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Arte islamica tra Otto e Novecento fra studio, erudizione e collezionismo. Il contesto italiano

2.1 L’Italia ponte con “gli Orienti”

Arte islamica tra Otto e Novecento fra studio, erudizione e collezionismo.

Il contesto italiano

2.1 L’Italia ponte con “gli Orienti”

La strategica posizione della penisola italiana, profondamente protesa nel centro del Mediterraneo, da sempre determinò la vocazione a ruolo di ponte per il passaggio di uomini e merci dalle coste levantine dell’Asia Minore fino a quelle spagnole nell’un senso e nell’altro. L’Italia, dunque, non si mostrò solo come un filtro tra la cultura cristiana d’Europa e quella dell’Islam136: la sua storia fu intimamente connessa con “gli Orienti” tanto che, ancor oggi, si ravvisano lungo tutto il territorio nazionale molteplici testimonianze storiche, architettoniche, linguistiche e, non da ultimo, artistiche. Ad esempio, l’impatto musulmano in Sicilia, fatto certamente non trascurabile neppure in questa sede, ebbe inizio nell’827 con lo sbarco dei musulmani a Mazara. Proseguì nell’831 con la conquista di Palermo, cui seguirono altre città fino alla resa, nell’878, di Siracusa. Delle vicende storiche che ebbero come protagonista la Sicilia, fino al 1060 completamente Dar al-Islam, ossia territorio del tutto islamico137, ancora oggi restano importantissime testimonianze tra cui il celebre soffitto della Cappella Palatina di Palermo ma anche la Cubba, la Zisa e il Duomo di Monreale di chiara ispirazione musulmana anche se normanne per datazione.

Pur non paragonabile all’esperienza islamica in Sicilia, ma pur sempre di certo interesse, fu la presenza islamica nell’Italia peninsulare: dalla Campania alla Calabria, Basilicata e Sardegna (in realtà più esposta sul versante spagnolo) fino al Lazio, Molise, Marche, Umbria per giungere in Toscana e a Genova che nel 935 fu presa d’assalto da una squadra Fatimide al comando di Ya’qùb ibn Ishàq138. La Puglia fu un altro luogo fortemente islamizzato soprattutto dopo che Federico II (1194-1250) nel secondo quarto del XIII secolo fece trasferire nella cittadina di Lucera, nell’attuale provincia di Foggia, migliaia i musulmani di Sicilia, i quali sopravvissero fino al 1300 quale ultima comunità islamica sul territorio

136 Parlare di Europa cristiana e di Islam potrebbe sembrare una banale generalizzazione. Pur nella ferma consapevolezza che non tutto l’Occidente fu sempre cristiano (si pensi appunto alla Spagna conquistata dall’Islam già nell’VIII secolo e alla Sicilia, musulmana fin dall’827) e non tutto l’Oriente fu sempre musulmano. Si tratta in realtà dell’adeguamento a una scelta terminologica convenzionale.

137 Ciò non significa che il territorio siciliano fu abitato interamente da musulmani. Il Cristianesimo, infatti, non fu completamente estinto.

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italiano139. Alcune incursioni giunsero anche in Piemonte, ma via terra d’Oltralpe, da gruppi staccati dal nucleo principale presente nella Francia meridionale140.

Naturalmente, pienamente allacciata con l’Oriente - per fare un esempio geograficamente vicino a noi e forse, almeno apparentemente, più familiare - è la storia di Venezia. Appare utile ricordare che tali rapporti con le corti levantine e in particolare con Bisanzio – materia molto studiata da Agostino Pertusi141 e ripresa anche in tempi più recenti142 - presero le mosse da interessi di tipo commerciale ed economico. Simili relazioni ebbero uno sviluppo perlopiù continuo e non furono ostacolate neppure dall’impatto militare delle Crociate143. Pertanto, il secolare dominio sul mare permise a Venezia di controllare i commerci con il mondo levantino in modo particolare con gli scali di Damasco, Aleppo, Costantinopoli e Alessandria, città, quest’ultima, con la quale la storia della Serenissima fu da sempre particolarmente intrecciata. In tal senso si ricordano le note vicende legate a Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, due intraprendenti mercanti che si recarono nella città egiziana, posta sotto controllo musulmano, e trafugarono il corpo di San Marco portando le reliquie in laguna nell’828, anno attorno al quale, secondo la tradizione, arrivò a Venezia anche il seggio di San Pietro, decorato con un’importante iscrizione coranica a caratteri cufici144.

Dunque, sin dal Medioevo la città lagunare, scaltra e attenta agli equilibri diplomatici per l’ottenimento dei privilegi commerciali, preferì sempre la pace e la possibilità di

139 L’origine della colonia saracena di Lucera, i suoi sviluppi, le sue vicende e la sua fine sono ben note soprattutto attraverso il lavoro dello storico Pietro Egidi; cfr.: EGIDI 1912;EGIDI 1913;EGIDI 1914.

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Si veda: Eredità dell’Islam … 1993, pp. 31-37 e LO JACONO 2010, pp. 162-167.

141 Si ricordano i seguenti contributi: Venezia e l'Oriente … 1966; Venezia e il Levante … 1973, vol. I e II; PERTUSI 1979, pp. 1-22.

142 Venezia fu sempre particolarmente interessata a conoscere gli orientamenti di fondo della politica dei sovrani d’Oriente. Per questo tali tendenze furono sempre descritte meticolosamente da osservatori lucidi, esperti e ben informati dagli ambasciatori veneziani. Questi erano accompagnati da un segretario, un coadiutore, un tesoriere, da scrivani, dragomanni (traduttori), e dal bailo con il compito di tutelare i connazionali, i loro interessi e difendere la Repubblica Veneta. I baili, dunque, furono plenipotenziari in Oriente con funzioni diplomatiche, amministrative, giurisdizionali e commerciali. Si vedano: COCO-MANZONETTO 1985 e SIMON 1985, pp. 56-69. Sui rapporti fra lo Stato veneziano e il Levante esiste una vasta letteratura e di conseguenza la bibliografia è decisamente abbondante. In questa sede ricordo, oltre ai già citati contributi di Agostino Pertusi, i testi fondamentali soprattutto per la ricostruzione delle relazioni storico-artistiche: PRETO 1974; GÖKBILGIN 1979, pp. 277-290; LUCCHETTA 1981, pp. 375-432; RABY 1982; Venezia e la difesa del Levante … 1986. Una segnalazione doverosa è per il recente saggio di Maria Pia Pedani che racconta l’evoluzione, dall’VIII secolo fino alla caduta della Serenissima (1797) del rapporto tra Venezia e in mondo arabo e turco sul filo dei commerci, dei pellegrinaggi e delle crociate fra scontri e alleanze. Si veda: PEDANI 2010. Inoltre si vedano: HOCQUET 2007, pp. 29-49 BELLINGERI 2007, pp. 51-67.

143 Secondo l’ipotesi sostenuta a metà Ottocento da Heyd nel suo ricco lavoro intitolato Le colonie commerciali degli italiani in Oriente nel Medioevo, le crociate furono addirittura uno strumento di “riconciliazione” fra Oriente e Occidente! Si veda: CURATOLA 2004 (c) 2004, p. 188.

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commerciare alla guerra. Strinse quindi accordi con le varie dinastie che regnarono in Egitto, dall’inizio del XIII secolo in poi; scese a patti con Tunisi nel 1231, con gli Ilkhanidi145

di Persia – sovrani, questi, che seppur distruttivi sotto molti aspetti, garantirono la sicurezza delle rotte marittime fino alla Cina e mostrarono un grande interesse per i rapporti con l’Occidente inviando i loro ambasciatori in Europa146

- e con i khan tatari di Crimea nel XIV secolo, con i sovrani di Granada nell’anno 1400, con gli Ottomani dal XIV al XVIII secolo.

Naturalmente, non fu sempre facile. Nel 1489 Venezia fu costretta ad inviare l’ambasciatore Pietro Diedo dal sultano dell’Egitto mamelucco con lo scopo di negoziare il conflitto di interessi apertosi tra il sovrano e la Repubblica lagunare a causa della rinuncia a favore della Serenissima del Regno di Cipro da parte di Caterina Cornaro. Naturalmente questo episodio danneggiò il lucroso traffico di spezie che tanto contribuì alla ricchezza della laguna poiché alcuni mercanti veneziani furono arrestati dagli Egiziani e le loro merci confiscate. Il problema della sicurezza del commercio veneziano in Levante fu, quindi, uno dei motivi che spinsero il governo veneziano a cercare con il Diedo la risoluzione dell’annosa questione, sicurezza che, evidentemente, apparve messa in discussione dall’atteggiamento minaccioso del Sultano come si evince da queste concise e perentorie affermazioni del Consiglio dei Pregadi: “[…] Niuna cossa è che possi più conferir alla securità dele galie

nostre sono per andar in Levante et dele mercadantie se ritrovano et sono per andar de lì che veder et procurar de quietar l’animo del Soldan che pur par alquanto alterato respecto le cosse de Cypri, al qual effecto sopra tute altre cosse se rechiede haver persona che viva voce synceriҫi l’animo et mente de sua signoria […]”147

.

Stabilire accordi, dunque, significò non solo inviare ambasciatori all’estero per concluderli, ma anche accogliere inviati diplomatici provenienti da paesi musulmani con l’incarico di consegnare missive importanti o con il compito di stringere alleanze al posto del

145 La dinastia Ilkhanide ebbe le sue radici nell’Asia orientale. Della stessa stirpe di Gengis Khan, gli Ilkhanidi si insediarono in Persia e si convertirono all’Islam. La presa di potere di questa dinastia in Iran (1256-1336) che ebbe la sua capitale a Tabriz nell’attuale Regione dell’Azerbaigian (Iran nordoccidentale) diede avvio ad un grande sviluppo dell’arte islamica caratterizzata dall’introduzione massiva nel repertorio decorativo di motivi cinesi, draghi, peonie e fiori di loto in primis. Si vedano: RAWSON 1984, in particolare il cap. 5, pp. 146-198; GRUBE 1993, pp. 249-254.

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L’espansione del regno mongolo fu molto importante e determinante per le garanzie delle “vie da mar” nel Trecento. Si vedano: The legacy of Genghis Khan ... 2002 e la seppur breve notazione in SCHMIDT ARCANGELI

2005, pp. 71-76.

147 Su questo frammento della storia della diplomazia veneziana si vedano i documenti pubblicati nel volume Ambasciata straordinaria … 1988. Per la citazione si veda il volume a p. 13.

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loro sultano. Grazie alla fitta rete di agenti in terra d’Oriente, e alla presenza in laguna148 di persone che parlavano e scrivevano nelle principali lingue orientali, forse apprese per aver dimorato a lungo nel Levante islamico per ragioni di mercatura, di schiavitù o di politica, la città marciana si pose come intermediaria indispensabile per le transazioni con gran parte dell’Occidente cristiano. Il mondo musulmano fu, dunque, per Venezia un importante partner commerciale e, nonostante i periodi in cui i rapporti si fecero più difficili a causa di particolari eventi bellici, essa, consapevole che dalla continuità di tale rapporto dipendeva la sua vitalità economica149, cercò di mantenere sempre vivo il dialogo e lo scambio culturale con le terre levantine tanto da acquisire essa stessa un’identità “ibrida” caratterizzata da marcati influssi orientali in primis nelle sue architetture150.

I frutti di questa costante comunicazione e dell’attività commerciale marittima con i paesi del Levante, furono molti. I generi principali che alimentarono il commercio marittimo verso l’Oriente furono il sale, il vetro e, più tardi, i panni di lana, il legname da marina e il ferro mentre, al ritorno, le stive delle galee veneziane si riempirono di “[…] drappi di seta, di

lana, di pelo di cammello e di capra, panni di Aleppo, di Bursa, di Damasco, rasi con ricami tessuti d’oro, tappeti di Persia e di Caramania, cammellotti, mussoline, cordami rossi e gialli ed altre pelli in genere. […] argento e oro in polvere che si trovavano nei fiumi di Buccaria, rame delle miniere di Tokat […]perle di Ormus, lapislazzuli, turchesi ed altre pietre preziose, lavori ad intarsiature alla agemina […] la seta greggia di cui incomparabilmente abbondavano le province persiane situate nel Caspio”151

ma anche di ceramiche, vetri,

148 Venezia fu da sempre abituata alla costante presenza di molti stranieri come Ebrei, Armeni, Greci, Arabi e Turchi. Questi ultimi vissero nel Fondaco, un’area adibita a magazzino per le merci di scambio e al ricovero degli stranieri, oggi ancora visibile dopo i discutibili restauri.

149 L’attività commerciale con i paesi del Levante era fondamentale per il benessere economico della città. Non era lo stesso per i centri commerciali d’Oriente che avevano i loro punti di contatto e di appoggio, oltre ad un loro circuito commerciale “interno” solido e proficuo. Su questo aspetto fino ad ora poco indagato si veda: CURATOLA 2007 (b), pp. 69-77.

150 Testimonianze dirette della cultura e dell’arte islamica sono presenti in significativi luoghi pubblici. Per un breve excursus nell’argomento si veda: COCO 1993. Per quanto riguarda la cultura mercantile veneziana, le sue relazioni con i Mamelucchi e gli elementi islamici nel paesaggio urbano di Venezia si veda: RUBIN DE CERVIN

1990, pp. 17-24. La questione delle influenze islamiche nell’architettura di Venezia e la sua riflessione critica furono affrontate per la prima volta intorno alla metà del secolo XIX con Pietro Selvatico e John Ruskin. Ciò creò una vasta letteratura dove i rapporti fra architettura veneziana e architettura islamica sono sempre state viste perlopiù nella direzione Islam-Venezia. Giovanni Lorenzoni sottolinea però che l’architettura veneziana sembra rifarsi anche a modelli spagnoli. Si veda: LORENZONI 1989, pp. 101-110. Si vedano anche HOWARD 1991, pp. 59-74; HOWARD 2000 e il più recente contributo della stessa studiosa HOWARD 2007, pp. 79-104 nel catalogo della mostra Venezia e l’Islam 828-1797 che si tenne a Palazzo Ducale di Venezia dal 28 luglio al 25 novembre 2007. L’esposizione fu allestita anche a Parigi (Institut du monde arabe, 2 ottobre 2006-18 febbraio 2007) e a New York (Metropolitan Museum of Art, 26 marzo-8 giugno 2007). Nell’occasione furono stampati i cataloghi in lingua francese, Venis et l’Orient 827-1797, a cura di S. Carboni, Parigi 2006 e inglese Venice and the Islamic World, 828–1797, a cura di S. Carboni, New York 2007.

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metalli spesso di ottima qualità e, naturalmente di spezie. Dal IX secolo Venezia, assieme a Genova, fondò la sua fortuna proprio sul commercio delle spezie che costituì l'obiettivo principale dei viaggi delle navi verso il Levante. Tale situazione continuò ad alimentare un enorme giro d'affari, sia pure con andamento oscillante da epoca a epoca, e non si modificò nella sostanza neppure sul finire del XVI secolo, né dopo la nota battaglia di Lepanto152 (1571) né con l'ingresso sul mercato di Portoghesi e Olandesi come testimonia il Diario di

Viaggio di Alessandro Magno (1538-1576), giovane patrizio veneziano che nel 1561 partì alla

volta di Alessandria e del Cairo con lo scopo di scambiare le mercanzie che aveva portato con sé, in particolare tessuti di lana e di seta, recipienti in rame, perle di vetro, carta e corallo con spezie come il pepe, lo zenzero e la cannella153. L’intraprendenza e la curiosità di questo giovane mercante-viaggiatore veneziano ci inducono ad aprire una breve parentesi per ricordare che fu proprio in laguna che tra il 1537 e il 1538 i fratelli Paganino e Alessandro Paganini stamparono il Corano in caratteri arabi154. Dunque, simili interessi orientalistici, a Venezia, ma anche nel resto dell’Italia cinquecentesca, furono vasti e certamente complessi.

Mentalità ingegnosa, esigenze pratiche per l’ottenimento di nuove vie commerciali ma anche atteggiamento lucido, desiderio e necessità di conoscenza, furono alla base delle note di

“valent’huomini”, viaggiatori, mercanti e ambasciatori (il Veneziano all’estero è un po’ tutto questo)155 ma anche di altri documenti nei quali si narrarono le imprese più o meno gloriose dei Sultani esemplificato dalla Historia universale dell’origine, guerre, et imperio de’ Turchi (1560) e Gl’annali turcheschi overo vite de’ principi della casa othomana ne quali si

descrivono di tempo in tempo tutte le guerre fatte dalla natione de’ Turchi in diverse provincie del mondo (1573) dell’attivissimo letterato Francesco Sansovino (1521-1583)

entrambe edite in laguna156. Al 1590 risale la prima edizione del celebre e fortunato volume

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Negli ultimi tempi la Battaglia di Lepanto è stata oggetto di numerose pubblicazioni più o meno romanzate. Per un’analisi storica dei fatti si veda: MORIN 1985, pp. 210-231.

153 Venezia e l’Islam … 2007, pp. 329-330, scheda 32.

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Questo Corano, appartenuto all’orientalista pavese Teseo Ambrogio degli Albanesi (1469-1540 ca.), risultava disperso già nel XVII secolo e l’esemplare fu scoperto da Angela Nuovo a Venezia nella Biblioteca dei Frati Minori di San Michele ad Isola (coll. A.V. 22) dove ora è custodito. Questa edizione del Corano è stata oggetto di numerose interpretazioni e congetture con lo scopo di individuare il numero delle copie stampate e, soprattutto, conoscerne l’utenza. Si veda: NUOVO 1987, pp. 237-271 con relativa bibliografia. Si veda, inoltre, Eredità dell’Islam … 1993, pp. 480-481, scheda 298.

155 PEROCCO 2006.

156 Nella Venezia quattro-cinquecentesca apparve una corrente letteraria che Paolo Preto nel suo ormai classico lavoro Venezia e i Turchi ha qualificato come turchesca. Si tratta di un gruppo di scrittori veneziani di varia appartenenza che si dedicarono al mondo turco tentando di presentare i personaggi spiegandone gli usi e i costumi. Tra questi i più noti furono: Andrea Cambini (ca. 1460-1527) autore Della origine de’ Turchi et imperio delli ottomani, Firenze, per li heredi di P. di Giunta, 1529 e del Commentario della origine de' Turchi et imperio della casa ottomanna, [s.l.], [s.n.], 1538; Paolo Giovio (1483-1552) autore del Commentario de le cose

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Degli habiti antichi et moderni di diverse parti del mondo di Cesare Vecellio (1521-1601)

uscito a Venezia per i tipi di Domenico Zenaro. La raccolta del Vecellio, opera di grande fascino e di indubbia bellezza, con le sue cinquecento tavole di costumi europei, d’Asia e d’Africa corredati con una riflessione sulla società, sulla vita economica, religiosa e politica – anche se delineati con un misto di invenzione e di adesione alla realtà - è certamente da inserire tra i più bei libri figurati del Cinquecento.

Ma ritorniamo al commercio e all’importazione dei materiali. Va detto che ci fu un tratto molto suggestivo di questi traffici economici: le vendite nei mercati, nei bazar (Istanbul, Aleppo e Damasco furono i più celebri) e nelle botteghe. Il segretario del Senato veneziano Benedetto Ramberti (ca. 1503-1546) - appartenente anche’egli a quel gruppo di scrittori che tra Quattro e Cinquecento per motivi molto diversi scrissero a proposito del mondo turco e tentarono di presentare i personaggi del palco ottomano e di spiegarne la vita, la corte e i costumi157 - raccontò di aver visto in un viaggio in Turchia, il mercato coperto “[…] ove si

vendono et comprano di tutte le sorte drappi et cose turchesche, sete, panni, lini, argenti, ori lavorati, archi, schiavi e cavalli et finalmente di tutte le cose che si trovano in Costantinopoli ivi si portano al mercato […]”158

.

Almeno fino al tardo Medioevo159 l’offerta fu dunque cospicua e a Venezia le stoffe orientali diventarono molto comuni e facilmente reperibili. Già Marco Polo - al quale in questo lavoro dobbiamo almeno una citazione - lasciò in eredità alle figlie dei pezzi di seta!160 La circolazione dei tessili provenienti dalle terre musulmane del Levante dovette essere considerevole sia perché per secoli essa costituì la fortuna della Serenissima, sia per la trasmissione di iconografie dal mondo orientale a quello occidentale come lo studioso Ugo Monneret de Villard ebbe modo di evidenziare in un articolo apparso già nel lontano 1923

de’ Turchi, Romae, apud Antonium Bladum Asulanum, 1532, del Delle cose de’ Turchi. Libri tre. Delle quali si descrive nel primo viaggio da Venetia a Costantinopoli, con gli nomi de’ luoghi antichi e moderni. Nel secondo la Porta, cioè la corte del soltan Soleyman, signor de’ Turchi. Nel terzo e ultimo il modo del reggere il stato e imperio suo, Venezia, Bernardino Bindoni, 1541 e collezionista di ritratti, forse modelli per altri presenti in molte raccolte europee e nel corridoio vasariano degli Uffizi, questi ultimi attribuiti alla mano del pittore Cristofano dell’Altissimo; Teodoro Spandugino che scrisse il Trattato... de costumi de Turchi. - La Vita di Sach Ismael et Tamas, re di Persia, chiamati Soffi, nella quale si vede la cagione della controversia ch'è tra il Turco e ìl Saffi. - Discorso... della origine de principi Turchi, Venetia, F. Rampazetto, 1564 e I Commentari di Theodoro Spandugino Cantacuscino, gentilhuomo costantinopolitano, dell'origine de principi turchi, et de' costumi di quella natione, Fiorenza, appresso L. Torrentino, 1551. Per un profilo completo si veda: PRETO 1975. Non mancarono naturalmente anche testi di propaganda anti islamica (antiturca in particolare) il cui obiettivo era certamente quello di discreditare i musulmani quasi per esorcizzarne i poteri. Per ciò che riguarda l’aspetto ideologico del rapporto tra Venezia e l’Oriente si veda: CURATOLA 2006.

157 Cfr. nota precedente.

158 RAMBERTI 1541, II, p. 13.

159 Si legga il contributo di JACOBY 2010.

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sulla rivista Aegyptus161. Fin dal Medioevo, dunque, si esportarono in Occidente tessuti serici. Tra questi sciamiti e zendadi - gli ultimi citati furono prodotti anche in Cina e in Persia secondo la testimonianza di Ruy Gonzàlez de Clavijo, ambasciatore spagnolo a Samarcanda nel primo Quattrocento, nonché a Cipro, a Tiro, ad Andros e a Candia - furono ben noti non solo a Venezia ma in tutta l’Europa cristiana162

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All’interno di questo scambio commerciale intenso e articolato i tappeti ebbero un ruolo di prim’ordine e Venezia, con le sue nutrite negoziazioni, non solo ebbe il monopolio nell'importazione e distribuzione dei tappeti in Europa, eliminando anche i pericolosi e concorrenziali avversari genovesi163 ma anche contribuì in maniera sostanziale a caratterizzare l’intera penisola come “la maggiore importatrice europea di tappeti durante i

secoli XIV e XV”164. Come documentato nei numerosi ed approfonditi studi anche recenti di Giovanni Curatola165, questi manufatti furono molto apprezzati e giunsero in laguna, per via marittima o transitando per i Balcani come acquisto o come bottino di guerra.

Il trofeo islamico più famoso è probabilmente il grifone di Pisa166 e, secondo un’ipotesi che si formò nella seconda metà del XIX secolo, il mastodontico metallo fu portato