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Uno degli elementi che danno originalità all’opera di tutte e tre le artiste e che allo stesso tempo le accomuna è infatti la loro vena ironica.

Emine Sevgi Özdamar è ritenuta una delle autrici più rappresentative della letteratura turco-tedesca.

Norbert Mecklenburg la considera una delle poche scrittrici comiche della letteratura in lingua tedesca37. Per Theresa Specht il suo genere di umorismo è unico, degne di nota le sue più varie forme di comicità, contraddistinta da un’estetica carnevalesca della resistenza e da scene grottesche38, elementi messi in rilievo anche da Michael Hofmann39. Silvia Palermo la definisce un’espressione significativa dell’umorismo transculturale nella scrittura femminile turco-tedesca. Facendo riferimento al racconto Karagöz in Alamanya, pubblicato nella raccolta di racconti Mutterzunge40, e al romanzo Die Brücke vom Goldenen Horn41, dimostra come la scrittrice presenti gli stereotipi, ricorrendo spesso all’esagerazione, per poi ironizzarli, quindi smontarli42.

37 Norbert Mecklenburg, Karnevalistische Ästhetik des Widerstands. Formen des

Gesellschaftlich-komischen bei Emine Sevgi Özdamar, in «Peter Weiss Jahrbuch», Bd. 16 (2007), pp. 85-102, qui p. 85.

38 Cfr. Theresa Specht, Transkultureller Humor in der türkisch-deutschen Literatur,

Königshausen & Neumann, Würzburg 2011, pp. 27-28.

39 Cfr. Michael Hofmann, Interkulturelle Literaturwissenschaft. Eine Einführung, Wilhelm Fink

Verlag, Paderborn 2006, pp. 214-225, qui p. 220.

40 Emine Sevgi Özdamar, Mutterzunge, Rotbuch Verlag, Hamburg 2006, pp. 47-101. La lingua

di mia madre, a cura di Lucia Perrone Capano, traduzione di Silvia Palermo, Palomar, Bari 2007.

41 Emine Sevgi Özdamar, Die Brücke vom Goldenen Horn, Kiepenheuer & Witsch, Köln 2008.

Il ponte del Corno d’oro, traduzione di Umberto Gandini, Ponte alle Grazie, Milano 2010.

42 Cfr. Silvia Palermo, Umorismo transculturale nella scrittura femminile turco-tedesca.

Özdamar, Demirkan, Cirak, in Rimozione e memoria ritrovata. La letteratura tedesca del Novecento tra esilio e migrazioni, a cura di Giuseppe Dolei, Margherita Cottone, Lucia Perrone

Norbert Mecklenburg mette in rilievo come, con il ricorso allo straniamento mutuato da Bertolt Brecht, riesca a osservare la società con la dovuta lucidità e a realizzare ciò che lo stesso Brecht definisce «Gesellschaftlich-Komisches», il comico sociale. L’ironia della scrittrice, puntualizza lo studioso, è contraddistinta soprattutto da una forza sovversiva carnevalesca, messa in scena con lo straniamento, la parodia, lo scherzo, giochi di parole, la satira e con elementi grotteschi e assurdi. Il riso è ottenuto da una visione dal basso, permette di individuare gli aspetti comici della realtà, è liberatorio e porta al disincanto nei confronti del potere. Il suo umorismo della migrazione, così Mecklenburg, è simile a quello della letteratura postcoloniale, una forma talvolta di estetica della resistenza, una voce parodistica dei subalterni che si ribellano alle voci egemoni. Özdamar non ha un’idea rigida di alterità, non le si può attribuire una precisa cultura del riso, ma la scrittrice mette in discussione e supera stereotipi e confini inter- e intraculturali.

Particolarmente ricchi di ironia, secondo Mecklenburg, i racconti, pubblicati nella raccolta Mutterzunge, Karagöz in Alamania, Karriere

Karawanserei. Hat zwei Türen. Aus einer kam ich rein. Aus der anderen

ging ich raus43 e Die Brücke vom Goldenen Horn.

Esempio significativo Karagöz in Alamania, che lo studioso definisce un collage satirico amaro, surreale, grottesco-assurdo e tragicomico. Narra la storia del contadino Karagöz, originario dell’Anatolia, il suo andirivieni dalla Turchia alla Germania che ha come conseguenza la distruzione della sua famiglia e il suo smarrimento psicologico. La storia in lingua tedesca, ispirata al teatro delle ombre turco, mantiene elementi tratti dal repertorio del Karagöz turco e della sua ironia, ma li modifica rendendoli adatti al racconto della realtà dei Gastarbeiter, i lavoratori ospiti in Germania. Il protagonista è un contadino-Gastarbeiter accompagnato non dal suo antagonista Hacivat, ma da un asino, che emigra con lui in Germania. Con questa e con altre trasformazioni l’autrice ottiene un effetto parodistico, per lo più grottesco-assurdo, talvolta satirico.

Come in altre opere, il montaggio intertestuale ha una funzione di straniamento e produce una comicità di denuncia e solidarietà.

Nell’ultimo racconto della raccolta Mutterzunge, Karriere einer Putzfrau, è riproposto il tema della migrazione, dal punto di vista femminile, quello di un’attrice di teatro turca che in Germania lavora come donna delle pulizie. I montaggi intertestuali sono tratti da Amleto di Shakespeare, la

comicità è data da distorsioni di parole, da scherzi macabri, da aneddoti osceni, da grossolani motivi farseschi e fiabeschi.

Nel secondo racconto di Mutterzunge, Großvaterzunge, sono messi in luce due aspetti della migrazione: l’emancipazione e l’isolamento. La storia è incentrata sul recupero, da parte della giovane protagonista turca, della sua lingua madre, in una fase in cui l’ha perduta, attraverso l’apprendimento della lingua del nonno, l’arabo. Il racconto non è prevalentemente comico, la vena ironica è data da montaggi intertestuali che producono un contrasto profanatore tra religione ed erotismo, tra i versi del Corano e ardenti versi d’amore. Allah stesso diviene un narratore comico.

Aspetti, questi, che assumono una particolare rilevanza anche nel primo romanzo della scrittrice, Das Leben ist eine Karawanserei. Hat zwei

Türen. Aus einer kam ich rein. Aus der anderen ging ich raus, romanzo

autobiografico grazie al quale la scrittrice ottiene il premio Ingeborg Bachman. L’opera narra la vita di una bambina/ragazza turca dalla nascita all’adolescenza. Una fase difficile della sua vita, quando è costretta a trasferirsi più volte con la sua famiglia perché il padre è alla continua ricerca di lavoro. La bambina/ragazza vive le profonde contraddizioni di un Paese in bilico fra tradizione e modernizzazione, dominato da modelli familiari e culturali limitanti. Variegata è la comicità

del romanzo, ricco di scene grottesche, di farse, di elementi plebei, di personaggi folli, di satira politica e storica, comicità nella lingua. Molto spesso la comicità è gestuale e scenica.

Vi sono numerosi esempi di ironia ottenuta grazie all’uso di una lingua ibrida. Ad esempio, la bambina, al suo rientro dall’Anatolia a Istanbul dopo le vacanze estive, si rivolge alla madre usando il dialetto anatolico. Vuole essere affettuosa, ma la madre la rimprovera, perché usa un’espressione che a scuola non sarebbe accettata. Nonostante il suo impegno, la piccola non riesce a esprimersi come vorrebbe la madre, che si mette a piangere. Una scena commovente e ironica, per Mecklenburg. Il romanzo in alcune occasioni si fa irriverente, il linguaggio osceno e fecale, la storia presenta elementi dissacranti. Più volte la comicità di genere smonta pregiudizi consolidati sulle donne turche. Diventato adulto, il fratello della protagonista si vergogna di rivolgersi direttamente alla sorella e le parla solo con la mediazione della madre.

La satira è politica, sociale e storica. Come quando il racconto della storia della Turchia diventa un tappeto, tessuto con la barba del nonno. Una nuova messa in scena della metafora dell’epica orientale e, allo stesso tempo, una versione alternativa della storia, tradizionalista in quanto raccontata dal nonno, parodistica grazie all’istanza narratrice.

Nel secondo romanzo di Özdamar, Die Brücke vom Goldenen Horn, l’ironia cambia, come la narrazione. Ambientato negli anni dal 1966 al 1975, Die Brücke vom Goldenen Horn è diviso in due parti. La prima ha per sfondo Berlino, la seconda Istanbul. La prima parte narra l’emigrazione della giovane protagonista turca in Germania, dove lavora in fabbrica, prima come operaia e poi come interprete, per due anni. Il racconto inizia con la vita in fabbrica e nel dormitorio, con altre lavoratrici turche. La protagonista esce alla sera, frequenta osterie e la lega operaia. Col tempo comincia a frequentare il movimento studentesco, si dedica allo studio, soprattutto con l’aiuto del direttore del dormitorio, uomo di sinistra in esilio e uomo di teatro. Infine, la narrazione riguarda le prime relazioni amorose e sessuali della protagonista e delle sue amiche, la scelta dei personaggi femminili di mantenere o di liberarsi dalla verginità.

La seconda parte del romanzo si svolge a Istanbul, dove la protagonista frequenta la scuola di arte drammatica, la Filmkommune e partecipa ai movimenti di protesta di fine anni Sessanta e inizio anni Settanta. Secondo Mecklenburg l’opera può essere considerata un Bildungsroman e un romanzo femminile, un romanzo sulla classe lavoratrice e un romanzo politico, ma è soprattutto esempio di un romanzo moderno picaresco femminile, ed è proprio all’interno di questa cornice che si

manifesta la sua comicità. L’emancipazione della protagonista avviene su due piani: quello politico, che si conclude con un fallimento, e quello sessuale. La vita sessuale della donna ha un’evoluzione e porta alla sua emancipazione, pur tra mille difficoltà.

Secondo Mecklenburg, Özdamar combina elementi della carnevalizzazione nel senso di Bachtin (rovesciamento comico sovversivo di valori, di norme dominanti, di ruoli, di aspettative, di modelli di identità) con elementi della teatralizzazione, ovvero la rappresentazione gestuale-scenica di episodi di storie di vita.

La protagonista è un’attrice spiritosa e naïf, l’ironia del romanzo critica e commovente.

Determinante l’interesse della protagonista per la cultura, incoraggiato a Berlino soprattutto dal direttore del dormitorio. La giovane si dedica alla letteratura, al teatro e al cinema. Sebbene questo interesse per la cultura sia narrato con una vena umoristica che coinvolge sia i contenuti sia i mediatori, l’arricchimento culturale del personaggio grazie alle sue letture e grazie alla frequentazione del teatro è evidente.

Quando è letto come romanzo al femminile, si coglie il suo stare tra il serio e il faceto: la protagonista è condizionata dalla sua cultura di provenienza, da una visione tradizionalista dei ruoli familiari, da cui si vuole e deve liberare. Sono presenti in lei idee come quelle dell’onore e

della vergogna, di un legame con la madre paralizzante e amorevole allo stesso tempo. L’opera diventa paradossale, dunque ironica, quando l’emancipazione del personaggio principale è ridotta alla sua emancipazione sessuale.

Gli straniamenti comici talvolta celano solidarietà con le figure che possono apparire ridicole, come i figli dei poveri che emettono scricchiolii, con i fogli di giornali, sotto la camicia, indossati al posto della biancheria intima per proteggersi dal freddo.

Molto frequente l’autoironia della narratrice, talvolta ingenua, talvolta folle, talvolta impertinente e ribelle. È «Simplicia», naïf, soprattutto durante gli incontri con gli studenti di sinistra, i quali a loro volta appaiono ridicoli. La protagonista appare un personaggio buffo quando applica quanto prescritto dal movimento del Sessantotto, come indossare sempre gli stessi capi d’abbigliamento, o quando compie le stesse azioni fatte dai comunisti cinesi durante la Rivoluzione Culturale.

Sfiora la follia quando vende tutti i mobili dei genitori. Talvolta il suo agire si fa pericoloso, altre volte la salva. Particolarmente delicata la situazione che si crea al commissariato di Istanbul, durante un interrogatorio, quando sfida con sarcasmo un funzionario di polizia per poi essere rilasciata perché il capo decide che non è il caso di perdere tempo con gli artisti.

Lo straniamento comico è ottenuto anche con ripetizioni di singole parole, frasi, nomi e metafore. Come l’uso ricorrente della parola «Entschuldigung», scusi, da parte della protagonista. O il motivo del fumo come status symbol, definito il requisito più importante di un socialista.

La tecnica dello straniamento comico è applicata molto spesso nei racconti che riguardano gruppi di persone, fazioni o polarizzazioni. Il direttore del dormitorio chiama un gruppo di operaie «die Zuckers», le altre «die Esels».

Numerosi gli episodi farseschi, tra i quali il principale costituisce un filo rosso della narrazione, precisamente la storia della liberazione dal «diamante», la verginità, dove la liberazione sessuale è incoraggiata e perseguita. Il motivo del diamante è carnevalesco e sovversivo rispetto ai modelli tradizionali di comportamento della donna. La protagonista infatti mira a liberarsi della verginità ed è incoraggiata a farlo.

Nel romanzo trovano ampio spazio elementi realistici-grotteschi e realistici-umoristici. Come la scena dei figli di borghesi che si atteggiano a surrealisti, che si conclude all’improvviso, quando la madre di uno di loro si fa restituire le lenzuola che i ragazzi hanno indossato.

Non manca la comicità macabra, come quando un contadino sta portando un sacco di farina nel suo paese, ridotto alla fame, ed è pedinato dalla polizia.

Ciresi, come si è rilevato, è riconosciuta come importante rappresentante dell’umorismo della scrittura italiana americana. Un tratto caratterizzante significativo se si considera l’irony deficiency nella produzione letteraria italiana americana lamentata da Fred Gardaphé44. Che infatti cita Ciresi, insieme a pochi altri scrittori, tutti uomini, come esempio di ironia particolarmente riuscita.

Nelle opere che si analizzeranno, si focalizzerà l’attenzione sulla comicità dolce-amara, che in diversi passaggi è un felice registro narrativo della vita dei protagonisti, nella loro ordinaria quotidianità e nei momenti speciali, negli episodi spensierati e in quelli drammatici, perfino nel confronto con la morte. È con il suo senso dell’umorismo che Ciresi riesce a mettere in evidenza il carattere dei suoi personaggi principali, le loro esperienze, le loro emozioni e i loro sentimenti in tutta la loro varietà e complessità. Sono figure diverse tra loro, che osservano il mondo con sguardi diversamente ironici. Hanno alle spalle esperienze di vita difficili,

44 Cfr. Fred, Gardaphé, Italian American Humor. From Sceccu to Chooch: the Signifying

storie di miseria, hanno attraversato tragedie, sanno quanto possa essere profondo il segno lasciato dalla mancanza di affettività. Si trovano a vivere in una società complessa, multietnica e in continua trasformazione, per certi versi ancora simile a quella che accolse i loro genitori, per molti altri molto diversa, nella porosità dei muri ormai non più solidi che un tempo isolavano e sigillavano la comunità italiana americana in un’apparente autosufficienza, un pezzo d’Italia in America quasi estranea all’America.

Le protagoniste potrebbero scegliere una vita statica, protetta dalla comunità di appartenenza, ma rifiutano di rimanere in un ambiente che può apparire rassicurante, ma di cui non si sentono parte. Nella loro comunità vigono ancora valori che non condividono. Per scelta, ma anche perché la storia cammina su una strada diversa da quella battuta dei loro genitori, intraprendono un proprio percorso di vita. Desiderano una maggiore libertà rispetto a quella che hanno avuto in passato, ma non si trincerano dietro a ideologie precostituite, proprie della cultura dominante. Il tragitto presenta molte insidie, ma riescono a trovare la forza di farvi fronte con la loro ironia e autoironia che le aiuta a cogliere con acume gli aspetti più profondi della realtà e della propria personalità. Talvolta il loro humour si presenta acuto, talvolta ingenuo. Ma proprio l’ingenuità aiuta a smascherare le contraddizioni del mondo circostante.

La rappresentazione ironica della complessità della società è resa ricorrendo al paradosso, a un uso comico della lingua, all’espressione esplicita di tabù e all’uso di espressioni scurrili, con cui talvolta la voce narrante o i personaggi diventano irriverenti. Ma anche l’esagerazione, la ripetizione e la decostruzione permettono di ottenere un effetto comico. Più volte si afferma questo registro, per smentire certi stereotipi duri a morire. Ma nessuna cultura in particolare, come si è rilevato, nessuna comunità, è idealizzata né è colpita da critica soverchiante. Sono relativizzati anche i valori del nuovo continente, che pur rappresentano la speranza, perfino il sogno, agli occhi di chi ha un background di immigrazione. Il paradosso è sempre presente e, in tutte le opere trattate, permette di ottenere il rovesciamento dei ruoli: la cultura americana dominante, che attrae le protagoniste, è vista anche nelle sue contraddizioni, i personaggi che a un primo sguardo appaiono sicuri di sé si rivelano insicuri e viceversa. In questo gioco di voluto spaesamento, lo sguardo della voce narrante si sofferma anche sulla differenza tra la psicologia maschile e quella femminile, tra l’umorismo tipicamente femminile e quello tipicamente maschile.

Talvolta i personaggi femminili appaiono ridicoli, solo perché il ridicolo è in ognuno di noi e può manifestarsi quando meno te l’aspetti, ma talvolta fa sorridere la loro ossessione di non essere all’altezza delle

aspettative della società. Il riso si fa beffardo quando è evidente la loro mancanza di autenticità. Ed è benevolo di fronte alla loro insicurezza. Le opere che si analizzeranno hanno un finale di speranza o hanno un esito tragico, ma nessuna opera di Ciresi propone una conclusione definitiva della storia. Non sono epiloghi aperti alla fantasia del lettore. Semplicemente Ciresi non dà soluzioni, si limita a rappresentare il mondo contemporaneo per quello che è, in continua trasformazione. Come i suoi personaggi.

In Almanya. Willkommen in Deutschland – film sulla storia della migrazione di una famiglia turca in Germania, dagli anni Sessanta ai giorni nostri – l’ironia interagisce con il gioco mobile, e anche a volte eccentrico, dei punti di vista. È un’interazione che costituisce, a mio parere, la peculiarità del film.

I primi studi critici del lavoro di Şamdereli si soffermano sull’umorismo che anima la vicenda narrata. È un ritratto di famiglia che riscrive la storia dei Gastarbeiter da diversi e nuovi punti di vista, che escludono intenzionalmente quello drammatico, fino a rendere a tratti comico un tema dai contorni seri e anche tragici. Il risultato del film non è la banalizzazione di un tema molto serio. Lo scopo e l’esito ottenuto sono

opposti, non si ha a che fare con una commedia disimpegnata, perché è evidente come la comicità di Şamdereli si riveli lo strumento più raffinato e adeguato per mettere in luce anche le sottigliezze e le sfumature di una vicenda travagliata e dolorosa, come può essere l’emigrazione da un paese povero verso un paese benestante. Queste nuance, messe in luce dal registro comico, meglio e più di un approccio drammatico, danno efficacemente conto della problematicità sia sostanziale sia emozionale delle tante storie che confluiscono nella grande narrazione dell’emigrazione novecentesca, e anche attuale, e sono i fili della trama del film di Şamdereli.

L’umorismo, che peraltro consente di dar voce a più punti di vista e farli interagire tra loro, rendendo fluido il procedere del racconto, consente anche di rappresentare la complessità della società contemporanea tedesca, così com’è vissuta nella realtà ma anche nella fantasia e perfino nella paranoia dei personaggi.

L’ironia riesce a essere graffiante ma mai offensiva né tantomeno oltraggiosa, anche quando il film si cimenta con temi di forte sensibilità, come il rapporto tra religioni, tra islam e cristianesimo. Anzi, di nuovo, anche su questo terreno la sua comicità consente di affrontare con il dovuto disincanto i pregiudizi inevitabili nei contatti tra religioni diverse.

I personaggi infantili aiutano a dirimere con la loro ingenuità complicate questioni che attengono alle differenze, anche conflittuali, tra islam e cristianesimo, anche sul terreno delicato e sensibile dei simboli e dei segni fondanti della religione cristiana, come l’ostia consacrata e il crocefisso.

L’umorismo di Almanya può essere definito anche transculturale nella sua costante tensione a mettere in luce come si creano e come sono alimentati gli stereotipi, dilatandoli, esagerandoli, per poi decostruirli e smontarli. Ai pregiudizi dei turchi rappresentati nel film è attribuita un’ingenuità quasi caricaturale, che proprio per questo mette al tempo stesso in discussione anche l’ottica occidentale che, nella sua pretesa superiorità, unicità e universalità, appare ridicolmente fuori della realtà. La storia, nel susseguirsi di episodi anche paradossali e onirici, fa riferimento a vicende reali, essendo basata, oltre che sulla biografia stessa delle sceneggiatrici, le sorelle Şamdereli, su materiale d’archivio e documentari dell’epoca. La lingua in cui si esprimono i personaggi, invece, non sempre è reale, ma è una sorta di grammelot. Che ci parla della babele del nostro tempo, e al tempo stesso della possibilità di comunicare e capirsi anche a dispetto delle diversità delle lingue.

Delle tre autrici, Özdamar è la figura più complessa per i diversi piani su cui si muove la sua opera. Essa si presta a più chiavi di lettura, e lo