tim-oreilly-why-im-fighting-sopa/>

soprattutto relativamente all’ipertesto. Con l’avvento del web 2.0 anche la produzione scientifica si è dovuta confrontare con una rinnovata concezione di internet che ha – se possibile – radicalizzato la componente sociale del web, ovvero la concezione della partecipazione, del coinvolgimento, della libera condivisione offerta da servizi gratuiti che consentono la libera produzione di contenuti e l’ampia cooperazione e relazione fra gli utenti (Bennato, 2008). Ed è proprio qui che i nodi vengono al pettine. Il web fondato da Tim Berners Lee voleva caratterizzarsi per il libero scambio dei prodotti della scienza tra ricercatori, divenendo come sappiamo uno strumento di comunicazione planetaria. L’opportunità fornite dal web e dal digitale sono state colte subito dalle case editrici che tramite le pubblicazioni on line abbattevano i costi di produzione ottenendo anche maggiore visibilità. Per coloro che fanno ricerca, spinti dal motto “publish or perish”, le riviste costituiscono un importante output per far conoscere i propri avanzamenti alla comunità scientifica accreditandosi come studiosi di un settore disciplinare. Secondo Bennato [2008] l’esistenza delle riviste e i processi che stanno dietro l’edizione di un prodotto scientifico rendono le pubblicazioni scientifiche «strumenti di condivisione, in quanto la loro istituzionalizzazione può dirsi coerente con uno dei più importanti valori della scienza accademica identificati da Merton , ovvero il comunitarismo (Merton, 1942), per tacere 93

inoltre della grande quantità di studi – ascrivibili al settore della scientometria – che usano il sistema delle citazioni delle riviste come strumento per rilevare e rivelare legami tra ricercatori e settori disciplinari».

Se da una parte la rivista, la pubblicazione in genere, costituisce un modo per condividere con la propria comunità tasselli della propria, ricerca dall’altra costituiscono un mezzo indispensabile per procedere agli avanzamenti di carriera e per le valutazioni in termini di prestigio di un ricercatore e dell’istituzione che lo sostiene, con tutte le conseguenze che questo sistema si porta dietro. Come si sa, non tutte le riviste sono uguali e il campo è dominato prevalentemente da poche case editrici considerate tra le più attendibili per composizione della comitato scientifico, facenti parte di enti di ricerca accreditati e istituzionalmente riconosciuti.

In questo settore si riscontra spesso un triste paradosso: le istituzioni pubbliche (o le istituzioni private con finalità di sviluppo della conoscenza e del bene pubblico) sostengono l’università e finanziano un ricercatore che scrive non per profitto un articolo;

Secondo Robert Merton [1942] esistono dei principi imperativi che governano la scienza: l’universalismo, il 93

comunismo, il disinteresse e lo scetticismo organizzato. Il comunismo è relativo al carattere pubblico delle scoperte scientifiche.

questo viene rivisto non per profitto da esperti del campo (è il processo di peer review, revisione paritaria), e nel caso in cui sia accettato viene pubblicato da Elsevier o altro editore specializzato in rivista; infine viene comprato a caro o carissimo prezzo dalla biblioteca della stessa università che ha finanziato la ricerca. Un profitto, pure molto grande, in definitiva c’è, e a realizzarlo è solo l’editore, che tra tutti i soggetti citati è quello che aggiunge meno valore al prodotto. (Gazoia, 2014)

In buona sostanza è come se lo Stato pagasse due volte per favorire le innovazioni e le scoperte scientifiche e permettere ad un pubblico, seppur ristretto, di poterne godere liberamente e gratuitamente. In sunto Internet ha facilitato il rafforzamento di alcune le case editrici di ambito scientifico trasformando il significato contemporaneo di conoscenza quale “bene comune libertario” ponendo secondo molti autori nuove barriere per l’accesso e la produzione dei contenuti. A riprova di ciò, nel web creato da Tim Berners Lee con lo scopo di facilitare la comunicazione tra gli scienziati, la stragrande maggioranza delle riviste on line hanno accesso limitato ed a pagamento . E non solo. Non è disdegnata la triste pratica del 94

pay to publish, spesso figurante tra le righe degli accordi editoriali come contributo per la tutela della proprietà intellettuale: oltre al compenso statale e quello dell’utente la casa editrice riceve anche un gettone da parte dello studioso, che per altro il più delle volte non ha diritto alle royalties sulle vendite.

Il movimento Open Access nasce per certi versi come conseguenza all’esistenza delle reti di comunicazione internet e di cui i principi ispiratori possono essere intesi come evoluzione della filosofia hacker. Il movimento nasce a Budapest nel 2002 durante un meeting di ricercatori di ambiti differenti che si confrontavano sul tema della comunicazione scientifica, ma prende una forma istituzionale a Santa Fè nel 1999 quando in seno alla Open Archives Initiative (OAI) in cui vengono discusse le metodologie di pubblicazione e conservazione dei documenti al fine di creare un protocollo per la metadatazione che consentisse alle risorse di dialogare tra di loro. Risultato dell’incontro messicano è il framework OAI-PMH che contribuì a rafforzare l’idea di flessibilità ed interoperabilità tra le risorse che vengono descritte tramite Dublin Core Simple, costituendosi in questa maniera come silos di conoscenza (Cassella, 2012). Nel 2002 a Berlino viene stilata la BBB Definition e non si fa aspettare la risposta delle biblioteche. IFLA sottoscrive le indicazioni berlinesi già a partire dal 2003, e a seguire le organizzazioni nazionali ed internazionali di biblioteconomia

Esiste una zona grigia, come nella musica e nella produzione filmica, della sharing di materiale peer to peer 94

seguiranno la traccia indicata da IFLA come ad esempio l’AIB che nel 2008 crea il “Gruppo 95

su Diritto d’autore e Open Access” stilando nel 2009 il copyright statement dell’AIB, composto da membri del Gruppo su diritto d’autore e open access . L’adesione al movimento 96

Open Access da parte delle biblioteche è da registrare come una reazione ideologica da parte della prima istituzione incaricata del compito della conservazione e della fruizione della conoscenza, un’occasione irrinunciabile per ridefinire il proprio ruolo nella comunicazione sociale della ricerca, ma è anche una visione economica e di sostenibilità: le biblioteche sono schiacciate dal peso delle acquisizioni delle pubblicazioni scientifiche. Oltre ad aver sottoscritto le dichiarazione del movimento Open Access molte biblioteche universitarie 97

Nel 2008 la Commissione Europea redige dieci raccomandazioni relative alle pubblicazioni scientifiche che, 95

costituendosi come forme primarie di disseminazioni, se sostenute da istituzioni pubbliche devono migrare sempre più verso modelli aperti.Le cinque raccomandazioni sull’open access delle dieci complessive dedicate alla comunicazione scientifica indicano l’attenzione posta sulle tematiche relative alla restituzione pubblica dei risultati della ricerca ottenuti con fondi pubblici. Il 16 luglio 2008 viene pubblicato il Green Paper on Copyright

in the Knowledge Economy, dove vengono sottolineate le criticità riguardanti il diritto d'autore previsto dalla

Direttiva 2001/29/CE, che «prevede l'instaurazione di un mercato interno, e la creazione di un sistema che garantisca l'assenza di distorsioni della concorrenza nel mercato interno. L’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative al diritto d'autore e ai diritti connessi contribuisce al raggiungimento di tali obiettivi». La Green Paper si concludeva con la richiesta di commenti da parte degli interessati. L’AIB si inserisce proprio in questo contesto rispondendo passo dopo passo alla chiamata europea e avviando così un interessante lavoro per la formazione del gruppo di lavoro sul copy right e l’open access.

Il Manifesto dell’AIB sulla proprietà intellettuale delle Pubblicazioni AIB e AIB-WEB è consultabile sul sito 96

dell’associazione <http://www.aib.it/chi-siamo/statuto-e-regolamenti/copyright-statement/>

Nel 2012 la studiosa Cassella ha pubblicato un interessante volume, Open Access e comunicazione scientifica, 97

edito da Editrice Bibliografica che se da una parte ricostruisce le tappe fondamentali che hanno portato alla nascita del movimento, dall’altra analizza questioni tecniche quali riferiti alla conservazione digitale in repository istituzionali, di protocolli di scambio e di questioni legali. Non tralascia però il dato ideologico e politico che deve necessariamente far parte di uno studio sull’accesso aperto.

Nel 2016 in occasione dell’annuale appuntamento milanese il “Convegno Stelline”, che aveva come tema centrale le biblioteche ed il digitale, ha lasciato spazio ad un vivace dibattito per contrapposizioni sull’accesso aperto. La struttura, piuttosto affascinante per il contesto di tipo istituzionale, è stata quella del processo all’open

access. Gli interventi alternati in difesa o per accusa all’Open Access sono stati discussi da Albino Maggio,

Roberto Delle Donne, Francesco Attanasio, Rosa Maiello, Stefano Tonzani, Giulio Blasi, Victoria Gardner, Pierre Munier, e come giudice e mediatore del tavolo Giuseppe Vitiello. Il dibattito, che porta alla luce questioni prevalentemente relative alle ricadute sociali che l’open access dovrebbe provocare e ai presupposti giuridici dalla sua fondazione, è pubblicato all’interno degli Atti del Convegno Bibliotecari al tempo di Google. Profili,

sostengono attività di editoria universitaria, le cosiddette University Press , con la nascita 98

delle ALP (Accademic Library Press) che hanno come finalità il sostegno e «creazione, disseminazione e conservazione a lungo termine dei lavori accademici, creativi e/o didattici» , oltre che come vedremo l’adesione a progetti di digitalizzazione anche su scala 99

mondiale come nel caso di Google Books.

L’accesso aperto in ambito scientifico ha, tra gli altri, l’obiettivo di rendere la conoscenza, quale bene comune e libertario, a disposizione della società intera. Favorirebbe secondo i più ottimisti un uso della ricerca in linea con le dinamiche del web 2.0 con la condivisione attraverso i social network per avvicinarsi in questo modo ad una “popolazione di fruitori” in aggiunta a quelli del proprio settore. A tale posizione però ci sentiamo di dover fare un ulteriore riflessione. Come si è detto l’accesso ai contenuti non è solo determinato dalla possibilità di fruirne gratuitamente e molte riviste italiane sono già ad accesso aperto, ma questo ha realmente avuto un un impatto significativo in quel legame tra scienza e società? Il frame in cui si inseriscono le pubblicazioni in open access e tramite le university press non è differente da quello tradizionale, il ricercatore che pubblica lo fa principalmente per se stesso e per produrre avanzamento scientifico, di fatto l’editoria open access è del tutto simile nella prassi della peer review e nella distribuzione all’editoria tradizionalmente intesa, perché appunto rimane accademica e quindi rivolta principalmente ad una specifica comunità di riferimento.