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L’Italia secondo il comitato europeo per la prevenzione della

Nel documento La tortura nei tempi moderni. (pagine 134-149)

5. L’ Italia dal punto di vista internazionale

5.1 L’Italia secondo il comitato europeo per la prevenzione della

prevenzione della tortura.

I rapporti che il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha redatto a seguito delle visite nel nostro Paese mettono a nudo i maggiori punti di criticità del sistema italiano di limitazione della libertà personale. Per raffigurarsi la situazione dell’Italia, così come appare agli occhi degli ispettori europei, è necessario esaminare i rilievi più preoccupanti che il CPT ha formulato in occasione della sua ultima visita periodica e della

151

GIOVANNI TORRENTE, La crisi del sistema penitenziario italiano: appunti per un

sua ultima visita ad hoc nei luoghi di privazione della libertà sottoposti alla giurisdizione italiana.

5.1.1 La custodia della polizia.

Il CPT ha, preliminarmente, richiesto che gli sforzi del legislatore italiano volti a introdurre il reato di tortura nel nostro ordinamento siano moltiplicati, affinché l’Italia onori il più presto possibile gli obblighi internazionali che si è assunta152.

Cominciando l’esame degli stabilimenti delle forze dell’ordine, il Comitato ha dapprima soffermato la propria attenzione sull’esistenza di pratiche di tortura o di maltrattamenti. A questo proposito, pur riscontrando un comportamento generalmente corretto degli agenti pubblici nei confronti delle persone custodite, il CPT ha rilevato come siano ancora diffuse denunce di maltrattamenti, consistenti per lo più in pugni, calci, manganellate e insulti153.

In secondo luogo, il CPT ha esaminato l’applicazione in Italia delle garanzie necessarie a prevenire maltrattamenti durante la custodia della polizia, riscontrando alcune importanti mancanze.

In molti stabilimenti, l’informazione ai prigionieri sui loro diritti non è effettuata adeguatamente, in quanto la comunicazione degli stessi avviene solo verbalmente e non è certificata dalla firma della persona

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CPT/Inf (2010) 12 (Italia), § 12.

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interessata154, oppure la comunicazione avviene dopo alcune ore dall’inizio della custodia155.

Anche il diritto di accesso a un avvocato è calpestato sotto diversi profili. Esso non viene garantito dal primo momento di custodia, ma solo una volta che l’interessato sia formalmente arrestato. Inoltre, vengono spesso condotti interrogatori informali prima che sia disponibile la difesa tecnica. Infine, il CPT è estremamente preoccupato dalla facoltà, attribuita al gip (e, ad interim, al pm) dall’art. 104, commi 3 e 4, c.p.p., di negare all’indagato l’accesso al difensore per i primi cinque giorni di custodia, quando sussistono specifiche ed eccezionali ragioni di cautela.

A parere del Comitato, gravi esigenze cautelari possono sconsigliare i contatti di una persona indagata con un determinato avvocato, ma non giustificano mai il diniego di assistenza tecnica in toto, essendo sufficientemente prudente la nomina provvisoria di un avvocato d’ufficio156. Proseguendo, il diritto di informare la famiglia o una terza persona a scelta della condizione di limitazione della libertà non è garantito a chi è custodito per ragioni diverse dalla sospetta commissione di un reato157.

Ancora, i registri di custodia vengono compilati in modo lacunoso e solo per i soggetti che sono fisicamente rinchiusi in una camera di sicurezza, non, invece, per coloro che sono trattenuti a fini identificativi o che sono

154 CPT/Inf (2010) 12 (Italia), § 14. 155 Ivi, §15. 156 Ivi, §16. 157 Ivi, §15.

formalmente arrestati, ma vengono subito trasferiti in un altro stabilimento per la reclusione fisica158.

Per finire, gli stabilimenti delle forze dell’ordine non sono sistematicamente soggetti a visite condotte da un’autorità giudiziaria o da altra autorità indipendente159.

5.1.2 Le carceri.

A seguito della sua ispezione in alcune carceri, la delegazione del CPT ha preliminarmente affrontato con preoccupazione il problema del sovraffollamento che affligge, in modo grave e diffuso, tutto il sistema carcerario italiano. Oltre a costituire autonomamente un disagio per i detenuti, il sovraffollamento trascina con sé spesso altre inaccettabili conseguenze, come la carenza di igiene e di riservatezza; la difficile possibilità di accesso a impieghi retribuiti, ad attività ricreative e d’istruzione, ai servizi medico-sanitari; la crescente tensione tra i prigionieri (che sfocia a volte in episodi di violenza); il trasferimento di alcuni detenuti in strutture più lontane dalla famiglia160.

Il Comitato ha analizzato le cause del sovraffollamento nei luoghi di detenzione italiani e ha evidenziato come la prospettata costruzione di nuovi edifici penitenziari non costituisca una soluzione duratura: per risolvere stabilmente il problema, bisognerebbe rendere davvero la

158 Ivi, §18. 159 Ivi, §19. 160 Ivi, §53.

pena detentiva una misura di extrema ratio e facilitare l’accesso a misure non detentive e a programmi di risocializzazione161.

In secondo luogo, il CPT ha svolto una serie di considerazioni relative ai maltrattamenti di cui sono vittime i detenuti, rilevando che sono abbastanza diffuse le denunce di maltrattamento fisico, corroborate dalla visibilità di ferite compatibili; inoltre, i prigionieri sono spesso bersaglio di insulti da parte delle forze dell’ordine162.

I detenuti italiani sono a volte anche vittime di violenze esercitate dai compagni di prigionia. Il CPT ha sottolineato che è preciso dovere dello Stato garantire protezione a ciascun detenuto dalle violenze dei compagni: a tal fine, sono necessari il reclutamento di personale con spiccate qualità di comunicazione interpersonale e la predisposizione un buon rapporto numerico tra detenuti e membri dello staff, tale da poter adeguatamente sorvegliare il comportamento dei detenuti e intervenire risolutivamente nelle situazioni di emergenza163.

Il problema dei maltrattamenti tra prigionieri è legato a quello dell’abuso di alcool nella carceri italiane, nelle forme del consumo eccessivo e del commercio interno illegale.

Tuttavia, la legge non consente ai direttori degli istituti di pena di bandire completamente il consumo di bevande alcooliche164.

161 Ivi, §55. 162 Ivi, §56. 163 Ivi, §58-59. 164 Ivi, §60.

In terzo luogo, il CPT ha esaminato le condizioni materiali e il regime di attività dei luoghi di detenzione visitati.

Le condizioni materiali mostrano qualche carenza (cattivo stato di conservazione, infiltrazioni di acqua, scarsa distribuzione idrica, servizi igienici non funzionanti), i prodotti per l’igiene personale non sono distribuiti in quantità sufficiente e alcuni letti non hanno il materasso165. Inoltre, in celle di circa 9 mq sono ospitati fino a cinque detenuti. Anche il programma di attività offerto non è del tutto soddisfacente, comprendendo il più delle volte solo qualche ora al giorno di esercizio fisico all’aperto.

In quarto luogo, il CPT ha studiato con cura la situazione riguardante i servizi medici per i detenuti, rilevando – nonostante i miglioramenti intervenuti negli ultimi anni – alcune carenze di una certa gravità.

Innanzitutto, il trasferimento di competenze dal Ministero della Giustizia a quello della Sanità – che è di per sé uno sviluppo molto positivo – ha portato estrema confusione nelle carceri, in quanto è accompagnato da una scarsa comunicazione tra dirigenti e staff, dalla mancata pianificazione del trasferimento dei fondi e dall’assenza di trasparenza sulle politiche da rispettare nell’operare il trasferimento; inoltre, non è stato fissato un budget per supportare le attività di coordinamento a

livello nazionale166. 165 Ivi, §61. 166 Ivi, §87.

Poi, alcune strutture deputate al ricovero di detenuti con problemi medici presentano gravi insufficienze materiali, quali: sistemi di chiamata non funzionanti, infiltrazioni di umidità, mancanza di ausili appropriati per gli invalidi167.

Gli screening effettuati sui pazienti al momento del loro accesso nelle strutture, a volte, sono condotti con superficialità e, in ogni caso, non comprendono sistematicamente gli esami per la diagnosi della tubercolosi168.

Ancora, è insoddisfacente la gestione del c.d. “Registro 99” (in cui vengono annotate le condizioni fisiche del detenuto nel momento del suo ingresso in carcere) da parte dei medici penitenziari: le ferite riscontrate sono riportate in modo impreciso, non ne è valutata la compatibilità con eventuali denunce di maltrattamento, non vengono segnalati alle autorità giudiziarie i casi di maltrattamenti che non comportano prognosi superiori a 20 giorni169.

In generale, il personale carcerario, medico e infermieristico a disposizione negli istituti penitenziari è quantitativamente insufficiente: ciò provoca lunghe attese per ottenere visite, farmaci e ricoveri, un utilizzo non ottimale delle risorse disponibili e totale incuranza dell’aspetto psicosociale delle cure mediche.

167 Ivi, §89. 168 Ivi, §90. 169 Ivi, §91-92.

Infine, non sono previsti programmi di prevenzione della diffusione di malattie trasmissibili170.

La situazione non è molto differente nelle sezioni degli istituti dedicate alla cura psichiatrica dei detenuti.

Le preoccupazioni del Comitato sono fomentate, innanzitutto, dalla generale scarsa quantità di membri del personale penitenziario, che non cresce all’aumentare dei detenuti nelle carceri171.

È preoccupante, inoltre, la prassi applicativa dei regolamenti disciplinari interni: le decisioni vengono prese senza un’esauriente motivazione; al detenuto non è concesso avvalersi della difesa tecnica; il provvedimento viene notificato all’interessato solo per estratto e la possibilità di procedere in appello gli è comunicata solo verbalmente172.

Inoltre, il giudice di sorveglianza (competente per l’appello) valuta solo la legittimità (e non il merito) della vicenda. A ciò si aggiunga che i medici che prestano servizio negli istituti di pena sono chiamati a far parte del consiglio di disciplina e a certificare la capacità dell’interessato di

sopportare la sanzione dell’esclusione dalle attività in comune173: tale normativa, evidentemente, mina alle fondamenta il rapporto di fiducia tra medico e paziente, necessario per salvaguardare la salute e il benessere dei detenuti, e si pone in contrasto con i principi internazionali di etica medica174. 170 Ivi, §98. 171 Ivi, §114. 172 Ivi, §116. 173

V. artt. 40 e 39 ord. Penit.

174

In terzo luogo, il CPT ritiene insufficiente il ruolo di supervisione e controllo sulla vita penitenziaria svolto dai giudici di sorveglianza: il sovraccarico di lavoro e di funzioni cui i magistrati in questione sono sottoposti permette loro di occuparsi di molte pratiche solo attraverso l’esame dei documenti, senza che riescano a visitare personalmente i luoghi di detenzione o a parlare col personale e con i detenuti175.

5.1.3 Gli stabilimenti psichiatrici.

Il Comitato per la prevenzione della tortura ha visitato, nel 2008, due stabilimenti psichiatrici italiani: l’ospedale psichiatrico giudiziario (OPG) di Aversa (vicino a Napoli) e, meno approfonditamente, il servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) dell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli. Nella struttura di Aversa, la delegazione ha dapprima soffermato la sua attenzione sul trasferimento di competenze dal Ministero della Giustizia al Ministero della Sanità, che era in corso in quei mesi, riscontrando, anche qui, un’atmosfera generale di assoluta confusione: il Direttore Sanitario dell’OPG non era ancora stato nominato, i membri del personale erano preoccupati per la loro dubbia condizione contrattuale, non si sapeva quante e quali risorse economiche sarebbero state disponibili di lì a poco. In definitiva, la riforma è apparsa al CPT come mal studiata, male pianificata e poco chiara176. Inoltre, il nuovo assetto prevede, oltre alla figura del Direttore sanitario, competente per gli aspetti strettamente terapeutici della gestione, un Direttore amministrativo,

175

Ivi, §118.

176

appartenente al sistema penitenziario, responsabile per tutti i profili di gestione, custodia e sorveglianza: così, lo spostamento di competenze, che avrebbe dovuto rendere l’aspetto terapeutico degli OPG quasi esclusivo, ha provocato paradossalmente un rinforzamento del controllo da parte delle autorità carcerarie177.

In secondo luogo, il CPT ha esaminato le condizioni materiali e il regime di attività dell’ospedale. Nonostante la situazione generale sia accettabile, sono emerse alcune eccezioni non trascurabili.

La struttura in cui l’OPG si inserisce è vecchia e cadente178; l’uso dei dormitori non favorisce l’incremento di autonomia dei pazienti e comporta mancanza di riservatezza e contatti tra pazienti molto eterogenei179; lo spazio vitale di ciascun internato nei dormitori è insufficiente; gli ambienti sono poveramente arredati, a volte sporchi, assolutamente austeri e impersonali180. Non sono disponibili letti e materassi speciali, che sarebbero necessari per gli allettati e gli incontinenti181.

Poi, il programma di attività quotidianamente offerto agli internati è quasi inesistente: essi trascorrono quasi tutto il loro tempo guardando la televisione, leggendo, o semplicemente restando distesi sui letti, poiché non sono disponibili né le strutture né gli addetti necessari a organizzare attività programmate su base giornaliera182. Queste circostanze comportano, in certi casi, addirittura un peggioramento delle condizioni dei pazienti, considerato 177 Ivi, §122-123. 178 Ivi, §119. 179 Ivi, §135. 180 Ivi, §129 e 134. 181 Ivi, §133. 182 Ivi, §130.

che alcuni di loro soffrono di problemi legati al contatto con la realtà e al rapporto con gli altri183.

In terzo luogo, il CPT ha svolto una serie di considerazioni relative alla qualità del trattamento terapeutico offerto ai pazienti, ritenendolo, nel complesso, insufficiente: il limitato numero di ore in cui sono presenti gli psichiatri, combinato con lo scarso numero di psicologi, educatori e infermieri e la mancanza totale di terapisti occupazionali, restringe considerevolmente la possibilità di offrire ai pazienti internati nell’OPG un accesso alle attività terapeutiche184. La delegazione del Comitato ha notato anche l’assenza di un programma di prevenzione dei suicidi, la cui necessità è resa evidente dall’alta frequenza con cui questi si verificano185.

Infine, gli ispettori hanno ritenuto che sia sconveniente, in quanto dannoso per il rapporto medico-paziente, affidare allo psichiatra curante il compito di redigere rapporti e certificazioni sui propri pazienti per l’autorità giudiziaria186.

Ma l’aspetto più preoccupante del trattamento riservato ai pazienti nell’OPG di Aversa è sicuramente costituito dalle modalità di contenimento e isolamento. I pazienti che mostrano comportamento auto- o etero-aggressivi, vengono immobilizzati su un letto e lì legati con lacci di stoffa187.

Non vengono liberati per andare in bagno (i letti hanno un’apertura al centro, sotto la quale un secchio raccoglie gli escrementi), né per mangiare (un 183 Ivi, §132. 184 Ivi, §145. 185 Ivi, §140. 186 Ivi, §146. 187 Ivi, §151.

infermiere li imbocca). Per tutto il tempo in cui rimangono immobilizzati, i pazienti hanno la parte inferiore del corpo nuda (coperta solo dal lenzuolo) e non vengono lavati. Considerato anche che questo trattamento viene realizzato spesso (i tre letti disponibili sono sempre occupati), per periodi piuttosto lunghi (fino a dieci giorni) e che è quasi completamente assente la compagnia umana del personale sanitario (che raramente si reca a controllare le condizioni dei pazienti ristretti), si può affermare che tale immobilizzazione costituisce trattamento inumano e degradante188.

In quarto luogo, il CPT ha esaminato l’applicazione in Italia delle garanzie necessarie a prevenire maltrattamenti durante il trattamento medico- psichiatrico, riscontrando una profonda differenza tra la legislazione applicabile al trattamento sanitario obbligatorio (TSO) di pazienti ‘civili’ e quella applicabile ai pazienti ‘giudiziari’189.

Gli ispettori hanno voluto ricordare che l’internamento di un paziente in un ospedale psichiatrico giudiziario non permette necessariamente al personale sanitario di agire senza il libero consenso informato del paziente: sono però stati riscontrati casi in cui i trattamenti venivano somministrati con la forza190. Il secondo motivo di preoccupazione, secondo il Comitato, concerne il fatto che, anche a parere degli psichiatri addetti, il 20-30% delle persone internate nell’OPG non costituiscono più un pericolo per la società e non presentano più condizioni mentali che necessitino di ricovero in tali strutture.

188 Ivi, §152. 189 Ivi, §157. 190 Ivi, §158.

Tuttavia, la mancanza di mezzi e sistemi per proseguire le dovute cure all’interno delle famiglie o in istituiti esterni prolunga la permanenza negli OPG più del dovuto191.

5.2 L’Italia secondo il Comitato ONU dei diritti umani.

Il Comitato ONU per i diritti umani (o Human Rights Committee, HRC) è l’organo istituito specificamente allo scopo di sorvegliare sulla corretta applicazione del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966. Dalla sua sede di Ginevra, il Comitato esercita il controllo sugli Stati, sia esaminando i rapporti periodici inviati da Paesi membri sullo stato di attuazione degli obblighi, sia esaminando le comunicazioni interstatuali, sia – se lo Stato convenuto è firmatario del Protocollo facoltativo al Patto – ricevendo ricorsi individuali.

Anche i treaty bodies delle Nazioni Unite hanno redatto documenti di analisi della situazione di rispetto dei diritti umani in Italia. I loro atti, basandosi sui rapporti forniti dallo Stato (e non su visite dirette dei luoghi di detenzione nel nostro territorio), tendono ad evidenziare soprattutto le violazioni più macroscopiche realizzate nel nostro Paese.

Per conoscere l’opinione che il Comitato ONU dei diritti umani ha dell’Italia, si possono scorrere le Concluding Observations redatte dallo HRC in margine ai nostri ultimi State Reports (nel 1994, nel 1998 e nel

191

2006)192, ovviamente focalizzando l’attenzione solo sulle raccomandazioni che interessano il divieto di tortura.

Il Comitato dei diritti umani ha criticato, anzitutto, la perdurante assenza, in Italia, di un’istituzione nazionale a tutela dei diritti fondamentali della persona, in conformità alle prescrizioni dei Principi di Parigi193: tale lacuna non aiuta il compimento dei passi che possono essere necessari per rendere effettivi i diritti riconosciuti dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, tra i quali è compreso il diritto a non subire tortura. In secondo luogo, lo HRC si è più volte detto preoccupato per la diffusione ancora significativa di denunce di maltrattamenti per opera degli agenti delle forze dell’ordine, sia negli stabilimenti della polizia, sia nelle carceri194. A questo proposito, ha chiesto allo Stato italiano di moltiplicare gli sforzi affinché denunce di questo tipo siano seguite tempestivamente da un’investigazione imparziale.

Oltre a rilevare una certa negligenza nello svolgimento di indagini che vedono come sospettato un membro delle forze dell’ordine, il Comitato ha rimarcato il fatto che, nella perdurante assenza di uno specifico reato di tortura nel nostro codice penale, le sanzioni applicate agli ufficiali che si

192Osservazioni Conclusive sull’Italia, (1994) CCPR/C/79/Add. 37; Osservazioni

Conclusive sull’Italia, (1998) CCPR/C/79/Add. 94; Osservazioni Conclusive sull’Italia, (2006) CCPR/C/ITA/CO/5. Lo HRC ha richiesto la consegna del settimo rapporto periodico del nostro Stato per ottobre 2009, ma le Osservazioni Conclusive relative non sono ancora disponibili nel database delle Nazioni Unite.

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Osservazioni Conclusive sull’Italia, (2006), cit., § 7. I Principi di Parigi, annessi alla risoluzione dell’Assemblea generale n. 48/134, presentano un’esposizione sistematica dei criteri che dovrebbero informare queste istituzioni, sia in termini strutturali sia in termini funzionali.

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macchiano di condotte di maltrattamento non possono che risultare inadeguate195.

Una particolare forma di maltrattamento realizzata nel nostro territorio è integrata dagli abusi che i membri delle agenzie di law enforcement perpetrano su alcuni stranieri o Italiani di origine straniera. Soprattutto, vi sono informazioni riguardanti la frequenza di raid abusivi della polizia negli accampamenti dei Rom nomadi. Tali pratiche lesive delle minoranze etniche più vulnerabili devono essere represse, cioè chiaramente vietate e adeguatamente punite196.

In terzo luogo, il Comitato ha rilevato con disapprovazione la possibilità di negare l’accesso al difensore per i primi cinque giorni di custodia, quando sussistono specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, chiedendo, viceversa, che sia garantito il contatto con un avvocato indipendente fin dal primo istante di limitazione della libertà197.

In quarto luogo, il Comitato ha svolto una serie di considerazioni relativamente alla condizione degli stranieri detenuti nei centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), in particolare in quello di Lampedusa. In quei luoghi, sovraffollati, sporchi e carenti dal punto di vista dell’alimentazione e delle cure mediche, non sono rispettate alcune garanzie fondamentali, quali l’informazione sui diritti o l’accesso a un avvocato, e vengono decise espulsioni collettive, ignorando sia

195Osservazioni Conclusive sull’Italia, (1998), cit., §§ 13 e 19 e Osservazioni

Conclusive sull’Italia, (1994), cit.

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Osservazioni Conclusive sull’Italia, (2006), cit., § 11.

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l’eventuale diritto di un singolo detenuto ad ottenere protezione internazionale, sia l’eventuale possibilità che l’allontanamento lo esponga a un rischio personale di subire torture e maltrattamenti198.

Proseguendo, lo HRC ha raccomandato che vengano implementate

significativamente le misure alternative alla detenzione, non essendo sufficiente quanto è già stato fatto su quel fronte, né la costruzione di nuove strutture penitenziarie, per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario199.

Nel documento La tortura nei tempi moderni. (pagine 134-149)