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Nuove forme di “social eating” e sicurezza alimentare, il caso degli “Home Restaurant”

I REGOLAMENTI COMUNITARI IN MATERIA DI IGIENE ALIMENTARE

3.2 Nuove forme di “social eating” e sicurezza alimentare, il caso degli “Home Restaurant”

La passione per il cibo, il piacere di cucinare e organizzare serate da condividere con amici o estranei ha portato alla nascita di un fenomeno che si sta sempre di più diffondendo in tutto il mondo: è il caso degli Home Restaurant. In un mondo globalizzato, in cui la condivisione sembra esser diventato uno status di cui non poter fare a meno, si son affermati anche nel settore alimentare questi strumenti, emblema di una intera categoria che investe il settore della Food Economy: è il social eating definito da Gnammo ( la community per gli appassionati del settore) come “un’attività volta a organizzare

eventi culinari tra amici, saltuari, riservati a chi ha prenotato ed è stato accettato dal cuoco e senza organizzazione imprenditoriale”; lo scopo sarebbe esclusivamente quello della socialità. Quindi si tratta di un’attività amatoriale: chi crea un evento culinario accetta il denaro da parte dei suoi ospiti, ma il suo non è classificabile come un lavoro vero e proprio, rimanendo un momento puramente conviviale. L’attività di home restaurant, invece, è definita come volta a organizzare “eventi con regolarità, e adoperandosi affinché anche il rendiconto economico abbia una valenza importante”.Inoltre il social eating, avendo carattere saltuario, non è un’attività che si può considerare imprenditoriale.

Particolare attenzione al tema presta ovviamente l'aspetto igienicosanitario, proprio per le modalità con cui si esplica tale attività, è stata recentemente approvata una proposta di legge dal Parlamento, che predispone un' attenta regolamentazione della materia con particolare riguardo alla sicurezza alimentare.

Senza adeguate norme la ristorazione in casa può avere ovviamente dei rischi, dovuti principalmente alle possibili intossicazioni alimentari, ma anche alle condizioni di igiene di frigoriferi e fornelli, alla qualità e conservazione del cibo e al delicato tema di intolleranze e allergie. Inoltre, la Legge vuole che “anche per l’esercizio dell’attività di home restaurant, sia necessario il possesso, da parte degli operatori, di uno dei requisiti professionali necessari per la somministrazione di alimenti e bevande”, aspetti che rispondono pienamente all’intento di tutela del consumatore.

Il nocciolo della questione, secondo una ricerca recente in tema di alimentazione sicura in ambito domestico con specifica attenzione al mantenimento ininterrotto della catena del freddo,

ruoterebbe attorno ad una distorta percezione del rischio. Questa è, ancora, un qualcosa di estremamente personale e dipende dalle abitudini e dalle esperienze pregresse del soggetto consumatore.

L’individuo tende, per natura, a sottovalutare i rischi connessi alle abitudini domestiche in tema di conservazione e consumo di alimenti, cioè quelli che si presentano quotidianamente (esempio raffreddamento protratto di cibi a temperatura ambiente) e quelli a bassa probabilità (esempio enterite da consumo di alimenti).

È stato, anzi, più volte dimostrato, che il consumatore tende, frequentemente, ad attribuire la responsabilità degli eventi clinici connessi al consumo di alimenti non al proprio ambiente domestico, ma a luoghi esterni ad esso (luoghi di produzione, commercio, o ristorazione collettiva o commerciale che sia). Egli ha la netta sensazione di maggiore sicurezza quando è lui stesso a preparare i propri pasti, anche per questo il fenomeno dell' Home Restaurant vien visto di buon occhio dall'immaginario collettivo.

Una recente ricerca svolta dall’Università degli studi di Torino, oggetto di specifica tesi, ha acquisito informazioni direttamente dal consumatore sulle modalità di conservazione degli alimenti che necessitano di condizionamento termico presso il proprio domicilio. I risultati hanno confermato quanto emerso in molti altri studi, anche internazionali: la massa dei consumatori ha conoscenza teorica della temperatura consigliata per la conservazione degli alimenti all’interno dell’apparecchio di refrigerazione, ciononostante solo una minima porzione della popolazione è a conoscenza della temperatura garantita realmente dal proprio frigorifero.

La diffusione negli ultimi anni di tipologie di alimenti spesso precotti, refrigerati o congelati, che soddisfano le richieste del consumatore (ridurre i tempi di preparazione e consumo dei pasti in ambiente domestico, dosi di alimento a prolungata shelf life, preparazioni alimentari piuttosto elaborate), impone una speciale attenzione da parte del consumatore nel mantenere ininterrotta la cosiddetta “catena del freddo”.

L’età del consumatore influenza il grado di preoccupazione per le tematiche di sicurezza alimentare. Sono i più giovani e, a sorpresa gli over ’60, a mostrare una maggiore attenzione e sensibilità per la gestione domestica degli alimenti. All’atto pratico, purtroppo, soltanto una parte ridotta della popolazione campione (poco più di un terzo) ha saputo individuare correttamente la temperatura di stoccaggio di un alimento altamente deperibile e, quasi la totalità della popolazione, ha mostrato di non conoscere le modalità di adeguata conservazione domestica delle carni cotte. Nello studio citato è stata anche verificata l’adeguatezza funzionale degli impianti di refrigerazione domestica. Molti di questi impianti sono risultati non essere in grado di assicurare continuativamente la temperatura di conservazione prescritta in etichetta dal produttore degli alimenti. È stata rilevata, con un’incidenza significativa in frigoriferi in uso regolare, una temperatura interna di ben +8°C, condizione termica molto superiore, quindi, a quella massima prevista per molti alimenti deperibili e fissata come soglia a + 4gradi.

Sono emerse altre importanti scorrettezze comportamentali legate a improprio stoccaggio, a modalità di approvvigionamento eccessivo e comunque superiore alla capienza del frigorifero in uso, a stoccaggio di alimenti esposti o privi di idonea protezione tanto da facilitare il contatto di alimenti tra loro microbiologicamente incompatibili. Le più dirette conseguenze negative di queste scorrettezze sono considerati fattori favorenti sia la moltiplicazione batterica alterante sia fenomeni di contaminazione crociata tra le varie derrate e tra le derrate e l’ambiente interno dell’impianto di refrigerazione.

Al di là delle informazioni ricevute dal consumatore e del suo conseguente stato emotivo che lo porterebbero a prestare, almeno a parole, una certa e maggiore attenzione alla sfera del ricercare e del mantenere il cibo in modo sano, è emerso invece, in modo inequivocabile, che il consumatore (nella sua veste di addetto alla

preparazione del cibo in ambito domestico), non sa prestare le dovute “cure” agli alimenti noti per essere maggiormente coinvolti in episodi di tossinfezione alimentare. Dall’inchiesta più volte menzionata è emerso addirittura che, troppo spesso, in ambiente domestico si lasciano tranquillamente raffreddare i cibi caldi, dopo la loro cottura, a temperatura ambiente. Questi alimenti sono riposti all’interno del frigorifero, per il previsto condizionamento termico, solo tardivamente (entro le due ore).

Azioni di formazione mirata potrebbero far conoscere semplici pratiche casalinghe non implicanti il dispendio di particolari risorse finanziarie, deputate a correggere comportamenti errati e a portare alla “custodia attenta” dei prodotti che hanno subito uno stop termico importante e, comunque, azioni in grado di contenere o ridurre la carica batterica specie se patogena (con particolare riferimento a quella sporigena). Abitudini semplici quali immergere la pentola, dopo la cottura, col suo contenuto in acqua molto fredda o corrente, suddividere il cibo caldo in piccole porzioni o ancora immettere il cibo caldo in contenitori preventivamente raffreddati possono contribuire, infatti, in modo rilevante ad abbattere rapidamente le temperature e ridurre considerevolmente i tempi di permanenza degli alimenti a temperatura ambiente.

3.3 Più controlli, maggior sicurezza per i consumatori. L'attività di