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Ipotesi e oggetto di ricerca

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 106-109)

3.1.1. Alcuni studi empirici sul pensiero riflessivo degli assistenti sociali

Gli studi sui processi di riflessività e di apprendimento informale dall’esperienza professionale degli assistenti sociali hanno messo in evidenza come la possibilità di raggiungere diversi significati dell’agire, consenta di attivare processi di ricomposizione, miglioramento e costruzione della realtà (Gola 2009, 158).

Sicora (2005, cap. 3) in particolare affronta il tema con riferimento ai processi di ricerca riflessiva volti a cogliere i significati dell’agire professionale riservando un’attenzione privilegiata alla dimensione organizzativa del lavoro degli operatori38. Egli riconosce alla formazione permanente un ruolo strategico: “Il tempo dedicato alla formazione diventa l’occasione per riflettere sullo stato del proprio agire in servizio o, meglio ancora, sulle strategie utilizzate per trovare il senso di ciò che l’operatore vede attorno a sé e per dare direzione alle azioni intraprese per condurre a soluzione particolari situazioni problematiche” (ivi, 151).

L’autore considera i richiami alla riflessività, intesa nell’accezione di capacità di interrogarsi sull’efficacia delle proprie azioni, come una costante delle riflessioni nate all’interno delle discipline di servizio sociale, si considerino infatti i riferimenti di Giraldo e Niero39 ai “modelli di professionalità”, di Ferrario (1996, 39) alla necessità di tutela del “tempo per pensare” nonché, di recente, alla distinzione in

38 Sul tema servizio sociale e organizzazione, nell’accezione di capacità di analisi critica della cultura organizzativa e controllo riflessivo si veda Gui, 2010

Dal Pra Ponticelli di riflessività sia nel corso della presa in carico che dopo l’azione, allo scopo di “generalizzare le esperienze che possono essere così confrontate generando conoscenza professionale, expertise e modelli conoscitivi e operativi di fatto” (2010, 137). Si possono inoltre considerare le riflessioni di Allegri in merito a valutazione e qualità come strumenti per non restare imbrigliati all’interno di logiche autoreferenziali (2006, 39-57).

Sicora sottolinea come l’organizzazione entri “con forza in tali dinamiche conoscitive” in una relazione reciprocamente influenzabile in cui anche i soggetti possono quantomeno tentare di farsi promotori di stimoli conoscitivi rispetto all’organizzazione. Egli inoltre fa riferimento alle teorie implicite come possibile ambito di ricerca ed elaborazione dei contenuti sottesi all’azione del professionista riflessivo (2005, 175).

L’autore approfondisce il tema degli errori professionali come momento di apprendimento: “va rimarcato che la riflessione sull’errore porta le professioni di aiuto a una tensione costante al miglioramento, ad affinare tecniche e strumenti per comprendere le situazioni di disagio e per agire su di esse, per interrogarsi di continuo con domande capaci di condurre l’attenzione sui punti nodali delle questioni” (2010, 163).

Colaianni ritiene che “le pratiche, sotto il fuoco della riflessione, individuano aspetti di grandi complessità teorica, agita ma non esplicitata, spesso in contraddizione con quanto ci si autorappresenta”, osservazione che ricollega alla distinzione tra consapevolezza riflessiva e consapevolezza pratica (2004, 47).

Gola studia in modo particolare “l’apprendimento informale” nella professione, necessità e opportunità formativa che nasce della riconsiderazione, all’interno del pensiero teorico sull’apprendimento, dell’esistenza di molteplici modelli di acquisizione del sapere. Egli pertanto si riferisce ad una concezione di apprendimento informale che “risente maggiormente di questa percezione molteplice e simmetrica di interpretazioni, è un concetto che ha insite in sé le caratteristiche di frammentarietà postmoderne” (ivi, 238). L’autore si sofferma sulla delicatezza delle ricerche che trattano forme di conoscenza per molti aspetti inconsce rilevando il rischio di proiezione della propria razionalità, aspetto sottolineato da Marradi (2001).

L’obiettivo conoscitivo non può essere peraltro la classificazione delle modalità di apprendimento bensì una ricerca sulla “comprensione interna dei significati, che gli intervistati assegnano ai propri apprendimenti, ed in particolare agli apprendimenti taciti ed impliciti (Gola 2009, 239). Gola afferma, con riferimento alle riflessioni maturate dalla ricerca empirica, che la discriminante per distinguere gli apprendimenti informali da quelli formali non è data tanto dai contenuti bensì “dal maggiore o minore livello di intenzionalità (ibidem), l’elemento strategico diviene quindi la consapevolezza degli apprendimenti “informali” acquisiti dalla pratica professionale.

3.1.2. Il disegno di ricerca

Il mio lavoro di ricerca si inserisce in questa area del pensiero riflessivo, ha finalità esplorative degli stili conoscitivi degli assistenti sociali nel lavoro quotidiano, a partire dai processi di attribuzione di significato che gli stessi riconoscono.

Vuol essere un lavoro di approfondimento delle dinamiche che caratterizzano il rapporto teoria-prassi-teoria, che connota le discipline del servizio sociale dalla loro nascita.

L’ipotesi esplorativa di ricerca è che, nell’affrontare le difficoltà e i problemi presentati dalle persone “assistite”, gli assistenti sociali elaborino modalità conoscitive che presentano elementi significativi di connessione tra pratica e teoria, e che si caratterizzano per un minimo di generalità alla luce dei contributi teorici illustrati nei primi due capitoli.

Per controllare quanto siano effettivamente rilevanti questi apporti teorici per la ricostruzione dei processi di conoscenza degli assistenti sociali ho immaginato una traccia di intervista in profondità rivolta ad assistenti sociali, che operano nei servizi sociali della sanità, della giustizia e degli enti locali.

Nell’analisi delle trascrizioni ho cercato di ri-conoscere criteri e modalità che orientano l’acquisizione di conoscenza, le riflessioni che nascono dalla pratica professionale, e ho tentato di delineare, attraverso il processo di costruzione di tipologie, alcuni stili conoscitivi degli assistenti sociali rispetto ai contenuti della

L’attenzione della ricerca è quindi orientata ai modi della conoscenza, intesi come differenti modalità di attribuzione dei significati.

Ho ipotizzato che la dialogicità sia una componente professionale fondamentale e pertanto ho tenuto in considerazione gli apprendimenti maturati dalle narrazioni degli assistiti, dai tentativi ermeneutici di conoscenza della realtà dell’utente, dal dialogo con i colleghi.

Hanno accompagnato questo lavoro le riflessioni di Ricoeur in merito al rapporto dialettico tra comprensione e spiegazione; egli intende la comprensione come “momento non metodico che, nelle scienze dell’interpretazione, si compone con il momento metodico della spiegazione. Questo momento precede, accompagna, chiude e così avvolge la spiegazione. A sua volta, la spiegazione svolge analiticamente la comprensione” (Ricoeur 1986, 174).

L’impianto metodologico della ricerca è riconducibile alla ricerca non-standard per le finalità esplorative che la stessa si propone rispetto alle modalità di conoscenza maturate nell’ambito della pratica professionale degli assistenti sociali.

Mi riferisco in particolare alla distinzione proposta da Marradi tra ricerca standard, fortemente strutturata nelle connessioni tra assunti, concetti, tecniche che adotta e asserti che produce, e ricerca non-standard che rifiuta di adottare gli assunti fondamentali e gli strumenti sia concettuali che di analisi della ricerca standard (2007, 91).

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 106-109)