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La tortura nei tempi moderni.

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(1)

Alla mia famiglia, che mi ha

sempre sostenuto moralmente ed

economicamente,

ai miei amici migliori, che mi

hanno accompagnato durante

questi cinque lunghi anni,

a Lorenzo, che mi ha aiutato a

concludere questo percorso

ma soprattutto a te, nonna, che

hai affrontato con me ogni singolo

esame,

(2)

Indice

Introduzione

………...………...………. 8

Capitolo 1

La tortura oggi: come la definiamo, dove è diffusa e perché.

1. Assolutamente proibita, universalmente praticata

... 12

2. L’ evoluzione della tortura

………..… 14

3. La dimensione globale della tortura

………... 27

4.

Chi è a rischio di tortura?

……… 27

5. Quando e perché si pratica la tortura

………..…... 29

6. I metodi

………... 32

7. Panoramiche globali

……….. 34

7.1 Africa subsahariana ………... 34

7.2 Asia - Pacifico ………... 36

7.3 Europa e Asia centrale ……….. 38

7.4 Medio oriente e Africa del nord ……….…... 39

7.5 Americhe ………..…………. 41

8. Tirando le somme

………...…... 43

Capitolo 2

Le principali fonti internazionali riguardanti la tortura e il

suo divieto.

(3)

1. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle

nazioni unite,1948.

..………...……… 45

2. La convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti

Dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio

d’Europa,1950

………..……… 49

3. La dichiarazione delle nazioni unite sulla protezione di

tutte le persone sottoposte a tortura o altri trattamenti o

pene crudeli, inumani e degradanti,1975

…………..…... 52

4. La convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e

altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti,

1984

………... 56

4.1 La definizione di «tortura»………...……….…57 4.2 Gli obblighi per gli Stati……….………...….….…63 4.3 Gli altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti..…66 4.4 Il comitato contro la tortura ….……….…… 67

5. Convenzione europea per la prevenzione della tortura,

delle pene o trattamenti inumani o degradanti,

1987

………..69

6. Lo statuto della corte penale internazionale, 1998

………..76

Capitolo 3

La tortura italiana: violenze e sovraffollamento carcerario.

1.

I diritti dei detenuti

………..………..… 84

1.1 La libertà personale come diritto inviolabile anche nei confronti del detenuto ………. 86 1.2 Diritti diversi dalla libertà personale ………..……….. 88

(4)

3. Casi concreti

………..……….107

3.1 Aldovrandi ………...………..….. 107

3.2 Bianzino ………..….…….109

3.3 Cucchi ………...………...…. 111

3.4 Perna ………...……….…….…..…. 115

3.5 Il g8 di Genova: i fatti di Bolzaneto e della Diaz ……….…117

4.

Sovraffollamento

……….……..120

4.1 Fisiologica patologia ………..120

4.2 La condanna dell’Italia da parte della Corte Europea Dei Diritti Dell’uomo ...………...……….… 124

4.3 Riflessioni conclusive ……….…….…..133

5. L’ Italia dal punto di vista internazionale

………...… 134

5.1 L’Italia secondo il comitato europeo per la prevenzione della tortura .……….…..….... 134

5.1.1 La custodia della polizia……….….….... 135

5.1.2 Le carceri……….….………..….…137

5.1.3 Gli stabilimenti psichiatrici…………..……….………142

5.2 L’Italia secondo il comitato ONU dei diritti umani..………146

5.3 L’Italia secondo il comitato ONU contro la tortura …....….149

6. Riflessioni conclusive

………..………...……… 153

Capitolo 4

(5)

1. La necessità dell’introduzione del reato di

tortura

... 155

2. Possibile collocazione della norma

………….…..……. 158

3. Il soggetto attivo: la tortura come reato comune o come

reato proprio?

...160

4. La condotta: la tortura come reato a forma libera o a

forma vincolata?

………...…..………. 164

5. (segue) La tortura come reato permanente o come reato

abituale?

………...……….167

6. Il soggetto passivo del reato

………...….. 169

7. L’elemento soggettivo: la necessità del dolo

intenzionale

……….…….…….. 171

8. (segue) La tortura come reato a dolo generico o come

reato a dolo specifico?

... 173

9. Il trattamento sanzionatorio

………...…...….175

10. Un esempio di norma

……….……..…...…..… 178

11. Riflessioni conclusive

………...…..……...……179

Capitolo 5

La tortura negli Stati Uniti d’America.

1. La tortura negli Stati Uniti d’America

………….…….…181

2. Fonti normative che vietano la tortura negli Stati Uniti

d’America

………..……… 182

2.1 1948: la dichiarazione interamericana dei diritti e dei doveri dell’uomo dell’organizzazione degli Stati americani ……… .182

(6)

2.2. 1969: La convenzione americana dei diritti dell’uomo

dell’organizzazione degli Stati americani ……….….………. 183

2.3. 1985: La convenzione interamericana per la prevenzione e la punizione della tortura ………..……….. 187

2.3.1. La definizione di «tortura» ………..…… 187

2.3.2. Gli obblighi per gli stati ………....…….. 191

2.3.3. Gli altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti …………..……….………..194

2.3.4. Il controllo sulla corretta applicazione della convenzione ………..…………... 195

3. Il caso CIA

………...….……..195

3.1 Il rapporto del Senato americano………..…………195

3.2 La versione della CIA ………..…...….201

3.3 Le mancate conseguenze ………..………..…… 202

4. Le carceri americane e il sovraffollamento

…..….…….204

4.1 Il rapporto “prisoners in 2013”………..…..….…204

4.2 Andamento della popolazione carceraria e tasso di detenzione ………...……….. 205

4.3 Caratteristiche dei detenuti ………...………208

4.4 Il sovraffollamento in California……….………. 211

5. La pena di morte

……….…… 216

5.1 La sua previsione attuale ………...……..…..………216

(7)

5.3 Prevenzione generale: davvero la pena di morte è così

efficace?...218

5.4 Una violazione dei Diritti Umani …………....…..……….. 220

5.5 La sindrome da braccio della morte: una forma di tortura psicologica ………..…..….221

5.6 Lentamente verso la totale abolizione………..….…222

5.7 Riflessioni conclusive……….….….…224

(8)

Introduzione

La tortura: un tema controverso, attuale, discusso ora più che mai.

Nell’affrontarlo mi sono trovata ad attraversare più discipline che hanno fatto parte del mio corso di studi, quali la criminologia, il diritto penitenziario, il diritto internazionale e, ovviamente, il diritto penale. La tortura è infatti un argomento interdisciplinare, i cui profili devono essere analizzati da diversi punti di vista per poterne cogliere a pieno l’importanza e la gravità.

Molteplici sono le fonti normative riguardanti questo tema, e non sempre queste forniscono versioni uguali se non, a volte, addirittura, incompatibili tra di loro.

Nonostante siano stati fatti a riguardo molti interventi, fino al 1984 non vi era una vera a propria definizione di tortura, lacuna che è stata superata con la Convenzione contro la tortura.

La definizione fornita ex art 1 di tale convenzione è infatti, come vedremo in seguito, molto stringente e rischia di sottrarre alla sua tutela diverse situazioni che, viceversa, su un piano sostanzialistico sono avvertite assolutamente assimilabili alle ipotesi descritte come di tortura all’interno della Convenzione.

(9)

Più semplice è stato ricostruire, in via sommaria, l’evoluzione della tortura, che di certo ha origini molto antiche e che è andata di pari passo con i tempi e con l’evoluzione della società e della sua tecnologia. Mentre in passato essa era quasi esclusivamente fisica, ad oggi viene inflitta anche psicologicamente, con degli effetti devastanti sulla mente della vittima.

Proprio per il fatto che la tortura non si è arrestata con l’evolversi della società, ma anzi l’ha accompagnata, numerosi sono stati gli interventi a livello internazionale per vietarla prima e poi per abolirla del tutto. Per ragioni di sintesi mi sono in questa sede limitata a riportarne solo alcune, le principali. La più significativa è indubbiamente le già citata Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti del 1984, che per la prima volta si propone di sottrarre la tortura alla logica dell’ordinaria amministrazione, mettendo in luce la sua speciale gravità e la necessità di una risposta specifica.

Questa invita infatti gli Stati ad introdurre, a livello interno, il reato di tortura, che nel nostro Paese però non esiste ancora.

Molteplici sono stati i disegni di legge presentati ma nessuno è stato approvato fino al 5 marzo 2014. In tale data il senato ha, infatti, approvato la proposta di legge n 21681, che è poi passata alla camera. Ad oggi però queste ipotesi non sono ancora delle fattispecie criminose ai sensi del nostro codice penale.

1

(10)

I dubbi da sciogliere per la formulazione concreta di questo reato sono stati diversi. In primis dove collocare l’ipotetica norma, in secundis se considerare tale reato un reato proprio o comune, a forma libera o vincolata, permanente o abituale e, infine, il suo trattamento sanzionatorio.

Nel frattempo, la situazione delle carceri, luogo in cui la “tortura italiana” ha oggi luogo, è in continuo e repentino peggioramento.

Nonostante la condanna della CEDU in seguito alla sentenza Torreggiani, infatti, la situazione non è affatto migliorata.

Già prima di tale sentenza, l’Italia si è macchiata delle così dette morti di Stato, come quelle di Cucchi, Bianzino, Aldovrandi e molti altri, ma il problema principale, oltre ai pestaggi e ai maltrattamenti, è il sovraffollamento, che appunto ha fatto scattare la condanna.

Non vi è un solo carcere italiano a salvarsi da questa piaga, e tutti i detenuti vengono stipati in celle che non garantiscono loro lo spazio vitale minimo, fissato dalla CEDU a tre metri quadrati.

Questo è stato classificato come un trattamento inumano e degradante e di certo ha effetti sia sul corpo che sulla mente dei detenuti, che infatti spesso scelgono la via del suicidio.

Questo problema tuttavia non coinvolge soltanto il nostro Stato, e per ragioni di comparazione e interesse personale ho ritenuto opportuno nella fase finale della trattazione, puntare l’attenzione su un altro Paese, ovvero gli Stati Uniti, dove per di più è ancora prevista e attuata (anche

(11)

se sempre meno) la pena di morte, con tutte le conseguenze che questa comporta.

Anche gli Stati Uniti, Paese più avanzato che mai, presenta parecchie falle: oltre al sovraffollamento, che come vedremo è presente in particolare nello Stato della California, e alla pena di morte che spacca in due l’opinione pubblica, la CIA, ovvero i servizi segreti americani, si sono macchiati di gravi crimini contro l’umanità in seguito all’attentato alle torri gemelle del 2001 e solo di recente il Senato ha pubblicato un rapporto riassuntivo del report effettuato all’epoca.

Disarmante sembra essere il vocabolo adatto per descrivere la situazione

globale in relazione alla tortura e ai trattamenti inumani e degradanti.

In questa sede e attraverso le tematiche sopra citate ho cercato di coglierne a pieno il disvalore.

(12)

Capitolo 1

La tortura oggi: come la definiamo, dove è

diffusa e perché.

Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a

trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti.”

(Dichiarazione universale dei diritti umani, articolo 5)

1. ASSOLUTAMENTE PROIBITA,

UNIVERSALMENTE PRATICATA .

La tortura è la perdita definitiva di umanità, una crisi collettiva fatta di barbarie, fallimenti e paura.

Essa si verifica quando una persona infligge intenzionalmente dolore o sofferenze gravi a un’altra persona allo scopo di ottenere informazioni o una confessione, oppure per punirla, intimidirla o imporle una costrizione. Il perpetratore della tortura dev’essere un pubblico ufficiale o quanto meno agire a titolo ufficiale (dunque, con un certo livello di approvazione delle autorità)2.

Questa descrizione – che riassume la definizione ufficiale di tortura presente nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura – riflette il totale rifiuto della comunità internazionale di un atto in cui un essere

2

(13)

umano attacca il corpo e/o la mente di un altro essere umano, infliggendogli un dolore intenso per arrivare a uno scopo e trasformando la sua vittima in un mero strumento.

Non c’è da meravigliarsi che il diritto a essere liberi dalla tortura e da altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti (sintetizzati dall’espressione “altri maltrattamenti”) sia probabilmente il diritto umano più saldamente protetto dal diritto internazionale.

Gli obblighi imposti agli stati dal diritto internazionale non lasciano alcun spazio di manovra: la tortura e gli altri maltrattamenti sono proibiti, sempre, ovunque e contro chiunque.

Questo divieto si estende alle emergenze peggiori, quali le guerre, i disordini interni, le catastrofi naturali o quelle causate dall’uomo.

In termini giuridici, il divieto assoluto di tortura e altri maltrattamenti “non ammette deroghe” – cioè non può essere attenuato nemmeno in momenti di emergenza. Il divieto ha ottenuto un consenso internazionale così forte da diventare una norma di diritto internazionale consuetudinario, che pertanto è vincolante anche per gli stati che non hanno aderito ai principali trattati sui diritti umani3.

Anche un singolo atto di tortura è considerato reato ai sensi del diritto internazionale. Questo significa che, almeno per i 155 stati che hanno ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 i rispettivi governi devono considerare reato la tortura, indagare in modo

3

(14)

approfondito e imparziale su qualsiasi denuncia relativa e perseguire i responsabili ogniqualvolta ci siano prove sufficienti.

Peccato che ancora oggi in Italia, nonostante i disegni di legge volti a tale scopo, la tortura non sia ancora un reato4.

Tutte le vittime di tortura e altri maltrattamenti – i sopravvissuti alle torture e le famiglie di coloro che sono stati torturati a morte – hanno diritto a risarcimento, riabilitazione, giustizia e altre forme di riparazione. A 30 anni dalla Convenzione delle Nazioni Unite, è ormai tempo di garantire che queste leggi e norme siano pienamente attuate nella pratica, in tutto il mondo.

2. L’ EVOLUZIONE DELLA TORTURA.

Prima di procedere all’analisi dei profili relativi alla tortura odierna e ai suoi metodi di applicazione nei vari paesi sembra dovuto fare un excursus di quella che è la sua storia.

Partiamo dal presupposto che la tortura esiste da sempre. Potremmo affermare che essa è tanto antica quanto è antico il sentimento dell’uomo di dominare sull’altro.

Le sue prime tracce vengono rinvenute nei popoli primitivi.

Qui la tortura veniva esercitata sia come punizione che come rito religioso.

4

(15)

È raro trovare un popolo selvaggio o primitivo che non impieghi la tortura nei riti religiosi o non la preveda nel codice penale.

L’affinità con il comportamento animale, che è caratteristica della vita selvaggia è anche causa di quella efferatezza che tanto spaventa la civiltà moderna.

Per questa fondamentale vicinanza alla natura, le torture adottate da queste tribù selvagge non hanno l’ingegnosità e la sottigliezza di quelle nate tra le razze civili.

In molte parti del mondo tormentare i prigionieri di guerra è stato considerato come inevitabile. Questi prigionieri inoltre venivano spesso sacrificati agli Dei.

La tortura veniva praticata anche nei riti di iniziazione, per capire se il soggetto era degno o meno5. I metodi in questo caso variavano da tribù a tribù: flagellazione, mutilazione dei genitali sia maschili che femminili, amputazione degli arti, e ancora svariate tecniche piuttosto ingegnose e crudeli, ad oggi inconcepibili.

Passando da questi riti di iniziazione alla tortura vera e propria intesa come strumento punitivo per crimini e reati vari, si viene colpiti dall’uniformità delle pratiche impiegate nelle varie parti del mondo. A causa della loro familiarità con la morte e della loro durezza e indifferenza rispetto alla sofferenza umana, i selvaggi infliggono anche la pena capitale in modo orribilmente crudele, che comporta spesso una prolungata agonia.

5

(16)

Per quei crimini per cui non viene sancita la pena capitale, la punizione consiste in diverse forme di mutilazione. Alcuni metodi comuni erano cavare gli occhi, mettere delle braci ardenti nelle orbite, mutilare in vario modo, o bruciare la vittima a foco lento. Proprio per il fatto che si sapeva delle terribili torture che venivano inflitte ai prigionieri, ai criminali e ai semplici sfortunati, si ricorreva quasi subito al suicidio.

Addirittura si prevedeva, nelle tribù indiane, un allenamento allo stoicismo: se si veniva catturati e torturati non si doveva mostrare alcun segno di sofferenza, perchè ciò avrebbe disonorato la tribù di provenienza. Ovviamente, viste le pratiche alquanto macabre, questo era impossibile.

Le più importanti testimonianze di tortura ci arrivano poi dai greci e dai romani. Qui la tortura era detta quaestio, e occorre fare una distinzione tra la sua applicazione sui cittadini liberi e sugli schiavi. È falsa la credenza che le torture nell’antichità venissero inflitte solo agli schiavi: sebbene il supplizio non sia mai stato applicato in Grecia ai cittadini liberi per ricavarne una testimonianza o una confessione, veniva inflitto però come misura punitiva a tutte le classi.

L’uomo libero non poteva essere sottoposto a tortura per ottenere una confessione nemmeno a Roma, fatta eccezione per l’accusa di tradimento. Questa sospensione varrà anche per l’accusa di stregoneria.

(17)

Il supplizio veniva inflitto comunque solo a chi era accusato dei crimini in prima persona, non ai testimoni, né al prigioniero prima del processo.

La tortura punitiva era molto diffusa tra la popolazione. In alcuni casi coincideva con la punizione stessa, in altri ne rappresentava solo una parte a cui seguiva poi la pena capitale.

Durante la repubblica, i cittadini avevano il potere di torturare i loro debitori, di rinchiuderli in prigioni private e di massacrarli fino all’estinzione del debito.

Per quanto riguarda gli schiavi, in Grecia e a Roma la tortura era considerata il naturale fato dello schiavo. Infrequenti furono le voci contrarie. Perfino i filosofi le erano favorevoli.

Nell’antica Grecia venivano inizialmente fatti schivi solo i prigionieri di guerra o coloro che erano catturati durante le spedizioni predatorie: si era intuito che costringere il nemico a svolgere i compiti più degradanti era infatti per lui peggio della morte.

Il principio della schiavitù, ovvero costringere qualcuno impossibilitato a ribellarsi a svolgere i lavori più noiosi, faticosi e degradanti, oltretutto gratuitamente, incominciò a piacere alla plebe. Quando i prigionieri mancavano, allora si sostituivano con i criminali o addirittura con i propri debitori.

(18)

Il proprietario dello schiavo era investito di un potere assoluto nei suoi confronti, quindi la sua vita era costellata di continui e crudeli castighi.

Questo non significa però che non esistesse una regolamentazione statale della tortura. Di regole, anzi, ce ne erano molte, ma concernenti le sole misure punitive che si aggiungevano ai supplizi privati, che il padrone infliggeva a ogni suo schiavo per un qualsiasi reato, reale o immaginario, a suo piacimento. Non esisteva alcuna regola quindi per le punizioni private.

Gli schiavi venivano il più delle volte fustigati, e quelli che avevano tentato invano di fuggire venivano marchiati a fuoco sulla fronte, in modo da essere riconosciuti.

Nel caso della pena di morte, la crocifissione era il metodo più frequente, ma si praticava anche il rogo e l’inserimento di piombo fuso in gola.

Tra tutte le torture che fiorirono ai tempi gloriosi di Roma nessuna fu tanto diabolicamente ingegnosa quanto quelle inflitte ai gladiatori per divertire il popolo. In queste esibizioni gli uomini dovevano combattere contro bestie feroci o contro altri uomini. I gladiatori non erano, come si pensa, combattenti volontari desiderosi di dimostrare la loro forza, bensì erano dei prigionieri, criminali, fuorilegge che erano stati condannati a morte.

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Nell’arena questi uomini erano costretti a confrontarsi con bestie feroci e affamate come leoni, orsi, tigri, e questo solo per divertire il popolo.

È sbagliato pensare che l’uomo che veniva costretto a prendere parte a questa lotta all’ultimo sangue avesse una benché minima possibilità di sopravvivenza. La sua morte era infatti certa.

Un ruolo importante è stato nel tempo ricoperto anche dalla chiesa. La chiesa cristiana adottò con estrema frequenza la legge romana relativa alla tortura nei casi di tradimento, applicandola all’eresia che veniva spiegata come un tradimento contro Dio6.

L’umanitarismo di Gesù ha indotto a pensare che la religione cristiana propugni alacremente la negazione della violenza. Questa credenza è però sbagliata. Le autorità ecclesiastiche condannavano infatti qualsiasi professione religiosa estranea alla cristianità come demonologica. Asserivano che l’adorazione di una divinità pagana mandava in collera il vero Dio cristiano. Si era giunti al punto che al solo sospetto di eresia il popolo non ricorreva all’autorità della chiesa ma si faceva giustizia da solo: suppliziava il sospettato sino a ricavarne una confessione e poi lo metteva al rogo.

Si può dire pertanto che la legge della folla anticipò quella dello Stato.

6

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Analogamente, l’inquisizione fu resa possibile dall’approvazione popolare della tortura di chi era sospettato di eresia.

La pratica della tortura divenne infatti per l’Inquisizione, un formidabile strumento per stanare l’eresia, e non solo; la diffusione delle eresie provocò la ricerca, da parte della stessa Inquisizione, dei responsabili di pratiche considerate demoniache. Così, accanto a strumenti indicativi per identificare e colpire streghe e affini, come il Malleus Maleficarum, il Martello delle streghe, comparvero strumenti di tortura creati apposta per snidare il diavolo dalle stesse streghe, che spesso erano soltanto presunte tali. Va detto, per onor di cronaca, che nel corso dei secoli è nata un’autentica leggenda nera sia sul numero delle persone sottoposte a tali pratiche, sia sulla diffusione effettiva di queste stesse pratiche.

Una delle torture più utilizzate dall’inquisizione consisteva nell’appendere l’imputato, tramite delle corde che legavano i polsi ad una carrucola; là lo sventurato attendeva anche mezz’ora, a seconda che confessasse oppure no. Va detto che difficilmente questa tortura si protraeva oltre il termine stabilito, poiché i danni riportati dal torturato dopo tal termine, diventavano perenni, e spesso poteva sopraggiungere la morte per arresto cardiaco.

Purtroppo questo sistema di tortura venne ben presto implementato con altri ben più crudeli, ammesso che sia possibile fare una distinzione in base a gradi di crudeltà stessa; una pratica barbara e crudele consisteva nel infilare topi o altri roditori negli orifizi sia maschili che femminili.

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Le bestiole, per istinto, si muovevano all’interno del corpo, mangiando intestini e pareti interne, con risultati che possiamo per fortuna solo immaginare. Così come un altro sistema particolarmente barbaro prevedeva l’utilizzo di particolari tenaglie, atte a strappare unghia, dita e brandelli di carne per estorcere confessioni. Sistemi che producevano ovviamente una percentuale vicina al cento per cento di confessioni. La quasi totalità dei torturati spesso preferiva la morte alla tortura. Nonostante la tortura abbia origini antichissime come abbiamo potuto apprezzare, effettivamente nel medioevo tale consuetudine venne praticata con più frequenza.

Alla tortura si ricorreva per estorcere informazioni al nemico, per far confessare rei di varie colpe, o anche per motivi che oggi appaiono orripilanti, come il tentativo di far confessare presunte colpe di stregoneria, di maleficio, di adorazione del diavolo.

Lo strumento della tortura divenne perciò un sistema generalizzato. Molto spesso agli imputati venivano riconosciuti più gradi di colpa, e non era infrequente che essa venisse applicata anche a ladri, falsari, spergiuri ecc.

Gli strumenti di tortura erano molteplici, e passavano attraverso uno studio che oggi considereremmo degno di miglior causa; alcuni di essi mostrano un ingegno ben oltre la fantasia, quasi un’estensione delle menti probabilmente malate di chi le ideò.

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Alcune applicazioni della tortura non richiedevano praticamente nessun mezzo tecnico; in alcuni casi l’apporto degli stessi era molto limitato.

Una delle forme di tortura più frequenti era lo scorticamento. Il malcapitato veniva letteralmente scorticato con strumenti da taglio di varia foggia e misura. La pelle era tagliata a strisce, ed era una delle pratiche più dolorose in assoluto.

Lo scorticamento faceva il paio con il tavolo dell’allungamento, altra mostruosità peraltro purtroppo efficacissima che utilizzava delle imbragature di pelle per tendere gli arti del prigioniero, che veniva steso un tavolo e tirato, alle volte anche contemporaneamente, per i quattro arti. Una variante utilizzava dei pesi che venivano legati, progressivamente, alle gambe del prigioniero, appeso per le braccia ad un anello di metallo. Il risultato era lo stesso, e provocava lo stiramento delle articolazioni. Altre varianti erano gli anelli di contenzione, che a loro volta differivano molto nella loro forma. Alcuni venivano applicati ai polsi e alle caviglie dei condannati, e mediante una ruota elicoidale, venivano stretti fino alla confessione del soggetto. Altri ancora avevano all’interno degli aculei in metallo, che straziavano le carni. Nei secoli successivi varianti di questi strumenti vennero utilizzati anche come strumento di pena e non solo di tortura; nella Serenissima era in voga l’utilizzo di uno strumento particolarmente crudele, applicato non con frequenza, ma dal risultato particolare;

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consisteva in una maschera metallica con due aculei fissati all’altezza degli occhi; la maschera stessa veniva applicata sul volto del condannato e chiusa. I due aculei bucavano gli occhi, provocando la cecità del soggetto.

Il campionario degli strumenti di tortura comprendeva anche l’utilizzo di animali; una delle torture più temute, e allo stesso tempo più dolorose, era la tortura della capra. Al condannato veniva spalmato del sale sotto le piante dei piedi; al suo cospetto veniva condotta una capra, tenuta a digiuno per giorni. L’animale iniziava ovviamente a leccare il sale, e, affamata, spesso consumava la pelle dei piedi del malcapitato, a volte non si fermava se non quando era arrivata all’osso. Particolarmente efferati erano gli strumenti di tortura riservati alle donne, come le maschere dell’ignominia, che avevano forme fantasiose ed erano applicate sul volto di donne particolarmente litigiose o insofferenti ai mariti. A volte queste maschere erano dotate di congegni che mutilavano la lingua e le labbra con aculei e lamette taglienti. E spesso accadeva che le donne soggette a tale trattamento venivano esposte al dileggio del popolo, che le copriva di escrementi e orina, e che arrivava a oltraggiarle con bastoni e altro, con particolare accanimento sui genitali.

La tortura della goccia era pratica assai diffusa; il condannato veniva legato ad una sedia, gli veniva aperta la bocca e tramite un imbuto veniva versata nella bocca una certa quantità d’acqua,

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spesso mista a sale, ad aceto o altro. Ingurgitare grossi quantitativi d’acqua provocava dolori fortissimi, e l’aguzzino spesso colpiva al ventre il condannato per amplificare il dolore.

Il campionario degli orrori potrebbe continuare a lungo, visto che la fantasia degli aguzzini spesso rasentava il patologico. In realtà quelli su descritti erano gli strumenti più usati; possiamo considerare forme di tortura anche la deprivazione del sonno, che consisteva nel tenere sempre svegli gli indagati, provocando loro danni spesso irreversibili.

Con la fine del medioevo la tortura non si è certo arrestata ma anzi si è conservata vivida fino a coinvolgere l’età moderna e

postmoderna.

Ne è una terribile testimonianza l’Olocausto, termine con il quale si indica il genocidio perpetrato dalla Germania nazista nei confronti degli ebrei d’Europa e di tutte le categorie ritenute “indesiderabili”. Questo fenomeno causò la morte di circa 6 milioni di ebrei, di ogni sesso ed età.

Come è ben noto queste persone venivano prelevate e trasportate nei campi di concentramento, dove subivano delle vere e proprie torture.

I prigionieri erano alla mercè delle guardie, le c.d. SS. Queste potevano maltrattarli, punirli, picchiarli e ucciderli quando volevano e per i motivi più futili.

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Ma non solo, queste persone erano costrette a una continua umiliazione e ad un continuo sforzo fisico che superava di gran lunga le loro capacità.

Le baracche dove erano stipati per la notte erano ovviamente sovraffollate. A Dachau addirittura una baracca, che disponeva 208 posti era arrivata ad ospitare 1600 persone.

Le punizioni a cui i prigionieri venivano sottoposti erano le più svariate: una tortura molto usata era quella di appendere i prigionieri per le mani legate dietro la schiena senza che i piedi toccassero terra: le braccia si slogavano tra atroci dolori.

Se a Dachau un prigioniero veniva trovato con un mozzicone di sigaretta, anche nascosto in tasca, riceveva dalle 25 alle 50 frustate. Altra punizione era "La scatola"; la scatola era un casotto delle dimensioni di una cabina del telefono, fatta in modo che il detenuto non potesse stare in piedi, né seduto né tanto meno sdraiarsi; vi venivano stipati dentro fino a 4 detenuti che venivano lasciati lì dentro per tre giorni e tre notti, senza mangiare, bere o servizi igienici. Dopodiché li aspettavano 16 ore ininterrotte di lavori forzati.

Ovviamente le condizioni igieniche erano praticamente assenti e vi era una terribile denutrizione.

Anche se la tortura è stata tanto crudele in passato, forse è proprio nell’epoca più recente che abbiamo dovuto assistere alla sua versione più atroce.

(26)

Con l evoluzione dei tempi la tortura si è dovuta "adattare"7: con il tempo e con il formarsi della civiltà è diventato tutto più sottile e sofisticato, e questo per 2 motivi in particolare:

- in epoca moderna si è diffuso nell’opinione pubblica il concetto che la dignità umana è un bene sommo che va rispettato. Questo concetto è stato innalzato a valore sovranazionale nel 1948 quando la dichiarazione universale dei diritti umani ha voluto proclamare alcuni principi validi per tutta l’umanità.

La tortura fa quindi ormai parte dei disvalori: chi la commette sa di infrangere un tabù sociale.

- la seconda ragione è che proprio quei tabù si sono trasformati in

divieti penali: in pratica torturare è diventato pericoloso per chi

viene colto in fallo.

La tortura si è fatta quindi più dimessa, ma non per questo meno pericolosa. I metodi moderni, sebbene più sofisticati di quelli antichi, sono infatti degni di disprezzo8.

Inoltre la tortura si è evoluta anche in un altro senso, ovvero ha preso vigore la tortura psicologica, in passato molto meno praticata. Mentre in passato le pene (come abbiamo visto) erano più che altro corporali, ad oggi le tortura si è fatta più raffinata, espletandosi in modi invisibili ma letali che hanno come vittima non il corpo bensì la mente dell’uomo e che spesso lo inducono alla follia e al suicidio.

7

A. CASSESE, Umano-disumano, Laterza, Bari 1994 pp72 ss.

8

(27)

Vediamo dunque la sua diffusione odierna.

3. LA DIMENSIONE GLOBALE DELLA TORTURA.

Non è possibile fare una valutazione globale e statistica assoluta della dimensione della tortura nel mondo. La tortura avviene nell'ombra. I governi spesso s’impegnano di più a negare o nascondere l'esistenza della tortura che a indagare in modo efficace e trasparente sulle denunce e a perseguire i responsabili.

Allo stesso tempo, in molti paesi, la tortura è probabilmente sottostimata. Molte vittime, per esempio, sono sospetti criminali che spesso non sono in grado di denunciare o che vengono facilmente ignorati o non ritenuti credibili quando lo fanno. Altre vittime non sanno come fare, hanno troppa paura di denunciare la tortura o non hanno fiducia che ci sarà una risposta significativa.

Non sono disponibili statistiche affidabili per ogni Stato ed è quindi impossibile stabilire con esattezza quante persone siano state torturate nell'ultimo secolo, negli ultimi 10 anni o lo scorso anno. Tutti i dati sulla tortura devono essere considerati con cautela9.

4. CHI È A RISCHIO DI TORTURA?

9

(28)

Ogniqualvolta i governi usano o autorizzano la tortura, nessuno è al

sicuro. Quasi tutti possono esserne vittima, indipendentemente da età,

sesso, etnia o opinioni politiche. Sovente, le autorità prima torturano e poi fanno domande.

In molti stati, le persone vengono torturate per le loro opinioni politiche o perché hanno esercitato il loro diritto alla libertà di espressione. Gruppi di una particolare religione o altre minoranze, così come individui presi di mira per la loro identità, vanno incontro a rischi maggiori. I sospetti criminali sono spesso vittime di tortura. Appartenenti a gruppi armati, gruppi sospettati di atti terroristici o altrimenti ritenuti un pericolo per la sicurezza nazionale, sono particolarmente a rischio. In molti paesi, è quasi certo che verranno torturati.

Molte vittime provengono da gruppi già svantaggiati: donne, bambini, appartenenti a minoranze etniche, persone omosessuali, bisessuali, transgender e intersessuate (lgbti) e, in grande maggioranza, i poveri. Per queste persone è difficile se non impossibile ottenere una riparazione. Possono mancare loro le informazioni, i contatti, i mezzi finanziari per portare avanti una denuncia contro i loro torturatori. Si posso scontrare con il fatto che le autorità difficilmente le crederanno e possono andare incontro a ulteriori violazioni dei diritti umani per aver osato denunciare. Bambini e giovani sono vittime di tortura in molti stati. I bambini in custodia della polizia sono particolarmente vulnerabili allo stupro e ad

(29)

altre forme di violenza sessuale, sia da parte di agenti di polizia che di altri detenuti10.

Stupri e altre forme di violenza sessuale contro le donne da parte di funzionari statali sono segnalati in molti paesi. Le donne possono avere minore accesso a rimedi legali o essere soggette a leggi discriminatorie e pertanto è più difficile garantire per loro giustizia contro la tortura.

Donne e uomini, soprattutto le prime, subiscono torture specifiche a causa del loro sesso. Queste includono lo stupro e altre forme di violenza sessuale. Alcune forme di tortura e maltrattamenti sono riservati alle donne: gli aborti forzati, il rifiuto dell'aborto, la sterilizzazione forzata e le mutilazioni dei genitali femminili.

Detenute/i lesbiche e gay possono essere vittime di violenze sessuali o altri tipi di violenze più frequentemente rispetto a detenuti eterosessuali, sia da parte di altri prigionieri che del personale penitenziario.

Le misure per contrastare la tortura devono quindi tenere conto del sesso e includere misure specifiche per assicurare la protezione di queste persone11.

5. QUANDO E PERCHÈ SI PRATICA LA TORTURA?

Vi sono tre ragioni principali per cui la tortura ha luogo:

1) i governi traggono o credono di trarre beneficio dal ricorso alla tortura;

10

Ibidem

11

(30)

2) l’esistenza di una cultura dell’impunità, che produce l’assenza di un obbligo di rendere conto della tortura e l’incapacità di portare davanti alla giustizia i responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

3) la tortura viene effettuata per estorcere informazioni e/o confessioni di colpevolezza. Nel capitolo XII de i delitti e delle pene, Beccaria comincia così il suo discorso sulla tortura: una crudeltà, consacrata dall’uso nella

maggior parte delle nazioni, è la tortura del reo, mentre si forma il processo, o per costringerlo a confessare un delitto o per le contraddizioni nelle quali incorre, o per la scoperta de complici, [...] o finalmente per altri delitti di cui potrebbe esser reo, ma dei quali non è accusato12. La tortura è quindi spesso una scorciatoia violenta, per estorcere “confessioni” e una vittima sotto tortura è spesso disposta a firmare qualsiasi cosa.

In molti paesi, la tortura è spesso usata non solo per infliggere dolore a una determinata persona, ma anche per terrorizzare altri (siano essi sospetti criminali, dissidenti politici o individui percepiti come nemici) o per scoraggiarli a intraprendere qualsiasi azione che il governo giudica lesiva dei propri interessi. Questo, insieme alla collaborazione dei tribunali che chiudono un occhio, consente di ottenere condanne in modo rapido e senza intoppi, anche se i veri criminali possono essere ancora a piede libero.

12

C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, a cura di Gian Domenico Pisapia, 1964, pp39 ss.

(31)

La volontà di umiliare, il comportamento abitudinario della polizia e l'estorsione di denaro alle vittime, costituiscono ulteriori motivazioni della tortura.

In molte parti del mondo, i governi di rado investigano, perseguono o tentano di punire la tortura come reato grave di natura penale. Quando ci sono indagini, spesso finiscono in una situazione di stallo a causa di inattività, inefficacia o complicità dell’apparato investigativo. I torturatori sono raramente obbligati a rendere conto delle loro azioni.

Tra gli ostacoli che impediscono la prevenzione della tortura, l'assunzione di responsabilità e l’accesso alla giustizia, ci sono l’isolamento dei detenuti dal mondo esterno, in particolare quando viene negato l’accesso immediato a un avvocato e a un tribunale indipendente; l’incapacità dei pubblici ministeri di portare avanti e con determinazione le indagini; lo stigma sociale, per esempio nei confronti dello stupro; la paura di subire ritorsioni; l’assenza di pene commisurate alla gravità del reato di tortura nei confronti dei condannati; la mancanza di meccanismi indipendenti e finanziati adeguatamente per monitorare le denunce e indagare su presunte violazioni; un inappropriato “spirito corporativo” tra i funzionari statali, che comporta la copertura delle condotte abusive da parte dei colleghi; le amnistie e gli indulti per i torturatori; infine, la mancanza di volontà politica13.

13

(32)

Le persone che sono state private della libertà sono quelle più a rischio di essere soggette a tortura quando chiare e robuste garanzie sono assenti, insufficienti o inefficaci.

Esiste uno schema ricorrente di tortura quando si è in custodia della polizia prima dell'accusa formale e durante la detenzione preventiva. La tortura può avere inizio subito dopo l'arresto o persino durante l'arresto e proseguire per tutta la durata dell’interazione tra i funzionari statali e la persona in loro custodia, fino alla detenzione in carcere.

Per questo, le garanzie devono essere attuate e osservate dall'inizio.

La sparizione forzata aumenta il rischio di tortura ed è essa stessa una forma di tortura per la persona scomparsa, costituendo inoltre una forma di maltrattamento per la sua famiglia. Come la tortura, la sparizione forzata è assolutamente proibita dal diritto internazionale.

In caso di condotte brutali e abusi da parte di privati, i governi sono obbligati dalle norme e dagli standard del diritto internazionale ad assicurare il diritto, senza distinzione alcuna, a essere liberi dalla tortura e dagli altri maltrattamenti. Questo si estende alla protezione degli individui contro abusi di simile natura e gravità e che sono commessi da privati, gruppi o istituzioni. Un governo potrebbe quindi violare questi obblighi internazionali riguardo la tortura e gli altri maltrattamenti ogniqualvolta non agisca con la dovuta diligenza per prevenire, perseguire e punire atti di violenza personale o attacchi razzisti.

(33)

Ritenere gli stati responsabili per non aver agito di fronte agli abusi da parte di privati è cruciale per la difesa dei diritti di donne, bambini, minoranze, e altri gruppi che subiscono atti di discriminazione.

La discriminazione istituzionalizzata spesso significa che le vittime hanno meno probabilità di ricevere protezione e assistenza da parte delle autorità14.

6. I METODI.

A partire dal 2013, secondo le ricerche di Amnesty International sono stati utilizzati almeno 27 metodi di tortura, in alcuni casi in singole circostanze, in altri sistematicamente:

1. pestaggi (calci, pugni e percosse con manganelli, mazze da baseball e bastoni stordenti),

2. scariche elettriche,

3. obbligo di rimanere in posizioni che provocano dolore, 4. isolamento prolungato,

5. frustate,

6. finte esecuzioni,

7. soffocamento e semiannegamento (“wateboarding”), 8. posizionamento di aghi sotto le unghie,

9. bruciature con sigarette, 10. ferite con coltelli,

14

(34)

11. ingerimento di acqua sporca, urina o sostanze chimiche, 12. privazione del sonno,

13. deprivazione sensoriale,

14. aborto forzato o sterilizzazione forzata, 15. stupro e minaccia di stupro,

16. umiliazioni,

17. minacce di violenza contro il prigioniero o i suoi familiari, 18. somministrazione forzata di droghe,

19. condizioni disumane di detenzione, 20. privazione di acqua e cibo,

21. condanne alle punizioni corporali,

22. obbligo di radersi per i prigionieri di fede musulmana,

23. sottoposizione a temperature estreme (caldo/freddo) per lunghi periodi di tempo,

24. getti di acqua gelida o bollente, 25. fori di trapano sulle articolazioni, 26. diniego di cure mediche,

27. applicazione di plastica fusa sulla schiena.

7. PANORAMICHE GLOBALI.

(35)

La tortura è diffusa in tutta la regione, anche grazie al fatto che oltre 30 paesi - tra cui Angola, Ciad, Gabon e Sierra Leone - non la puniscono per legge, nonostante ciò sia espressamente richiesto dalla Carta africana dei diritti umani e dei popoli.

All’interno delle carceri, la tortura è un fattore endemico. L’idea che la tortura durante gli interrogatori sia un mezzo per estorcere informazioni è profondamente radicata nella cultura delle forze di sicurezza di molti paesi, tra cui Etiopia, Gambia, Kenya, Mali, Mauritania, Niger, Senegal, Sudan e Zimbabwe. I detenuti vengono regolarmente picchiati, obbligati a rimanere in posizioni dolorose, sospesi al soffitto, sottoposti a violenza sessuale ed esposti a condizioni climatiche estreme. In Mauritania, i tribunali hanno persino stabilito che le confessioni estorte con la tortura hanno valore di prova, anche quando vengono ritrattate.

Il codice penale del Sudan prevede punizioni corporali per quelle che vengono percepite come condotte immorali o indecenti in luogo pubblico. Le condizioni detentive sono profondamente disumane in molti paesi tra cui Camerun, Ghana, Liberia, Mauritania, Mauritius e Nigeria, a causa dell’estremo sovraffollamento e dell’assenza di servizi igienico-sanitari. Denunce di pestaggi e stupri di prigionieri provengono regolarmente da diversi paesi, tra cui Angola e Mozambico.

Nel 2013, in Sudafrica, i detenuti della prigione di massima sicurezza di Mangaung hanno denunciato di essere stati sottoposti a pestaggi e a scariche elettriche. Mangaung è un centro di detenzione privato allora diretto dalla compagnia britannica G4S, che ha annunciato un’inchiesta.

(36)

La tortura è praticata abitualmente nei conflitti interni, anche da parte di gruppi armati di opposizione, nella Repubblica Centrafricana, nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudan e nel Sud Sudan15.

7.2 Asia – Pacifico.

Cina e Corea del Nord sono tra i peggiori responsabili dell’uso della tortura, diffusa comunque in tutta la regione, dove l’assenza di giustizia è la regola. In Indonesia, Mongolia e Nepal non è previsto il reato di tortura.

Le forze di polizia in paesi come Cina, Filippine, Indonesia, Malesia, Pakistan e Sri Lanka usano regolarmente la tortura durante gli interrogatori e il periodo di detenzione preventiva per estorcere confessioni (scopo abbastanza universale della tortura).

Casi di tortura nelle stazioni di polizia sono stati documentati nelle Filippine. Qui, nel gennaio 2014, in un centro segreto di detenzione gestito dall’intelligence civile, è stata scoperta una vera e propria roulette della tortura con svariati metodi di tortura descritti lungo i settori del disco, di cui hanno fatto le spese almeno 44 detenuti. In seguito, 10 agenti di polizia sono stati rimossi dall’incarico ma nessuno di loro è stato incriminato.

In alcuni paesi, la tortura è usata per punire le attività dei difensori dei diritti umani.

15

(37)

In Vietnam, decine di attivisti sono detenuti in condizioni estremamente dure, picchiati, privati di cure mediche e cibo adeguati e sottoposti a lunghi periodi d’isolamento. Lo stesso accade in Cina, dove ai detenuti vengono negate le cure mediche anche quando indispensabili per la loro sopravvivenza.

Nei campi di prigionia della Corea del Nord, dove sono trattenute centinaia di migliaia di persone - bambini compresi - si verificano probabilmente i casi più efferati di tortura al mondo. I detenuti trascorrono la maggior parte della giornata a lavorare in condizioni pericolose e vengono puniti se lavorano lentamente, dimenticano le regole della prigione o sono sospettati di aver mentito.

A causa di tutto questo, così come del cibo inadeguato, dell’assenza di cure mediche e di igiene, alcuni prigionieri muoiono nei campi o poco dopo il rilascio.

Nelle aree tribali del Pakistan nord-occidentale, uomini e ragazzi vengono arrestati a migliaia e regolarmente torturati in centri segreti di detenzione. In Giappone, le persone condannate alla pena capitale restano nel braccio della morte per decenni, in condizioni crudeli e disumane.

L’Australia ha affidato a Papua Nuova Guinea la gestione delle richieste di asilo politico da parte di centinaia di persone che sono trattenute in centri di detenzione sovraffollati e anti-igienici, con forniture d’acqua potabile e di cure mediche inadeguate16.

16

(38)

7.3 Europa e Asia Centrale.

La tortura rimane diffusa in tutta la regione, soprattutto nei paesi dell’ex Unione sovietica dove è praticata regolarmente nei confronti di presunti militanti di movimenti separatisti o di gruppi islamisti, da parte di forze di polizia corrotte e sottopagate che praticano l’estorsione e ritengono che la tortura sia il modo più rapido per ottenere una “confessione” e chiudere le indagini.

Agli autori è garantita una pressoché totale impunità.

In Bielorussia, l’unico Paese europeo a mantenere la pena di morte, “confessioni” estorte con la tortura sono state usate come prove in processi terminati con la condanna dell’imputato alla pena capitale. Nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea, la tortura e gli altri maltrattamenti sono relativamente rari ma quando si verificano accade spesso che gli autori rimangano impuniti o ricevano condanne di entità inferiore alla gravità dell’atto commesso. Così come nei paesi dell’area balcanica, negare le responsabilità delle forze di polizia è una reazione automatica.

La Turchia è forse il Paese che ha fatto di più per ridurre, se non eliminare del tutto, la tortura nei centri di detenzione ma l’uso abituale della forza contro i manifestanti resta un fatto endemico che nel 2013 il governo ha più incoraggiato che contrastato.

Negli ultimi anni Amnesty International ha registrato numerosi casi di comportamenti abusivi e illegali da parte della polizia nel corso delle

(39)

proteste contro le misure di austerità in Italia, Romania, Spagna e soprattutto Grecia.

Dalla frontiera tra Grecia e Turchia e da quella tra le enclavi della Spagna e il Marocco sono pervenute credibili denunce di pestaggi e trattamenti degradanti nei confronti di migranti e rifugiati17.

7.4 Medio Oriente e Africa del Nord.

I nuovi governi emersi dalle cosiddette “primavere” hanno in alcuni casi preso misure positive in tema di tortura, rafforzandone il divieto legale, come in Tunisia, Libia ed Egitto. Tuttavia, i fattori profondamente radicati che ne hanno favorito la diffusione negli ultimi decenni e la perdurante assenza di volontà politica continuano a rivelarsi ostacoli insormontabili per tradurre la legge nella pratica quotidiana.

Le denunce di tortura e di altri maltrattamenti in Siria, a partire dalla rivolta del 2011, sono cresciute esponenzialmente. Le vittime sono coloro che vengono arrestati per il presunto coinvolgimento in attività di opposizione, compresi gli attivisti pacifici e i bambini. Migliaia di prigionieri sarebbero morti sotto tortura.

In Iraq, la tortura resta diffusa nelle prigioni e negli altri centri di detenzione.

Essa è praticata massicciamente anche in Libia, sia nei centri di detenzione sotto il controllo delle autorità che in quelli gestiti dalle milizie.

17

(40)

Una caratteristica di tutta la regione è l’ampio ricorso alla tortura e agli altri maltrattamenti per stroncare il dissenso e le proteste e reagire alle presunte o reali minacce alla sicurezza nazionale, come nel caso dell’Egitto e della Giordania.

Denunce di tortura arrivano con allarmante frequenza dall’Arabia Saudita, dove la legislazione sulla sicurezza nazionale è così generica da far rientrare tra gli atti di terrorismo anche forme di opposizione pacifica. Torture e altri maltrattamenti nei confronti di persone detenute per motivi di sicurezza nazionale sono pervenute anche da Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar.

In Egitto, durante la rivolta del 2011, le forze di sicurezza e l’esercito hanno usato la tortura come una vera e propria arma nei confronti dei manifestanti.

In Iran, le autorità si basano sulla tortura e sugli altri maltrattamenti per ottenere “confessioni” e usarle come prove anche durante processi per reati di droga, nei confronti di appartenenti a minoranze e di oppositori pacifici, e che possono terminare con una condanna a morte. La pratica è diffusa soprattutto durante gli interrogatori, cui gli avvocati non possono assistere.

In Israele e nei Territori Occupati Palestinesi, la tortura al momento dell’arresto e durante gli interrogatori dei detenuti palestinesi rimane motivo di grande preoccupazione. Dal 2001 sono state presentate oltre 800 denunce ai danni dell’Agenzia per la sicurezza ma non è stata avviata alcuna indagine.

(41)

L’Autorità palestinese in Cisgiordania e l’amministrazione di fatto di Hamas nella Striscia di Gaza si sono rese responsabili di torture e altri maltrattamenti, soprattutto nei confronti dei rispettivi oppositori politici. In Marocco/Sahara Occidentale, la tortura e gli altri maltrattamenti sono considerati reato da diversi anni. Tuttavia, la tortura è diffusa e raramente le autorità indagano sulle denunce. Le punizioni crudeli, disumane e degradanti rimangono in vigore in diversi paesi della regione, ma sono imposte prevalentemente in Arabia Saudita e Iran18

7.5 Americhe.

La regione può vantare alcuni dei migliori e più efficaci meccanismi nazionali e interregionali per la prevenzione della tortura. Tuttavia, questa rimane diffusa e i responsabili vengono raramente chiamati a rispondere delle loro azioni.

In alcuni paesi le leggi d’amnistia e l’assenza della volontà politica d’indagare sui crimini del passato hanno pregiudicato le possibilità di ottenere giustizia per le migliaia di torture inflitte sotto i regimi militari nella seconda metà del secolo scorso e l’impunità continua a essere persistente in Colombia.

Anche il governo degli Usa sta venendo meno al dovere d’indagare sulle torture inflitte nei confronti di presunti terroristi nella cosiddetta “guerra al terrore”. Finora, nessuna persona è stata giudicata responsabile per l’uso di tecniche di interrogatorio equivalenti alla tortura (mediante

18

(42)

privazione del sonno, obbligo di rimanere in posizioni dolorose per lunghi periodi di tempo e il “waterboarding”).

Oggi, in diversi paesi della regione, il ricorso alla tortura e agli altri maltrattamenti viene giustificato da molte persone come risposta agli alti tassi di criminalità.

Negli ultimi anni, Amnesty International ha ricevuto numerose denunce di torture compiute all’interno di prigioni e centri di detenzione di tutta la regione: i detenuti vengono sottoposti a pestaggi, violenza sessuale e scariche elettriche e non ricevono trattamenti medici adeguati.

Le condizioni detentive sono assai negative, con livelli elevati di sovraffollamento.

In alcune prigioni di massima sicurezza degli Usa, molte migliaia di detenuti si trovano in isolamento, in piccole celle, da 22 a 24 ore al giorno. Lo scarso accesso alla luce naturale o a luoghi esterni alle celle costituiscono trattamento crudele, disumano e degradante.

La tortura è usata anche come metodo di punizione nei confronti dei detenuti o per estorcere “confessioni” a presunti criminali comuni.

Sull’America del nord e in particolare gli USA ci concentreremo più avanti, per affrontare il discorso del recente scandalo che ha coinvolto la CIA e per approfondire i risvolti psicologici della pena di morte, considerata una vera e propria forma di tortura psicologica (sindrome del braccio della morte)19.

19

(43)

In Messico, i casi di tortura sono aumentati a partire dal 2006, nel contesto della lotta del governo contro il crimine organizzato. Molti arresti sono stati eseguiti senza mandato, in presunta flagranza di reato anche se le vittime non avevano alcuna relazione diretta con un reato o con la scena di un reato. Nella maggior parte dei casi, si è trattato di persone povere e appartenenti a comunità emarginate, dunque con poche possibilità di ricevere assistenza legale e col rischio elevato di essere torturate.

Gli abusi da parte delle forze di polizia sono la norma nel corso di manifestazioni di massa, ricorrenti in Brasile, Cile, Messico e Venezuela20.

8. TIRANDO LE SOMME.

Dai dati sopra riportati emerge che la tortura, nonostante sia molto antica, è ad oggi più diffusa che mai.

Le tecniche sono svariate e molteplici, in continua evoluzione e al passo con i tempi. Gli scopi della tortura sono piuttosto univoci: quasi sempre è esercitata al fine di estorcere una confessione, ma a seconda del luogo in cui ci troviamo è inflitta a chiunque, a detenuti e uomini liberi, alle minoranze per sminuirle, alle donne con fini sessuali e in generale con fini di onnipotenza.

20

(44)

Gli stati tendono a nasconderla, come a voler stendere un velo abbastanza spesso da coprire tutto, rendendolo irreale.

I carnefici, di conseguenza, restano spesso impuniti e le vittime prive di protezione.

È un sistema malato ma ormai talmente diffuso e radicato da sottrarre, a chi vi si approcci con un tentativo di eliminazione, qualsiasi speranza di successo.

Del resto, come diceva Ugo Foscolo: anche Speme, ultima dea, fugge i sepolcri.

(45)

Capitolo 2

Le principali fonti internazionali riguardanti la

tortura e il uso divieto.

1. LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI

DIRITTI DELL’UOMO DELLE NAZIONI UNITE,

1948.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è stata adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 10 dicembre 1948. Lo strumento, che costituisce una delle più importanti fonti di soft law nell’intero panorama internazionale21, è costituito da trenta articoli che enunciano sia i diritti civili e politici della persona umana, sia i diritti economici e sociali fondamentali dell’individuo.

La Dichiarazione universale dei diritti del ‘48 inaugura l’effettivo processo di internazionalizzazione globale della tutela dell’individuo: il singolo uomo diventa soggetto di diritto internazionale, e deve poter far valere i propri diritti anche contro il proprio governo22.

I lavori preparatori alla Dichiarazione sono stati segnati da diversi dissidi, anche sulla natura giuridica dello strumento, cioè sull’opportunità o meno di renderlo vincolante per gli Stati firmatari23.

21

T. TREVES, Diritto internazionale,Problemi fondamentali, Giuffrè, Milano, 2005, pp

191 ss. 22

A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani, Il Mulino, Bologna, 2007, p 134.

23

(46)

Il compromesso è stato raggiunto sull’idea di uno strumento di soft law, non vincolante: la Dichiarazione costituisce semplicemente un invito rivolto agli Stati a comportarsi in conformità ai principi sanciti24.

La natura non vincolante di questa fonte si riflette anche sulla

formulazione lapidaria dei suoi articoli, che enunciano solo principi e non norme destinate ad una applicazione concreta e coercitiva25.

Va dato atto però del fatto che, nonostante la Dichiarazione universale non sia formalmente obbligatoria per gli Stati parte, la sua enorme importanza morale e politica ne ha fatto, col tempo, uno strumento dall’efficacia giuridica quasi vincolante26.

In primo luogo, gli Stati, firmando, si sono impegnati moralmente a conformarsi in buona fede ai principi che hanno accolto27.

In secondo luogo, il grado di obbligatorietà è innalzato dal fatto che gli organi delle Nazioni Unite considerano la Dichiarazione sempre più di frequente come uno strumento ad integrazione dello Statuto dell’Organizzazione, il quale ha carattere formalmente vincolante28. Un terzo importante fattore che accresce il valore giuridico della

Dichiarazione è la prassi degli organi delle Nazioni Unite e degli Stati contraenti: spesso l’Assemblea Generale la utilizza come un codice per

24

M. R. SAULLE, Dalla tutela giuridica all’esercizio dei diritti umani, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1999, p. 28.

25

C. ZANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Giappichelli, Torino 2006, p. 24.

26

M. R. SAULLE, Dalla tutela giuridica, cit., p. 31.

27

C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., p. 26.

28

(47)

rivolgere raccomandazioni ai governi, o a sostegno delle sue risoluzioni29; a volte la Corte internazionale di Giustizia la usa come criterio per risolvere controversie e questioni di diritto internazionale30; gli stessi Stati hanno contribuito ad alimentare questa prassi, riconoscendo in modo costante il carattere obbligatorio della Dichiarazione31.

Secondo alcuni, in quarto luogo, i principi a tutela dei diritti umani

sarebbero di per sé vincolanti, in quanto espressione del diritto naturale32. Infine, sempre più spesso, gli organi giudiziari internazionali e gli Stati considerano i diritti sanciti dallo Statuto e dalla Dichiarazione ONU come contenuti del diritto internazionale consuetudinario33 e dello jus cogens, cioè di quelle speciali regole consuetudinarie che custodiscono i principi essenziali su cui si basa l’ordinamento internazionale34.

Ma veniamo al tema di nostro interesse: l’art. 5 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancisce: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti”. Per la prima volta il divieto di tortura viene espresso a

chiare lettere e in relazione a qualsiasi individuo, in qualsiasi contesto, indipendentemente dal fine dell’agente.

29

C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., pp. 27-30.

30 Ivi, p.31 31 Ivi, p. 30 32 Ivi, p. 33 33C. Z

ANGHÌ, La protezione internazionale, cit., pp. 31-32; A. SACCUCCI, Profili di

tutela dei diritti umani tra Nazioni Unite e Consiglio d’Europa, Cedam, Padova 2005,

p.14.

34

C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., p.35; A. SACCUCCI, Profili di tutela, cit., p. 14; M.R. SAULLE, Dalla tutela giuridica, cit., p.31. V. infra, paragrafo 5.2.

(48)

A differenza di molti articoli della Dichiarazione l’art. 5 è stato il risultato di una stesura lineare, non particolarmente controversa35, perché enuncia un principio largamente condiviso dagli Stati membri delle Nazioni Unite.

La formazione dell’articolo in esame è poi caratterizzata da un’altra più insolita peculiarità. Normalmente, il diritto internazionale dei diritti umani comporta una creazione positiva dei principi nell’ordinamento internazionale, e solo successivamente un’osmosi degli stessi verso gli ordinamenti nazionali. Il divieto di tortura ha seguito invece il processo inverso: gli strumenti pattizi interstatuali si sono prodotti a partire dalle fattispecie del crimine di tortura già esistenti nei sistemi penali interni36. L’art. 5 della Dichiarazione ha costituito il principale modello di riferimento per le successive redazioni di fonti internazionali in materia di tortura32. Sulla base posta dall’art. 5 è nata la Convenzione contro la

tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite del 1984, i cui lavori preparatori fanno esplicitamente rinvio alle posizioni che avevano già portato alla redazione dell’art. 5 della Dichiarazione37. Inoltre, l’emanazione della Dichiarazione è stata subito seguita da un processo teso a rendere formalmente vincolanti per gli Stati i diritti enunciati: processo che ha avuto sbocco nel 1966

35F. T

RIONE, Divieto e crimine di tortura, Editoriale scientifica, Napoli 2006, p.29; C. DANISI, Divieto e definizione di tortura nella normativa internazionale dei diritti

dell’uomo, EPC libri, Genova 2009, p. 2.

36 F. T

RIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., pp. 27-29.

37 F. T

(49)

nell’adozione del Patto internazionale sui diritti civili e politici (che all’art. 7 obbliga le Alte Parti contraenti ad astenersi dalla tortura)38. Allo stesso modo, l’art. 5 della Dichiarazione, nell’ambito del Consiglio d’Europa, è stato matrice dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e Convenzione europea per la prevenzione della tortura del 198739.

2.

LA CONVENZIONE EUROPEA PER LA

SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E

DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI DEL

CONSIGLIO D’EUROPA, 1950.

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali detta anche CEDU è un trattato internazionale redatto dal consiglio d Europa. Essa è stata firmata a Roma nel 1950 da 12 stati ed è entrata in vigore nel 1953, ma per l’ Italia nel 1955.

La Convenzione del 1950 costituisce il più importante atto europeo a tutela dei diritti umani ed è attualmente in vigore per tutti i 46 Stati del Consiglio d’Europa.

Trova sicuramente la sua fonte d’ispirazione nella Dichiarazione universale delle Nazioni Unite, ma ne amplia le garanzie, trasformando i diritti dell’individuo in altrettanti obblighi vincolanti per gli Stati, così

38

A. FACCHI, Breve storia, cit., p. 135.

39

F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., p.29; C. DEFILIPPI - D. BOSI (a cura di),

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andando a costituire a sua volta un modello per la successiva redazione dei Patti delle Nazioni Unite del 1966.

Ad occuparsi della tortura è l’art. 3 della suddetta, in base al quale: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti”.

Questo articolo si presenta piuttosto vago, non ci fornisce infatti alcuna definizione di tortura (per averne una dovremo aspettare il 1984), ma dal testo della Convenzione si evince una particolarità, ovvero l’inderogabilità del divieto di tortura.

Mentre l’art. 15 del documento, infatti, consente agli Stati parte di derogare alle previsioni della Convenzione “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”, il primo capoverso dello stesso articolo esclude dalla possibilità di deroga quattro disposizioni della Convenzione, preposte alla tutela di diritti di particolare importanza, tra le quali compare l’art. 3. Ne consegue che il divieto di tortura non è passibile di subire alcun bilanciamento, nemmeno nei momenti di maggior criticità nella vita della nazione.

Il rispetto della dignità dell’uomo, che è la ragione prima del carattere assoluto del divieto di tortura, non è solo la trasposizione sul piano sovrastatuale di principi già appartenenti alle culture degli Stati parte. L’art. 3 rappresenta qualcosa di più: esso contiene uno dei principi fondamentali su cui si basa l’intera organizzazione del Consiglio

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