Arte islamica tra Otto e Novecento fra studio, erudizione e collezionismo. Il contesto italiano
2.3 Tra accumulazione e collezionismo. Arte islamica in Italia .1 I Tesori ecclesiastici
2.3.2 Arte islamica in Italia. Qualche considerazione sulla formazione delle raccolte Fino ad ora abbiamo visto come i Tesori ecclesiastici delle cattedrali e delle chiese
2.4.2.1 Sulle tracce delle opere d’arte islamica nella collezione di Grigorij Sergeevič Stroganoff (1829-1910)
Diversa origine ebbe la raccolta del principe Leone Caetani da Sermoneta (1869-1935). Durante i suoi numerosi viaggi compiuti tra il 1888 e il 1894 per i paesi dell'Africa mediterranea e dell'Asia alla ricerca di materiale per i suoi studi sui caratteri originari della civiltà islamica, egli raccolse una serie di oggetti452e una notevole quantità di manoscritti453 che costituirono la base della Fondazione Caetani presso l’Accademia Nazionale dei Lincei di Roma454.
2.4.2.1 Sulle tracce delle opere d’arte islamica nella collezione di Grigorij Sergeevič Stroganoff (1829-1910)
Una delle collezioni d’arte più rinomate costituita tra la fine del XIX secolo e l’inizio del successivo fu di certo quella dell’aristocratico russo Grigorij Sergeevič Stroganoff che,
448 Capolavori etruschi dall'Ermitage 2008.
449 Sulla collezione Campana si veda SARTI 2001.
450
BESNIER 1906, p. 60.
451 D’ANNUNZIO 1995, p. 67.
452 DI FLUMERI VATIELLI 1996, pp. 303-52.
453 SAGARIA ROSSI 2010, pp. 197-202 con relativa bibliografia.
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dal 1880, ebbe sistemazione nel suo palazzo romano posto tra via Sistina e via Gregoriana e oggi di proprietà e sede della Biblioteca Hertziana455.
“Il Conte Gregorio aveva per le cose belle lo stesso amore purissimo”456
e grazie a ciò quella Stroganoff fu una raccolta varia ed eclettica. Tipica della fine dell’Ottocento, nella sua collezione vennero accolte opere di tutti i generi dell’arte e di tutte le epoche e provenienze assieme ad una biblioteca di 30.000 volumi457.
La collezione, aperta a studiosi, collezionisti e semplici amatori, fu costituita da capolavori che il conte seppe scegliere grazie alla sua “conoscenza profonda dell’arte,
propria di un vero studioso, che gli si era formata sotto la guida di un grande conoscitore e amatore, il Barone baltico Carlo Edoardo de Liphart”458; comunque, ogni pezzo che entrava nel palazzo fu sottoposto ad un’attenta e accurata analisi scientifica da parte degli studiosi più accreditati dell’epoca459
. Ma non per questo Stroganoff fu considerato un collezionista “maniaco” tanto che Antonio Muñoz, l’amico esperto di arte medievale e funzionario delle Belle Arti, lo descrisse nei suoi ricordi come uno che “sapeva scegliere, attendere
l’occasione propizia” in modo tale che “ogni oggetto che entrava in casa sua avesse un’impronta di bellezza”460.
L’intero patrimonio Stroganoff, alla morte del conte avvenuta nel luglio del 1910 a Parigi in casa del nipote Potocki, fu ereditato dalla figlia, la principessa Maria Sergheevna Scherbatoff, e da due nipoti Vladimir Alekseevič e Aleksandra Alekseevna Scherbatoff che vivevano nella tenuta di famiglia in Ucraina461. Il Palazzo Stroganoff di Roma rimase quale custode di un tesoro prezioso ma dopo il 1910 cominciò la fuoruscita di opere d’arte. Nelle pagine delle Memorie il consigliere e amico Muñoz scrisse che “Fidandosi della mia parola
che tale era il proponimento del Conte, la Principessa donò al Museo dell’Ermitage il gruppo di vasellame sasanide, il reliquario bizantino, il tabernacolo del Beato Angelico, e alla Galleria Nazionale di Roma il ritratto di Erasmo di Rotterdam di Quentin Metsys”462. Inoltre, in una lettera inviata nel 1911 al direttore dell’Hermitage i nipoti del conte Stroganoff riportarono che “il nostro nonno diceva spesso a nostra madre di avere intenzione di legare
455 La lunga vita della raccolta, dispersa nel corso degli anni Venti del XX secolo, non possiede ancora una storia ben documentata dalla formazione alla dispersione, ma gli studi ancora in corso di Simona Moretti e soprattutto quelli di Vardoui Khalpaktchian stanno cercando di ovviare a questa lacuna.
456 MUÑOZ 1944, p. 137. 457 MORETTI 2010 (a), p. 58. 458 MUÑOZ 1944, p. 138. 459 KALPAKCIAN 2009, p. 89. 460 MUÑOZ 1944, p. 140. 461 MORETTI 2010 (a), p. 58. 462 MUÑOZ 1944, p. 149.
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all’Ermitage sette piatti e due recipienti d’argento sasanidi”463
. Dunque, rispettando le ultime volontà del collezionista, molte opere d’arte della collezione furono donate a suo nome dalla famiglia Scherbatoff all’Hermitage Imperiale, al Museo della Società per l’Incoraggiamento delle Arti di San Pietroburgo e ad altre istituzioni russe ed europee464.
Nel frattempo, “cedendo al consiglio degli amici, dopo molte esitazioni” la figlia “stabilì di pubblicare un catalogo degli oggetti più importanti della collezione”465
. Nel 1912 furono pubblicati due suntuosi volumi, ricchi di tavole foto incise, ossia i cataloghi della collezione: quello delle opere antiche egizie466 e greco-romane fu curato dall’archeologo praghese Ludwig Pollak, consigliere anche di Giovanni Barracco, mentre quello delle opere medievali e moderne con i testi di Muñoz467. Naturalmente nell’edizione a stampa s’impose una selezione forzata degli oggetti d’arte e interi gruppi di opere passarono sotto silenzio.
Contemporaneamente la principessa Scherbatoff si adoperò per valutare e vendere alcuni pezzi della collezione. Il 24 maggio 1912 ella scrisse un telegramma a Stefano Bardini annunciandogli la disponibilità di Muñoz a mostrargli un “tapis ivoire”468
. In un secondo telegramma la figlia del conte pregò Bardini di andare a Roma per vedere la collezione poiché “esistono fotografie che pochi oggetti”469. Ma davanti al rifiuto, o all’impossibilità, di Bardini di compiere il suddetto viaggio nella casa romana del nobile russo, la principessa inviò un terzo telegramma. Con esso Bardini fu informato della spedizione della fotografia del tappeto per una valutazione e, nel frattempo, gli fu rinnovata la richiesta di andare a Roma perché “altri oggetti collezione potrebbero interessarlo”470
.
Il dato certo è che la maggior parte dei capolavori più importanti rimase al proprio posto fino al 1921. La Prima Guerra Mondiale fu seguita in Russia dalla Rivoluzione e dalla Guerra
463 KALPAKCIAN 2009, p. 106.
464
Poco documentate rimangono le richieste di vendita delle opere che di certo piovvero copiose sugli eredi del conte Stroganoff da parte di studiosi, di autorevoli antiquari, di collezionisti europei e americani e dei maggiori musei del mondo. Si veda: KALPAKCIAN 2005, p. 89.
465
MUÑOZ 1944, p. 149.
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Recentemente è stata posta l’attenzione sulla collezione di oggetti egiziani raccolti dal conte durante i suoi numerosi viaggi in Europa e nell’occasione è stata fatta luce anche sul ruolo fondamentale svolto da Stroganoff e da Alexander de Zwenigorodskoï, collezionista di smalti bizantini, nella formazione del Museums-Verein ad Aachen (Germania), oggi Suermondt Ludwig Museum. Si vedano: HILL–MEURER–RAVEN 2010, pp. 289-306; MORETTI 2003, p. 88; KALPAKCIAN 2009, p. 95.
467 Pièces de choix de la collection du comte Grégoire Stroganoff à Rome, par Ludwig Pollak et Antonio Muñoz, Rome 1911-1912, vol. I e II. Il catalogo della collezione contenente la descrizione di circa cento oggetti fu ordinato nel 1910 ma vide la luce solo dopo la morte del conte. Cfr.: KALPAKCIAN 2005, pp. 87-91.
468 Firenze, Archivio Storico Stefano Bardini (d’ora in poi A.S.S.B.Fi), Carteggio clienti/fornitori 1905-1915, anno 1912, mittente Scherbatoff, (telegramma, 24 maggio 1912).
469 A.S.S.B.Fi, Carteggio clienti/fornitori 1905-1915, anno 1912, mittente Scherbatoff, (telegramma non datato).
470
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Civile. La principessa Maria Scherbatoff e i suoi figli furono uccisi nel 1920 dall’Armata rossa.
Nel 1921 giunsero a Roma la principessa Elena Scherbatoff, vedova del principe Vladimir con le due figlie minori Olga e Marina471. Non avendo altro modo per vivere diedero inizio alla vendita della collezione. In pochi anni i pezzi furono acquistati dai maggiori antiquari e collezionisti del momento, italiani e stranieri, tra cui Filippo Tavazzi, assiduo frequentatore di casa Stroganoff assieme al collega Augusto Jandolo, Sir Joseph Duveen e Giuseppe Sangiorgi (1850-1928), l’antiquario e conoscitore d’arte romano collaboratore di lunga data del conte Stroganoff472. Lo stesso Sangiorgi, in un telegramma con il quale chiese alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti il permesso di esportazione per una tavoletta eburnea, sembrò quasi voler scagionare la principessa Elena dalla vendita delle opere appartenute al nonno di suo marito mostrando queste come l’unico mezzo di sostentamento in loro possesso. E per avvalorare ciò scrisse che gli oggetti raccolti dal conte Stroganoff sono “in gran parte comperati su mercati esteri e spessissimo d’arte straniera”473
.
Dunque, alla scomparsa del proprietario, l’intera collezione - come spesso accade in questi casi - fu dispersa e oggi questi oggetti d’arte, illustrati o meno nei due volumi del catalogo, si trovano in diversi musei europei e americani o in anonime collezioni private474.
Identificare tutti i pezzi della collezione in assenza di tracce documentarie è altamente improbabile. E lo stesso si può affermare per il nucleo di oggetti islamici per la cui ricostruzione, seppur parziale per ovvie ragioni, ci si è basati sul materiale pubblicato partendo dal catalogo a cura di Muñoz e raccogliendo le notizie e la documentazione visiva sparse in diverse pubblicazioni. Non è nota, infatti, l’effettiva consistenza dei pezzi islamici: alcuni furono presentati da Muñoz ma - abbiamo fatto notare poco sopra che i due volumi della collezione furono pubblicati facendo una drastica scelta degli oggetti - altri potrebbero
471 MORETTI 2003, p. 91.
472 KALPAKCIAN 2005, p. 89. Si veda inoltre il più recente contributo di Simona Moretti che segnala l’esistenza di un carteggio sull’eredità romana di Stroganoff conservato nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma. Secondo la Moretti in tale carteggio si conserva un telegramma del 20 aprile 1923 con il quale l’antiquario romano Giorgio Sangiorgi chiese alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti il permesso di esportazione per una tavoletta eburnea con Vergine Bambino e Angeli; cfr.: MORETTI 2010 (b), pp. 97-112.
473
Citato in MORETTI 2010 (b), p. 98.
474 MORETTI 2003, p. 90. Le vendite delle opere più importanti negli anni Venti si effettuarono direttamente nel Palazzo Stroganoff, senza che fosse redatta alcuna documentazione, mentre ci fu una sola asta pubblica interamente dedicata agli “oggetti Stroganoff”: l’asta della preziosa biblioteca del Palazzo, nel 1922 (la seconda, del 1924, portava già il titolo “Biblioteca Stroganoff e altre raccolte librarie”). La dispersione della famosa collezione, i cui capolavori abbandonarono uno dopo l’altro il suolo italiano, suscitò lo sdegno di molti uomini di cultura, tra cui Roberto Longhi che dedicò al fatto una serie di appassionati articoli. Antonio Muñoz descrisse, nelle sue memorie, i tentativi che intraprese invano per convincere lo Stato italiano e il Vaticano ad acquistare almeno i capolavori più importanti; cfr.: MUÑOZ 1944, p. 142.
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essere stati donati o venduti alla spicciolata. Nel tentativo di ricostruire il tessuto di relazioni, prestiti, donazioni e acquisti che coinvolsero Stroganoff e i suoi cimeli, fin da subito siamo incappati in un tavolino di probabile provenienza maghrebina con il quale il conte arredò la
Salle des Marbres del suo palazzo romano come attesta una tavola fotoincisa pubblicata nel
Catalogo della collezione475.
Nel Salon Rouge, invece, furono raccolti alcuni dei quadri più importanti e degli oggetti più prestigiosi. Tra questi un bellissimo tappeto Ushak a medaglione a fondo rosso con bordura cufica prodotto in Anatolia occidentale all’inizio del XVI secolo e conosciuto come Ushak Castellani-Stroganoff. L’impianto decorativo, i colori e le notevoli dimensioni (cm. 270 x 523) lo rendono un manufatto straordinario476.
Il primo a pubblicarlo fu Wilhel von Bode nel suo Vorderasiatische Knüpfteppiche aus
älterer Zeit del 1901 con una tavola in bianco e nero477. Inoltre, dalle notizie fornite da Bode apprendiamo che Stroganoff lo acquistò a Roma all’asta Castellani del 1884478
la quale fornì “die eine reiche Auswahl interessanter alter Teppiche bot (fast alle aus italienischen Kirchen
stammend)”479.
Alessandro Castellani (1823-1883) fu un importante antiquario romano appartenente alla famosa dinastia romana di orafi che ebbe il capostipite in Fortunato Pio Castellani (1794-1865). Alla sua morte gli eredi decisero di vendere l’intera collezione che fu posta all’asta in due tornate che si svolsero a Roma (dal 17 marzo al 10 aprile 1884) e a Parigi (dal 12 al 16 aprile 1884)480. Nel catalogo della vendita romana che si svolse proprio nel Palazzo Castellani di Via Poli figurarono trenta tappeti orientali, nessuno dei quali è illustrato481. Come ha osservato Boralevi, il tappeto acquistato da Stroganoff fu posto in vendita per ultimo al n. 1180 del catalogo d’asta482
. Il citato Catalogo della collezione Stroganoff non comprende l’Ushak in questione rendendo così evidente che il manufatto non fu acquistato dal conte come pezzo da collezione ma, probabilmente, solo per arredare la dimora e goderne nella più banale quotidianità. Esso, come ricordato poco sopra, è però riconoscibile in una tavola che
475 Pièces de choix … 1912 tav. I.
476 BORALEVI 1987.
477
BODE 1901, pp. 68-69, tav. 38.
478 Boralevi segnala l’imprecisione compiuta da Bode e ripetuta da tutti quelli che lo hanno citato. L’asta Castellani si tenne nel 1884 e non nel 1883: BORALEVI 1987, p. 16, nota 8.
479 Si legga: “che fornì una ricca varietà di interessanti tappeti antichi (quasi tutti provenienti da chiese italiane)”; cfr.: BODE 1901, p. 69.
480 Come avremo modo di osservare, gli oggetti islamici della collezione Castellani risultano dispersi fra i più importanti musei del mondo.
481 Catalogue des objets d'art antiques … 1884 (a), lotti 1151-1180.
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raffigura il suddetto Salon Rouge483. Non sappiamo quando il tappeto Castellani-Stroganoff uscì dal palazzo romano di via Sistina. È certo però che non fece parte dei beni che finirono all’asta nel 1925 sempre a Roma perché il catalogo della vendita figurano quarantanove tappeti ma di scarso interesse e comunque non il grande Ushak a medaglione484. Naturalmente il tappeto non compare neppure tra i beni Stroganoff posti in vendita da Simonetti nell’omonimo palazzo di via Vittoria Colonna nell’asta del 1934485
.
L’Ushak Castellani-Stroganoff, per molti anni ritenuto scomparso, è stato ritrovato nel 1987 da Alberto Boralevi.
da:A.MUÑOZ, Pièces de choix de la collection du comte Grégoire Stroganoff à Rome Roma 1912, vol. II, tav. II
483
Pièces de choix … 1912 tav. II.
484 Catalogo degli oggetti d’arte … 1925, lotti 83-89 p. 7; lotti 195-201, p. 17; lotti 304-310, pp. 26-27; lotti 404-410, pp. 35-36; lotti 326-333, p. 47, lotti 594-600, p. 52, lotti 728-733-a, p. 65 (escluso il lotto n. 733 in quanto tappeto Savonnerie) per un totale di 49 tappeti.
485
119 Tappeto Ushak a medaglione detto Ushak Castellani Stroganoff (particolare) Anatolia occidentale Sec. XVI inizio Collezione privata
Gusto sicuro e originalità della scelta dovettero essere alla base della raccolta costituita dall’aristocratico di origini pietroburghesi. Ciò è plausibile non solo riguardo alla presenza del grande Ushak a medaglione ma anche di altri pregevoli manufatti come il vaso in ceramica pubblicato da Muñoz come manufatto di arte persiana del XIV secolo486.
486
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da:A.MUÑOZ, Pièces de choix de la collection du comte Grégoire Stroganoff à Rome Roma 1912, vol. II, tav. CXXVI
Vasi di questa forma furono etichettati come “siculo-arabi” perché ritrovati in Sicilia e ritenuti di manifattura locale487 e solo grazie agli studi compiuti successivamente da Arthur Lane488 e da Jean Soustiel489 si stabilì che queste giare furono prodotte in Siria e in Egitto e utilizzate per il trasporto di spezie, essenze, sciroppi, unguenti in Europa.
Nello specifico, la forma del vaso Stroganoff fu già utilizzata in Siria nel periodo della dinastia ayyubide.
Da quanto si vede dalla tavola del Muñoz la sua decorazione è organizzata in fasce verticali che presentano dei motivi pseudo floreali costituiti da un medaglione centrale blu cobalto e quattro petali (o foglie) alternati con coppie di cartigli più sottili nei quali si sviluppano una pseudo iscrizione e una composizione floreale. Il collo è ornato da due bande parallele e orizzontali: una presenta un motivo a zig-zag e una dei caratteri epigrafici interrotti da piccoli cerchi blu.
487 FORTNUM 1873, pp. 37-38.
488 LANE 1957, pp. 15-20.
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Vasi con simile decorazione si trovano oggi conservati al Museo Nazionale di Capodimonte490, al Victoria and Albert Museum491, al Museo Nazionale di Damasco492 e al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza493.
Vaso in ceramica
Siria Sec. XIV Faenza
Museo Internazionale della Ceramica Inv. 21884/c
Quest’ultima istituzione, la più importante del settore a livello internazionale, comprende una sezione di ceramiche islamiche proveniente in gran parte dalla raccolta dell’orientalista Frederick Robert Martin ma anche di altri collezionisti italiani. Tra questi, Galeazzo Cora (1896-1983) – studioso torinese di nascita ma stabilito a Firenze da dove tenne una stratta corrispondenza con Ballardini e con il suo successore alla guida del museo
490 SCERRATO 1967, p. 49, n. 69, fig. 50.
491 Londra, Victoria and Albert Museum, Inv. 275-1899; LANE 1957, tav. 10.
492
Damasco, Museo Nazionale, Inv. A4547; ATIL 1981, p. 172, n. 81. Anche in CURATOLA-SCARCIA 1990, fig. 34.
493 Eredità dell’Islam … 1993, pp. 293-294, scheda 164. Il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, importante istituzione fondata nel 1908, a seguito di una mostra allestita nell'ex convento di San Maglorio con ceramiche di manifatture italiane ed europee e pezzi di antica produzione, nell'ambito dell'Esposizione Internazionale organizzata a Faenza per celebrare il terzo centenario della nascita di Evangelista Torricelli. La donazione delle opere ceramiche da parte degli espositori costituì il nucleo originario del Museo che progressivamente si arricchì di altri esemplari. Chi svolse maggior opera per la sua costituzione fu Gaetano Ballardini, direttore del Museo fino al 1953. Si veda: BERTONI-RAVANELLI GUIDOTTI 2008.
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Giuseppe Liverani – che raccolse oltre un migliaio di ceramiche di varia epoca e provenienza geografica acquisite dal museo faentino dopo la sua morte494. La straordinaria donazione Cora comprese anche il citato vaso trecentesco di produzione siriana che oggi è possibile ammirare in una vetrina della sezione islamica nuovamente allestita nel 2008495. Pubblicato nel catalogo della collezione Cora con una datazione al XIX secolo496, del vaso siriano se ne era già occupato nel 1978 Marco Spallanzani che lo presentò come appartenente alla medesima collezione ma con una più plausibile nonché ragionevole datazione al XIV secolo497. Tra il 1993 e il 1994 il vaso in questione fu esposto alla mostra Eredità dell’Islam. Arte islamica in
Italia che si tenne al palazzo Ducale di Venezia. In quell’occasione Cristina Tonghini498
evidenziò la sua anteriore appartenenza alla collezione del conte Massimo di Frassineto attraverso il riferimento bibliografico ad un articolo a firma di Alessandro Del Vita apparso nel secondo volume del 1922 della rivista Dedalo, una delle tante iniziative editoriali di Ugo Ojetti499. Nel presentare la collezione Frassineto, Del Vita rilevò l’esistenza di maioliche italiane e di pregevoli pezzi ispano-moreschi e persiani e, in una riproduzione a piena pagina, mostrò come appartenente a quest’ultimo gruppo citato anche il vaso faentino che descrisse come “un grosso vaso a forma di pera alto cm. 32, a fondo bianco avorio con decorazioni a
girali e a lettere cufiche eseguite in azzurro, nero e verde oliva chiaro. È un esemplare molto raro del XIV secolo”500. Dal confronto tra la foto della giara pubblicata su Dedalo e quella presente nel catalogo di Muñoz emerge con evidenza la possibilità che possa trattarsi dello stesso vaso e che, quindi, quello faentino, in origine, fosse appartenuto alla collezione romana del conte Stroganoff.
Fece parte dell’arredo del palazzo romano del nobile russo anche il cofanetto in avorio di bottega arabo-sicula databile entro il XIII secolo, manufatti quasi immancabili nelle sacrestie delle chiese, nelle sale dei musei diocesani e nelle collezioni private costituite sul finire del XIX secolo. Presentato da Antonio Muñoz nelle pagine del catalogo della collezione come un pezzo inedito501, il cofanetto rimase nella dimora del conte Stroganoff fino a quando fu acquistato dalla Ditta Sangiorgi.
494
La donazione Galeazzo Cora ... 1985.
495 Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, Inv. 21884/c.
496 La donazione Galeazzo Cora … 1985, p. 330, n. 854, tav. LXXI.
497 SPALLANZANI 1978, tav. 6.
498
Eredità dell’Islam … 1993, pp. 293-294, scheda 164. Comunque già in La donazione Galeazzo Cora … 1985, p. 330, n. 854.
499 DEL VITA 1922, pp. 507-536.
500 DEL VITA 1922, p. 507, fig. 509.
501
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da:A.MUÑOZ, Pièces de choix de la collection du comte Grégoire Stroganoff à Rome Roma 1912, vol. II, tav. CXXII
Poco prima dell’aprile 1923 l’antiquario romano acquistò “quanto restava ancora della Collezione avori Stroganoff”502
dalla principessa Elena, figlia di un nipote del conte. Si trattò di ben ventisette pezzi eburnei, compreso il “cofanetto arabo-siculo”503 che Federico Hermanin, Regio Soprintendente alle Gallerie e Musei medievali e moderni e agli oggetti d’arte del Lazio e dell’Abruzzo, registrò in occasione di una visita presso l’antiquario Sangiorgi il 10 marzo 1923. Il 17 luglio dello stesso anno alcuni di questi manufatti furono fatti notificare come d’importante interesse da Arduino Colasanti, Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero Gentile e l’avorio arabo-siculo fu citato al n. 7 della lista504. Alla notifica di Colasanti fece seguito la risposta ufficiale della Galleria Sangiorgi datata 26 luglio. Con essa fu specificato che “la maggior parte di essi [degli avori], ed anzi i
502 Citazione in MORETTI 2010 (b), p. 98.
503 MORETTI 2010 (b), p. 113. Il cofanetto è il n. 7 della lista.
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migliori, non sono più in mio possesso perché già venduti”505. Il cofanetto eburneo, dunque, passò da Sangiorgi all’avvocato Riccardo Gualino (1879-1964) come affermato da Lionello Venturi che nel 1928 lo pubblicò come appartenente al collezionista torinese506. Oggi si trova esposto nel settore della collezione Gualino nella Galleria Sabauda di Palazzo Madama a Torino507.
Diversa sorte toccò ad un altro avorio arabo-siculo della collezione Stroganoff, un