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Il “tipo italiano”: kalòs kai agathòs

Per Villani, Miss Italia non è forse altro che una specie di ‘manifesto vivente’, una specie di meraviglioso affiche a tre dimensioni, animato da un lampeggiante sorriso. Insomma, una giovane donna viene scelta attraverso un concorso per rivaleggiare con le migliaia di belle giovani donne che abbiamo viste sui manifesti in mezzo secolo di arte pubblicitaria. Se, nel mondo dell’affiche, le belle donne hanno portato per trent’anni la firma dei Cappiello, dei Cheret, dei Dudovich, dei Metlicovitz, dei Boccasile, vorrei dire che le belle donne estratte vive e sorridenti dalle concorrenti al titolo di Miss

158 O. Vergani, Il tribunale della bellezza a Rimini, «Corriere d’informazione», 2 settembre 1955. 159 O. Vergani, Si vota per Venere, «La Notte», 27-28 agosto 1957, p. 1.

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Italia, per diventare, come qualcuna è diventata, il vivente emblema della bellezza italiana, portano tutte la firma di Dino Villani. Egli non le ha dipinte, ma le ha scoperte, e, in un certo senso, “inventate” dirigendo sul loro volto il proiettore di uno slogan pubblicitario161.

È ancora una volta Orio Vergani a spiegarci cosa significasse per l’amico Villani il concorso da lui ideato. Il patron diede anima alle figure di carta che avevano popolato l’immaginario maschile e femminile negli anni precedenti la guerra portandole su una passerella: da Boccasile, che le aveva disegnate con la matita, a Miss Italia, che le rappresentava in carne ed ossa, il passaggio è indicativo della nuova Italia.

Nel concorso fotografico “5000 lire per un sorriso” degli anni Trenta si premiava il sorriso perché, si sosteneva, esso non poteva turbare la morale. In realtà la scelta nasceva dall’esigenza di svicolare alle regole di una società autoritaria che ipocritamente accettava le reginette in cartolina come se il fermo-immagine ne bloccasse la sensualità. Le Miss Sorriso erano subordinate ad una normativa che nascondeva sotto il velo del pudore la voluttuosità. La fine del regime sembrava invece autorizzare lo sguardo a non arrestarsi al sorriso, ma a posarsi sull’intero corpo: le concorrenti che venivano chiamate a sfilare «sembravano segnare il passaggio dalla battagliera virilità fascista alla pacifica femminilità democratica»162.

Le ragazze accorse a Stresa negli anni seguenti la fine del conflitto manifestavano nella loro prorompente bellezza la modernità di un registro estetico che, nato nell’anteguerra, era sopravvissuto ai tentativi censori messi in atto dal fascismo, e si palesava ora nella vetrina di Miss Italia163.

L’elezione della Bella italiana assumeva un significato preciso: la miss scelta era «la ragazza sana, prosperosa, il ritratto, in anni di ricostruzione e di pasti magri, di colei che aveva superato intatta la triste epoca della guerra, che non pareva sfiorata dalle bufere, dai bombardamenti, dalla carestia, dai razionamenti. Un esempio da godere, da ammirare, da indicare come prototipo di nuova ragazza italiana»164.

Nel 1947, tuttavia, il concorso introduceva una sezione in costume da bagno e, nonostante le ragazze dovessero mantenersi fedeli allo stereotipo che le voleva belle e semplici, di fatto l’attenzione alla fisicità decretava la transizione verso un tipo di bellezza con espliciti richiami commerciali. Questi elementi somigliavano troppo al format americano, che Villani conosceva attraverso riviste e giornali165, e complicavano la gestione della manifestazione perché le autorità e

161 O. Vergani, Introduzione, in D. Villani, Come sono nate undici Miss Italia, Milano, Editoriale Domus, 1957, p. 8. 162 M. De Giorgio, Le italiane dall’unità ad oggi, cit., p. 166.

163 V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, cit., pp. 289-290.

164 D. Argento, Applausi (e fischi) per le vincitrici, «L’Ora», 7 settembre 1964. 165 D. Villani, Come sono nate undici Miss Italia, cit., p. 43.

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larghe fasce della società non accettavano favorevolmente l’ondata di americanismo che stava investendo il Paese166.

Ragioni di carattere politico, culturale ed etico indussero l’organizzazione a impostare il concorso declinandolo “all’italiana”, ovvero adattandolo alle tradizioni e alla mentalità nostrani così da realizzare un prodotto autenticamente made in Italy che potesse essere gradito a tutti.

Anche sul piano economico si delineavano delle difficoltà. Mancavano infatti in Italia le condizioni che avevano determinato il successo della formula americana, poiché oltre Oceano da subito si era creato un mercato della bellezza pronto a recepirne il valore e ad investire su di essa.

Nel 1946 l’America vantava già una lunga tradizione di gare di bellezza.

Il primo concorso destinato a coronare Miss America venne infatti organizzato nel 1922 per iniziativa del giornalista Herber Test che aveva escogitato questa trovata pubblicitaria allo scopo di attirare turisti ad Atlantic City nel New Jersey. Gli albergatori del luogo, disperati per i magri affari di una stagione alquanto fiacca, accolsero fiduciosi la proposta e gli misero a disposizione 5918 dollari. Il concorso ebbe così luogo: vi parteciparono soltanto otto avvenenti fanciulle che indossavano costumi da bagno lunghi fino ai ginocchi; i benpensanti trovarono questo «Spettacolo della bellezza in costume da bagno», come inizialmente venne chiamata la manifestazione, piuttosto audace e sconveniente, e ne chiesero la soppressione. Ma il clamore immediatamente suscitato dal concorso non si spense facilmente, anzi, le campagne di stampa sostenute da certi club puritani femminili per la sua cessazione non fecero che accrescerne la popolarità così che l’anno seguente le candidate divennero un migliaio e provenivano da tutti gli Stati dell’Unione mentre l’idea di festival simili si diffondeva da un capo all’altro del continente167.

Il concorso si ripeté fino al 1928, quando fu poi sospeso per le proteste suscitate dalle organizzazioni femminili che lamentavano l’ostentazione delle ragazze in costume da bagno: la Camera di commercio si vide costretta a non dare più danaro per il finanziamento del concorso. Dopo una pausa di sette anni, nel 1935 venne restaurato su basi solidissime ancorate ad una vasta rete pubblicitaria e a un’enorme ruota d’interessi, con gruppi imprenditoriali che investivano sulla bellezza come bene da spendere sul mercato168. Per l’elezione di miss nella nazione si spendevano ogni anno 40 milioni di dollari, pari a 24 miliardi di lire169. Per evitare nuovi incidenti e critiche, gli organizzatori pensarono di guadagnarsi l’appoggio delle organizzazioni civiche e la direzione del

166 P.P. D’Attorre, Nemici per la pelle, cit., pp. 32-34.

167 G. Gullace, Le effimere glorie delle miss America, «Oggi», 21 marzo 1957, pp. 40-42.

168 A. De Leon Orbis, Fatti e misfatti delle olimpiadi della bellezza. Come nacquero e come crebbero i concorsi di Miss America e Miss Italia, 23 ottobre 1956, [A.D.V. – Milano].

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concorso fu assegnata a Leonora Slaughter, presidente della Società anonima spettacolo Miss America.

Frattanto a Parigi era nato nel 1928 per l’elezione di Miss Europa il Comitato internazionale, cui avevano aderito personalità della cultura, dell’arte, della moda, della politica, del cinema e del teatro. Si era costituito per disciplinare i vari concorsi, cucire per l’eletta un ruolo per gli scambi culturali, artistici, turistici e offrire alle Miss Internazionali l’aiuto necessario per realizzare le proprie attitudini.

L’Italia si muoveva invece su un terreno pressoché incontaminato. Qualcosa di simile ai concorsi esisteva in verità già nella forma delle tradizionali feste popolari come l’elezione del Maggio o della regina del Carnevale170. Il «Secolo XIX» di Torino del 25 gennaio 1889 raccontava di un concorso di bellezza organizzato presso il Teatro Scribe sul modello di quelli tenuti in Germania, Austria- Ungheria e Belgio, con una giuria composta da noti pittori e scultori, allo scopo di premiare la bellezza e il buon comportamento delle ragazze171. Un altro concorso fu organizzato nel 1911 in occasione della Esposizione universale per il cinquantenario dell’unità d’Italia, pur restando una manifestazione locale, circoscritta alla Capitale e alle ragazze in costume dei quartieri romani. Nel 1919 poi era stata indetta una gara che aveva eletto “Miss Liguria”, la prima ad avere una pubblicità su scala nazionale, pur incontrando «la resistenza degli ambienti più qualificati e particolarmente di quelli cattolici»172. A fine anni Trenta era arrivata Miss Sorriso. Ma nulla era minimamente

paragonabile alle competizioni ingaggiate in America. Nel dopoguerra la situazione sembrava propizia per immettersi sul mercato moderno usando un canale come la bellezza.

L’idea era di legare al prodotto da reclamizzare non un’immagine convenzionale ma una figura vera e conosciuta: la miss vincitrice di un concorso nazionale e decretata ambasciatrice ufficiale di bellezza sembrava il soggetto più adatto per la pubblicità poiché identificata tramite stampa e foto, era immediatamente riconosciuta e restava al contempo una figura nota ma familiare. Villani, antesignano delle moderne tecniche pubblicitarie, cercava di “personalizzare” il prodotto e renderlo più accattivante e familiare per i consumatori che venivano attratti e indotti all’acquisto proprio da chi lo reclamizzava (i famosi testimonials degli attuali messaggi pubblicitari)173. Quanto l’immagine della Miss si leghi a quella del dentifricio sponsorizzato lo si evince dagli astucci di Pasta Dentifricia Erba-Gi.Vi.Emme speciale messi in vendita nel 1947, all’interno dei quali si poteva trovare una bella monetina di rame con l’effigie di Rossana Martini, la prima vincitrice del concorso del dopoguerra, che valeva 10 Lire di prodotti Gi.Vi.Emme. All’epoca non circolavano monete

170 M. De Giorgio, Le italiane dall’unità ad oggi, cit., p. 166.

171 M. Monza, T. Scaroni, Cinquant’anni di Miss Italia, cit., pp. 12-15. 172 A. Campi, Uragano di miss, «La posta illustrata», p. 9 [A.D.V.- Milano]. 173 F. Fasce, Le anime del commercio, Roma, Carocci, 2016, p. 40.

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metalliche e forse per questo pochi spesero la moneta preferendo per lo più tenerla tra i ricordi174.

Oltre al dentifricio la nascita di altri prodotti come l’“acqua di colonia Miss Italia” o il “sapone delle stelle” dimostrava come si promuovesse il moderno mercato della bellezza attraverso oggetti, immagini e modelli che si ispiravano alla miss nazionale e che rendevano i suoi fans potenziali acquirenti. Saponi, dentifrici, profumi alimentavano il sogno di “essere belle” come la Miss: il marchio si legava in modo indelebile alla star che veniva in qualche modo “divinizzata”.

La logica commerciale di fondo del concorso era comune a quella che animava le gare americane, ma le aspettative morali erano molto diverse. Inizialmente il criterio per la scelta di Miss America era esclusivamente fisico: i giudici badavano solo ad altezza, busto, fianchi, vita e così via. Il modello di bellezza americana era improponibile nell’Italia cattolica e perbenista degli anni Cinquanta perché reputato aggressivo, sfacciato e pericoloso, «il tipo della ‘pin-up’, la ragazza incollata sui finestrini dei camionisti»175 era indice di una donna libera che trattava gli uomini alla pari, non era la donna da matrimonio e, almeno all’apparenza, spaventava i maschi italiani e soprattutto i moralisti cattolici176.

Villani dovette trovare un compromesso tra economia e morale, modernità e tradizione, innovazione e convenzione, vale a dire tra le sue esigenze di pubblicitario, orientato a creare un mercato del consumo, e gli ostacoli posti da una società rurale e tradizionalista che male accettava la dilagante americanizzazione. Occorreva blandire gli elementi americanizzanti inserendoli in uno sfondo romantico e in una cornice più tranquilla. Da qui l’idea di riallacciarsi al tradizionale Miss Sorriso, di cui si voleva recuperare l’atmosfera gentile che aveva circondato quella premiazione, affiancando al titolo americaneggiante «Miss Italia» quello di «La bella italiana» e facendo rientrare la manifestazione all’interno di un più ampio progetto di promozione turistica del territorio e delle sue bellezze artistiche e folcloristiche. Le ragazze scelte come concorrenti rappresentavano le regioni italiane e ciascuna doveva mettere in mostra un qualcosa di indicativo di quella terra, diventando così messaggera della produzione locale, dell’arte e del gusto degli italiani. Anche i costumi tradizionali indossati dalle finaliste, creati dalle case di alta moda per l’occasione, erano caratteristici delle regioni italiane e avevano tessuti di gran pregio.

L’obiettivo sostanziale della kermesse diventava celebrare una bellezza che rappresentasse la sana vitalità della nazione italiana e fosse al tempo stesso promessa di un futuro prospero e positivo per il Paese177. Bisognava quindi scegliere la più bella d’Italia. Ma a questo punto la questione si faceva complicata: cosa bisognava intendere per bellezza? «Uomo semplice, innamorato del bello,

174 D. Villani, Come sono nate undici Miss Italia, cit., p. 80.

175 Miss Italia concorso per soubrettes, «Le ore», 27 settembre 1960. 176 D. Villani, Come sono nate undici Miss Italia, cit., p. 148.

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appassionato di pittura, valente giornalista pubblicitario, artista nell’animo», come lo descrive ancora Vergani, «probo fino allo scrupolo, Villani doveva essersela rivolta spesso questa domanda, per organizzare coscienziosamente, come sempre faceva, quelle manifestazioni di vita moderna, che sono i concorsi»178. La produzione convenne che la competizione dovesse segnalare un tipo indiscutibilmente nostrano, di una bellezza tranquilla, quasi casalinga, femminilmente serena, senza eccessi, che incantasse ma non provocasse turbamenti, esattamente come le Miss Sorriso incorniciate in una foto formato francobollo che ne mozzava il corpo e con esso ogni eventuale elemento sensuale. Casta come le Madonne raffigurate dai pittori del Rinascimento. Non a caso nella denominazione del concorso figurava anche «La bella italiana», come il libro del critico d’arte Raffaele Calzini che vi aveva raccolto le più attraenti immagini di donne della nostra pittura. Gli stessi pittori membri della giuria del concorso nelle loro valutazioni si ispiravano alle sottili giovinette del Botticelli, alle serafiche sante del Perugino, alle Madonne del Raffaello, alle floride e bionde veneziane del Tiziano179 e speravano di trovare tra le candidate la modella ideale di Leonardo o del Correggio. La bellezza scelta doveva un tipo rappresentativo della realtà quotidiana in cui si potessero identificare tutti.

La bella italiana doveva puntare al matrimonio180, almeno a parole, tant’è che la dote prevista come premio serviva a ribadire l’aspirazione fondamentale delle miss e a tutelarne l’immagine. Miss Italia poteva insomma mostrare le gambe ma doveva salvare l’anima: così tranquillizzava i perbenisti. Il motto coniato da Villani con cui invitava la giuria a formulare la scelta tra le finaliste era: «Vorremmo che questa ragazza fosse la fidanzata di nostro figlio? Se crediamo di poter rispondere sì, allora non dobbiamo avere alcun dubbio. La ragazza che daremmo in sposa a nostro figlio può essere eletta Miss Italia»181.

Per conferire al concorso uno stile che lo distinguesse dalle gare analoghe organizzate all’estero, cui generalmente partecipavano soltanto le professioniste della bellezza e della grazia, modelle, cover- girl, indossatrici e ballerine, abituate ad esibirsi nelle varie serate per interessi e compensi immediati, in Italia la competizione veniva impostata in modo da offrire indistintamente a tutte le ragazze la possibilità di vincere il titolo o almeno qualche vistoso premio182. Se all’estero le candidate ai concorsi erano abituate a mettersi in mostra e tra di esse non c’era alcuna “scoperta” da

178 C. Prosperi, Come sono nate undici Miss Italia, «Sera-Torino», 5 febbraio 1958.

179 O. Vergani, A confronto per la nuova Miss Italia beltà dialettali e beltà standardizzate, «Corriere della Sera», 5

settembre 1955.

180 S. Masi, E. Lancia, Stelle d’Italia: piccole e grandi dive del cinema italiano, 1945-1968, Roma, Gremese, 1989, pp. 61-

64.

181 D. Villani, Come sono nate undici Miss Italia, cit., p. 65. 182 Si vota per Venere, «La Notte», cit., p. 7.

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fare, il materiale umano con cui si confrontavano gli organizzatori di Miss Italia era ancora incontaminato ed era più semplice scovare una figura o un viso inedito183.

Lo scrittore Achille Campanile sulle pagine del «Corriere Lombardo» spiegava le ragioni che avevano indotto l’organizzazione del concorso ad usare, come canali di ricezione delle candidate allo scettro di più bella d’Italia, le fotografie e le segnalazioni con il fatto che privilegiando come luoghi di reclutamento le sale da ballo, si rischiava di escludere dalla gara le giovani più riservate, restie a mettersi in mostra

Non tutte le donne hanno il coraggio di esibirsi in pubblico col rischio che spesso le più belle, quelle che non frequentavano le sale da ballo o le più timide, erano automaticamente escluse. Poiché la beltà spesso è unita alla modestia può succedere che la più bella non venga eletta. Motivo per cui invece di limitare il concorso alle ardite che si presentano alla gara, facendolo fotografico e su segnalazione che può esser fatta anche da terzi, viene esteso a tutte le altre. Dovrebbe essere premiata la bellezza autentica anche se poco appariscente e perciò va identificata nella cerchia della famiglia, della scuola, del lavoro. Come nelle fiabe, la più bella dovrebbe essere anche la più buona, la più restia a mettersi in mostra. […] Non una valutazione tutta materialistica; non limitarsi a premiare un bel paio di gambe, un corpo perfetto, il grazioso faccino come si fa di solito in questi concorsi nati in Paesi che hanno concetti assai diversi dai nostri. Noi vorremmo che in un bel corpo ci fosse anche una bella anima. Così, oltre a premiare degnamente, si elimina quello che può esserci in questi concorsi di pericoloso per una ragazza: quando essa sa che, con la sua bellezza, sono state premiate anche la sua onestà, la sua modestia e riservatezza, più che mai terrà a questi doni, come a un prezioso tesoro. Bella esteriore e interiore, secondo un concetto puramente italiano184.

Campanile offre la versione catto-perbenista della bellezza italiana in cui l’avvenenza fisica si coniuga con la modestia e la riservatezza. È più una dichiarazione di “via italiana alla bellezza” per la zona grigia dell’opinione pubblica che un concreto programma di azione imprenditoriale e commerciale. Si ribadiva che il concorso, pur mutuato dal modello americano, assumeva una propria fisionomia con scopi diversi e finiva con l’avere un’anima a sé stante. Un’anima italiana. Miss Italia era un costrutto simbolico: non poteva creare imbarazzo né essere rappresentata da una bomba sexy che sprigionasse erotismo, ma la sensualità doveva essere nascosta. La più bella d’Italia doveva essere il più possibile contenuta, limitarsi a sorridere ma in maniera modesta senza ammiccamenti o pose seducenti. Le concorrenti erano fintamente protagoniste della scena perché ridotte a comparse, a maschere “anonime” private di sex appeal. Persone ma non personaggi. Qualora avessero cantato o ballato avrebbero assunto un ruolo, avrebbero potuto “recitare” da vamp, essere interpreti e provocatrici di desideri. Invece i loro movimenti erano ridotti alla semplice sfilata sulla passerella, con gesti schematizzati e ridotti al minimo.

183 D. Villani, Come sono nate undici miss Italia, cit., p. 220.

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L’invito a cercare una bellezza classica che somigliasse a quella delle dee, delle madonne e delle sante non rispondeva quindi a un vezzo ma ad una copertura culturale necessaria per la prosecuzione indisturbata di una manifestazione considerata ufficiale e statale. Miss Italia doveva essere custode e depositaria dei valori rassicuranti della tradizione185 e, se pur testimone e vettore della modernizzazione del Paese, doveva realizzare questa funzione attraverso forme stereotipate e rassicuranti. Innovazione e consuetudine erano le facce interdipendenti di questo concorso. Su questi elementi Villani insisteva per rivendicare l’originalità e il valore della propria “creatura”. Da qui anche la necessità di autoimporsi un regolamento rigido che vietava la sfilata in costume da bagno in pubblico (articolo 5), reclamava una condotta irreprensibile per le concorrenti e le vincitrici le quali, fintantoché avessero portato il titolo, avrebbero dovuto rispondere di un loro eventuale comportamento sbagliato anche agli effetti legali verso l’organizzazione (articolo 15); richiedeva che ogni candidata fosse accompagnata da una persona di famiglia il cui mantenimento era a carico del concorso (articolo 17)186. Si trattava probabilmente di una linea difensiva costruita dal patron e dallo staff, giustificata dal fatto che all’epoca non si poteva che giocare in questi termini una partita che poneva in discussione l’onore della donna italiana. Dietro il dentifricio da pubblicizzare si celava un materiale ben più fragile da maneggiare e la responsabilità che il concorso assumeva era elevata: il corpo femminile diventava un luogo in cui si delineava la difesa dell’onore della patria187.

Bisognava considerare poi un ulteriore aspetto: il concorso, nato con fini pubblicitari e apparentemente innocuo, aveva avuto esiti imprevisti. Il successo enorme della gara le aveva fatto

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