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Miss Vie Nuove: alter ego di Miss Italia

Non erano le Stelline l’alternativa a Miss Italia. Non potevano esserlo nella misura in cui ad esse si chiedeva una semplice comparsa sulla scena pubblica per fini propagandistici, senza alcuna promessa che riguardasse la loro persona e il loro futuro. Né si poteva pretendere che una stampa di partito come «l’Unità» fosse il luogo deputato alla creazione di una iniziativa davvero concorrenziale. Il vero alter ego di sinistra a Miss Italia dunque venne da un periodico illustrato che, in quanto tale, appariva un contesto più adatto per promuovere un concorso di bellezza, anche se in genere la sinistra non amava i rotocalchi; Maria A. Macciocchi li condannava come Letture

malsane per ragazze amministrate dal clero e dalla borghesia669, ovvero come un genere di stampa indispensabile a mandare avanti una propaganda volta a far accettare supinamente alla donna la politica guerrafondaia, dei gruppi imperialistici e a lasciarla schiava di un tipo di società che mira al suo avvilimento morale e materiale. Si trattava, secondo la giornalista, di una stampa al servizio dell’imperialismo americano, destinata a diffondere il mito della grandezza dell’America, della felicità dei suoi abitanti ed esaltare la bellezza, le forme, la grazia dell’uomo americano. Anche i rotocalchi di matrice cattolica come «Gioia» e «Alba», secondo la Macciocchi, venivano utilizzati per propagandare i temi fondamentali della ideologia cattolica con toni reazionari e puritani e dovevano essere combattuti dai democratici.

Malgrado questo giudizio perentorio anche la sinistra dovette adeguarsi ai gusti popolari che sembravano prediligere riviste dal sapore consumistico e dai contenuti modaioli: nel 1946 nasceva così «Vie Nuove», che pur recando la dicitura “settimanale di orientamento e di lotta politica”, era molto più vicino alla formula dei settimanali illustrati, poiché si occupava non solo di politica ma anche di estetica, moda, sport, cucina, problemi della casa e dei bambini e divenne molto popolare negli anni fra il ′48 e il ′56670. Era simile nella veste grafica ai rotocalchi, ricco di inserzioni

pubblicitarie che promuovevano prodotti di bellezza (come la Crema Venus, il sapone Lux, il dentifricio Durban’s) con le dive che prestavano il volto alla réclame.

Un’attenzione speciale era riservata alla donna e alla «storia meravigliosa» della sua emancipazione cui il giornale dedicava nel 1952, nel significativo mese di marzo, un lungo articolo671; il tema veniva riproposto costantemente attraverso inchieste e risposte ai quesiti dei lettori anche negli anni

669 M. Macciocchi, Letture malsane per ragazze, «l’Unità», 1950. Si veda anche in merito M.A. Macciocchi, Sotto accusa la stampa femminile borghese, Roma, ed. Noi Donne, 1950; G. Cesarini, G. Marchi, La stampa femminile dal ‘700 ad oggi, Roma, ed. Noi Donne, 1952; un testo elaborato successivamente presso la Scuola Centrale Femminile del

Pci di Faggeto Lario: A. Frontini, Funzione e influenza della stampa femminile borghese, Roma, La Stampa moderna, 1954.

670 S. Gundle, Cultura di massa e modernizzazione: Vie Nuove e Famiglia cristiana dalla guerra fredda alla società dei consumi, in P.P. D’Attorre, Nemici per la pelle, cit., pp. 242.

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successivi672. A fine decennio la gioventù femminile italiana era descritta come «sospesa tra un

passato che rifiuta e un avvenire che la tenta e le mette ancora paura»673, desiderosa di ottenere

maggiore cultura e un lavoro autonomo, ma ingabbiata in «un mondo che sembra ancora fatto su misura per gli uomini»674. Nel 1960 l’emancipazione diventava oggetto di una eccezionale inchiesta dal titolo Donna oggi in cui erano confrontate le condizioni dell’italiana dei primi anni del secolo e quelle odierne attraverso una indagine condotta in vari paesi: Urss, Usa, Germania, Inghilterra, Cina, Francia, Polonia, Algeria.

Nel fervore dei resoconti che descrivevano con entusiasmo l’evoluzione della donna non mancavano riferimenti anche al tema della bellezza. Agli uomini che lamentavano i progressi conquistati nel campo dell’istruzione e del lavoro come perdita dell’«eterno femminino»675 «Vie

nuove» ricordava, mediante dei dati statistici, l’aumentato consumo dei prodotti di bellezza che era addirittura triplicato in Lombardia testimoniando così che «le donne italiane di oggi si curano del proprio volto e delle proprie mani molto più che le loro sorelle maggiori»676.

La bellezza era, in totale concomitanza con i rotocalchi, un argomento ricorrente e veniva reputata un valore.

La bellezza è indubbiamente un valore e chi non è in grado di ammirarla e di apprezzarla non è che un compassionevole tapino. La bellezza naturale non è riconoscibile in base a canoni fissi o in base alla maggiore o minore vicinanza ad un modello ideale ed eterno. […] La bellezza naturale è qualche cosa di più che un complesso di doti fisiche: è l’espressione di una particolare temperie, di un particolare modo di vivere e di intendere la vita o, se si preferisce dire così, è l’espressione della situazione spirituale di una data epoca. Tra le migliaia di belle ragazze che aspirano a fare del cinema, poche riescono […] perché non bastano le doti fisiche a fare una ragazza bella677.

Generalmente veniva celebrata nella versione ‘acqua e sapone’ piuttosto che in quella artefatta tipica delle dive. Comune ai settimanali della stampa moderata l’intento pedagogico: curare l’anima anziché l’esteriorità. Anche «Vie Nuove», quasi a voler distogliere le fanciulle dal processo di emulazione delle dive, prontamente sottolineava i sacrifici necessari a mantenere un bell’aspetto, come dimostra l’inchiesta di Michael Mongeaux uscita nel 1958678 con un eloquente occhiello: ne

672 E. D’Onofrio, La donna fuori di casa, «Vie Nuove», 5 febbraio 1956, pp. 11-12-13; M. Mafai, Adamo non si rassegna,

8 marzo 1958, pp. 16-19; I lettori scrivono Vie Nuove risponde, Emancipazione della donna, 31 agosto 1952, p. 3; I lettori scrivono Vie Nuove risponde, Il lavoro femminile in casa e fuori, Vie Nuove, 28 aprile 1956, p. 3; C. Pillon, La

sfortuna di essere donna, «Vie Nuove», 25 giugno 1960, pp. 20-24; Nate ieri ma con gli occhi aperti, «Vie Nuove», 5

marzo 1960, pp. 30-37; G. Ferri, Mestieri: stomaco in divisa, «Vie Nuove», pp. 20-24.

673 Nate ieri ma con gli occhi aperti, «Vie Nuove», 5 marzo 1960, pp. 30-37. 674 Ibid.

675 Una eccezionale inchiesta: Donna oggi, «Vie Nuove», 12 marzo 1960, pp. 22-35. 676 L’italiana del ’57, «Vie Nuove», 9 marzo 1957, pp. 4-11.

677 I lettori scrivono Vie Nuove risponde, Gina più bella che brava, «Vie Nuove», 28 luglio 1956, p. 2. 678 M. Mongeaux, Disciplina di ferro per essere belle, 25 ottobre 1958, pp. 36-37.

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vale la pena? Cinque famose attrici francesi descrivono la difficile igiene della bellezza e le infinite privazioni che essa comporta679.

«Vie Nuove» si muoveva su un doppio binario proponendo, in linea con la stampa cattolica, il modello della moglie e madre esemplare ed al contempo prospettando scelte di vita diverse e meno convenzionali. Nel quadro di questi assunti possiamo collocare anche la promozione dei concorsi di bellezza. «Vie Nuove» dal 1949 patrocinava una gara destinata a proclamare la miss omonima, il cui scopo era cercare un volto nuovo per lo schermo, che non fosse «un tipo da copertina di rivista americana ma una sana e robusta ragazza del popolo tipicamente italiana». L’obiettivo era formare attrici nazionali che fossero anche nuovi modelli di bellezza e femminilità e prendessero il posto delle attrici americane680. Si nascondevano dietro i soliti imperativi ideologici ma, di fatto, li trasgredivano assecondando la vanità femminile e il sogno di un principe azzurro e di una vita migliore. Anche se non sostenute esplicitamente, le aspirazioni di indipendenza delle ragazze finivano con essere legittimate dalla partecipazione ai concorsi.

I festival si svolgevano nel mese di settembre in tutta Italia, dalle spiagge alle località montane alle città. Di fatto il concorso Miss Vie Nuove, partito in sordina, (nel 1952 vi presero parte venticinque ragazze, una cifra irrisoria rispetto alle 80.000 che nello stesso anno concorrevano per Miss Italia), registrò un grande successo popolare, garantì al giornale, e di conseguenza al partito, larghi introiti che poi venivano impiegati per altre iniziative editoriali e per organizzare manifestazioni politiche. Riuscì anche a incrinare la leggenda che voleva le militanti comuniste accomunate dal brutto aspetto e contribuì a svecchiare l’immagine triste di un partito considerato pieno di personaggi noiosi. Divenne insomma una manifestazione seguita da un pubblico sempre più numeroso. La stampa inviava i propri corrispondenti sul posto nelle serate della finalissima per seguire la manifestazione con una cronaca dettagliata. A dar lustro e dignità al concorso venivano “arruolati” noti intellettuali e artisti di cinema e teatro: Luigi Longo, Leonida Repaci, Alberto Moravia, Elsa Morante, Carlo Levi, Brunella Bovo, Carlo Bernari, Aldo Vergano, Carlo Lizzani, Massimo Girotti, Flora Volpini, Irene Genna, Armenia Balducci, lo scrittore Roberto Battaglia, Vittorio Gassman, lo scultore Leoncillo Leonardi, il giornalista Marco Cesarini Sforza, Cesare Zavattini. Personaggi popolari del mondo artistico come Renato Rachel e Giulietta Masina pubblicizzavano apertamente il concorso Miss Vie Nuove681 e persino ex-concorrenti di Miss Italia come Gina Lollobrigida, Lucia Bosè e Silvana Mangano venivano ritratte con la rivista in mano. Sofia Loren fu addirittura la “madrina” del concorso nel 1954682. Questo schieramento di dive pareva conferire legittimità

679 Ibid.

680 S. Gundle, Il Pci e la campagna contro Hollywood, cit., p. 129.

681 Lettere al Direttore, Emancipazione della donna, «Vie Nuove», 31 agosto 1952, p. 3. 682 «Vie Nuove», 21 febbraio 1954, p. 20.

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all’ingresso nella sfera pubblica di donne belle e appariscenti senza necessariamente privarle di carica erotica683.

Malgrado questa operazione di marketing, agli occhi dei veterani il concorso appariva indegno del giornale e una scesa a patti con la cultura commerciale: l’assenza dei “grandi” comunisti Pietro Secchia, Edoardo D’Onofrio, Mauro Scoccimarro e Gian Carlo Pajetta alle finali svoltesi a Palazzo Brancaccio era prova evidente del dissenso in seno al Partito.

Tra i sostenitori la scrittrice Renata Viganò asseriva che Miss Vie Nuove cercava «non la solita stellina ma un viso per il cinema»684, e Cesare Zavattini appoggiava il concorso quale mezzo per scoprire donne che non fossero solo belle ma genuine e vere. Su questo punto fondamentale insisteva la campagna pubblicitaria che reclamizzava il concorso e anche noti personaggi dello spettacolo scendevano in piazza per difendere e promuovere la manifestazione. Così il popolare attore Massimo Girotti, protagonista di Ossessione di Visconti, sosteneva l’impresa della rivista di cercare un ‘volto nuovo’ per il cinema e dichiarava che esso doveva essere catturato «dalla vita di tutti i giorni, dalle città e nel più sperduto villaggio, sulle spiagge mondane e negli ambienti più umili. In tal senso «è merito di «Vie Nuove» l’aver organizzato una ricerca metodica e oculata di volti nuovi ed è perciò che fin da ora auguro alla futura vincitrice il più splendente successo cinematografico»685.

L’aggettivo ‘nuovo’ su cui insisteva la propaganda era denso di significato: si riferiva al viso della reginetta incoronata ma soprattutto all’originalità del concorso rispetto a tutti quelli esistenti nel Paese:

Loretta è il volto di una giovanissima ragazza del popolo che è nuovo perché ha condensate in sé le grazie comuni a centinaia che si vedono ogni giorno. Oggi mentre l’inflazione dei concorsi di bellezza ha raggiunto le più elevate vette della noia, la nostra ricerca deve proprio alla serietà con cui è condotta (provino fotografico e cinematografico) i suoi successi686.

Anche se non mancavano considerazioni ironiche come la vignetta comparsa nel gennaio del 1951 su una pagina de «Il Popolo», quotidiano politico della Democrazia Cristiana, raffigurante un cartellone pubblicitario che annunciava l’elezione di Miss Vie Nuove con la frase sottostante: «E le chiamano… vie nuove»687 a rimarcare la considerazione dell’ala cattolica verso queste competizioni

che da qualunque parte provenissero offrivano il solito spettacolo con i medesimi scopi.

683 P. Gabrielli, La pace e la mimosa. L’unione donne italiane e la costruzione politica della memoria (1944-1955),

Roma, Donzelli, 2005, pp. 106-8.

684 R. Viganò, Alla ricerca di volti nuovi, «Vie nuove», 31 agosto 1952, p. 13. 685 Sulla elezione di Miss Vie Nuove, «Vie Nuove», 31 agosto 1952.

686 Con Loretta il duemillesimo volto nuovo, «Vie Nuove»,20 novembre 1955. 687 «Il Popolo», 4 gennaio 1951, p. 3 [A.D.V. – Milano].

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Gli organizzatori presentavano la loro iniziativa come la risposta migliore alla crisi del cinema italiano nel settore della recitazione e spiegavano il coinvolgimento dei più illustri cineasti, delle personalità artistiche e delle organizzazioni culturali, come una collaborazione necessaria nel quadro di un’opera di difesa e sostegno delle pellicole italiane le cui sorti erano care a tutti. Dalle colonne della rivista si ribadiva che lo scopo del concorso non era fomentare promesse di sogni irrealizzabili, ma offrire una opportunità alle ragazze desiderose di coglierla.

Il concorso si distingue per il suo carattere di schietta popolarità in opposizione a quello di falsa mondanità di altri […] Non si rifugia nei saloni di grandi alberghi che odorano di creme di bellezza e di alcova, ma si svolge all’aperto nei parchi: così non offre alle sue candidate miraggi di vite lussuose ma possibilità di un lavoro onesto688.

Aldo Vergano, uno dei più devoti e ostinati propugnatori del concorso Miss Vie Nuove, raccontava il rifiuto di una ragazza incontrata in una balera di Chiaravalle a prender parte al concorso, per il timore di “non avere l’abito adatto”:

Col volto forte e delicato insieme, perfettamente modellato, abbronzato dal sole, tutto lucido di sudore […] Indossava una gonna di tela blu-mare e un modesto golfino ma in quell’abito così semplice, così adatto alla sua persona, sembrava una regina. Eppure all’invito rivoltole di partecipare al concorso lei rifiuta perché non possedeva un vestito adatto a presentarsi in pubblico. La ragazza non sapeva che tutta la sua bellezza stava appunto nella sua sincerità, nella sua modestia e in una veste non sua avrebbe perso gran parte del proprio incanto689.

E invitava le fanciulle a partecipare armate della propria schietta bellezza perché quella era la veste migliore per un cinema realista alla ricerca non del «modello convenzionale della vamp di pretta marca americana»690 ma di «un tipo originale di attrice che corrisponda meglio alle caratteristiche della donna italiana, un tipo in cui si potessero riconoscere, senza provarne vergogna, le nostre sorelle, le nostre spose»691. Il modello di donna proposto di fatto coincideva con quello cattolico di brava moglie e madre, non diverso infine da quello patrocinato dalla stampa moderata.

Comune era anche la convinzione di offrire un lavoro concreto e l’incitamento alle aspiranti miss a studiare seriamente se desideravano fare le attrici, poiché per sfondare occorrevano altri talenti oltre la bellezza: il cinema richiede impegno e «non lo si vince in una sera di festa, bisogna conquistarlo anche con l’intelligenza»692. Le dive affermatesi dopo aver vinto concorsi di bellezza senza mai

aver frequentato corsi di recitazione “per imparare il mestiere” erano fortemente biasimate. In una lettera inviata alla redazione da un gruppo di lettori di Modena che chiedevano se la Lollobrigida

688 Rubrica sul cinema, Bando alla timidezza belle figliole! «Vie Nuove», 29 giugno 1952, p. 15. 689 A. Vergano, Bando alla timidezza figliole! «Vie Nuove», 29 giugno 1952, p. 15.

690 Ibid. 691 Ibid.

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fosse l’attrice italiana più preparata, Umberto Barbaro rispondeva: «Gina furoreggia in tutto il mondo soprattutto per la sua bellezza ma essa è solo un punto di partenza; non bastano le doti fisiche a fare una ragazza bella nel senso di ideale di bellezza di una data epoca come è Gina Lollobrigida e tanto meno una vera attrice. La Lollo deve ancora conquistare la spontaneità artistica che è frutto di studio e impegno ed è quindi un punto di arrivo»693.

Il giornale non celava alle aspiranti stelline le insidie nascoste dietro carriere sfavillanti e metteva in guardia le ragazze invitandole ad essere prudenti e meno ingenue: «Produttori e stelline: un rapporto ormai obbligato per cui le ragazze che vengono a Roma e che depongono i loro sogni sulla soglia del caffè in via Vittorio Veneto immaginano vagamente di dover sacrificare qualcosa e sono disposte a farlo»694. Naturalmente tanto moralismo celava il messaggio che gli organizzatori dei concorsi di sinistra non sarebbero mai scesi a simili nefandi compromessi ma l’illibatezza delle candidate era protetta dal buon nome dei promotori dei concorsi.

I giornalisti di «Vie Nuove» insistevano nel distinguere le giovani concorrenti del loro concorso, descritte come ragazze senza grilli per la testa, intenzionate a fare del cinema seriamente e ritenevano inoltre che questo concorso fosse soprattutto un ottimo mezzo per aumentare la tiratura del giornale695.

Tuttavia, per quanto cercassero di porsi come alternativa a Miss Italia e alla cultura borghese e consumista, anche il concorso di Miss Vie Nuove cadeva nella medesima rete che i comunisti si ostinavano a rifiutare: le procedure di selezione erano simili a quelle della gara rivale; se nelle finali il costume era bandito, nelle foto che venivano inviate alla rivista le candidate si mostravano in due pezzi; le fasi eliminatorie e conclusive si tenevano nei cinema e negli alberghi di fronte ad una giuria maschile visibilmente entusiasta dello spettacolo, e non all’aperto nel corso di una festa popolare come avveniva per le selezioni iniziali696. I premi in palio erano più modesti rispetto a quelli destinati a Miss Italia, rigorosamente prodotti in Italia, tutti rimarcavano la cornice familiare in cui si doveva svolgere la manifestazione venivano proposti alle classificate secondo un ordine di consumi voluttuari: una macchina da cucire Visetta della Visa di Voghera; profumi della ditta Paglieri di Alessandria; orologi svizzeri marcati Avia; penne stilografiche Tibaldi, ferro da stiro, libri, portacipria, ed altri oggetti da regalo.

693 U. Barbaro, Gina più bella che brava, «Vie Nuove, 28 luglio 1956, p. 2.

694 T. Chiaretti, Qui c’è da fare un film. Il letto in anticamera, «Vie Nuove», 22 settembre del 1956, pp. 10-11. 695 P. Masino, Il volto nuovo si chiama Angela, «Vie Nuove», 2 marzo 1952, p. 10.

696 Sul rapporto fra mascolinità e ruoli di genere S. Bellassai, Mascolinità e relazioni di genere nella cultura politica comunista (1947-1956), in S. Bellassai, M. Malatesta (a cura di), Genere e mascolinità. Uno sguardo storico, Roma,

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Le famiglie delle reginette della sinistra partecipavano con lo stesso entusiasmo con cui i genitori delle candidate a Miss Italia sostenevano le proprie figlie697. In particolare si potrebbero

sovrapporre le descrizioni delle mamme che, a seguito delle figliole, «vorrebbero aria, luce, spazio, folla per far vedere, novelle Cornelie, che queste sono i loro gioielli»698, senza trovare differenza alcuna con le altre mamme italiane.

In definitiva, l’obiettivo di dare un’impostazione non americana alla gara e scalzare il primato di Miss Italia non fu mai raggiunto: le concorrenti del concorso Miss Vie Nuove, ragazze tra i 17 e i 23 anni, dichiaravano senza mezze misure di aspirare al mondo dello spettacolo e ad una vita agiata, di successo e visibilità contravvenendo ai principi del mondo della sinistra: forse anche nelle passerelle dei concorsi di bellezza si misurava in qualche modo la sconfitta dell’ideologia. La sbandierata alternativa a Miss Italia si rivelava in realtà solo una copia con l’aggravante di presentarsi moralmente superiore: anche qui in fondo il corpo della donna veniva “usato” per guadagnare consensi al Partito e non pare d’intravedere in ciò un gesto di alta qualità morale. Forse la provenienza dalle file del Pc ha anche penalizzato le Miss di Vie Nuove (così come le Stelline dell’Unità) se si considera che nessuna delle vincitrici ha avuto una brillante carriera cinematografica, ma è finita col rientrare nell’anonimato della propria comunità di provenienza699.

10. Il concorso continua: “fallimento” dei moralisti

L’epilogo della proposta di legge di Galletto conferma quel paradosso di cui parlava Andrea Riccardi quando descriveva l’Italia degli anni Cinquanta, dominata dal controllo pervasivo della Chiesa, ma al contempo sempre più sfuggente ad esso700. Nella questione dei concorsi di bellezza si consumava di fatto quella congiuntura tra Chiesa e Stato inaugurata con la vittoria della Democrazia cristiana alle elezioni politiche del 1948. Tra il 1953 e il 1958, gli anni del tramonto del pontificato di Pacelli, il rapporto tra Chiesa e partito era mutato e quest’ultimo aveva ridefinito la sua fisionomia701. Nel decennio successivo, alla chiusura delle ostilità, lo sviluppo socioeconomico che aveva investito l’Italia con conseguente secolarizzazione si trovò ad essere gestito da Chiesa e Dc, ovvero dalle forze per tradizione più conservatrici702 e impreparate ad affrontarlo. Generalmente la

697 Per un ritratto delle famiglie comuniste si veda S. Bellassai La morale comunista: pubblico e privato nella

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