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Tirando le somme

Nel documento La tortura nei tempi moderni. (pagine 43-107)

Dai dati sopra riportati emerge che la tortura, nonostante sia molto antica, è ad oggi più diffusa che mai.

Le tecniche sono svariate e molteplici, in continua evoluzione e al passo con i tempi. Gli scopi della tortura sono piuttosto univoci: quasi sempre è esercitata al fine di estorcere una confessione, ma a seconda del luogo in cui ci troviamo è inflitta a chiunque, a detenuti e uomini liberi, alle minoranze per sminuirle, alle donne con fini sessuali e in generale con fini di onnipotenza.

20

Gli stati tendono a nasconderla, come a voler stendere un velo abbastanza spesso da coprire tutto, rendendolo irreale.

I carnefici, di conseguenza, restano spesso impuniti e le vittime prive di protezione.

È un sistema malato ma ormai talmente diffuso e radicato da sottrarre, a chi vi si approcci con un tentativo di eliminazione, qualsiasi speranza di successo.

Del resto, come diceva Ugo Foscolo: anche Speme, ultima dea, fugge i sepolcri.

Capitolo 2

Le principali fonti internazionali riguardanti la

tortura e il uso divieto.

1. LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI

DIRITTI DELL’UOMO DELLE NAZIONI UNITE,

1948.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è stata adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 10 dicembre 1948. Lo strumento, che costituisce una delle più importanti fonti di soft law nell’intero panorama internazionale21, è costituito da trenta articoli che enunciano sia i diritti civili e politici della persona umana, sia i diritti economici e sociali fondamentali dell’individuo.

La Dichiarazione universale dei diritti del ‘48 inaugura l’effettivo processo di internazionalizzazione globale della tutela dell’individuo: il singolo uomo diventa soggetto di diritto internazionale, e deve poter far valere i propri diritti anche contro il proprio governo22.

I lavori preparatori alla Dichiarazione sono stati segnati da diversi dissidi, anche sulla natura giuridica dello strumento, cioè sull’opportunità o meno di renderlo vincolante per gli Stati firmatari23.

21

T. TREVES, Diritto internazionale,Problemi fondamentali, Giuffrè, Milano, 2005, pp

191 ss. 22

A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani, Il Mulino, Bologna, 2007, p 134.

23

Il compromesso è stato raggiunto sull’idea di uno strumento di soft law, non vincolante: la Dichiarazione costituisce semplicemente un invito rivolto agli Stati a comportarsi in conformità ai principi sanciti24.

La natura non vincolante di questa fonte si riflette anche sulla

formulazione lapidaria dei suoi articoli, che enunciano solo principi e non norme destinate ad una applicazione concreta e coercitiva25.

Va dato atto però del fatto che, nonostante la Dichiarazione universale non sia formalmente obbligatoria per gli Stati parte, la sua enorme importanza morale e politica ne ha fatto, col tempo, uno strumento dall’efficacia giuridica quasi vincolante26.

In primo luogo, gli Stati, firmando, si sono impegnati moralmente a conformarsi in buona fede ai principi che hanno accolto27.

In secondo luogo, il grado di obbligatorietà è innalzato dal fatto che gli organi delle Nazioni Unite considerano la Dichiarazione sempre più di frequente come uno strumento ad integrazione dello Statuto dell’Organizzazione, il quale ha carattere formalmente vincolante28. Un terzo importante fattore che accresce il valore giuridico della

Dichiarazione è la prassi degli organi delle Nazioni Unite e degli Stati contraenti: spesso l’Assemblea Generale la utilizza come un codice per

24

M. R. SAULLE, Dalla tutela giuridica all’esercizio dei diritti umani, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1999, p. 28.

25

C. ZANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Giappichelli, Torino 2006, p. 24.

26

M. R. SAULLE, Dalla tutela giuridica, cit., p. 31.

27

C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., p. 26.

28

rivolgere raccomandazioni ai governi, o a sostegno delle sue risoluzioni29; a volte la Corte internazionale di Giustizia la usa come criterio per risolvere controversie e questioni di diritto internazionale30; gli stessi Stati hanno contribuito ad alimentare questa prassi, riconoscendo in modo costante il carattere obbligatorio della Dichiarazione31.

Secondo alcuni, in quarto luogo, i principi a tutela dei diritti umani

sarebbero di per sé vincolanti, in quanto espressione del diritto naturale32. Infine, sempre più spesso, gli organi giudiziari internazionali e gli Stati considerano i diritti sanciti dallo Statuto e dalla Dichiarazione ONU come contenuti del diritto internazionale consuetudinario33 e dello jus cogens, cioè di quelle speciali regole consuetudinarie che custodiscono i principi essenziali su cui si basa l’ordinamento internazionale34.

Ma veniamo al tema di nostro interesse: l’art. 5 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancisce: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti”. Per la prima volta il divieto di tortura viene espresso a

chiare lettere e in relazione a qualsiasi individuo, in qualsiasi contesto, indipendentemente dal fine dell’agente.

29

C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., pp. 27-30.

30 Ivi, p.31 31 Ivi, p. 30 32 Ivi, p. 33 33C. Z

ANGHÌ, La protezione internazionale, cit., pp. 31-32; A. SACCUCCI, Profili di

tutela dei diritti umani tra Nazioni Unite e Consiglio d’Europa, Cedam, Padova 2005,

p.14.

34

C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., p.35; A. SACCUCCI, Profili di tutela, cit., p. 14; M.R. SAULLE, Dalla tutela giuridica, cit., p.31. V. infra, paragrafo 5.2.

A differenza di molti articoli della Dichiarazione l’art. 5 è stato il risultato di una stesura lineare, non particolarmente controversa35, perché enuncia un principio largamente condiviso dagli Stati membri delle Nazioni Unite.

La formazione dell’articolo in esame è poi caratterizzata da un’altra più insolita peculiarità. Normalmente, il diritto internazionale dei diritti umani comporta una creazione positiva dei principi nell’ordinamento internazionale, e solo successivamente un’osmosi degli stessi verso gli ordinamenti nazionali. Il divieto di tortura ha seguito invece il processo inverso: gli strumenti pattizi interstatuali si sono prodotti a partire dalle fattispecie del crimine di tortura già esistenti nei sistemi penali interni36. L’art. 5 della Dichiarazione ha costituito il principale modello di riferimento per le successive redazioni di fonti internazionali in materia di tortura32. Sulla base posta dall’art. 5 è nata la Convenzione contro la

tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite del 1984, i cui lavori preparatori fanno esplicitamente rinvio alle posizioni che avevano già portato alla redazione dell’art. 5 della Dichiarazione37. Inoltre, l’emanazione della Dichiarazione è stata subito seguita da un processo teso a rendere formalmente vincolanti per gli Stati i diritti enunciati: processo che ha avuto sbocco nel 1966

35F. T

RIONE, Divieto e crimine di tortura, Editoriale scientifica, Napoli 2006, p.29; C. DANISI, Divieto e definizione di tortura nella normativa internazionale dei diritti

dell’uomo, EPC libri, Genova 2009, p. 2.

36 F. T

RIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., pp. 27-29.

37 F. T

nell’adozione del Patto internazionale sui diritti civili e politici (che all’art. 7 obbliga le Alte Parti contraenti ad astenersi dalla tortura)38. Allo stesso modo, l’art. 5 della Dichiarazione, nell’ambito del Consiglio d’Europa, è stato matrice dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e Convenzione europea per la prevenzione della tortura del 198739.

2.

LA CONVENZIONE EUROPEA PER LA

SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E

DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI DEL

CONSIGLIO D’EUROPA, 1950.

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali detta anche CEDU è un trattato internazionale redatto dal consiglio d Europa. Essa è stata firmata a Roma nel 1950 da 12 stati ed è entrata in vigore nel 1953, ma per l’ Italia nel 1955.

La Convenzione del 1950 costituisce il più importante atto europeo a tutela dei diritti umani ed è attualmente in vigore per tutti i 46 Stati del Consiglio d’Europa.

Trova sicuramente la sua fonte d’ispirazione nella Dichiarazione universale delle Nazioni Unite, ma ne amplia le garanzie, trasformando i diritti dell’individuo in altrettanti obblighi vincolanti per gli Stati, così

38

A. FACCHI, Breve storia, cit., p. 135.

39

F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., p.29; C. DEFILIPPI - D. BOSI (a cura di),

andando a costituire a sua volta un modello per la successiva redazione dei Patti delle Nazioni Unite del 1966.

Ad occuparsi della tortura è l’art. 3 della suddetta, in base al quale: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti”.

Questo articolo si presenta piuttosto vago, non ci fornisce infatti alcuna definizione di tortura (per averne una dovremo aspettare il 1984), ma dal testo della Convenzione si evince una particolarità, ovvero l’inderogabilità del divieto di tortura.

Mentre l’art. 15 del documento, infatti, consente agli Stati parte di derogare alle previsioni della Convenzione “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”, il primo capoverso dello stesso articolo esclude dalla possibilità di deroga quattro disposizioni della Convenzione, preposte alla tutela di diritti di particolare importanza, tra le quali compare l’art. 3. Ne consegue che il divieto di tortura non è passibile di subire alcun bilanciamento, nemmeno nei momenti di maggior criticità nella vita della nazione.

Il rispetto della dignità dell’uomo, che è la ragione prima del carattere assoluto del divieto di tortura, non è solo la trasposizione sul piano sovrastatuale di principi già appartenenti alle culture degli Stati parte. L’art. 3 rappresenta qualcosa di più: esso contiene uno dei principi fondamentali su cui si basa l’intera organizzazione del Consiglio

d’Europa e la comunione di intenti che le ha dato vita40. Una lesione del diritto tutelato nell’art. 3 costituisce “non la semplice violazione di un principio giuridico che trova origine in una elaborazione pattizia convenzionale, ma una vera e propria lesione apportata all’assetto dell’ordine pubblico europeo”41.

Nel corso del tempo la CEDU è stata integrata con dei protocolli aggiuntivi. Quello di nostro interesse in questa sede è il protocollo n 13, entrato in vigore nel luglio del 2003.

L'adozione del Protocollo n. 13 si pone a coronamento di un lungo processo evolutivo che in seno al Consiglio d'Europa ha progressivamente posto l'accento sulla opportunità della completa eliminazione del ricorso alla pena di morte.

Va osservato che, per quanto concerne l'ordinamento italiano, la ratifica del Protocollo n. 13 si colloca nel processo di sempre più completa partecipazione italiana al sistema convenzionale del Consiglio d'Europa e

non introduce nessuna innovazione sostanziale nel nostro ordinamento:

come rilevato dal Governo sia nella relazione introduttiva al disegno di legge 1551, sia nella analisi tecnico-normativa che lo accompagna, l’ordinamento nazionale è già totalmente conforme agli scopi che hanno condotto all'adozione del Protocollo n. 13. Infatti nel 1994 la legge n. 589 ha abrogato l'articolo 241 del codice penale militare di guerra, nel quale appunto si prevedeva la possibilità di irrogare in determinate circostanze

40

F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., p. 31.

41

la pena capitale. Inoltre, la legge costituzionale 2 ottobre 2007, n. 1, ha soppresso la previsione dell'articolo 27, quarto comma della Costituzione, che lasciava aperta la possibilità di applicare la pena di morte ai soli casi previsti dalle leggi militari di guerra. Ciò premesso, per ciò che concerne il contenuto specifico del Protocollo n. 13, esso prevede l'abolizione della pena di morte, la quale non solo non dovrà essere eseguita, ma neanche comminata.

In base agli artt. 2-3 sono stabiliti rispettivamente il divieto di deroghe e il divieto di riserve da parte degli Stati che ratifichino o aderiscano al Protocollo: ciò vale naturalmente a mantenere l'impatto innovativo dello strumento in tutta la sua portata42.

3. LA DICHIARAZIONE DELLE NAZIONI UNITE

SULLA PROTEZIONE DI TUTTE LE PERSONE

SOTTOPOSTE A TORTURA O ALTRI

TRATTAMENTI O PENE CRUDELI, INUMANI E

DEGRADANTI, 1975.

All’inizio degli anni Settanta, grazie all’attività e alla pressione esercitata da alcune Organizzazioni Non Governative, l’attenzione della comunità internazionale sul fenomeno della tortura è aumentato esponenzialmente. Nonostante diverse disposizioni pattizie contenessero già un espresso divieto di tortura, peraltro in alcuni casi non suscettibile di deroga e

dotato di organi di controllo, la gravità e vastità del fenomeno rendeva necessaria un’attenzione specifica43.

La prima risoluzione delle Nazioni Unite che ha condannato ampliamente la persistente diffusione del fenomeno, risale al 197344. In quella occasione l’Assemblea generale aveva raccomandato agli Stati di vietare la tortura con strumenti vincolanti e si era impegnata a tornare in modo più incisivo sul tema45.

Infatti, due anni dopo, il 9 dicembre 1975, a New York, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione sulla protezione di tutte le persone sottoposte a tortura o altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti46. La Dichiarazione costituisce il primo atto in assoluto dedicato esclusivamente alla tortura, ed è la premessa di quella che sarà, nel 1984, la Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite47. La natura non vincolante della Dichiarazione e la mancanza di un meccanismo di controllo hanno permesso che si realizzasse un vasto consenso degli Stati intorno all’atto, in quanto l’attuazione dei principi enunciati continuava a dipendere dalla volontà dei Governi48.

43

G. CONSO – A. SACCUCCI, Codice dei diritti umani, Padova, 2001, p. 307; A. SACCUCCI, Profili di tutela, cit., pp. 115-116.

44

Risoluzione A/res/3059, Question of torture and other cruel, inhuman or degrading

treatment or punishment. V. C. DANISI, Divieto e definizione di tortura, cit., p. 3.

45

Ibidem.

46

Con Risoluzione N. 3452.

47

C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., p. 41; C. DANISI, Divieto e

definizione di tortura, cit., p. 6; G. CONSO – A. SACCUCCI, Codice dei diritti umani,

cit., p. 307; A. SACCUCCI, Profili di tutela, cit., pp. 115-116.

48

Seppur non vincolante la Dichiarazione è estremamente rilevante, in quanto ha fissato per la prima volta una serie di principi, che saranno la matrice di tutti i futuri strumenti settoriali in materia di tortura.

Innanzitutto troviamo una definizione della fattispecie, la prima in assoluto sul piano internazionale. L’art. 1 della Dichiarazione sancisce che “il termine tortura indica ogni atto per mezzo del quale un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, vengono deliberatamente inflitte ad una persona da agenti dell’amministrazione pubblica o su loro istigazione, principalmente allo scopo di ottenere da questa persona o da un terzo delle informazioni o delle confessioni, o di punirla per un atto che essa ha commesso o che è sospettata di aver commesso, o di intimidirla o di intimidire altre persone. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a queste sanzioni o da esse cagionate, in un misura compatibile con le Regole minime standard per il trattamento dei detenuti”.

Tale definizione è riportata in modo praticamente identico nella Convenzione del 1984 (di cui questa Dichiarazione è una anticipazione) quindi ne analizzeremo in seguito il contenuto.

Il comma 2 dell’art. 1 della Dichiarazione (“La tortura costituisce una forma aggravata e deliberata di pene o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti”) non è invece stato riprodotto nel testo definitivo della Convenzione.

Oltre alla definizione di tortura, la Convenzione ci fornisce una serie di linee generali di condotta, che i futuri strumenti ad hoc continueranno a ricordare.

È esplicitato anche qui che il divieto di tortura non è passibile di deroga in alcuna circostanza (art. 3); inoltre, è necessario prevedere programmi di formazione per le forze di polizia, al fine di sensibilizzarle sul tema (art. 5).

In capo allo Stato vengono posti una serie di obblighi precisi:

- l’obbligo di prevenzione, per cui lo Stato deve controllare sistematicamente le pratiche di interrogatorio e il trattamento delle persone in vinculis (art. 6);

- l’obbligo di inchiesta, per cui, quando è ragionevole credere che sia stata commessa tortura, lo Stato deve procedere d’ufficio e senza ritardo ad un’inchiesta imparziale (art. 9);

- l’obbligo di incriminazione, per cui lo Stato deve adottare provvedimenti in grado di impedire la commissione di tortura (art. 4) e, in particolare, “ogni Stato assicura che tutti gli atti di tortura”, insieme a tentativo, complicità o istigazione alla tortura, “siano considerati reato dalla legislazione penale”, (art. 7).

Infine, la vittima di tortura deve trovare nella legislazione nazionale il diritto ad una riparazione e ad un indennizzo (art. 11) e eventuali dichiarazioni rilasciate sotto tortura non possono essere utilizzate come prova in alcun procedimento (art. 12).

rispettivamente sull’obbligo di incriminazione e sull’obbligo di inchiesta) si riferiscono alla sola fattispecie di tortura, e non anche alle pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Inoltre, l’art. 10 pretende che, di fronte alla inflizione accertata di atti di tortura, si proceda in sede penale (ribadendo il contenuto dell’art. 7); mentre, se viene accertata solo la commissione di trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, possono essere applicate sanzioni penali o – alternativamente – sanzioni disciplinari o “altri provvedimenti appropriati”. Questa impostazione, piuttosto discutibile in quanto garantisce diversi livelli di protezione tra le due categorie senza però effettuarne una precisa distinzione, caratterizzerà anche la futura Convenzione49.

4. LA CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE

CONTRO LA TORTURA E ALTRI

TRATTAMENTI O PENE CRUDELI, INUMANI O

DEGRADANTI, 1984.

Questa è la fonte più importante mai redatta in materia di tortura: si propone di sottrarre la tortura alla logica dell’ordinaria amministrazione, mettendo in luce la sua speciale gravità e la necessità di una risposta specifica.

Né le convenzioni sui diritti umani in generale, né gli atti ad hoc non vincolanti (come la Dichiarazione ONU del 1975) potevano essere strumenti efficaci per contrastare un fenomeno che continuava ad essere

49

diffuso e denunciato a gran voce da diverse Organizzazioni Non Governative. Per questo, nel 1978 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dato incarico di redigere una Convenzione vincolante contro la tortura alla Commissione per i diritti umani, che, a sua volta, ha affidato ad un Gruppo di lavoro ad hoc il compito di elaborare il testo, basandosi su due proposte (quella della delegazione svedese e quella dell’Associazione internazionale di diritto penale)50.

Al termine dei lavori preparatori51 il testo definitivo della Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti è stato approvato con Risoluzione N. 39/46 del 10 dicembre 198452. In Italia tale Convenzione è entrata in vigore nel 1988.

4.1 La definizione di «tortura».

L’art. 1 della Convenzione contro la tortura contiene una chiara definizione della fattispecie, evidentemente rielaborata a partire dalla definizione contenuta nella Dichiarazione del 1975: “Ai fini della presente Convenzione, il termine «tortura» indica qualsiasi atto mediante

il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze

50

G. CONSO – A. SACCUCCI, Codice dei diritti umani, cit., p. 310; A. SACCUCCI, Profili

di tutela, cit., p. 116.

51

F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., p. 29: che hanno operato un vasto rinvio alle discussioni che avevano preceduto la redazione dell’art. 5 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, matrice comune di tutti i successivi strumenti in materia.

52

G. CONSO – A. SACCUCCI, Codice dei diritti umani, cit., p. 310; A. SACCUCCI, Profili

di tutela, cit., p. 117. Per un commento articolo per articolo di tutta la Convenzione, v. J.

H. BURGERS – H. DANELIUS, The United Nations Convention against Torture. A

Handbook on the Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, Dordrecht-Boston-Londra, 1988, pp. 114 ss.

forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito.

Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate”53.

L’esistenza di una chiara definizione degli atti vietati impedisce agli Stati di avanzare giustificazioni basate su elastiche interpretazioni del termine, tuttavia, quella accolta nell’art. 1 della suddetta Convenzione è una definizione piuttosto rigida, che richiede la contemporanea presenza di una serie di elementi, perché si possa ritenere violata la Convenzione. Ciò ne limita purtroppo la portata applicativa.

In base a tale articolo gli elementi costituitivi della tortura sono i seguenti:

53Traduzione ufficiale dell’originale inglese: “For the purposes of this Convention, the

term «torture» means any act by which severe pain or suffering, whether physical or mental, is intentionally inflicted on a person for such purposes as obtaining from him or a third person information or a confession, punishing him for an act he or a third person has committed or is suspected of having committed, or intimidating or coercing him or a third person, or for any reason based on discrimination of any kind, when such pain or suffering is inflicted by or at the instigation of or with the consent or acquiescence of a

Nel documento La tortura nei tempi moderni. (pagine 43-107)