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Sovraffollamento

Nel documento La tortura nei tempi moderni. (pagine 120-134)

Il sovraffollamento è, insieme alla lunghezza eccessiva dei processi, il motivo per cui lo Stato italiano è stato condannato a livello europeo. Esso è considerato infatti una condizione che può benissimo rientrare nei cd trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’art 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Vedremo adesso in cosa consiste e quali sono i provvedimenti presi a riguardo dalla CEDU.

4.1 Fisiologica patologia

Il sovraffollamento delle carceri rappresenta uno dei problemi più gravi della Repubblica Italiana: esso ha origini antiche e viene spesso affrontato come una condizione ormai fisiologica degli istituti detentivi, rappresentando invece una distorsione del funzionamento degli stessi; si parla, in proposito, di “fisio-logica patologia”134.

Nel corso dei lavori parlamentari aventi ad oggetto la conversione in legge del d.l. n 211 del 2011 (“Interventi urgenti per il contrasto della tensione detenti-va determinata dal sovraffollamento delle carceri”) è stato rilevato come «la questione relativa al sovraffollamento carcerario non può essere inquadrata come emergenza straordinaria, bensì come

134M DI STEFANO- C DI MEO- R CALABRESE- F D’IMPERIO-CESARE

FOSSATI- S.F. GIOVANNANGELI- C GALLO- L ISONE- V GIURA-V BERALDO,

problematica strutturale che investe l’Italia ormai da più di quaranta anni».

Basti pensare che «nell’arco di circa sessant’anni sono stati emanati ben trenta provvedimenti d’indulto senza mai addivenire ad una riforma strutturale capace di risolvere il problema»135.

La legislazione adottata sino ad ora, improntata sui caratteri dell’urgenza e dell’emergenza, non è stata sufficiente a risolvere adeguatamente il problema. Il Legislatore si è sempre limitato a provvedimenti “tampone” idonei a risolvere la questione solo nel breve o brevissimo periodo. Sarebbe stato, invece, necessario, un intervento legislativo di ampie vedute, una riforma strutturale lungimirante finalizzata a risolvere definitivamente lo stato di saturazione in cui versa il sistema penitenziario italiano.

La Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani del Senato è pervenuta alla compilazione di un documento intitolato “Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento” nel quale è stato evidenziato come il sovraffollamento rappresenti una condizione di illegalità, intesa in senso tecnico: «Ogni violazione dei diritti umani non è solo un fatto eticamente riprovevole ma una vera e propria violazione della legalità. E’ una legalità – come documento ampiamente il rapporto adottato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani -

135

A. GARGANI, Sicurezza sociale e diritti dei detenuti nell’età del sovraffollamento

definita dalla Costituzione della Repubblica Italiana, dalle leggi dello Stato e da atti adottati dalla comunità internazionale (dichiarazioni, convenzioni, trattati, protocolli), sottoscritti dai governi e ratificati dai Parlamenti dei singoli Stati ivi compresa l’Italia e che hanno valore di legge.

Per questo, affermare che la condizione dei detenuti costituisce una violazione della legalità da parte dello Stato, non è una forzatura frutto di una pur legittima indignazione ma una pertinente considerazione tecnica». Ma in cosa consiste concretamente il sovraffollamento?

Il paragrafo 76 della nota sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo “Affaire Torreggiani ed altri c. Italia” dell’8 gennaio 2013 ha affermato che il livello di abitabilità raccomandato dal C.P.T. (Comitato europeo per la pre-venzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti) nelle camere di detenzione collettive è di 4 metri quadrati. Da questa statuizione della Corte si desume che in tutte quelle situazioni in cui i detenuti siano costretti a vivere in meno di 4 metri quadrati si è di fronte ad una violazione dei diritti dell’Uomo ai sensi dell’art 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Le privazioni cui sono sottoposti i detenuti non si limitano allo spazio vitale; spesso le celle non sono sufficientemente luminose ed areate. Spesso la collocazione dei servizi igienici non permette un utilizzo intimo e dignitoso degli stessi. Spesso, a causa del sovraffollamento e della carenza della polizia penitenziaria, i detenuti sono costretti a trascorrere molte ore della giornata nelle celle, senza la possibilità di svolgere attività

lavorative, istruttive o anche solo ricreative. Questo nonostante il C.P.T. nel suo dodicesimo rapporto generale abbia affermato che “un programma soddisfacente di attività (lavoro, insegnamento, sport) riveste un’importanza capitale per il benessere dei prigionieri”.

Per quanto concerne l’analisi delle cause del sovraffollamento, la condizione dell’edilizia carceraria rappresenta sicuramente uno dei fattori più rilevanti.

Un’ altra causa del sovraffollamento è il massiccio ricorso da parte dell’autorità giudiziaria alla carcerazione cautelare ormai divenuta a tutti gli effetti anticipazione di pena. La custodia cautelare in carcere, quale extrema ratio, è ormai divenuta la principale se non l’unica misura cautelare da applicare per gli indagati e/o imputati ancora in attesa di giudizio. In sostanza, la detenzione, così come è strutturata in Italia, rende difficoltoso il reinserimento sociale del detenuto e solo in alcuni casi comporta una vera e propria rieducazione del soggetto stesso.

È pacifico che le maggiori responsabilità in proposito siano del legislatore nazionale, incapace di predisporre una soluzione concreta al problema. Ma non è tutto: la rieducazione del condannato viene sempre più percepita come un evento virtuale.

La sfiducia nelle reali possibilità di reinserimento sociale si traduce nell’attribuzione alla detenzione dell’unica funzione che essa appare in grado di svolgere in concreto: la segregazione.

E proprio agli stereotipi del “nemico pubblico” prodotti dalla legislazione penale recente vanno ricondotte le cause congiunturali del

sovraffollamento penitenziario. Cause legate, cioè, a politiche settoriali, inerenti a specifici reati rappresentati strumentalmente come di particolare allarme sociale.136

4.2 La condanna dell’Italia da parte della Corte

Europea dei diritti dell’uomo.

Se si vuole trovare una data di inizio per il risveglio delle coscienze circa la non tollerabilità della situazione di sovraffollamento che caratterizza il nostro ordinamento, si può guardare al 2009, anno in cui la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con la ormai famosissima sentenza Sulejmanovic c. Italia, ha condannato per la prima volta il nostro Paese per la violazione dell’art 3 CEDU137- disposizione che vieta in modo assoluto la sottoposizione a tortura o a trattamenti inumani o degradanti- a causa delle condizioni detentive in cui era costretto il ricorrente all’interno di un istituto penitenziario138.

In particolare, la Corte ha affermato che il sovraffollamento (qualora lo spazio vitale a disposizione del singolo detenuto sia inferiore ai 3 mq) costituisce di per se un trattamento inumano e degradante.

Il peso politico di tale condanna ha indotto il governo italiano a reagire prontamente, e nel giro di pochi mesi (gennaio 2010) è stato dichiarato lo

136MATTEO DI STEFANO E A. L’emergenza del sistema carcerario italiano, cit.

137

A. DELLA BELLA, Emergenza carceri e sistema penale, Giappichelli, Torino 2014, pp 3-4.

138

Cfr C. eur. Dir. Uomo, Sez. I, 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia, in rass. Penit e crim, 2009, p. 175 ss.

stato di emergenza, a seguito del quale è stato poi approvato un piano carceri per la costruzione di nuovi istituti penitenziari139.

Questo però non è stato sufficiente e quindi negli ultimi anni sono stati approvati alcuni provvedimenti finalizzati a ridurre il numero delle presenze in carcere. A questo proposito occorre innanzitutto fare riferimento alla l 26 novembre 2010, n 199 (cd legge svuota carceri o anche legge Alfano) con la quale è stata introdotta nell’ordinamento la misura dell’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive fino a 12 mesi (estesa poi alle pene fino a 18 mesi dalla successiva legge 211/2011).

La legge parrebbe avere dato buoni risultati: secondo i dati pubblicati sul del ministero della giustizia infatti grazie ad essa sarebbero usciti dal carcere circa 12.000 condannati. Proprio in ragione di questo successo, la misura, introdotta nell’ordinamento in via solo provvisoria, è stata stabilizzata con il d.l. 146/2013140.

Il secondo provvedimento a carattere deflattivo approvato a seguito della sentenza Sulejmanovic c. Italia è stata la l 22 dicembre 2011, n 211 (detta anche legge Severino), con la quale si è intervenuti sul fenomeno delle cd porte girevoli al fine di arginare quel consistente flusso di soggetti che quotidianamente fa ingresso in carcere a seguito dell’arresto, per uscirne dopo pochi giorni a seguito dell’udienza di convalida141.

139

A. DELLA BELLA, Emergenza carceri e sistema penale, Giappichelli, Torino 2014 pp 4.

140

Ibidem.

141

I dati pubblicati sul sito del ministero della giustizia sembrano rivelare un discreto successo della misura: la percentuale delle brevissime permanenze all’interno del carcere sarebbe infatti passata dal 27% nel 2009 al 13% nel 2012.

Tali interventi però, benché utili allo scopo, non sono stati capaci di realizzarlo del tutto.

Sul punto vi è unanimità in dottrina: per risolvere il problema occorre una rifondazione radicale del sistema sanzionatorio, che sovverta definitivamente la logica carcero-centrica nella quale siamo immersi. Sotto questo profilo l’indicazione principale è quella di elevare a rango di pene principali le sanzioni non detentive.

Si ritiene poi parimenti necessaria un azione di depenalizzazione, da intendersi sia in astratto, cioè come decriminalizzazione dei settori nei quali lo strumento penale si è rivelato del tutto inefficace, sia in concreto, ossia come potenziamento di strumenti di deflazione processuale, quali l’irrilevanza del fatto o l’estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie.

Ancora, è condivisa l’idea che debbano essere eliminati dal sistema quegli

automatismi preclusivi che portano all’incarcerazione di categorie di

soggetti considerati pericolosi, sulla base di presunzioni assolute di pericolosità, della cui ragionevolezza spesso si dubita a buon ragione142. A partire dagli anni immediatamente successivi alla sent Sulejmanovic però, ha iniziato a farsi largo la consapevolezza che il problema carcerario

142

reclama anche delle soluzioni sul piano giudiziario: fintantoché il legislatore non provvede, spetta ai giudici predisporre sia rimedi funzionali a far cessare la violazione dei diritti in atto derivanti dal sovraffollamento (c.d. rimedi preventivi), sia funzionali ad offrire una riparazione adeguata per le violazioni subite (c.d. rimedi compensativi)143. Sotto il profilo dei rimedi preventivi, lo Stato ha risposto alle richieste della sentenza Torreggiani introducendo un'ipotesi di reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza per i casi di "attuale e grave pregiudizio" ai diritti dei detenuti, derivante da condotte dell'Amministrazione penitenziaria non conformi alla legge di ordinamento penitenziario o al suo regolamento attuativo (artt. 69 co. 6 lett. b) e 35 bis o.p.). Per mezzo di tale reclamo, il magistrato di sorveglianza - accertato che le condizioni detentive in cui si trova il detenuto sono tali da determinare un pregiudizio attuale e grave ai suoi diritti - può ordinare all'Amministrazione penitenziaria di "porre rimedio" alla situazione144.

Fino all'introduzione dell'art. 35 ter o.p., il nostro ordinamento era invece totalmente sprovvisto di rimedi compensativi specifici per risarcire i pregiudizi subiti dai detenuti a causa delle condizioni detentive inumane e degradanti in cui si erano trovati. La Corte di cassazione, con la sentenza 4772/2013 aveva definitivamente negato la sussistenza, in capo al magistrato di sorveglianza, di un potere di condanna al risarcimento dei

143

Ibidem

144

A. DELLA BELLA, Il risarcimento per i detenuti vittime di sovraffollamento: prima

lettura del nuovo rimedio introdotto dal d.l. 92/2014, in Diritto Penale Contemporaneo

danni subiti dai detenuti in conseguenza del sovraffollamento (potere che era stato in precedenza riconosciuto da qualche isolata pronuncia della magistratura di sorveglianza) ed aveva conseguentemente affermato che, in assenza di specifiche disposizioni legislative, la materia risarcitoria doveva considerarsi riservata alla competenza del giudice civile.

Una soluzione che non si palesava come particolarmente soddisfacente, considerati i tempi lunghissimi dell'azione risarcitoria nella giustizia civile. Né può considerarsi un rimedio di carattere compensativo la liberazione anticipata speciale, misura emergenziale introdotta nell'ordinamento dall'art. 4 d.l. 146/2013, che consente al condannato che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione di usufruire di una detrazione di pena di 75 giorni di detrazione ogni semestre di pena scontata. Secondo quanto sostenuto dal Governo nella Relazione introduttiva al d.l. 146/2013, il carattere retroattivo della liberazione anticipata speciale si spiegherebbe proprio con la volontà di attribuire al rimedio la funzione di riparare, in via risarcitoria, le violazioni subite dai detenuti in conseguenza della situazione di sovraffollamento carcerario: una riparazione non monetaria, ma in forma per così dire specifica, consistente appunto nella riduzione della pena da eseguire. L'attribuzione di un carattere compensativo alla liberazione anticipata speciale però non convince per due ordini di ragioni. In primo luogo, perché, essendo una misura a carattere premiale, di essa beneficiano solamente i condannati 'meritevoli', con esclusione quindi di tutti gli altri soggetti che pure possono aver subito un grave pregiudizio ai propri diritti in conseguenza

del sovraffollamento. In secondo luogo, perché essendo la sua applicazione del tutto indipendente dalle condizioni detentive in cui si trova il condannato, potrebbe indirizzarsi anche a soggetti che non hanno maturato alcun tipo di danno risarcibile145.

Insomma, entrambi i rimedi rivelati inefficaci e questo è stato affermato a chiare lettere anche nella sent Torreggiani c. Italia dell’8 gennaio 2013. Con tale pronuncia la corte europea dei diritti dell’uomo ha nuovamente condannato l’Italia per aver violato l’art. 3 CEDU a causa del sovraffollamento carcerario.

A differenza della precedente condanna, la corte ha in quest’ultimo caso pronunciato una sentenza pilota, ossia una sentenza per effetto della quale: da un lato, sono stati sospesi tutti i ricorsi dei detenuti italiani aventi ad oggetto il riconoscimento della violazione patita; dall’altro, è stato concesso all’Italia il termine di un anno dalla data del passaggio in giudicato della sentenza (28 maggio 2013) entro il quale adottare le misure necessarie per porre rimedio alla situazione146.

Quanto alle misure che lo stato doveva necessariamente adottare entro il termine del 27 maggio la corte ha operato un importante distinzione: su un primo piano la corte ha collocato il dovere dello stato di risolvere strutturalmente il problema del sovraffollamento carcerario, eliminandone le cause attraverso misure di carattere generale che consentano un

145

Ibidem

146

A. DELLA BELLA, Emergenza carceri e sistema penale, Giappichelli editore, Torino 2014 pp 8-9.

maggior ricorso a sanzioni non detentive ed una minore utilizzazione della custodia cautelare in carcere.

Su un secondo piano i giudici di Strasburgo hanno invece collocato il dovere dello stato di predisporre un ricorso o una combinazione di ricorsi che consentano di riparare le violazioni in atto.

In sostanza la Corte Europea per i diritti dell’uomo ha chiesto all’Italia di garantire a ogni persona rinchiusa in cella uno spazio minimo di 4 metri

quadrati, sufficientemente illuminato e pulito e di assicurare tramite le

attività sociali all’interno del carcere, che il detenuto passi un buon numero di ore fuori dalla cella147.

La pena, qualora l’Italia non avesse adempiuto, sarebbe stata il pagamento di una multa molto salata, corrispondente ad un risarcimento di circa 15.000 euro per ogni ricorso contro di essa effettuato dai detenuti. Considerato che i ricorsi presentati dai detenuti sino ad oggi ammontano a quasi 7000, facendo un calcolo l’Italia sarebbe stata costretta a pagare oltre i 100 milioni.

Alla vigilia della scadenza fissata da Strasburgo erano 59.683 i detenuti nelle carceri italiane: questo significa che comunque dei passi avanti sono stati fatti se si considera che al 30 giugno 2013 nelle carceri dovevano trovare posto 66.028 persone. Oltre 6 mila in meno significa che alcuni istituti sono diventati più vivibili, anche se i posti regolamentari sono

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ancora almeno 15 mila in meno. Il gap da recuperare è dunque ancora enorme148.

Il 5 giugno 2014 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha accolto positivamente l’impegno delle autorità italiane attraverso le varie misure strutturali adottate, o soltanto promesse, per conformarsi alla sentenza della Corte. La partita però, non può dirsi vinta; il prossimo giugno 2015 il Comitato riprenderà in esame la questione e per quella data l’Italia, al di là degli interventi di edilizia carceraria, dovrà avere completato la riforma del sistema custodiale, sanzionatorio e penitenziario. Inoltre, la Corte europea, nel dichiarare l’irricevibilità dei ricorsi presentati da alcuni detenuti italiani per violazione dell’art. 3 CEDU in ragione della mancata soddisfazione della condizione del previo esaurimento delle vie di ricorso interne (Stella e altri c. Italia), non ha escluso la possibilità di riesaminare in futuro l’effettività dei rimedi interni introdotti, avendo riguardo alla capacità delle giurisdizioni nazionali di elaborare una giurisprudenza uniforme e compatibile con le esigenze della Convenzione e all’esecuzione effettiva di queste decisioni149.

Volgendo lo sguardo alle ultime evoluzioni è importante citare il d.l. 92/2014 - convertito, senza modifiche sul punto, dalla l. 117/2014 – con il quale il Governo ha di fatto colmato una lacuna (quella dei rimedi compensativi), introducendo nell'ordinamento penitenziario l'art. 35 ter,

148

Ibidem

149

A. MANGIARACINA, Italia e sovraffollamento carcerario: ancora sotto

che disciplina due tipologie di rimedi specificamente diretti a riparare il pregiudizio derivante a detenuti ed internati da condizioni detentive contrarie all'art. 3 CEDU. Il primo dei due rimedi (disciplinato nei commi 1 e 2 dell'art. 35 ter o.p.) è destinato ai detenuti e agli internati che stiano subendo un pregiudizio grave ed attuale ai propri diritti, in conseguenza delle condizioni detentive in cui si trovano. Costoro possono rivolgersi al magistrato di sorveglianza, al fine di ottenere una riparazione in forma specifica, consistente in uno 'sconto' della pena ancora da espiare pari ad 1 giorno ogni 10 di pregiudizio subito o, in alternativa - nel caso in cui il pregiudizio sia stato inferiore ai 15 giorni o nel caso in cui lo 'sconto' sia maggiore del residuo di pena - un risarcimento in forma monetaria, pari a 8 euro per ogni giorno di pregiudizio subito.

Il secondo rimedio (disciplinato nel comma 3 dell'art. 35 ter o.p.) si rivolge a coloro che abbiano finito di scontare la pena detentiva o abbiano subito il pregiudizio durante un periodo di custodia cautelare non computabile nella pena da espiare. In questo caso, i soggetti possono rivolgersi entro sei mesi dalla cessazione della pena detentiva o della custodia cautelare al tribunale civile, al fine di ottenere un risarcimento in forma monetaria, sempre nella misura di 8 euro per ogni giorno di pregiudizio subito.

Sul punto ci possiamo tranquillamente affermare che la nuova normativa non ha introdotto nell'ordinamento un nuovo illecito civile, poiché, già prima, la violazione del diritto ad una detenzione conforme all'art. 3 CEDU costituiva un danno ingiusto risarcibile ex art. 2043 c.c.

Ciò si desume dal fatto che l'art. 3 CEDU è divenuto un 'diritto' rilevante nel nostro ordinamento a far data dalla l. 848/1955, che ha ratificato e reso esecutiva in Italia la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Ciò, del resto, è stato espressamente riconosciuto dalla Corte di cassazione nella sentenza 4772/2013 che, nel negare una competenza risarcitoria in capo alla magistratura di sorveglianza, ha contestualmente affermato la risarcibilità di quella lesione da parte del giudice civile. Se così è, se ne deve dunque dedurre che il d.l. 92/2014 ha solamente introdotto una nuova disciplina per il risarcimento di questo specifico danno: una disciplina che, in quanto lex specialis, viene a sostituirsi alla ordinaria disciplina civilistica in tema di risarcimento del danno150.

4.3 Riflessioni conclusive.

Come abbiamo visto il problema del sovraffollamento ha cominciato a farsi sentire nel 2009 con la sentenza Sulejmanovic c. Italia. In quell’anno il nostro Paese è stato condannato per la prima volta, ma in realtà la popolazione detenuta in Italia iniziò ad aumentare in maniera incontrollata a partire dai primi anni '90 del secolo scorso quando, a seguito dalla riforma costituzionale del 1992, quando di fatto è divenuto pressoché eccezionale l'utilizzo del principale strumento attraverso il

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A. DELLA BELLA, Il risarcimento per i detenuti vittime di sovraffollamento, dpc 13/10/14.

quale, sino ad allora, era stato amministrato il sovraffollamento carcerario: i provvedimenti di amnistia e indulto151.

Nonostante questa scomoda verità sia emersa solo di recente, si è rivelata da subito molto ingombrante. I provvedimenti presi a seguito della condanna della CEDU sono stati tempestivi e molteplici, ma tutt’oggi non esaustivi. Essi sono stati però sufficienti a farci guadagnare del tempo prezioso. Non resta dunque che attendere il giugno di quest’anno per vedere se effettivamente il nostro Stato sarà capace di riparare una falla così profonda nel suo sistema.

5. L’ ITALIA DAL PUNTO DI VISTA

Nel documento La tortura nei tempi moderni. (pagine 120-134)