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La proposta di abolizione constava di un unico articolo, in apparenza quindi la richiesta era semplice e altrettanto lineare e immediata doveva sembrare agli occhi dei proponenti la risposta che il Governo era chiamato a dare. Eppure l’iter del disegno di legge fu travagliato e lungo. Preme ai fini del discorso analizzarne le vicissitudini, il supporto ricevuto dalle culture e subculture sociali, le risposte fornite man mano dai Ministeri coinvolti perché, nell’insieme, permettono di comprendere gli umori popolari e la linea assunta dal Governo. In generale si evince la disponibilità da parte dei dirigenti cattolici e dei funzionari di polizia di sposare la campagna ingaggiata contro i concorsi;

479 Acs, Mi, Dgps, Pol. Amm. e soc. b. 943, circolare del Ministero dell’Interno, 15 maggio 1954. 480 C. Vacchelli, La polizia sorveglia la giuria per Miss Italia, «Milano-sera», 6-7 settembre 1954, p. 1.

481 L’età per partecipare al concorso viene via via aumentata nel corso degli anni. Durante gli anni Settanta e Ottanta il

concorso ha ospitato anche delle minorenni (Anna Kanakis e Susanna Huckstep, le più giovani, hanno vinto il titolo a soli 15 anni), a partire dagli anni Novanta la presenza di ragazze adolescenti produce diverse proteste da parte di movimenti e esponenti politici, tra cui una forte presa di posizione di alcuni esponenti della Lega Nord he nel settembre 1994, dopo la messa in onda della finale del concorso, proponevano un disegno di legge per vietare alle minorenni la partecipazione ai concorsi di bellezza, causando una decisa replica di Mirigliani in difesa della

manifestazione. Dall’edizione 2002 il regolamento veniva cambiato permettendo l’accesso al concorso solo alle ragazze che saranno maggiorenni per la data della finale.

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tuttavia la pretesa di esercitare un controllo esasperato di alcune norme dettate dalla Chiesa si infrangeva contro una società che stava assumendo una dimensione sempre più laica.

La querelle sui concorsi di bellezza ci restituisce l’immagine di un Paese culturalmente in conflitto, impegnato nella faticosa ricerca d’un equilibrio tra le esigenze provenienti dai settori più tradizionalisti e quelle dettate da un mondo sempre più orientato verso la modernità e la cultura di massa. Il Governo pare fin dall’inizio tenere una linea morbida e di compromesso tra le varie esigenze, senza disdegnare troppo le belle ragazze che davano sfoggio della loro avvenenza: a Milano durante la Fiera al padiglione dell’ENIT il Presidente del Consiglio De Gasperi si lasciava ritrarre sorridente fra le rappresentanti delle regioni italiane nei tradizionali costumi offerti dalla Gi.Vi.Emme. Tuttavia le pressanti richieste dell’ala più intransigente condizionavano la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza obbligandola ad intervenire in merito all’iniziativa di Galletto con una prima significativa risposta già all’indomani dell’interpellanza parlamentare. Con una nota interna la Direzione illustrava i provvedimenti presi, non escludeva la possibilità del divieto, anzi lo condivideva dal punto di vista morale, ma si diceva incompetente ad una valutazione completa perché vi erano altri ordini di considerazione - politico, turistico ed economico - che esulavano dalle sue competenze e suggeriva un iter legislativo più congruo.

Né questa Direzione Generale né le dipendenti autorità di p. s. sono in possesso di dati atti a precisare la richiesta di un radicale ed assoluto divieto avanzata dall’O.le interpellante, mentre appare fondata su motivi di ordine morale che non possono non essere condivisi, richiede d’altra parte la valutazione di circostanze di ordine politico, turistico ed economico che esulano dalla competenza di questa Direzione Generale. Ai fini di tale valutazione, si rammenta comunque, che i concorsi del genere furono già espressamente e completamente vietati, durante il cessato regime fascista, con circolare telegrafica n.17114 del 9 maggio 1929 di cui si unisce copia. Si aggiunge infine che, qualora si ritenga opportuno - aderendo alla interpellanza in esame - ristabilire l’accennato “completo ed assoluto divieto di qualsiasi manifestazione o concorso per le reginette di bellezza”, si renderebbe necessario, ad avviso di questa Direzione Generale, un apposito provvedimento legislativo, non sembrando che possa legittimamente farsi uso, per una norma di tale estensione, dei poteri previsti dal citato articolo 9 del t.u. delle leggi di P.s.482

Il clamore che accompagnava la chiacchierata proposta di legge costringeva anche il Ministero di Grazia e Giustizia a prendere posizione e ad intervenire il 20 settembre 1954 con una nota in cui, se da un lato conveniva sui pericoli insiti nei concorsi di bellezza «i quali certamente esercitano un’influenza negativa sulla castigatezza dei costumi che dovrebbe essere osservata dalle donne, con

482 Acs, Mi, Dgps, Pol. Amm. e soc. b.943, Concorsi di bellezza, Risposta all’interpellanza (66) dell’On.le Senatore

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innegabili riflessi sulla pubblica moralità»483, rilevava dall’altro la radicalità di un rito ormai diffuso

in tutti gli strati sociali e in tutto il mondo, difficilmente estirpabile, anche con la minaccia di sanzioni pecuniarie comunque inadeguate per gli organizzatori,dato che l’interesse economico e di speculazione quasi sempre insito in un concorso di bellezza superava di gran lunga l’importo di una pena pecuniaria, anche se assai più rilevante di quella comminata nella proposta di legge. Se si mirava a punire penalmente soprattutto gli organizzatori di queste manifestazioni, si sarebbe addirittura dovuta comminare la pena detentiva e, per gli esercenti un’attività soggetta ad autorizzazione di polizia, anche prevedere la possibilità di sospendere tale attività.

Dopo soli sei giorni la Presidenza del Consiglio dei Ministri decideva di affrontare la complessa questione. Il portavoce era un personaggio noto per la sua austerità in materia morale, il sottosegretario Oscar Luigi Scalfaro, che pure così si esprimeva:

I concorsi di bellezza costituiscono, com’è noto, nel nostro e negli altri Paesi, uno strumento di propaganda turistica. Gli aspetti morali del problema non pare possano giustificare un intervento legislativo, concretantesi in un drastico divieto penalmente sanzionato. Si potrebbe tutt’al più pensare ad eventuali limitazioni e controlli di P.S. Come tale, il problema potrà essere esaminato e risolto nella competente sede amministrativa. Sull’argomento sono stati interpellati i Ministeri dell’Interno e della Giustizia, nonché il Commissariato del Turismo, che non hanno ancora fatto conoscere il loro avviso. Mi riservo quindi più compiute informazioni ad istruttoria ultimata484.

L’atteggiamento del Segretario poteva stupire chi lo conosceva personalmente e difficilmente si sarebbe lasciato ingannare da un radicale mutamento di prospettiva. Lo Scalfaro che aveva puntato il dito sul coprispalle solo tre anni prima non poteva essere diventato ora il difensore delle miss. Più realisticamente sembra che comportamenti e mode criticate e reputate inaccettabili in privato, quando si ricoprono ruoli pubblici vengano tollerati in nome di un’orchestrazione d’intenti che trascendono le singole coscienze. La risposta pragmatica della Presidenza del consiglio dei ministri, che privilegiava la ragione economica rispetto a quella morale e ideologica, anticipava quella che il Ministero dell’Interno avrebbe fornito poco tempo dopo chiudendo la questione nata sui concorsi di bellezza.

Si tratta di una soluzione che mette in luce tutta l’abilità politica di Scalfaro, necessaria a chi si trova a navigare in acque difficili. Per non incorrere in argomentazioni ideologiche, che avrebbero potuto suscitare un conflitto sia con le autorità religiose sia con altre correnti della Dc, il segretario

483 Acs, Presidenza del consiglio dei ministri (d’ora in poi Pcm), Senato della Repubblica, anno 1954, b. 151, f. 5-1, sf.

7.175, nota del Ministero di Grazia e giustizia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Mi, al Commissariato per il Turismo, Roma, 20 settembre 1954.

484 Acs, Pcm, Senato della Repubblica, anno 1954, b. 151, f. 5-1, sf. 7.175, lettera di O.L. Scalfaro all’On. Ceschi Senato

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calibrava le sue parole ricorrendo a un tema “neutro” come l’economia. Laddove i moralisti vedevano sfruttamento e corruzione, egli volgeva lo sguardo agli interessi turistici. È già in atto qui quella buona dose di realismo di cui il Governo democristiano darà prova in più occasioni: non poteva rinunciare a certe misure di modernizzazione e di liberalizzazione, pena la perdita di consenso popolare e anche l’oggettivo favoreggiamento della Sinistra che invece faceva della modernizzazione un obiettivo della sua politica di rinnovamento. E in vista di ciò muoverà i suoi passi nell’affrontare la questione dei concorsi di bellezza.

Il 15 ottobre 1954 la Direzione Generale della Pubblica Sicurezza ribadiva la propria posizione in merito ai concorsi di bellezza e l’apprezzamento della “ratio” della proposta di legge, ma si mostrava anche comprensiva verso quanti levavano le proprie lamentele:

si rileva che l’opinione pubblica più sensibile alle istanze morali sembra ferita dalla partecipazione a tali concorsi di ragazze in giovanissima età più che preoccupata dai concorsi in sé e per sé, i quali - per il ridicolo che spesso rasentano - si condannano prima o poi da soli. A tal fine si richiederebbe, perciò, più che la loro abolizione, una più decisa moralizzazione di dette manifestazioni, escludendone in ogni caso le minorenni485.

L’attenzione ancora una volta si soffermava sulla necessità di un’azione preventiva di carattere formativo che coinvolgesse le istituzioni implicate nell’educazione dei giovani affinché seguissero con maggiore zelo i ragazzi proponendo modelli validi. La chiosa era ormai una consuetudine: il problema veniva confinato al settore del costume pertanto «più che la minaccia di sanzioni penali – dovrebbero soprattutto valere la morale familiare e l’educazione posta a sostegno della gioventù»486.

Ricordava di aver già impartito opportune disposizioni in tal senso e che precise istruzioni erano state diramate, in conformità, dal Ministero della Pubblica Istruzione ai Presidi delle scuole.

Un mese dopo, il 20 novembre 1954, interveniva sulla proposta di legge il Ministero dell’Interno, indirizzando la propria risposta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri:

Con disegno di legge d’iniziativa dei Senatori Galletto, Pelizzo ed altri viene proposto il divieto dei concorsi di bellezza e delle manifestazioni del genere e previsto che gli organizzatori e le concorrenti siano puniti con una ammenda da lire cinquemila a lire cinquantamila. In merito si fa presente che questo Ministero, sensibile alle istanze della opinione pubblica colpita dalla partecipazione a tali concorsi di ragazze in giovanissima età, ha da tempo portato la sua attenzione sugli inconvenienti di ordine morale derivanti dai cosiddetti concorsi di bellezza ed ha impartito opportune disposizioni (circolari n. 10.11010/12995 in data 25 maggio e n. 10.10308 in data 2 febbraio u.s.) intese a vietare in occasione dei concorsi stessi l’uso del costume a due pezzi e la partecipazione delle giovani di età inferiore a 18 anni.

485 Acs, Mi, Dgps, Pol. Amm. e soc. b. 943, Appunto per il Gabinetto, Roma, 15 ottobre 1954. 486Ibid.

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Sono state, inoltre, date direttive ai dipendenti organi di polizia affinché, in virtù delle facoltà discrezionali loro attribuite dall’art. 9 delle vigenti leggi di P.S., nel fissare le condizioni alle quali vengono subordinate le autorizzazioni di polizia per i locali ed i trattenimenti pubblici, nei quali si svolgono tali concorsi, facciano espressa prescrizione degli accennati divieti, rendendo noto, nel contempo, agli esercenti dei pubblici locali interessati le sanzioni sia di ordine amministrativo (sospensione, chiusura dei locali, ecc) che di ordine penale, cui andrebbero incontro con l’inosservanza delle prescrizioni predette. La determinazione di un radicale ed assoluto divieto dei concorsi di bellezza e delle manifestazioni del genere (tale dizione potrebbe rendere quanto mai estesa la portata del provvedimento) richiederebbe, d’altra parte, che fosse tenuto conto di circostanze di ordine generale, turistico ed economico, che comportano la specifica valutazione delle Amministrazioni interessate487.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri il 9 dicembre conveniva con il Ministero dell’Interno che gli interventi consentiti in via amministrativa potevano sufficientemente ovviare agli inconvenienti d’ordine morale derivanti dai concorsi di bellezza. Lo Stato insomma, pur aderendo in linea di principio alle istanze promosse dai moralisti cattolici, rivendicava la sua facoltà di vigilare sulle infrazioni alle norme di moralità codificate e tenuto conto dei riflessi che i concorsi esercitavano sul turismo nazionale ed estero dichiarava che «l’imposizione di un divieto penalmente sanzionato appare eccessiva»488. Come già in epoca fascista, tornava qui la preoccupazione di non vietare del tutto queste manifestazioni per non compromettere il turismo, soprattutto straniero. La politica governativa era chiara: accontentava le istanze estreme dei moralisti, ovvero moralizzare il concorso vietando la partecipazione alle minorenni e il due pezzi, provvedimenti peraltro già applicati, ma anticipava che di più non poteva fare. Questa posizione enunciava già le motivazioni e i limiti dell’adesione della classe dirigente cattolica ad un disegno di legge che appariva in controtendenza rispetto al processo di laicizzazione e secolarizzazione nazionali ormai pienamente in essere489.

Di fronte alle pressanti richieste delle autorità religiose ed alle dichiarazioni dei Ministeri dell’Interno e di Grazia e Giustizia, il Commissariato per il Turismo490 non poteva esimersi

dall’intervenire in materia. Sceglieva anch’esso la via del compromesso tra le richieste di severa interdizione, provenienti dalle fila dei cattolici più intransigenti, e le considerazioni di natura pragmatica, nate dal confronto con gli altri Paesi e dall’evidente tornaconto in campo economico per l’intera nazione. La soluzione per cui optava non era dunque l’abolizione, considerata misura eccessiva che avrebbe indotto molti turisti a disertare il soggiorno in terra italiana preferendo mete

487 Acs, Pcm, Senato della Repubblica, b. 151, f. 5-1, N. 58264, sf. 7.175, nota del Mi, Gabinetto sulla proposta di legge

Galletto concernente il divieto dei concorsi di bellezza, Roma, 20 novembre 1954.

488 Acs, Pcm, Senato della Repubblica, b. 151, f. 5-1, N. 58264, sf. 7.175, nota della PCM sulla proposta di legge Galletto

concernente il divieto dei concorsi di bellezza, Roma, 9 dicembre 1954.

489 Il problema è analizzato in P. Scoppola, La nuova cristianità perduta, Roma, Studium 1985, pp. 11-29 e A. Riccardi, Chiesa di Pio XII o chiese italiane? in Id. (a cura di), Le chiese di Pio XII, Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 21-52.

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meno reazionarie, ma, tenuto conto del grande seguito che i concorsi avevano, la scelta più appropriata pareva quella di sostenere e promuovere manifestazioni similari che non premiassero solo la bellezza ma altre virtù femminili, reputate ben più importanti, in sintonia con l’opinione cristiana. Questa soluzione pareva mettere così d’accordo tutte le parti in causa. Nella decisione incideva il confronto col resto d’Europa in cui i concorsi venivano organizzati regolarmente senza troppo scalpore, anzi erano diventati un canale prezioso di promozione dello spettacolo e del turismo nazionali. A fronte di tali considerazioni l’Italia non poteva essere da meno, né rischiare di essere tacciata di eccessiva grettezza. Rivendicando una propria peculiarità, senza rinunciare a salvare il pudore e screditare il mos maiorum e i principi cristiani, la soluzione più ragionevole appariva quella di «limitare le relative autorizzazioni esclusivamente a quelle iniziative che, per la serietà degli enti o comitati promotori, presentassero le maggiori garanzie sotto il profilo morale e dal punto di vista organizzativo»491.

Né il Commissariato del Turismo mancava di considerare il riscontro in termini di visibilità e vantaggio economico che i concorsi di bellezza avrebbero assicurato al Paese:

Non va d’altra parte sottaciuto che, attraverso i concorsi di bellezza, vengono generalmente acquisiti gli elementi utilizzati poi, con notevole successo, in campo internazionale nel settore dello spettacolo e particolarmente della cinematografia. Sta di fatto, inoltre, che l’organizzazione dei concorsi di bellezza non riguarda soltanto il nostro Paese, ma ci giunge di riflesso, in conseguenza dello svolgimento, in campo mondiale, dei concorsi stessi492.

Constatata l’inopportunità dell’abolizione, non restava che cavalcare l’onda del successo, cercando di promuovere manifestazioni analoghe che magari premiassero virtù care alla tradizione cristiana. Concorsi quindi sì, ma con una impostazione diversa. Si trattava dell’ennesimo contraddittorio compromesso all’italiana tra modernità e tradizione, che nel caso specifico si traduceva in una serie di competizioni che dovevano premiare altre qualità. Ancora una volta l’idea proveniva dall’America che era dunque fonte di modelli e contro-modelli493.

Ecco allora che nel 1951 nasceva il Concorso per eleggere la Donna Ideale, prima con sede a Roma poi a San Pellegrino Terme, che premiava colei che avesse mostrato di adempiere perfettamente ai propri compiti di madre, moglie, massaia. A promuoverlo un comitato composto dagli onorevoli Tambroni, Delli Castelli e Giorgio la Pira; il sindaco di Roma Salvatore Rebecchini; le principesse Resy di Villahermosa, Marcella Borghese e Ninon di Belmonte, le marchesi Maria Alaviti, Vittoria Cavriani e Jolanda Pennavaria, e la scrittrice Flora Volpini.

491 Acs, Pcm, Senato della Repubblica, b. 151, f. 5-1, N. 58264, sf. 7.175, nota del Commissariato per il Turismo, Roma,

25 gennaio 1955.

492 Ibid.

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Il Governo iniziava a sostenere una manifestazione regionale promossa dal Commissariato del Turismo già dal 1952, in chiara antitesi al più noto e popolare concorso di Miss Italia, in cui ad essere premiate erano le doti morali delle ragazze. Fin dal nome della manifestazione si evinceva la sua finalità: ‘La più brava e bella ragazza di Abruzzo e Molise’. L’intenzione moralistica era evidente fin dagli spot che accompagnavano la manifestazione: «Se il titolo di reginetta di bellezza è un passaporto per l’eldorado dello schermo, il titolo assegnato per la virtù può aprire l’uscio ai sereni regni della casa e della famiglia»494. A conferma che la manifestazione rispettasse le tradizioni morali e spirituali della nazione era il fatto che i talenti premiati erano «doni della virtù e della gentilezza [che] provengono dal Signore».

Il Commissariato giustificava il patrocinio del concorso perché esso manteneva anche questi eventi all’interno delle sfera d’intervento e controllo statale che l’abolizione delle gare di bellezza con conseguente licenza di realizzarne privatamente avrebbe invece pregiudicato.

Questo Commissariato si è, da tempo, preoccupato dei riflessi che sulla morale potessero avere le esibizioni connesse con i concorsi in parola. E, di fronte al diffondersi di detti concorsi, ha ritenuto che fosse più opportuno assumerne, in un certo modo, il controllo, anziché addivenire a un divieto di essi che potrebbe dar luogo al sorgere di tal genere di manifestazioni in ambienti privati, senza possibilità di interventi da parte della pubblica Autorità. In tale azione si sono potuti apportare sani orientamenti correttivi, promovendo manifestazioni, in costumi regionali, che comprendessero la dimostrazione, da parte delle concorrenti, delle loro attitudini nei lavori donneschi, nella cucina tipica locale e di una cultura generale, sia pure modesta, come ad esempio il concorso “La più bella e brava ragazza dell’Abruzzo e del Molise”, manifestazioni che non solo hanno incontrato il pieno favore delle popolazioni, ma sono state incoraggiate dalle stesse Autorità religiose locali495.

Ad essere premiato era non più solo l’aspetto fisico ma una serie di requisiti che, come nei migliori ritratti risorgimentali, celebravano l’animo femminile. Evidente la preminenza delle virtù morali fin dalla denominazione dell’evento dove la ‘bravura’ precede la ‘bellezza’ nella scala di gradimento dei giudici. La manifestazione, nata sotto gli auspici del Commissariato del Turismo e indetta dagli Enti Provinciali del Turismo di Abruzzo e Molise e dal 1955 organizzata dall’Ente Provinciale del Turismo dell’Aquila, contava una giuria composta da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un rappresentante del Commissariato del Turismo e un rappresentante dell’Ente Nazionale Industrie Turistiche, oltre a un certo numero di giudici per le singole prove alle quali venivano sottoposte le concorrenti. Una gara che si imponeva «per l’originalità e la nobiltà dei

494 Acs, Pcm, Gab. 1955-58, b. 273, f. 14.2, Concorso per l’elezione de “La più brava e la più bella ragazza d’Abruzzo e

Molise”.

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concetti ai quali s’ispira»496. Il significato “innovativo” impresso alla gara veniva evidenziato dalle

parole del Sottosegretario di Stato alla Presidenza, Lorenzo Natali497:

I concorsi di bellezza si moltiplicano, ma si assiste a questo strano fenomeno: che mentre le elezioni delle varie misses balneari si succedono ormai tra l’indifferenza generale, un sempre più lusinghiero successo corona questo nostro concorso. Il motivo è quanto mai evidente: nelle giornate destinate alla manifestazione non è la semplice avvenenza fisica che deve trionfare, ma quel qualcosa di qualitativamente diverso, di imponderabile che si è soliti definire grazia femminile. Le giovani donne partecipanti al nostro concorso, infatti, non dovranno soltanto essere belle, ma anche

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