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Italiani, guerra e censura postale (1940-1943)* di Elena Cortes

In queste pagine cercheremo di riassumere brevemente quello che è stato il nostro lavoro di ricerca durante i tre anni di dottorato. Un lavoro che ci ha vi- sti analizzare circa centotrenta buste d’archivio – non raccolte in un unico fondo – contenenti lettere e stralci di lettere, scritti da civili e militari durante la seconda guerra mondiale, ed ora conservati presso l’Archivio centrale del- lo Stato. Lettere e stralci che vennero intercettati, visionati e tolti dal corso, o copiati, dagli addetti alla censura postale, durante il loro doppio compito di cancellare ciò che non doveva essere scritto e registrare lo stato d’animo e lo “spirito pubblico”1degli italiani. Un minuzioso lavoro conoscitivo, quest’ul-

timo, che costituiva una novità rispetto alle funzioni che la censura postale aveva avuto durante la prima guerra mondiale.

* Dalla tesi di dottorato in Storia dell’Italia contemporanea, Università degli Stu- di di Roma Tre, a.a. 1999-2000: E. CORTESI, Scrivere in guerra, scrivere di guerra. Italiani, guerra e censura postale. 1940-1943.

Abbreviazioni usate: A5G IIgm, A5G Seconda guerra mondiale; ACS, Archivio

centrale dello Stato; b., busta; ca, classe annuale; CDL, Copia di lettera; CP, Commis-

sione provinciale di Censura; Dest., destinatario; DGPS, Direzione generale di Pub-

blica Sicurezza; DIVPP, Divisione di Polizia Politica; f., fascicolo; LTC, Lettera tolta

dal Corso; MI, ministero dell’Interno; Mitt., mittente; PM, Posta militare; PNF, Partito

nazionale fascista; R.D., Regio Decreto; RSI, Repubblica sociale italiana; sd., senza

data; SDL, Stralcio di lettera; SID, Servizio informazioni difesa; SIM, Servizio infor-

mazioni militare.

1Per spirito pubblico – espressione utilizzata dal regime ed ormai entrata nel

linguaggio storiografico – si intende ogni tipo di atteggiamento e di stato d’animo della popolazione nei confronti dello Stato fascista, del Partito fascista e della na- zione italiana.

Il controllo della posta, infatti, non era un’invenzione fascista, ma era già stato impiegato durante la Grande Guerra da tutti gli stati bellige- ranti. Istituito in Italia il 23 maggio 19152, doveva inizialmente cancel- lare tutte le informazioni di tipo militare, sia nella corrispondenza da e per i fronti, sia in quella civile. L’incredibile mole di lettere aveva però costretto, ben presto (luglio 1915), a limitare il controllo esclusiva- mente alla posta militare, dalla quale dovevano essere eliminate anche le espressioni «generiche, di denigrazione delle operazioni di guerra, di disprezzo e vilipendio per l’esercito, per l’amministrazione e i corpi militari, e notizie diverse da quelle che [erano] state portate a cono- scenza del pubblico»3. Già allora, quindi, era stato assegnato al censo- re il compito di reprimere il malumore ed il dissenso verso la guerra e prevenire il loro estendersi, soprattutto dai fronti al paese4.

2R.D. n. 698, del 23 maggio 1915.

3E. MARROTELMON, Lettere, censura e tribunali nella Grande Guerra, in «Storia

e problemi contemporanei», 1993, n. 12, p. 102. Cfr. anche L. RIZZI, Lo sguardo del potere, Milano, 1984, pp. 11-13.

4Lettere intercettate dalla censura ed epistolari più o meno completi, sono stati

ampiamente utilizzati dalla storiografia sulla prima guerra mondiale, a differenza di quanto è finora avvenuto per la seconda. Rimandiamo solo ai contributi principali e più affini al nostro lavoro: A. OMODEO, Momenti della vita di guerra. Dai diari e dal-

le lettere dei caduti, Torino, 1968 (ed. orig. 1929-1935); E. FORCELLA-A.

MONTICONE, Plotone d’esecuzione. I processi della prima guerra mondiale, Bari,

1968 (riporta le lettere contenute nelle sentenze dei tribunali militari); R. MONTELEO- NE, Lettere al re (1914-1918), Roma, 1975 (una settantina di lettere al re, scelte tra

centinaia conservate negli archivi del ministero degli Interni e del ministero della Real Casa, anonime o firmate con sigle e motti protestatari, radicalmente ostili alla guerra e alla partecipazione dell’Italia al conflitto); L. SPITZER, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918, Torino, 1976 (ed. orig 1921) (scritto da un censore mi-

litare austriaco, incaricato di vagliare la corrispondenza di e per i soldati di lingua ita- liana prigionieri nei campi dell’Intesa o degli imperi centrali, è un punto di riferimen- to per gli studiosi di questo argomento); B. CADIOLI-A. CECCHI, La posta militare ita- liana nella prima guerra mondiale, Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito,

Roma, 1978; ID., I servizi postali dell’esercito italiano 1915-1923, Milano, 1980; M.

ISNENGHI(ed), Operai e contadini nella Grande Guerra, Bologna, 1982 (in particola-

re i contributi di E. Franzina e R. Morozzo della Rocca); ID., Le guerre degli italiani.

Parole immagini ricordi (1848-1945), Milano, 1989; A. GIBELLI, L’officina della

guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Torino, 1991; G.

PROCACCI, Gli effetti della Grande guerra sulla psicologia della popolazione civile, in

Preoccupazioni del tutto simili a quelle fasciste, ma a questa fun- zione preventivo-repressiva il regime ne accostò un’altra: quella cono- scitiva appunto. Due compiti delineati fin dal 1931 quando, nella rela- zione finale stesa il 30 gennaio, la «Commissione interministeriale per gli studi sulla organizzazione della censura in caso di guerra» – com- missione nominata dal ministro della Guerra l’8 agosto 1930 –, aveva riconosciuta «unanimemente la necessità dell’istituzione della censura sulle corrispondenze, in caso di guerra, ritenendo che tale servizio [po- tesse] notevolmente contribuire sia all’azione preventiva e repressiva contro le attività e la diffusione di notizie dannose per il Paese e per le forze operanti, sia a fornire alle autorità competenti utili informazioni sullo stato morale e l’efficienza economica dell’intera Nazione»5.

Il 13 giugno 1940, tre giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, cir- ca settemila uomini, tra impiegati, insegnanti, avvocati e soprattutto militari, furono chiamati in tutte le province a dar vita alle Commis- sioni di censura postale, con il compito di «prendere conoscenza del contenuto della corrispondenza postale e delle comunicazioni telegra- fiche, telefoniche, radioelettriche» e a «procedere alla soppressione, totale o parziale» di tutte quelle espressioni che potevano in qualche modo «recare pregiudizio alla difesa dello Stato»6. Nell’interesse della

nella grande guerra. Con una raccolta di lettere inedite, Roma, 1993; M. ISNENGHI-

G. ROCHAT, La Grande Guerra, 1914-1918, Milano, 2000.

5ACS, MI, DGPS, DIVPP, Censura di guerra, b. 1. Su questi temi cfr. inoltre: L.

RIZZI, Strutture, funzioni e risultati della censura sulla posta (1940-1945), in G. RO- CHAT-E. SANTARELLI-P. SORCINELLI(edd), Linea Gotica 1944. Eserciti, popolazioni,

partigiani, Milano, 1986, p. 525; ID., Il morale dei militari e civili nelle lettere censu-

rate, in F. FERRATINITOSI-G. GRASSI-M. LEGNANI(edd), L’Italia nella seconda guerra

mondiale e nella Resistenza, Milano, 1988, p. 371. La differenza tra la censura posta-

le durante la Grande Guerra e quella fascista non era solo nelle funzioni, ma anche nell’estensione (parziale e, come abbiamo detto, limitata alla posta da e per i militari la prima, tendenzialmente totalitaria la seconda) e nella dipendenza (dal ministero della guerra la prima, dai ministeri dell’Interno e della Guerra l’altra). Cfr. L. RIZZI, Lo sguardo del potere, cit., p. 13.

6R.D. n. 2247, 12 ottobre 1939. Per la ricostruzione dettagliata e completa del-

l’organizzazione della censura postale durante la seconda guerra mondiale si rinvia ai lavori di Rizzi già citati e alle prime pagine del libro A. CIGNITTI-P. MOMIGLIANOLE- VI, «Ti racconterò tutto perché con la penna non posso spiegarmi…». La censura po- stale di guerra in Valle d’Aosta 1940/1945, Aosta, 1987, pp. 15-77.

nazione essi potevano invadere e violare la privacy degli italiani, can- cellando parole, frasi, interi brani delle loro lettere di cui modificava- no, di conseguenza, non solo la forma, ma anche il contenuto7. Dove- vano essere censurate tutte le notizie relative alla posizione ed ai mo- vimenti delle truppe, nonché ciò che poteva turbare o deprimere lo spi- rito degli italiani in patria e al fronte: frasi, per esempio, che comuni- cassero pessimismo o sfiducia verso la guerra o verso il regime, espressioni di pacifismo o d’insofferenza, critiche rivolte ad esponenti politici o militari, malcontento per il costo della vita, per la penuria di generi alimentari, per la povertà del rancio, e così via. Ovviamente ve- nivano censurati e comunicati alle autorità i casi di antifascismo, sov- versivismo e spionaggio. Poteva proseguire il suo viaggio verso il de- stinatario ciò che non era vietato ed anche ciò che si doveva scrivere: cancellando quello che non poteva essere detto, infatti, la censura co- stringeva il mittente a fare proprie le parole, le immagini, la realtà det- tate dalla propaganda fascista. Il linguaggio pubblico doveva inserirsi in quello privato, spogliando quest’ultimo dei caratteri individuali e della riflessione critica di chi scriveva. Così come spiegava, senza reti- cenze, con ironia e rabbia, un giovane insegnante di lettere alla madre:

Ti avverto prima di tutto che circa otto righe della tua lettera sono state tinte di nero dalla Censura. Non so di che si trattasse: escludendo la possi- bilità che tu abbia scritto qualcosa di carattere militare, non resta che il caso che tu ti sia lagnata o della scarsezza del mangiare o della lunghezza della guerra: sappi dunque che, se non vuoi che le tue lettere mi arrivino così mutilate, devi sempre scrivere che la guerra è bella e che più dura più siam contenti; che il mangiare è abbondantissimo, tanto che spesso la gente rinunzia alle razioni assegnatele; che il buon umore e l’allegria, spe- cialmente in occasione di bombardamenti, regnano sovrani; ed altre cose come quelle che si leggono sui giornali, e che corrispondono al modo di pensare lecito e permesso8.

7I censori intervenivano cancellando le frasi “incriminate” con inchiostro indele-

bile, quindi la busta veniva richiusa con una fascetta, che riportava la frase «Verifica- to per censura», e timbrata col bollo della CPe con il numero di riconoscimento del

censore. Se una lettera risultava pericolosa o sospetta nel complesso, essa veniva tolta dal corso ed inviata al SIMe agli organi di polizia per le indagini necessarie.

8 LTC Mitt.: Alessio Alfredo, Bratislava; dest.: Alessio Elvira, Firenze; 6 aprile

La verità che veniva lasciata passare era quella appositamente costrui- ta dal potere e imposta all’opinione pubblica in nome del “supremo bene della nazione”. Un bene di cui la censura era uno dei garanti, attraverso il suo lavoro di controllo che – ripeteva il regime – non era punitivo, ma ne- cessario a difendere il paese dalla brutalità di un nemico esterno sempre pronto ad ascoltare e a sfruttare ogni informazione, anche la più insignifi- cante. Ecco, quindi, che i censori intervenivano a cancellare ciò che era meglio tacere, perché solo loro sapevano «quali cose [erano] un segreto e quali non lo [erano]»9. In realtà, dietro a questa immagine paternalistica della censura, si nascondeva la sua più reale funzione di controllo socia- le: chi non doveva conoscere la realtà, chi non doveva sapere del dilagare dei problemi economici interni, della fame e delle malattie al fronte, delle distruzioni provocate dai bombardamenti, della violenza fascista e nazi- sta, chi non doveva essere contagiato da espressioni pessimiste o pacifi- ste, dalla rassegnazione o dalla rabbia, era la popolazione italiana.

Abbiamo fin qui accennato alla funzione preventivo-repressiva; passiamo ora a quella conoscitiva, che era indipendente dalla prima, ma ad essa strettamente legata, poiché il censore, avendo la possibilità di leggere e conoscere ciò che non doveva essere detto e scritto, entra- va in contatto col linguaggio privato degli italiani e registrava una più vera descrizione di fatti, sentimenti e pensieri. La censura rientrava, così, a pieno titolo, in quell’ampio sistema di controllo che, nato a scopo repressivo, col consolidarsi dello Stato fascista aveva assunto le caratteristiche di una struttura capillare di sondaggio e ascolto quoti- diano della situazione economica, di quella politica e dello spirito pubblico nazionali. Una ragnatela i cui fili portanti erano la Direzione generale di Pubblica Sicurezza del ministero degli Interni, la Polizia Politica e l’OVRA10. A completare l’intelaiatura intervenivano le que-

sture, i carabinieri, le segreterie dei fasci, la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e una massa di informatori più o meno volontari appartenenti alle classi sociali ed agli ambienti più diversi11.

9L. RIZZI, Lo sguardo del potere, cit., p. 34.

10Cfr. S. COLARIZI, L’opinione pubblica durante la seconda guerra mondiale, in

B. MICHELETTI-P. P. POGGIO(edd), L’Italia in guerra 1940-43, «Annali della Fonda-

zione L. Micheletti», n. 5, 1990-91, pp. 657-658; ID., L’opinione degli italiani sotto il regime. 1929-1943, Roma-Bari, 1991, pp. 14-15.

Sentire il «polso»12 della popolazione era di indubbia importanza per organizzare e gestire una corretta e tempestiva manipolazione della realtà, delle idee e delle coscienze, in grado di «armonizzare il com- portamento della popolazione alle finalità politiche del fascismo»13. Non che il regime, «al di là di parziali correzioni di indirizzo e di qual- che concessione in settori limitati della gestione del sociale»14, si sen- tisse realmente condizionato dall’opinione pubblica: alimentare e mantenere il consenso era di certo funzionale alla stabilità del regime, ma fino al conflitto mondiale in presenza del dissenso il fascismo ri- maneva comunque in grado di mantenere la sua presa nel paese. Con la guerra, però, quel sondaggio divenne di fondamentale importanza per una gestione intelligente delle risorse economiche e soprattutto umane, per individuare e controllare i punti deboli del fronte interno, per verificare l’adesione degli italiani alla guerra e la loro capacità di resistenza materiale e psicologica. E nella fitta rete d’ascolto i censori, più di altri, leggendo la corrispondenza, entravano nella vita privata di chi scriveva e di chi riceveva, scoprendone gli umori, i motivi di mal- contento ed insofferenza, le paure, le strategie di sopravvivenza, le gioie e le speranze, il grado di fiducia nel regime e nel duce.

Alle Commissioni provinciali venne chiesto, quindi, di inviare, set- timanalmente al ministero dell’Interno e ogni quindici giorni al SIM,

due distinte relazioni sul morale dei civili e delle truppe. Alle relazioni – ed è questo che più ci interessa – dovevano essere allegati alcuni brani tratti dalle lettere visionate, appositamente copiati, che potessero essere rivelatori dei pensieri e dei sentimenti più sinceri degli italiani in patria e al fronte. Altri stralci dovevano essere inviati al Direttorio del PNF (quelli da cui fosse possibile desumere «atteggiamenti, stati

d’animo, che [potessero] formare oggetto di valutazione favorevole o

polizia politica fascista, Torino, 1999; ID., Delatori. Spie e confidenti anonimi: l’ar-

ma segreta del regime fascista, Milano, 2001.

12R. MARTINELLI(ed), Il fronte interno a Firenze 1940-1943. Lo spirito pubblico

nelle “informazioni fiduciarie” della polizia politica, Firenze, 1989, p. 6.

13S. COLARIZI, L’opinione degli italiani sotto il regime, cit., p. 23. Si veda anche

R. DEFELICE, Mussolini il duce, vol. I: Gli anni del consenso. 1929-1936, Torino,

1990, p. 21.

14S. COLARIZI, L’opinione pubblica durante la seconda guerra mondiale, cit.,

sfavorevole ai fini dell’azione che il Partito persegue») e ai segretari federali del PNF(le frasi che rivelassero lo «spirito del soldato, i suoi

desideri e necessità, le condizioni di vita al fronte e lo stato d’animo dei familiari»)15.

È grazie a questo minuzioso lavoro di copiatura – di frasi “proibi- te”, e quindi cancellate dai censori nelle lettere originali, ma anche di ciò che veniva lasciato passare – che negli archivi della censura, pro- vinciali e centrali, si accumula[rono] decine di migliaia di fogli» nei quali, secondo Aurelio Lepre, «è scritta la vera storia della guerra dal punto di vista della gente comune»16, «documenti di stati d’animo che altrimenti – scrive Mario Isnenghi – forse non sarebbero giunti mai si- no a noi»17.

Accanto a questi stralci, negli archivi è rimasta anche tutta la corri- spondenza interamente tolta dal corso, a volte per il contenuto incrimi- nabile, ma spesso per motivi meno gravi, come la carta quadrettata o l’assenza dell’indirizzo del mittente sul retro della busta. Non dobbia- mo, infatti, pensare che negli archivi della censura sia finita solo la corrispondenza di antifascisti, consapevoli o potenziali, che non riusci- vano o non volevano nascondere i loro pensieri. Molta è la posta degli italiani comuni che si dibattevano nei mille problemi di ogni giorno.

Svolgendo il loro lavoro di burocrati, con orari estenuanti ed una paga miserrima, spesso odiati, ma anch’essi uomini in guerra, i censori hanno involontariamente salvato per noi una memoria intima ed im- mediata della guerra vissuta e combattuta.

Potevamo analizzare questo materiale in vari modi, ma abbiamo scelto di studiarlo nella sua totalità, rintracciando tutti gli stralci e tutte le lettere giunti a Roma da ogni parte d’Italia e da tutti i fronti di guer- ra. Decine di migliaia di messaggi, di civili e militari, per la maggior parte inediti. Altri, infatti, prima di noi hanno utilizzato questi docu-

15Riassunto delle disposizioni relative al funzionamento degli organi di censura,

inviato dal MI, DGPS, ai prefetti del Regno; sd., ma 1940. ACS, MI, DGPS, DIVPP,

Censura di guerra, b. 1.

16A. LEPRE, L’occhio del Duce. Gli italiani e la censura di guerra 1940-1943,

Milano, 1992, p. 4.

17M. ISNENGHI, Le guerre degli italiani. Parole, immagini, ricordi. 1848-1945,

Milano, 1989, p. 288. Si vedano anche le pagine dedicate alle lettere censurate come fonte, pp. 284-290.

menti, ma limitando l’analisi a ristrette aree geografiche, e non a fini comparativi, e spesso considerandoli un “contorno” ad altre fonti più “importanti”, o maggiormente adatti a pubblicazioni divulgative piut- tosto che scientifiche18. La nostra scommessa è stata invece quella di considerare complessivamente queste lettere, e brani di lettere, come corpus privilegiato dell’indagine.

Ad intraprendere questa analisi ci ha motivato soprattutto il deside- rio di verificare le potenzialità di questa fonte: la corrispondenza cen- surata può essere utile alla ricerca storica e in che modo? Quali infor- mazioni, temi, aspetti, più o meno palesi ed immediati, non solo e non tanto relativi al problema del consenso/dissenso al regime o all’anda- mento dello spirito pubblico degli italiani in guerra, possiamo rintrac- ciarvi?

Il nostro lavoro si è fermato ai quarantacinque giorni del governo Badoglio, tagliando fuori l’8 settembre 1943, momento in cui l’attività delle Commissioni di censura “saltò in aria” come tutto l’apparato mi- litare e politico italiano. Non abbiamo, quindi, lettere che ci racconti- no le reazioni degli italiani all’annuncio dell’armistizio. È l’unico vuo- to nel minuzioso e sempre uguale lavoro censorio che sarebbe ripreso, immutato nei meccanismi e nelle funzioni, poche settimane più tardi

18Ci riferiamo ai libri di: B. BELLOMO, Lettere censurate, Milano, 1975; L. Rizzi,

Lo sguardo del potere, cit.; A. CIGNITTI-P. MOMIGLIANOLEVI, «Ti racconterò tutto

perché con la penna non posso spiegarmi…», cit.; I. DALLACOSTA(ed), L’Italia im-

bavagliata. Lettere censurate 1940-43, Treviso, 1990; S. PIVATO, Sentimenti e quoti-

dianità in una provincia in guerra. Rimini 1940-1944, Rimini, 1995; A. LEPRE, L’oc-

chio del Duce, cit. Chi, come LEPREnel suo ultimo lavoro (La storia della Repubbli-

ca di Mussolini. Salò: il tempo dell’odio e della violenza, Milano, 1999), ha colto

maggiormente il valore e le potenzialità della nostra fonte come documento storico, l’ha comunque relegata ad un ruolo di secondo piano, a fungere da suggestivo stru- mento di verifica di ciò che emergeva da documenti di più “alta” importanza. P. CA-

VALLO, nel volume Italiani in guerra. Sentimenti e immagini dal 1940 al 1943 (Bolo-

gna, 1997), è l’autore che finora ha utilizzato parte delle lettere censurate, conservate all’ACS, nel modo più ampio e significativo all’interno di un’analisi complessa ed ar-

ticolata, che però si avvale prima di tutto dei rapporti degli informatori dell’OVRA,

nonché di alcune memorie e delle fonti prodotte dai mass media di regime, cinema in particolare. Anche A.M. IMBRIANI, nel libro Gli italiani e il Duce. Il mito e l’immagi- ne di Mussolini negli ultimi anni del fascismo (1938-1943), (Napoli, 1992), riporta al-

cuni stralci (ma davvero pochi) di lettere censurate rintracciate all’ACS, per confer-

sia nella Repubblica sociale italiana sia nel Regno del Sud, sotto il Go- verno Alleato19.

Una storia delle mentalità

Nell’enorme insieme di voci, abbiamo cercato di cogliere i toni comu- ni ed emergenti, le tendenze e le trasformazioni avvenute nelle emo- zioni, nelle passioni e nelle idee degli italiani in guerra. Questa memo- ria salvata dai censori, infatti, per un verso può essere assimilata ai diari coevi – una fonte che sta vedendo crescere la propria importanza storiografica20 –, dei quali ha la dimensione del privato, il legame col quotidiano e con il “tempo del vissuto”, ma il tutto proiettato in una dimensione dialogica che amplifica i contenuti ed accresce la consape- volezza che di questi hanno i due soggetti coinvolti. La lettera preten- de, come il diario, la razionalizzazione dei fatti, delle emozioni e dei