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L'ipotesi di configurare la sicurezza alimentare come un diritto

In Enciclopedia Treccani il termine sicurezza indica «Il fatto di essere sicuro, come condizione che rende e fa sentire di essere esente da pericoli, o che dà la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli». Secondo la definizione dell’Enciclopedia Treccani, la sicurezza alimentare è «l’insieme delle misure amministrative, legali, tecniche e degli

apparati di controllo che mirano ad assicurare alla collettività il cosiddetto cibo sicuro (ovvero a minimo o nullo rischio microbiologico, chimico, radioattivo, ossia tossicologicamente accettabile)». La risoluzione del Parlamento Europeo del 18 gennaio 2011, sul riconoscimento dell’agricoltura come settore strategico nel contesto della sicurezza alimentare, al considerando n. 4 definisce la sicurezza alimentare «un diritto fondamentale, che si realizza quando tutti dispongono, in qualsiasi momento, di un accesso fisico ed economico ad un’alimentazione adeguata, sana (sotto il profilo della salute) e nutriente, per poter soddisfare il proprio fabbisogno nutrizionale e le proprie preferenze alimentari per una vita attiva e sana». Nella medesima risoluzione parlamentare si rileva che “[...] la sicurezza alimentare non comporta soltanto la disponibilità delle risorse alimentari, ma comprende anche, secondo la FAO, il diritto al cibo e l’accesso ad un’alimentazione sana per tutti, e che, diventando sempre più competitiva, l’Europa può contribuire alla sicurezza alimentare globale”.

L’espressione «sicurezza alimentare» possiede, in diritto europeo, due diversi significati che la lingua italiana non consente immediatamente di distinguere.

In lingua inglese, al contrario, per ciascun significato si utilizza un termine diverso facendo venir meno ogni possibile dubbio..

In conformità al diritto europeo, l’espressione sicurezza alimentare si riferisce innanzitutto alla salute (umana, animale) ed è strettamente collegata all’igiene dei prodotti alimentari (nonché a quella degli operatori e delle strutture che vengono a contatto con tali prodotti). Con riferimento a questo significato, la lingua inglese impiega l’espressione food safety, che identifica la sicurezza alimentare intesa come tutela collegata alla salute della persona o dell’animale.

Il secondo significato dell’espressione sicurezza alimentare ha, invece, una connotazione economica, in quanto si riferisce alla

certezza degli approvvigionamenti alimentari, intesa come regolarità, continuità, adeguatezza e stabilità dei medesimi.

Il termine in uso in lingua inglese, in questo secondo caso, è food security. Nell'immaginario collettivo il cibo è cultura - la nostra cultura - e si configura come “un elemento decisivo all'identità umana”, espressione di una data comunità, di un dato territorio, e la scelta di un dato alimento è espressione di questa cultura, ma proprio questa scelta posta in capo a noi consumatori, bombardati ogni giorno da miliardi di slogan pubblicitari, campagne denigratorie verso alcuni prodotti e promozioni di altri spesso ingannevoli “deve” e non “dovrebbe” avvenire nella piena consapevolezza di ciò che si sta acquistando e quindi di ciò che si consuma.

Sono le informazioni dunque il veicolo per fare questa scelta nel modo più oculato possibile, guardando ai propri interessi economici, di salute, religiosi. La prima e di certo la più formalmente veritiera ci vien data dall“etichetta” che racchiude in sé menzioni, indicazioni, marchi di fabbrica, o di commercio, simboli ed immagini propri di un dato prodotto alimentare, che vien talvolta da essa caratterizzato e contraddistinto. Questa rappresenta oggi più che mai oggetto di regolamentazione e di approfondita analisi, dato che è il luogo fisico in cui si materializza l'informazione sull'alimento, nonché lo strumento di comunicazione tra il produttore ed il consumatore finale. Proprio in questa direzione va il D.M. 19 gennaio 2017 recante “indicazione dell'origine in etichetta della materia prima per il latte ed i prodotti lattieri caseari” entrato in vigore dal 19 aprile di quest’anno in attuazione del Regolamento UE n.1169/2011.

L'iniziativa (adottata anche da altri Paesi UE) mira da un lato alla tutela dei consumatori che chiedono di esser informati sulla provenienza dei prodotti, dall'altro vuole tutelare gli interessi economici dell'intera filiera lattiero-casearia dato che il nostro Paese è tra i primi produttori europei, dando così maggiore trasparenza al

mercato. Inserendo sostanzialmente l'obbligo di indicare nelle etichette in questione l'origine della materia prima (Paese di mungitura, Paese di condizionamento e Paese di trasformazione) si è dato risposta ad entrambe le esigenze di tutela sia per i produttori che per i consumatori.

Proprio pochi mesi fa (16 settembre 2017) il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera definitivo al Decreto Legislativo che ha reintrodotto l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento degli alimenti in etichetta.

Il decreto prevede per tutti i prodotti alimentari preimballati, l’obbligo dell’indicazione sull’etichetta della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, al fine di garantire, oltre ad una corretta e completa informazione al consumatore, una migliore e immediata rintracciabilità dell’alimento da parte degli organi di controllo e una più efficace tutela della salute. È inoltre previsto un rafforzamento e una semplificazione del sistema sanzionatorio e affida la competenza per sanzioni all’Ispettorato repressione frodi.

Il provvedimento prevede un periodo transitorio di 180 giorni dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale. L’obbligo di etichetta era già previsto dalla legge italiana, ma è stato abrogato in seguito al riordino della normativa europea in materia di etichettatura alimentare.

Si è cercato e si cerca costantemente di dimezzare quell'asimmetria informativa che è da sempre esistita tra i due soggetti, grazie non solo agli Stati nazionali ma anche e soprattutto al Legislatore comunitario che ha non solo imposto ai produttori precisi obblighi di informazione in etichetta ma ha anche regolamentato l'utilizzo di segni distintivi ed indicazioni facoltative del prodotto.

Sembrerebbe porsi così un vero e proprio diritto all'informazione come deduciamo implicitamente dalle Linee guida delle Nazioni Unite sulla tutela del consumatore del 1985 (Risoluzione n. 39/248) riviste

poi nel 1999 (Risoluzione n. 54/449). Diritto all'informazione che nel senso più generico del termine troviamo sancito nella nostra Costituzione all'Articolo

21 (libertà di pensiero), e che ritroviamo nella legge 241/90 sulla trasparenza dell'azione amministrativa, come integrata dalla legge

n.15/2005 in base al quale i cittadini possono accedere ai documenti dello Stato, delle aziende autonome statali, degli enti pubblici e dei concessionari dei pubblici servizi. Infatti tra gli obiettivi che gli Stati membri son esortati a raggiungere vi sono anche quelli dell'accesso dei consumatori ad un'informazione adeguata che consenta loro di far scelte consapevoli.

L'Autorità europea per la sicurezza alimentare, è fonte scientifica per eccellenza con funzione di consulenza indipendente, d’informazione e comunicazione del rischio, fornisce pareri scientifici e informazioni sui rischi esistenti ed emergenti connessi alla catena alimentare.

Ma che cosa si deve intendere per alimento? Il già citato regolamento

(CE) n.178/2002 del Consiglio del 28 gennaio 2002 in G.U.C.E, L– 31, 1–

2–2002 e successive modifiche ci dà una definizione esaustiva sul tema, definisce alimento, o prodotto alimentare o derrata alimentare «qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento…». Pericolo e rischio rappresentano insieme due componenti intrinseci alla nozione di alimento, caratterizzanti tutta la filiera alimentare, che il Legislatore deve cercare di eliminare, o, quantomeno, di ridurre al minimo.

Il pericolo è riferito solo ed esclusivamente a ogni agente biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento o mangime, oppure a ogni condizione in cui un alimento o un mangime si trovi, entrambi in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute del consumatore. Il rischio, per contro, rappresenta la stima della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo.

Anche il consumatore finale di un prodotto alimentare, cioè colui che non utilizza tale prodotto nell'ambito di un'operazione o attività di un'impresa del settore alimentare, deve contribuire al sistema di sicurezza alimentare:

egli è non solo oggetto di tutela dei diritti ma anche soggetto anche di precisi doveri e, allo stato attuale, il suo ruolo, è, e non può essere altrimenti, più che mai una funzione attiva concorrente allo sforzo ingente, messo in campo, da tutte e due le altre parti (operatori del settore alimentare e autorità di controllo) per il raggiungimento di un unico obiettivo: la produzione di alimenti sicuri.

Il regolamento (CE) 178/2002 pone come obiettivo della legislazione alimentare, nel suo articolo 8), la prevenzione di pratiche fraudolente o ingannevoli e ogni altro tipo di pratica in grado di indurre in errore il consumatore ma, non per questo, il consumatore può permettersi di essere “disattento” nei propri acquisti o superficiale nelle metodiche conservative di alimenti presso la propria dimora.

Ciò emerge dall’osservazione combinata di più disposti comunitari. Non da ultimo s’inserisce il regolamento (UE) n.1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, in G.U.U.E. L–304, 22–11– 11, che trasforma l’etichetta apposta sugli alimenti in una serie di informazioni rivolte al consumatore per far sì che quest’ultimo possa compiere scelte consapevoli, in tema di protezione della sua salute e dei suoi interessi, anche economici. Precedentemente, in un dispositivo nazionale, il decreto legislativo 6

settembre 2005 n.206, in coerenza coll’art.153 del Trattato della comunità europea, è stata avvalorata l’importanza all’educazione del consumatore (ex art.4 p.2) costituita, tra le altre, da attività dirette a rendere chiaramente percepibili i benefici e i costi conseguenti alle sue scelte. Tra le variegate categorie di consumatori, il legislatore presta particolare attenzione verso i consumatori più vulnerabili.

L’analisi dei dati oggi disponibili (vedi ut infra – cap. 3), nonostante tutti gli sforzi messi in campo, dimostra che la politica di comunicazione del rischio attuata non ha ancora abbattuto l’atteggiamento passivo nei consumatori coinvolti nel processo.

Il nocciolo della questione, secondo una ricerca recente in tema di alimentazione sicura in ambito domestico con specifica attenzione al mantenimento ininterrotto della catena del freddo, ruoterebbe attorno ad una distorta percezione del rischio. Questa è, ancora, un qualcosa di estremamente personale e dipende dalle abitudini e dalle esperienze pregresse del soggetto consumatore. L’individuo tende, per natura, a sottovalutare i rischi connessi alle abitudini domestiche in tema di conservazione e consumo di alimenti, cioè quelli che si presentano quotidianamente (esempio raffreddamento protratto di cibi a temperatura ambiente) e quelli a bassa probabilità (esempio enterite da consumo di alimenti).

È stato, anzi, più volte dimostrato, che il consumatore tende, frequentemente, ad attribuire la responsabilità degli eventi clinici connessi al consumo di alimenti non al proprio ambiente domestico, ma a luoghi esterni ad esso (luoghi di produzione, commercio, o ristorazione collettiva o commerciale che sia). Egli ha la netta sensazione di maggiore sicurezza quando è lui stesso a preparare i propri pasti. Il consumatore ha un ruolo inequivocabilmente fondamentale nel contesto della sicurezza alimentare ma, al tempo stesso è l’elemento debole di tutto il sistema a causa della sua scarsa capacità di influire direttamente sui processi di produzione degli

alimenti e della sua insufficiente formazione in tema di sicurezza alimentare. Un punto critico ulteriore consiste nel fatto che le attività di informazione dei mass media, di cui il consumatore è indiscusso bersaglio, rientrano sempre con maggior frequenza nella sfera della comunicazione allarmistica.

Nonostante la Comunità Europea sia molto attenta alla protezione del consumatore in senso lato e in particolare del consumatore di alimenti si può con assoluta serenità affermare che, allo stato attuale, non si sono ancora raggiunti livelli minimi di sicurezza nella pratica della refrigerazione degli alimenti in ambito domestico. È ineludibile che devono essere attuate, con carattere d’urgenza, misure di prevenzione immediata per formare un moderno consumatore di alimenti in ambito domestico.

In conclusione, consumare alimenti sicuri non è solo un diritto. Nella nostra Costituzione la parola «diritto» è presente ben 43 volte, mentre la parola «dovere» è riportata soltanto in cinque 5 occasioni ma non per questo può prevalere la logica del solo diritto e si può dare per scontato ogni dovere.

Gli attori coinvolti a pieno titolo dalla legislazione alimentare (operatore del settore alimentare e responsabili del controllo ufficiale) hanno l’obbligo di assolvere doveri ben precisi in

tema di sicurezza alimentare. Ogni consumatore di alimenti non può chiamarsi fuori dalla partita.

Egli ha il dovere di svolgere un’attività o una funzione che concorra a mantenere il cibo in suo possesso in quel prezioso regime ininterrotto di sicurezza che tanto impegna anche economicamente la Comunità europea. Sembrerebbe quasi andar oltre consumare alimenti è solo un diritto? No, non è solo un diritto ma anche un dovere (da parte del consumatore). Per garantire la sicurezza degli alimenti ai consumatori e salvaguardare il settore agroalimentare da crisi ricorrenti, l’Unione Europea, e l’Italia come Paese membro, hanno

adottato la strategia globale di intervento “sicurezza dai campi alla tavola”.

In questa formula è racchiuso lo spirito dell’intervento normativo e di controllo degli ultimi anni: affrontare la sfida di garantire cibi sani e sicuri lungo tutta la filiera produttiva, predisporre un controllo integrato e abbandonare l’approccio settoriale e verticale. Essa si basa su una combinazione di requisiti elevati per i prodotti alimentari e per la salute e il benessere degli animali e delle piante, siano essi prodotti all'interno dell'UE o importati.

Le prime valutazioni sul tema risalgono all’anno 1997 con il “Libro verde della Commissione sui principi generali della legislazione in materia alimentare dell’Unione Europea” e hanno trovato la formulazione condivisa nel “Libro Bianco sulla sicurezza alimentare” del 2000. Tali documenti fondamentali hanno ispirato l’impianto normativo comunitario in materia di sicurezza alimentare a partire dal Regolamento (CE) n. 178/2002 ("General Food Law"), che introduce il principio fondamentale di un approccio integrato di filiera ed evolve fino all’entrata in vigore del cosiddetto "Pacchetto Igiene" il 1° gennaio 2006 con cui cambiano definitivamente le regole comunitarie sull'igiene e il controllo ufficiale degli alimenti.

Attraverso il pacchetto igiene tutti gli Stati Membri hanno gli stessi criteri riguardo l’igiene della produzione degli alimenti e quindi i controlli di natura sanitaria vengono effettuati secondo i medesimi standard su tutto il territorio della Comunità Europea.

Precedentemente esistevano notevoli differenze tra le legislazioni dei vari paesi riguardo ai concetti, ai principi e alle procedure in materia alimentare. Uniformando le norme sanitarie, si rende così possibile la libera circolazione di alimenti sicuri contribuendo in maniera significativa al benessere dei cittadini nonché ai loro interessi sociali ed economici. I principi generali sui quali verte la nuova legislazione comunitaria sono:

controlli integrati lungo tutta la catena alimentare

interventi basati sull’Analisi del Rischio

responsabilità primaria dell’operatore del settore per ogni prodotto da lui realizzato, trasformato, importato, commercializzato o somministrato

rintracciabilità dei prodotti lungo la filiera

consumatore come parte attiva della sicurezza alimentare. (vedi ut infra – capitolo 2, par. 3).